30 giugno 2007

Quel rivoluzionario di Ratzinger...


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Pubblichiamo questo bellissimo articolo di Bruno Volpe per il quotidiano Petrus.
C'e' chi pensava a Benedetto XVI come ad un Papa di transizione che si sarebbe limitato, magari, alla gestione ordinaria della curia o, al massimo, alla sua riforma.
Ebbene non e' stato e non sara' cosi': in poco piu' di due anni Papa Benedetto ha compiuto una vera "rivoluzione" culturale, teologica e morale.
E' proprio vero che i Papi che la stampa cataloga "di transizione" sono poi quelli che imprimono svolte decisive alla Chiesa.
Un ringraziamento a Bruno Volpe ed a Petrus
.
Raffaella


Così vicini, così lontani: Giovanni XXIII e Benedetto XVI, i Papi che dovevano essere di transizione

di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO - Attenzione ai cosiddetti Papi di transizione. Ricordate il Beato Giovanni XXIII? Cosi lo avevano definito gli addetti ai lavori. Pacioso, dall’aria tranquilla, nessuno si sarebbe mai aspettato che avrebbe indetto il fondamentale e salvifico Concilio Vaticano II. Vero: la sua vita non fu lunghissima in termini di età, ma sufficiente per segnare una tappa cruciale nel cammino della Chiesa. Lo stesso si disse dopo l’elezione del Cardinale Joseph Ratzinger - che cioè sarebbe stato un Papa di transizione -, essendo già avanti con gli anni (sia pure, aggiungiamo noi, molto giovane nello spirito). Fatto sta che Benedetto XVI, in due anni e spiccioli di pontificato, ha pubblicato la meravigliosa Enciclica “Deus Caritas Ets”; l’esortazione apostolica “Sacramentum caritatis”; un motu proprio sulle modalità di elezione del Romano Pontefice nel Conclave ed un altro sulla liberalizzazione della Messa tradizionalista; la lettera ai fedeli cinesi; il libro su Gesu di Nazaret dal Battesimo alla Trasfigurazione; ed ha inoltre compiuto vari viaggi pastorali in Italia e all’estero, presieduto cento udienze generali del mercoledi, triplicato il numero dei fedeli agli appuntamenti canonici degli Angelus e degli altri incontri pubblici. Tutto ciò non si addice affatto ad un Papa di ... transizione, che nel gergo e nella mente degli addetti ai lavori dovrebbe essere solo un Pontefice impegnato a tirare a campare per quel po’ di tempo che gli lascia ancora a disposizione il Signore. Dunque, non temiamo di essere smentiti se sosteniamo che Benedetto XVI sta dimostrando di essere tutto fuorché un Papa di transizione. E come Giovanni XXIII, anche se con atti e stili diversi, è destinato a passare alla storia anche per questo: per aver smentito con i fatti chi pensava (o malignamente sperava) che si limitasse all’ordinario lavoro d’ufficio.

Petrus

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Un atto d’amore del Papa per la Chiesa della Cina: pubblicata la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici del grande Paese asiatico. Il commento di padre Federico Lombardi

Un documento a lungo atteso, segno dell’amore e della vicinanza del Papa per la comunità cattolica presente in Cina: con questo spirito, è stata pubblicata oggi la Lettera di Benedetto XVI indirizzata ai vescovi, presbiteri, consacrati e fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese. Il documento pontificio, che nella versione italiana consta di 54 pagine e 20 capitoli, offre orientamenti sulla vita della Chiesa e sull’opera di evangelizzazione in Cina, rispondendo a numerose richieste pervenute alla Santa Sede negli ultimi anni. In una nota, diramata dalla Sala Stampa vaticana, si sottolinea che la Lettera “tratta questioni eminentemente religiose” e “non è quindi un documento politico” né “vuol essere un atto di accusa contro le autorità governative, pur non potendo ignorare le note difficoltà che la Chiesa in Cina deve affrontare quotidianamente”. Tali problematiche, spiega una Nota esplicativa, sono state analizzate in Vaticano da una Commissione ristretta. Il 19 e 20 gennaio, poi, il Papa ha deciso di convocare una riunione che ha visto la partecipazione di vari ecclesiastici anche cinesi. A seguito di questo incontro, la Commissione si è adoperata per preparare il documento, che, significativamente, è stato firmato dal Papa il 27 maggio scorso, domenica di Pentecoste. Con la Lettera, il Papa istituisce una Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, da celebrarsi il 24 maggio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Un profondo affetto per tutta la comunità cattolica in Cina ed un’appassionata fedeltà ai grandi valori della tradizione cattolica in campo ecclesiologico: sono questi i due principi a cui si ispira Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici cinesi ai quali il Papa manifesta innanzitutto la sua “fraterna vicinanza”. “Voi - scrive Papa Benedetto, all’inizio della Lettera - sapete bene quanto siete presenti nel mio cuore”. E fin dalle prime righe, esprime la sua intensa gioia per la fedeltà dei cattolici cinesi a Cristo e alla Chiesa, “a volte anche a prezzo di gravi sofferenze”. Una testimonianza di fedeltà, ribadisce, offerta “in circostanze veramente difficili”. Ai fedeli, il Santo Padre chiede dialogo, comprensione e perdono quando è necessario. Li invita dunque ad un cammino serio verso una completa comunione per rimanere fedeli a Cristo e al Successore di Pietro, in un dialogo “rispettoso e costruttivo” con il governo. Il Papa mostra apprezzamento per il raggiungimento da parte della Cina di significative mete di progresso economico sociale, e rileva che, specie tra i giovani, da una parte cresce l’interesse per la dimensione spirituale; dall’altra, si avverte “la tendenza al materialismo e all’edonismo”. Il Pontefice esorta, così, la Chiesa che è in Cina ad essere testimone di Cristo, “a guardare in avanti con speranza e a misurarsi, nell’annuncio del Vangelo, con le nuove sfide che il popolo cinese deve affrontare”

D’altro canto, con la Lettera, il Pontefice invia anche un particolare messaggio alle autorità civili. La Santa Sede riafferma la disponibilità al dialogo e sottolinea di non voler interferire negli affari interni delle comunità politiche. “Lo sappia la Cina - afferma il Papa - la Chiesa cattolica ha il vivo proposito di offrire, ancora una volta, un umile e disinteressato servizio, in ciò che le compete, per il bene dei cattolici cinesi e per quello di tutti gli abitanti del Paese”. Tuttavia, Benedetto XVI ribadisce la posizione della Santa Sede sulla libertà religiosa. “La soluzione dei problemi esistenti - si legge al capitolo IV - non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime autorità civili; nello stesso tempo, però, non è accettabile un’arrendevolezza alle medesime, quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa”. Le autorità civili, scrive Benedetto XVI, “sono ben consapevoli che la Chiesa, nel suo insegnamento, invita i fedeli ad essere buoni cittadini”, “ma è altresì chiaro che essa chiede allo Stato di garantire” ai cittadini cattolici “il pieno esercizio della loro fede, nel rispetto di un’autentica libertà religiosa”. La Santa Sede, dunque, a nome dell’intera Chiesa cattolica, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le autorità di Pechino, affinché, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare assieme per il bene del popolo cinese. Il Papa riconosce che tale normalizzazione di rapporti richiederà tempo. Tuttavia, come il suo predecessore Giovanni Paolo II, è convinto che tale normalizzazione offrirà un impareggiabile contributo alla pace nel mondo.


Venendo agli aspetti più specificamente ecclesiali, il Papa si sofferma sulla “situazione di forti contrasti che vede coinvolti fedeli laici e pastori” cinesi. Il Papa rammenta che per l’unità della Chiesa nelle singole nazioni, ogni vescovo deve essere in comunione con gli altri vescovi e tutti, a loro volta, in comunione visibile e concreta con il Papa. “La Chiesa che è in Cina - si legge nella Lettera - è chiamata a vivere e a manifestare questa unità, in una più ricca spiritualità di comunione”. Al capitolo sette, il documento pontificio si sofferma sull’Associazione Patriottica, che, viene ribadito, è un organismo voluto dallo Stato, estraneo allo struttura della Chiesa, con la pretesa di porsi sopra i vescovi stessi e di guidare la comunità ecclesiale. Le sue dichiarate finalità di attuare i principi d’indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione della Chiesa sono dunque inconciliabili con la dottrina cattolica, ed hanno, inoltre, “causato divisioni sia tra il clero sia tra i fedeli”. Ancora, la Lettera evidenzia che la comunione e l’unità “sono elementi essenziali e integrali della Chiesa cattolica; pertanto il progetto di una Chiesa ‘indipendente’, in ambito religioso dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica”.

Nei capitoli otto e nove, il Papa rivolge l’attenzione alla condizione dell’episcopato cinese ed affronta il delicato tema delle ordinazioni episcopali, che, come ricorda la Lettera, “tocca il cuore stesso della vita della Chiesa” e rappresenta “un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa”. Viene ribadito che la nomina dei presuli spetta al Papa “a garanzia dell’unità della Chiesa” e che un’ordinazione illegittima rappresenta una “dolorosa ferita alla comunione ecclesiale”. La Lettera auspica il raggiungimento di un accordo con il governo per risolvere alcune questioni concernenti la scelta dei candidati, la pubblicazione della nomina e il riconoscimento da parte delle autorità civili. La legittimazione dei vescovi ordinati senza mandato apostolico, evidenzia il documento, è una questione molto delicata e riguarda soprattutto la persona del vescovo. Per questo, ogni caso va studiato a sé, specie quando manca un vero spazio di libertà. “Quale grande ricchezza spirituale - scrive il Papa - ne deriverebbe per tutta la Chiesa in Cina, se in presenza delle necessarie condizioni, anche questi pastori pervenissero alla comunione con il Successore di Pietro e con tutto l’episcopato cattolico”.

Al capitolo 10, si apre la seconda parte della Lettera, dedicata interamente agli Orientamenti di vita pastorale. Il Santo Padre mette l’accento sull’importanza della formazione dei cristiani, del clero come dei laici. E non manca di soffermarsi sul ruolo della famiglia in Cina, invitando i cattolici a “sentire in modo più vivo e stringente la sua missione” per il bene di tutta la società. Benedetto XVI chiede anche ai fedeli cinesi di vivere intensamente la propria vocazione missionaria. In varie parti della Lettera, il Papa si sofferma sulla testimonianza dei cristiani che hanno dato la vita per la fede e rappresentano l’esempio e il sostegno della nuova evangelizzazione. Nelle pagine conclusive, il Papa, considerando alcuni positivi sviluppi della situazione della Chiesa in Cina, comunica la revoca delle facoltà e direttive di ordine pastorale concesse in tempi particolarmente difficili per la Chiesa. La Lettera si conclude con l’annuncio da parte del Papa dell’istituzione di una Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, da osservarsi il 24 maggio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, venerata con tanta devozione nel santuario mariano di Sheshan a Shanghai. Nella medesima giornata, è l’auspicio del Papa, i cattolici del mondo intero chiedano al Signore per i fedeli della Cina “il dono della perseveranza nella testimonianza” certi che le sofferenze passate saranno premiate, “anche se talvolta tutto possa sembrare un triste fallimento”.

Con la sua lunga Lettera, Benedetto XVI esprime dunque il proprio auspicio per una Chiesa che sia pienamente cinese e pienamente cattolica. Per un commento a questo importante documento del Papa, ascoltiamo la nota del direttore della Sala Stampa vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi:

La lettera del Papa ai cattolici cinesi non delude la lunga attesa, anzi sorprende positivamente. Ha uno stile originale, che evoca le grandi epistole del Nuovo Testamento, scritte dagli Apostoli nella fede per confortare e orientare le comunità lontane di credenti nella prova, in uno spirito di comunione nella più ampia comunità della Chiesa universale.

Non erano mancati i messaggi dei Papi precedenti per la Chiesa e il popolo cinesi, né gli orientamenti fatti pervenire per diverse vie ai vescovi che li domandavano, ma qui ci troviamo davanti a un documento ampio, esplicito, pubblico, che dice a tutti con grande chiarezza e serenità che cosa è e che cosa vuol essere la comunità della Chiesa cattolica che vive nel più popoloso Paese del mondo, dove deve affrontare ancora una situazione difficile a seguito delle incomprensioni e limitazioni che ne impediscono la vita e la crescita in piena libertà. E’ la risposta a domande nate in situazione di sofferenza e disorientamento, rivolte con fiducia da molti anni a Roma, al Papa come all’unica persona da cui può venire una risposta con vera autorità.

La lettera di Benedetto XVI è dunque animata da due grandi amori: per la Cina e per la Chiesa cattolica nella sua vera natura, quale essa appare dalla tradizione e dalla dottrina più genuina.

Il discorso – secondo lo stile caratteristico del Papa – è insieme denso di affetto e di gratitudine per la fedele testimonianza di tanti cattolici cinesi, ed è allo stesso tempo denso di teologia della Chiesa, con ampie citazioni che vanno dal Nuovo Testamento al Concilio Vaticano II. E’ un discorso essenzialmente religioso e pastorale, diretto appunto ai membri della Chiesa cattolica in Cina, e non vuole addentrarsi in problemi politici o diplomatici.

Il Papa non cerca scontri con nessuno. Non pronuncia accuse nei confronti di nessuno, né dentro, né fuori la Chiesa; conserva sempre un tono sereno e pieno di rispetto, anche quando deve riferirsi alle limitazioni della libertà, agli atteggiamenti non accettabili, alle tensioni interne alla Chiesa. Una Chiesa che viene sempre considerata un’unica Chiesa, profondamente desiderosa di unione con il Papa e al suo interno, anche se apparentemente divisa. L’esortazione all’unione, alla riconciliazione, al perdono reciproco è uno dei messaggi più intensi, che pervadono tutto il documento.

La chiara esposizione della natura caratteristica della comunità ecclesiale e del ruolo dei vescovi conduce necessariamente a toccare i punti critici della nomina dei Vescovi e dell’azione di organismi statali che mirano ad attuare nella vita della Chiesa in Cina principi inconciliabili con la visione cattolica, come quelli della “indipendenza, autonomia e autogestione”. Se da parte delle autorità cinesi si teme tradizionalmente una interferenza esterna nella vita interna del Paese, da parte della Chiesa si sente invece il rischio di una interferenza indebita dello Stato nella sua vita interna. Perciò il Papa mette ogni impegno per spiegare la corretta distinzione fra il piano politico e quello religioso, fra le responsabilità delle autorità civili e quelle della Chiesa, e dichiara fiduciosamente la disponibilità della Chiesa al dialogo per superare le incomprensioni e i punti controversi, anche nel procedimento di nomina dei vescovi. Il cammino verso la normalizzazione dei rapporti fra Santa Sede e Cina non è quindi l’argomento della lettera, ma sullo sfondo viene chiaramente auspicato un suo sviluppo positivo tramite il dialogo su problemi concreti.

Del resto, la lettera manifesta più volte che la Chiesa in Cina non solo è cresciuta numericamente nei decenni trascorsi, ma anche che ora sente di poter camminare in modo più normale, con spazi di movimento più ampi che in passato. Significativa in questo senso – anche se forse non immediatamente evidente ai non specialisti di diritto canonico – è la revoca delle facoltà eccezionali concesse in passato per le situazioni particolarmente difficili della Chiesa in Cina. Quanto a dire: oggi la Chiesa in Cina può e deve seguire le norme comuni in tutta la Chiesa universale.

Dai passi iniziali, che si riferiscono con attenzione, simpatia e partecipazione al grande e difficile impegno di sviluppo della Cina di oggi, fino ai paragrafi conclusivi rivolti alle diverse componenti della comunità cattolica, tutta la lettera guarda in una prospettiva molto positiva e ricca di speranza verso la crescita di una Chiesa che sia pienamente cinese e pienamente cattolica. Una Chiesa inserita vitalmente e costruttivamente nella vicenda del suo popolo e della sua cultura, solidale e capace di portare ad esso la ricchezza spirituale del Vangelo e della testimonianza operosa della fede. La Chiesa vuole e può essere veramente cinese, vuole essere per la Cina, per offrirle il Vangelo di Gesù e senza cercare nulla per sé stessa. Sarà e potrà essere veramente cinese, quanto più e quanto meglio potrà essere pienamente se stessa. Questo è in ultima analisi, il grande, fiducioso e meraviglioso, messaggio del Papa.

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VATICANO – CINA

Il Vaticano alla conquista della Cina che cambia

Per decenni il dialogo diplomatico è stato inesistente; oggi vi sono segni di apertura. Mentre nella Repubblica popolare scoppia una rinascita religiosa, le Associazioni Patriottiche cercano di mantenere il loro potere ideologico ed economico sulle chiese. Un’analisi sulla storia dei rapporti diplomatici fra Santa Sede e Pechino.

Roma (AsiaNews) - I rapporti con la Cina sono nella mente di Benedetto XVI fin dai primi giorni del suo pontificato. A poche settimane dalla sua elezione, nel suo primo discorso al Corpo diplomatico (12 maggio 2005), egli si è rivolto “anche alle nazioni con cui la Santa Sede ancora non intrattiene rapporti diplomatici”. In quell’occasione egli ha pure tracciato il quadro di una possibile relazione diplomatica con la Repubblica popolare, chiedendo non privilegi per la Chiesa, ma solo “condizioni di libertà e di azione per la sua missione” per “offrire la sua collaborazione per la salvaguardia della dignità di ogni uomo ed il servizio del bene comune”. Anche all’annuncio mesi fa della Lettera ai cattolici cinesi, pubblicata oggi, il Vaticano ha sottolineato il desiderio di approfondire un “dialogo rispettoso e costruttivo con le Autorità governative, per superare le incomprensioni del passato”, auspicando “di pervenire a una normalizzazione dei rapporti ai vari livelli”.

La stessa posizione è stata propugnata da Giovanni Paolo II che, nei suoi 27 anni di pontificato ha dedicato oltre 30 discorsi alla “grande nazione cinese” e alla Chiesa in Cina, offrendo dedizione e servizio alla società e domandando in cambio solo la libertà religiosa (e quindi di nominare i vescovi). Proprio la morte del papa polacco – “colpevole” agli occhi di Pechino di aver fatto crollare il comunismo in Russia e nell’Europa dell’est – ha generato una nuova fase nei rapporti fra Cina e Santa Sede.

Attraverso incontri molto discreti fra il Vaticano e l’ambasciata cinese presso lo stato italiano, si era giunti a concordare che alcuni vescovi cinesi partecipassero al Sinodo sull’Eucarestia e che le suore di Madre Teresa aprissero una casa per anziani e poveri in Cina. Nulla di tutto ciò si è verificato: i 4 vescovi invitati, non hanno mai ricevuto il permesso di lasciare il Paese; le suore, benché invitate ufficialmente, non hanno mai ricevuto (almeno finora) il visto per stabilirsi in Cina, a Qingdao.
È comunque innegabile una maggiore volontà e apertura da parte di Pechino. Tanto che nel 2006, dopo la visita di una delegazione vaticana in Cina, il governo ha promesso che avrebbe bloccato le ordinazioni episcopali illecite volute dall’Associazione Patriottica e che avevano irritato la Santa Sede, definendole “atti estremamente gravi, che offendono i sentimenti religiosi di ogni cattolico in Cina e nel resto del mondo….conseguenza di una visione della Chiesa, che non corrisponde alla dottrina cattolica”.

I nuovi passi di distensione devono però fare i conti con l’Associazione patriottica, l’organismo del governo che da 50 anni controlla la Chiesa cattolica e vuole costituire una comunità cristiana indipendente dal Vaticano. In una Cina che negli ultimi 20 anni è divenuta una grande potenza economica capitalista, l’Ap – e il ministero per gli Affari religiosi – rimangono feudo di una fazione stalinista che frena ogni spiraglio di libertà per motivi ideologici ed economici, gestendo essi – e dilapidando per fini privati - i beni della Chiesa.

Certo il Vaticano non è più condannato come “il cane randagio del capitalismo occidentale”, come negli anni ’50; ormai nelle chiese ufficiali – riconosciute dal governo – si prega per il papa nelle messe, ma sulle nomine dei vescovi e la gestione dei beni della Chiesa, l’Ap non transige.
Per questo, mentre nel Partito, negli ultimi anni, si sono alzate voci a favore della libertà religiosa, l’Ap ha fatto di tutto per bloccare ogni segno di avvicinamento fra Cina e Vaticano. È avvenuto nel 2006, con le ordinazioni episcopali illecite; è avvenuto nel 2000 con la campagna contro la canonizzazione dei martiri cinesi, l’ordinazione (anche questa illecita) di 7 vescovi, l’arresto di vescovi e sacerdoti sotterranei.

Il punto è che l’attività dell’Ap trova sempre più resistenza nei vescovi e nei fedeli. Dopo la Rivoluzione culturale – in cui vescovi patriottici e sotterranei si sono incontrati negli stessi lager e oggetto della stessa persecuzione – e dopo il massacro di Tiananmen dell’89, che ha segnato la fine della stima verso il Partito comunista, sempre più vescovi nominati dal governo hanno domandato in segreto di poter essere riconciliati con il papa. Grazie all’opera magnanima di Giovanni Paolo II ormai si può dire che Chiesa ufficiale e Chiesa sotterranea sono profondamente unite.
Le ruberie e le violenze contro la Chiesa trovano sempre più suore, preti, vescovi che dimostrano, scrivono, denunciano membri dell’Ap e del Partito, la cui corruzione manda in frantumi l’idea della “società armoniosa” tanto cara ad Hu Jintao.

L’ultima spiaggia dell’Ap e del Partito (o una parte di esso) è quella di accusare il Vaticano di avere rapporti con Taiwan. Per decenni la Cina ha usato il disco rotto delle due “pre-condizioni” per ogni dialogo diplomatico con la Santa Sede: non interferire negli affari interni della Cina, usando il manto della religione; rompere i rapporti con Taiwan. Che la rottura con Taiwan fosse un pretesto senza spessore, è divenuto evidente nel ’99 quando il card. Sodano, allora segretario di stato, ha ricordato al mondo che l’ambasciata vaticana a Taipei era in realtà quella di Pechino e che il Vaticano sarebbe stato disposto a ritornare in Cina “non domani, ma stanotte”. Fu infatti Mao Zedong a rifiutare la presenza del nunzio Antonio Riberi nella Repubblica popolare appena fondata e ad espellerlo dalla Cina nel 1951. Solo nel 1952, e dopo molte tergiversazioni, aspettando sempre segnali da Pechino, l’arcivescovo Riberi, si trasferì a malincuore a Taiwan.

L’altra “pre-condizione” rimane invece il vero ostacolo. Nella “non interferenza” gli ideologi del Partito comprendono anche le nomine dei vescovi e l’attività dell’Ap.
Il futuro dei rapporti diplomatici dipende perciò dalla concezione che la Cina si è fatta della libertà religiosa. Ancora nell’82 un documento segreto del Pcc voleva distruggere le religioni e costruire una chiesa indipendente e autonoma da Roma. Nel ’99, mentre vi sono segnali di ripresa di dialoghi diplomatici, un altro documento segreto del Pcc afferma che bisognava sottomettere tutti i vescovi e i sacerdoti sotterranei all’obbedienza sotto l’Ap, su minaccia di prigione o di isolamento.

A favore di uno svolgimento positivo dei rapporti vi è il pragmatismo di Hu Jintao e del suo gruppo, che lavora per una modernizzazione della Cina e per un’immagine gloriosa della nazione, da presentare alle Olimpiadi del 2008. I rapporti col Vaticano sarebbero il coronamento della nuova immagine della Cina nel concerto mondiale. A favore di un’involuzione vi è l’anarchia e la corruzione dei membri del Partito che remano ognuno per suo conto nel selvaggio sviluppo economico cinese, cercando di conservare privilegi e controlli.

Ma intanto, la società cinese è ormai cambiata: centinaia di rivolte e manifestazioni contro la corruzione scuotono ogni giorno molte province cinesi e la religione, invece che essere seppellita come “oppio del popolo”, guadagna sempre più aderenti anche fra i delusi membri del Partito. E forse sarà proprio la religione a salvare la Cina dallo sfascio e dal crollo.

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Riflessione sulla lettera del Papa alla Chiesa cinese


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La lettera del Papa ai Cattolici cinesi (stampa)

Rassegna stampa del 30 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 giugno 2007 (1)

Il Papa: Gesu' non e' uno dei grandi fondatori di religioni, ma il Figlio di Dio

Qualche indiscrezione sulla lettera ai Cattolici cinesi

Cattolici in Cina: intervista al cardinale Zen Ze-kiun

Nota pastorale dell'Episcopato italiano "dopo Verona" (per la lettura occorre scaricare il documento allegato).


Cari amici, e' appena stata pubblicata la lettera del Santo Padre ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese.
Oggi la stampa italiana, le agenzie ed i telegiornali sono in sciopero.
Se mi permettete, evidenziero' in questo post i passaggi che mi sembrano piu' significativi. E' chiaro che si tratta di una mia scelta personale, per cui consiglio a tutti di leggere il testo autentico della lettera.
A mio avviso il Papa e' riuscito a manifestare interamente il suo amore per la Chiesa che e' in Cina. Ha fatto notevoli aperture anche in considerazione della particolare situazione contingente in cui alcuni Vescovi sono stati nominati. Non ha rinunciato, pero', ad enunciare la dottrina cattolica affermando, a chiare lettere, che una Chiesa particolare che pretenda di essere indipendente dalla Chiesa universale non puo' chiamarsi cattolica

C'e' piena disponibilita' del Papa ad allacciare relazioni diplomatiche con Pechino, disponibilita' al dialogo con la cosiddetta "Chiesa ufficiale cinese" ma senza alcun cedimento o arrendevolezza.
Raffaella


NOTA BENE: I PERIODI IN GRASSETTO SONO CITAZIONI TESTUALI DELLA LETTERA DEL PAPA

La lettera del Papa si apre con una citazione di San Paolo:

« noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute circa la vostra fede in Cristo Gesù, e la carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli. [...] Non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate una piena conoscenza della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la sua gloriosa potenza per poter essere forti e pazienti in tutto » (Col 1, 3-5.9-11).

Il Papa fa proprie le parole dell'Apostolo delle genti e manifesta tutto il suo affetto per i fedeli cinesi:

Queste parole dell'Apostolo Paolo sono quanto mai appropriate per dare voce ai sentimenti che, come Successore di Pietro e Pastore universale della Chiesa, nutro nei vostri confronti. Voi sapete bene quanto siete presenti nel mio cuore e nella mia preghiera quotidiana e quanto è profondo il rapporto di comunione che ci unisce spiritualmente.


Scopo della Lettera

Dopo avere evidenziato la sofferenza che molti Cinesi hanno patito in nome della fede in Cristo, il Papa chiarisce lo scopo della sua lettera:

Senza pretendere di trattare ogni particolare di complesse problematiche da voi ben conosciute, con questa Lettera vorrei offrire alcuni orientamenti in merito alla vita della Chiesa e all'opera di evangelizzazione in Cina, per aiutarvi a scoprire ciò che da voi vuole il Signore e Maestro, Gesù Cristo, « la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana ».

PRIMA PARTE

SITUAZIONE DELLA CHIESA

ASPETTI TEOLOGICI


Globalizzazione, modernità e ateismo

Il Papa sottolinea lo sviluppo socio-economico della Cina, che non ha precedenti nel mondo orientale, e a cui tutto il mondo guarda con interesse.

Alla Chiesa stanno particolarmente a cuore valori ed obiettivi che sono di primaria importanza anche per la Cina moderna: la solidarietà, la pace, la giustizia sociale, il governo intelligente del fenomeno della globalizzazione ».

Da una parte, si nota, specie tra i giovani, un crescente interesse per la dimensione spirituale e trascendente della persona umana, con il conseguente interesse per la religione, particolarmente per il cristianesimo. Dall'altra parte, si avverte, anche in Cina, la tendenza al materialismo e all'edonismo, che dalle grandi città si stanno diffondendo all'interno del Paese.

Anche in Cina la Chiesa è chiamata ad essere testimone di Cristo, a guardare in avanti con speranza e a misurarsi — nell'annuncio del Vangelo — con le nuove sfide che il Popolo cinese deve affrontare.

Ed ecco un passo bellissimo:

La Parola di Dio ci aiuta, ancora una volta, a scoprire il senso misterioso e profondo del cammino della Chiesa nel mondo. Infatti, « una delle principali visioni dell'Apocalisse ha per oggetto [l']Agnello nell'atto di aprire un libro, prima chiuso con sette sigilli che nessuno era in grado di sciogliere. Giovanni è addirittura presentato nell'atto di piangere, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo (cfr Ap 5, 4). La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni davanti al mistero della storia così oscuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può ben riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà, incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell'uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio ».


Disponibilità a un dialogo rispettoso e costruttivo

4. Come Pastore universale della Chiesa, desidero manifestare viva riconoscenza al Signore per la sofferta testimonianza di fedeltà, offerta dalla comunità cattolica cinese in circostanze veramente difficili. Nello stesso tempo sento, come mio intimo ed irrinunciabile dovere e come espressione del mio amore di padre, l'urgenza di confermare nella fede i cattolici cinesi e di favorire la loro unità con i mezzi che sono propri della Chiesa.

La disponibilita' della Santa Sede e l'attesa della reazione di Pechino in queste parole del Papa:

Sono consapevole che la normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Popolare Cinese richiede tempo e presuppone la buona volontà delle due Parti. Dal canto suo, la Santa Sede rimane sempre aperta alle trattative, necessarie per superare il difficile momento presente.

I rapporti fra la Chiesa e la politica cosi' come enunciati dal Concilio:

Per quanto concerne poi i rapporti tra la comunità politica e la Chiesa in Cina, giova ricordare l'illuminante insegnamento del Concilio Vaticano II che dichiara: « La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, non si identifica in nessun modo con la comunità politica e non è legata a nessun sistema politico, è ad un tempo segno e tutela della trascendenza della persona umana ». E così continua: « Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra. Però tutte e due, sebbene a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe coltivano una sana collaborazione tra di loro, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ».

E le conseguenze che ne trae il Santo Padre:

Pertanto, anche la Chiesa cattolica che è in Cina ha la missione non di cambiare la struttura o l'amministrazione dello Stato, bensì di annunziare agli uomini il Cristo, Salvatore del mondo, appoggiandosi — nel compimento del proprio apostolato — sulla potenza di Dio. Come ricordavo nella mia Enciclica Deus caritas est, « la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente »

La rivendicazione, da parte del Papa, dell'autonomia delle due sfere (politica e religiosa):

Alla luce di questi irrinunciabili principi, la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili; nello stesso tempo, però, non è accettabile un'arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa. Le Autorità civili sono ben consapevoli che la Chiesa, nel suo insegnamento, invita i fedeli ad essere buoni cittadini, collaboratori rispettosi e attivi del bene comune nel loro Paese, ma è altresì chiaro che essa chiede allo Stato di garantire ai medesimi cittadini cattolici il pieno esercizio della loro fede, nel rispetto di un'autentica libertà religiosa.


Comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale

L'intima Comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma e, quindi, con il Papa:

Nella Chiesa cattolica che è in Cina si fa presente la Chiesa universale, la Chiesa di Cristo, che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore.

Come voi sapete, la profonda unità, che lega fra di loro le Chiese particolari esistenti in Cina e che le pone in intima comunione anche con tutte le altre Chiese particolari sparse per il mondo, è radicata, oltre che nella stessa fede e nel comune Battesimo, soprattutto nell'Eucaristia e nell'Episcopato.15 E l'unità dell'Episcopato, di cui « il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento »,16 continua lungo i secoli mediante la successione apostolica ed è fondamento anche dell'identità della Chiesa di ogni tempo con la Chiesa edificata da Cristo su Pietro e sugli altri Apostoli.

Unita' dell'Episcopato:

La dottrina cattolica insegna che il Vescovo è principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare, affidata al suo ministero pastorale.18 Ma in ogni Chiesa particolare, affinché essa sia pienamente Chiesa, deve essere presente la suprema autorità della Chiesa, vale a dire il Collegio episcopale insieme con il suo Capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso. Pertanto il ministero del Successore di Pietro appartiene all'essenza di ogni Chiesa particolare dal « di dentro ».19 Inoltre, la comunione di tutte le Chiese particolari nell'unica Chiesa cattolica e, quindi, l'ordinata comunione gerarchica di tutti i Vescovi, successori degli Apostoli, con il Successore di Pietro, sono garanzia dell'unità della fede e della vita di tutti i cattolici. È perciò indispensabile, per l'unità della Chiesa nelle singole nazioni, che ogni Vescovo sia in comunione con gli altri Vescovi, e che tutti siano in comunione visibile e concreta con il Papa.


Tensioni e divisioni all'interno della Chiesa: perdono e riconciliazione

Il perdono e la riconciliazione sono essenziali per la costruzione dell'armonia:

La storia della Chiesa ci insegna, poi, che non si esprime un'autentica comunione senza un travagliato sforzo di riconciliazione.23 Infatti, la purificazione della memoria, il perdono di chi ha fatto del male, la dimenticanza dei torti subiti e la rappacificazione dei cuori nell'amore, da realizzare nel nome di Gesù crocifisso e risorto, possono esigere il superamento di posizioni o visioni personali, nate da esperienze dolorose o difficili, ma sono passi urgenti da compiere per accrescere e manifestare i legami di comunione tra i fedeli e i Pastori della Chiesa in Cina.


Comunità ecclesiali e organismi statali: rapporti da vivere nella verità e nella carità

La divisione nella Chiesa (Chiesa ufficiale e Chiesa clandestina): la parola del Papa e' chiara:

Un'attenta analisi della già menzionata dolorosa situazione di forti contrasti (cfr n. 6), che vede coinvolti fedeli laici e Pastori, mette in evidenza, tra le varie cause, il ruolo significativo svolto da organismi, che sono stati imposti come principali responsabili della vita della comunità cattolica. Ancora oggi, infatti, il riconoscimento da parte di detti organismi è il criterio per dichiarare una comunità, una persona o un luogo religioso, legali e quindi « ufficiali ». Tutto questo ha causato divisioni sia tra il clero sia tra i fedeli. È una situazione, che dipende soprattutto da fattori esterni alla Chiesa, ma che ne ha condizionato seriamente il cammino, dando adito anche a sospetti, accuse reciproche e denunce, e che continua ad essere una sua preoccupante debolezza.

Considerando « il disegno originario di Gesù »,32 risulta evidente che la pretesa di alcuni organismi, voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, di porsi al di sopra dei Vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale, non corrisponde alla dottrina cattolica, secondo la quale la Chiesa è « apostolica », come ha ribadito anche il Concilio Vaticano II. La Chiesa è apostolica « per la sua origine, essendo costruita sul “fondamento degli Apostoli” (Ef 2, 20); per il suo insegnamento, che è quello stesso degli Apostoli; per la sua struttura, in quanto istruita, santificata e governata, fino al ritorno di Cristo, dagli Apostoli, grazie ai loro successori, i Vescovi, in comunione con il successore di Pietro ».33 Pertanto, in ogni singola Chiesa particolare, solo « il Vescovo diocesano pasce nel nome del Signore il gregge a lui affidato come Pastore proprio, ordinario e immediato » 34 e, a livello nazionale, soltanto una legittima Conferenza Episcopale può formulare orientamenti pastorali, validi per l'intera comunità cattolica del Paese interessato.35

Anche la dichiarata finalità dei suddetti organismi di attuare « i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa »,36 è inconciliabile con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la Chiesa « una, santa, cattolica e apostolica ».

Alla luce dei principi suesposti, i Pastori e i fedeli laici ricorderanno che la predicazione del Vangelo, la catechesi e l'opera caritativa, l'azione liturgica e cultuale, nonché tutte le scelte pastorali, competono unicamente ai Vescovi insieme con i loro sacerdoti nella continuità permanente della fede, trasmessa dagli Apostoli nelle Sacre Scritture e nella Tradizione, e perciò non possono essere soggette a nessuna interferenza esterna.

Possibile soluzione:

Attesa tale difficile situazione, non pochi membri della comunità cattolica si domandano se il riconoscimento da parte delle Autorità civili — necessario per operare pubblicamente — comprometta in qualche modo la comunione con la Chiesa universale. So bene che questa problematica inquieta dolorosamente il cuore dei Pastori e dei fedeli.

L'APERTURA DEL PAPA:

Al riguardo ritengo, in primo luogo, che la doverosa e strenua salvaguardia del deposito della fede e della comunione sacramentale e gerarchica non si opponga, di per sé, al dialogo con le Autorità circa quegli aspetti della vita della comunità ecclesiale che ricadono nell'ambito civile. Non si vedono poi particolari difficoltà per l'accettazione del riconoscimento concesso dalle Autorità civili, a condizione che esso non comporti la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica.

In non pochi casi concreti, però, se non quasi sempre, nella procedura di riconoscimento intervengono organismi che obbligano le persone coinvolte ad assumere atteggiamenti, a porre gesti e a prendere impegni che sono contrari ai dettami della loro coscienza di cattolici.

La scelta spetta al singolo Vescovo:

Comprendo, perciò, come in tali varie condizioni e circostanze sia difficile determinare la scelta corretta da fare. Per questo motivo la Santa Sede, dopo avere riaffermato i principi, lascia la decisione al singolo Vescovo che, sentito il suo presbiterio, è meglio in grado di conoscere la situazione locale, di soppesare le concrete possibilità di scelta e di valutare le eventuali conseguenze all'interno della comunità diocesana. Potrebbe darsi che la decisione finale non incontri il consenso di tutti i sacerdoti e i fedeli. Mi auguro, tuttavia, che essa venga accolta, anche se con sofferenza, e che si mantenga l'unità della comunità diocesana col proprio Pastore.


L'Episcopato cinese

Incompatibilita' con la dottrina cattolica di una "chiesa indipendente"

Negli anni recenti, per varie cause, voi, Fratelli nell'episcopato, avete incontrato difficoltà, poiché persone non « ordinate », e a volte anche non battezzate, controllano e prendono decisioni circa importanti questioni ecclesiali, inclusa la nomina dei Vescovi, in nome di vari organismi statali. Di conseguenza, si è assistito a uno svilimento dei ministeri petrino ed episcopale in forza di una visione della Chiesa, secondo la quale il Sommo Pontefice, i Vescovi e i sacerdoti, rischiano di diventare di fatto persone senza ufficio e senza potere. Invece, come si diceva, i ministeri petrino ed episcopale sono elementi essenziali e integrali della dottrina cattolica sulla struttura sacramentale della Chiesa.

La comunione e l'unità — mi sia consentito di ripeterlo (cfr n. 5) — sono elementi essenziali e integrali della Chiesa cattolica: pertanto il progetto di una Chiesa « indipendente », in ambito religioso, dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica.

Concetto che potrebbe valere anche per chi, in Italia e altrove, sogna una Chiesa indipendente dal Magistero del Papa :-)
Raffaella

Riconoscimento dell'eroismo di alcuni Vescovi cinesi:

Molti membri dell'Episcopato cinese, che in questi ultimi decenni hanno guidato la Chiesa, hanno offerto, e offrono, alle proprie comunità e alla Chiesa universale una luminosa testimonianza. Ancora una volta, sgorga dal cuore un inno di lode e di ringraziamento al « Pastore supremo » del gregge (1 Pt 5, 4): non si può infatti dimenticare che molti di loro hanno subito la persecuzione e sono stati impediti nell'esercizio del loro ministero, e alcuni di loro hanno reso feconda la Chiesa con l'effusione del proprio sangue. I nuovi tempi e la conseguente sfida della nuova evangelizzazione pongono in risalto la funzione del ministero episcopale.

Riguardo poi al servizio episcopale, colgo l'occasione per ricordare quanto dicevo recentemente: « I Vescovi hanno la prima responsabilità di edificare la Chiesa come famiglia di Dio e come luogo di aiuto vicendevole e di disponibilità. Per poter compiere questa missione, avete ricevuto, con la consacrazione episcopale, tre peculiari uffici: il munus docendi, il munus sanctificandi e il munus regendi, che nel loro insieme costituiscono il munus pascendi. In particolare, la finalità del munus regendi è la crescita nella comunione ecclesiale, cioè la costruzione di una comunità concorde nell'ascolto dell'insegnamento degli apostoli, nella frazione del pane, nelle preghiere e nell'unione fraterna. Strettamente congiunto con gli uffici di insegnare e di santificare, quello di governare — il munus regendi appunto — costituisce per il Vescovo un autentico atto di amore verso Dio e verso il prossimo che si esprime nella carità pastorale ».39

Attualmente, tutti i Vescovi della Chiesa cattolica in Cina sono figli del Popolo cinese. Nonostante molte e gravi difficoltà, la Chiesa cattolica in Cina, per una particolare grazia dello Spirito Santo, non è stata mai privata del ministero di legittimi Pastori che hanno conservato intatta la successione apostolica. Dobbiamo ringraziare il Signore per questa presenza costante e sofferta di Vescovi, che hanno ricevuto l'ordinazione episcopale in conformità con la tradizione cattolica, vale a dire in comunione con il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, e per mano di Vescovi, validamente e legittimamente ordinati, nell'osservanza del rito della Chiesa cattolica.

Il Papa auspica che i Vescovi da lui nominati siano riconosciuti da Pechino:

Alcuni di essi, non volendo sottostare a un indebito controllo, esercitato sulla vita della Chiesa, e desiderosi di mantenere una piena fedeltà al Successore di Pietro e alla dottrina cattolica, si sono visti costretti a farsi consacrare clandestinamente. La clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa, e la storia mostra che Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede e di non accettare ingerenze di organismi statali in ciò che tocca l'intimo della vita della Chiesa. Per tale motivo la Santa Sede auspica che questi legittimi Pastori possano essere riconosciuti come tali dalle Autorità governative anche per gli effetti civili — in quanto necessari — e che i fedeli tutti possano esprimere liberamente la propria fede nel contesto sociale in cui si trovano a vivere.

Riconoscimento da parte del Papa di Vescovi nominati dallo Stato:

Altri Pastori, invece, sotto la spinta di circostanze particolari hanno acconsentito a ricevere l'ordinazione episcopale senza il mandato pontificio ma, in seguito, hanno chiesto di poter essere accolti nella comunione con il Successore di Pietro e con gli altri Fratelli nell'episcopato. Il Papa, considerando la sincerità dei loro sentimenti e la complessità della situazione, e tenendo presente il parere dei Vescovi viciniori, in virtù della propria responsabilità di Pastore universale della Chiesa ha concesso ad essi il pieno e legittimo esercizio della giurisdizione episcopale.

Vescovi illegittimi ma validamente ordinati:

Non mancano infine alcuni Vescovi — in un numero molto ridotto — che sono stati ordinati senza il mandato pontificio e non hanno chiesto, o non hanno ancora ottenuto, la necessaria legittimazione. Secondo la dottrina della Chiesa cattolica essi sono da ritenere illegittimi, ma validamente ordinati, qualora ci sia la certezza che hanno ricevuto l'ordinazione da Vescovi validamente ordinati e che è stato rispettato il rito cattolico dell'ordinazione episcopale. Essi pertanto, pur non essendo in comunione con il Papa, esercitano validamente il loro ministero nell'amministrazione dei sacramenti, anche se in modo illegittimo. Quale grande ricchezza spirituale ne deriverebbe per la Chiesa in Cina se, in presenza delle necessarie condizioni, anche questi Pastori pervenissero alla comunione con il Successore di Pietro e con tutto l'Episcopato cattolico! Non solo sarebbe legittimato il loro ministero episcopale, ma anche risulterebbe più ricca la loro comunione con i sacerdoti e con i fedeli che considerano la Chiesa in Cina parte della Chiesa cattolica, unita con il Vescovo di Roma e con tutte le altre Chiese particolari sparse per il mondo.


Nomina dei Vescovi

Com'è noto a tutti voi, uno dei problemi più delicati nei rapporti della Santa Sede con le Autorità del vostro Paese è la questione delle nomine episcopali. Da un lato, si può comprendere che le Autorità governative siano attente alla scelta di coloro che svolgeranno l'importante ruolo di guide e di pastori delle comunità cattoliche locali, attesi i risvolti sociali che — in Cina come nel resto del mondo — tale funzione ha anche nel campo civile. Dall'altro lato, la Santa Sede segue con speciale cura la nomina dei Vescovi poiché questa tocca il cuore stesso della vita della Chiesa in quanto la nomina dei Vescovi da parte del Papa è garanzia dell'unità della Chiesa e della comunione gerarchica. Per questo motivo il Codice di Diritto Canonico (cfr can. 1382) stabilisce gravi sanzioni sia per il Vescovo che conferisce liberamente l'ordinazione episcopale senza mandato apostolico sia per colui che la riceve: tale ordinazione rappresenta infatti una dolorosa ferita alla comunione ecclesiale e una grave violazione della disciplina canonica.

Il Papa, quando concede il mandato apostolico per l'ordinazione di un Vescovo, esercita la sua suprema autorità spirituale: autorità ed intervento, che rimangono nell'ambito strettamente religioso. Non si tratta quindi di un'autorità politica, che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato e ne lede la sovranità.

Auspicio di un accordo con il governo nella nomina dei Vescovi:

La nomina di Pastori per una determinata comunità religiosa è intesa, anche in documenti internazionali, come un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa.43 La Santa Sede amerebbe essere completamente libera nella nomina dei Vescovi; 44 pertanto, considerando il recente cammino peculiare della Chiesa in Cina, auspico che si trovi un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti sia la scelta dei candidati all'episcopato sia la pubblicazione della nomina dei Vescovi sia il riconoscimento — agli effetti civili in quanto necessari — del nuovo Vescovo da parte delle Autorità civili.

Infine, quanto alla scelta dei candidati all'episcopato, pur conoscendo le vostre difficoltà al riguardo, desidero ricordare la necessità che essi siano sacerdoti degni, rispettati ed amati dai fedeli, e modelli di vita nella fede, e che posseggano una certa esperienza nel ministero pastorale e siano perciò più adeguati a far fronte alla pesante responsabilità di Pastore della Chiesa.45 Qualora in una diocesi fosse impossibile trovare candidati adatti per la provvista della sede episcopale, la collaborazione con i Vescovi delle diocesi limitrofe può aiutare a individuare candidati idonei.


SECONDA PARTE

ORIENTAMENTI DI VITA PASTORALE

Sacramenti, governo delle diocesi, parrocchie


Comunione dei sacerdoti con il Vescovo diocesano:

Inoltre, di fronte a certe problematiche emerse in varie comunità diocesane durante gli ultimi anni, mi sembra doveroso ricordare la norma canonica secondo cui ogni chierico deve essere incardinato in una Chiesa particolare o in un Istituto di vita consacrata e deve esercitare il proprio ministero in comunione con il Vescovo Diocesano. Solo per giusti motivi un chierico può esercitare il ministero in un'altra diocesi, ma sempre con il previo accordo dei due Vescovi Diocesani, cioè di quello della Chiesa particolare in cui è incardinato e di quello della Chiesa particolare al cui servizio è destinato.47


Reputo infine opportuno attirare la vostra attenzione su quanto la legislazione canonica prevede per aiutare i Vescovi Diocesani ad assolvere il proprio compito pastorale. Ogni Vescovo Diocesano è invitato a servirsi di indispensabili strumenti di comunione e di collaborazione all'interno della comunità cattolica diocesana: la curia diocesana, il consiglio presbiterale, il collegio dei consultori, il consiglio pastorale diocesano e il consiglio diocesano per gli affari economici. Questi organismi esprimono la comunione, favoriscono la condivisione delle responsabilità comuni e sono di grande aiuto ai Pastori, che possono così avvalersi della fraterna collaborazione di sacerdoti, di persone consacrate e di fedeli laici.

...omissis (vedi lettera del Papa)

I fedeli laici e la famiglia

Poiché l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia, ritengo indispensabile ed urgente che i laici ne promuovano i valori e ne tutelino le esigenze. Essi, che nella fede conoscono pienamente il meraviglioso disegno di Dio sulla famiglia, hanno una ragione in più per assumere questa consegna concreta ed impegnativa: la famiglia infatti « è il luogo normale dove le giovani generazioni giungono alla maturità personale e sociale. La famiglia reca con sé l'eredità dell'umanità stessa, poiché la vita passa attraverso di essa di generazione in generazione. La famiglia occupa un posto molto importante nelle culture dell'Asia e, come hanno sottolineato i Padri sinodali, i valori familiari quali il rispetto filiale, l'amore e la cura per gli anziani e i malati, l'amore per i piccoli e l'armonia sono tenuti in grande stima in tutte le culture e le tradizioni religiose di quel Continente ».52


CONCLUSIONE

Revoca delle facoltà e delle direttive pastorali


Il Papa revova ogni altra disposizione precedente, superata dalla lettera di oggi:

Revoca delle facoltà e delle direttive pastorali

18. Considerando in primo luogo alcuni positivi sviluppi della situazione della Chiesa in Cina, in secondo luogo le maggiori opportunità e facilitazioni nelle comunicazioni e, da ultimo, le richieste che diversi Vescovi e sacerdoti hanno qui indirizzato, con la presente Lettera revoco tutte le facoltà che erano state concesse per far fronte a particolari esigenze pastorali, sorte in tempi veramente difficili.
Lo stesso dicasi per tutte le direttive di ordine pastorale, passate e recenti. I principi dottrinali, che le ispiravano, trovano ora nuova applicazione nelle direttive, contenute nella presente Lettera
.


Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina

19. Carissimi Pastori e fedeli tutti, il giorno 24 maggio, che è dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani — la quale è venerata con tanta devozione nel santuario mariano di Sheshan a Shanghai —, in futuro potrebbe divenire occasione per i cattolici di tutto il mondo di unirsi in preghiera con la Chiesa che è in Cina.


Saluto finale

20. Al termine di questa Lettera auguro a voi, cari Pastori della Chiesa cattolica che è in Cina, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, di essere « ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo » (1 Pt 1, 6- 7).
Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina della Cina, che nell'ora della Croce ha saputo, nel silenzio della speranza, attendere il mattino della Risurrezione, vi accompagni con materna premura e interceda per tutti voi insieme a san Giuseppe e ai numerosi santi Martiri cinesi.
Vi assicuro delle mie costanti preghiere e, con un pensiero affettuoso agli anziani, agli ammalati, ai bambini e ai giovani della vostra nobile Nazione, vi benedico di cuore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 27 maggio, Solennità di Pentecoste, dell'anno 2007, terzo di Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI

LETTERA DEL PAPA ALLA CHIESA CATTOLICA CINESE

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Messa tridentina: due importanti articoli di Introvigne e Rodari


Vedi anche:

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO

Un esemplare articolo di Filippo Di Giacomo per "La Stampa" [Messa tridentina]

La lettera del Papa ai Cattolici cinesi (stampa)

Rassegna stampa del 30 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 giugno 2007 (1)

Il Papa: Gesu' non e' uno dei grandi fondatori di religioni, ma il Figlio di Dio

Qualche indiscrezione sulla lettera ai Cattolici cinesi

Cattolici in Cina: intervista al cardinale Zen Ze-kiun

Nota pastorale dell'Episcopato italiano "dopo Verona" (per la lettura occorre scaricare il documento allegato).

L’antica messa in latino non è una controriforma

di Massimo Introvigne

Benedetto XVI ha presentato il Motu proprio con cui liberalizza la celebrazione della Messa con il rito detto di san Pio V, in lingua latina e secondo la versione del 1962 dell’antico Messale.
Il documento era atteso da mesi e non è un mistero per nessuno che fosse avversato da alcune conferenze episcopali - anzitutto quella francese - che vi vedevano il rischio di «dare ragione» ai seguaci dello scisma di monsignor Marcel Lefebvre.

In realtà, contrariamente a quanto si legge in questi giorni, non è affatto probabile che in seguito al Motu proprio i seguaci del defunto monsignor Lefebvre tornino all’ovile. I problemi che li dividono da Roma non riguardano solo la liturgia. Essi rifiutano anche l’ecumenismo e gli insegnamenti del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa, temi che a Benedetto XVI sono carissimi e su cui il Papa non intende transigere.

Ma, se non si tratta di una strategia per recuperare l’insidioso scisma lefebvriano, perché Benedetto XVI liberalizza la Messa di san Pio V?
Il problema riguarda un tema cruciale del pontificato di Joseph Ratzinger: l’interpretazione del Concilio Vaticano II.

Come illustrato già nei suoi primi auguri di Natale alla Curia romana, del 22 dicembre 2005, il Papa ritiene che uno dei maggiori problemi della Chiesa sia l’esatta comprensione del ruolo del Concilio.
Benedetto XVI distingue fra i documenti del Vaticano II - che ritiene fondamentali per definire il ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo, specie in tema di rapporti con le altre religioni e con gli Stati - e la loro interpretazione «postconciliare». Con chi, come i «lefebvriani», rifiuta i documenti del Concilio i margini di dialogo rimangono molto stretti.
Ma del tutto diverso è il discorso che riguarda il cosiddetto «postconcilio». Qui, secondo il Papa, si sono scontrate due linee di interpretazione del Vaticano II: «due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra ha portato frutti».

Quella che ha creato confusione, secondo Benedetto XVI, è l’«ermeneutica della discontinuità e della rottura» secondo cui il Concilio è stato una rivoluzione nella storia della Chiesa che ha fatto diventare fuori moda, reazionario e inutile tutto quanto esisteva prima. Al contrario, per portare frutti il Vaticano II deve essere interpretato non come una rottura, ma in continuità con tutto il magistero precedente. La descrizione dei tempi del postconcilio da parte di Benedetto XVI è a tinte fosche. Il Papa paragona il caos di quegli anni a una battaglia navale di notte su un mare in tempesta.
Ora, la bandiera di chi interpreta il Concilio secondo il paradigma della «rottura» è la riforma della liturgia (fatta non dal Concilio, ma dopo il Vaticano II) e soprattutto le restrizioni che vietano o rendono molto difficile celebrare la Messa di san Pio V. Infatti, se il Concilio rompe con tutta la tradizione precedente, chi resta attaccato al simbolo di quella tradizione - la Messa antica in latino - è fuori della Chiesa e deve essere isolato e perseguito.
Ma se invece il Vaticano II va interpretato in continuità con il passato, allora anche la Messa antica può coesistere con la nuova. Il Motu proprio di Benedetto XVI toglie allora ai sostenitori dell’«ermeneutica della discontinuità» la loro bandiera, e avvia una stagione dove - senza indulgenze per chi rifiuta i documenti del Vaticano II - la loro interpretazione in continuità con la tradizione diventa normativa.

© Copyright Il Giornale, 30 giugno 2007


«Deo gratias», torna la messa in latino. Le anticipazioni del testo del Motu Proprio e prefazione

di Paolo Rodari

«In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti».
«Amen».
«Dominus vobiscum».
«Et cum spiritu tuo».
Torna il rito della messa in latino e lo si può celebrare seguendo due forme diverse: quella del Messale di Paolo VI che già oggi senza problemi viene celebrato in qualsiasi parrocchia e quello in cui il sacerdote celebra “spalle al popolo” seguendo invece l’antico rito sancito nel Messale di San Pio V riapprovato da papa Giovanni XIII nel 1962 ma che necessitava del permesso del vescovo della diocesi per essere utilizzato.
Torna e Benedetto XVI in una prefazione a un Motu Proprio a esso dedicato e prossimo all’uscita (probabilmente sabato 7 luglio, ma senza conferenza stampa) ne spiega ai vescovi i motivi: la riforma liturgica promossa nel Concilio Vaticano II non è - questo si evincerebbe tra le righe - in rottura con la tradizione passata ma piuttosto essa rappresenta una novità nella continuità.
Del resto, è uno dei leit motiv di tutto il pontificato del successore di Wojtyla: la corretta interpretazione dei dettami del Vaticano II.
È una decisione, quella del papa, che va incontro non tanto (anche, ma non solo) al ristretto gruppo ultratradizionalista degli scismatici lefebvriani che mai hanno rinunciato a celebrare con l’antico rito, ma soprattutto a tutti quei fedeli (ne basteranno pochi riuniti in un «gruppo stabile» per avanzare esplicita richiesta al parroco perché celebri loro la messa con l’antico rito) che vedono nella cura e nel rispetto della tradizione un aiuto per la propria fede.
Torna, dunque, la messa in latino anche secondo la forma più antica, torna tramite un Motu Proprio papale (un documento promosso da chi ne ha le facoltà) presentato ieri dallo stesso Ratzinger a un ristretto gruppo di rappresentanti di alcune conferenze episcopali mondiali.
Il tutto è avvenuto dopo una gestazione parecchio travagliata. Infatti, tra la prima riunione in cui il papa presentò il testo in Vaticano (era il dicembre dello scorso anno) e oggi, alcuni porporati hanno in qualche modo cercato di bloccarne del tutto l’uscita e poi, non riuscitici, a far passare qualche lieve modifica (comunque non sostanziale) al testo.
Tra questi, alcuni cardinali francesi che vedono nel ritorno dell’antico rito la possibilità di un ulteriore proliferare delle comunità tradizionaliste già molti forti Oltralpe e, sempre tra questi, oltre alle titubanze di Cormac Murphy-O’Connor, arcivescovo di Westminster, quelle di un porporato tedesco timoroso perché a suo dire alcune comunità ebraiche avrebbero avanzato delle rimostranze (poi non confermate dai diretti interessati) in quanto nel rito antico, ma in realtà non in quello rivisto nel 1962, il giorno del venerdì santo si prega anche "pro perfidis iudeis".
Il tutto mentre nei pressi dall’Ateneo di sant’Anselmo sull’Aventino a Roma (facoltà liturgica) c’era chi si riuniva per trovare le forme migliori (ad esempio tramite lettere di protesta) per dissuadere il pontefice dal suo intento.
Ma Benedetto XVI non si è fatto intimorire. Come è nel suo metodo di lavoro, ha trasmesso tempo addietro ai vescovi le sue intenzioni, ha ascoltato tutte le voci, ha fatto passare del tempo (parecchio tempo) e poi ha deciso.

Ratzinger, già quando era cardinale, si era più volte espresso in favore della completa liberalizzazione dell’antico rito.
Anche nei suoi ormai leggendari volumi “Introduzione allo spirito della liturgia” e “Il Dio vicino” aveva manifestato il valore unico di una celebrazione rimasta nel cuore, ancora oggi, di tanti fedeli.
E l’altro ieri pomeriggio - è quanto ha comunicato la sala stampa della Santa Sede ieri - egli ha partecipato in Vaticano a una riunione, presieduta dal cardinale Segretario di Stato (erano presenti anche Ruini, Bagnasco, Castrillon Hoyos, Lehman, Murphy O’ Connor, O’Malley, Ricard, Barbarin e Koch), in cui è stato illustrato il contenuto e lo spirito dell’annunciato Motu Proprio e pure il contenuto della prefazione scritta di suo pugno.
Cosa dice esattamente il Motu Proprio? Cosa l’introduzione papale? Quanto al Motu Proprio (pare non sia un testo particolarmente breve), oltre alla conferma che il rito della messa in latino (il rito romano) è uno e che due sono le forme con le quali può essere celebrato (Messale di Paolo V e Messale di san Pio V rivisto da Giovanni XIII), viene spiegato come, per quanto riguarda il Messale del 1962 (messa in latino “spalle al popolo”) non serva più l’esplicito permesso dei vescovi per essere utilizzato.
Il papa, col Motu Proprio, autorizza qualsiasi gruppo di fedeli, purché riunito in un «gruppo stabile» e dunque conosciuto in parrocchia, a chiedere al proprio parroco il permesso per la celebrazione.
E questi deve concederla senza necessariamente informare il vescovo, il quale tuttavia in caso di controversie ha l’autorità per intervenire.
Inoltre - ed è questa una nota fondamentale e che, se confermata, farà contenti tutti i tradizionalisti d’oggi - chi celebra col Messale del 1962 pare possa continuare a seguire anche il lezionario antico che, a differenza di quello che si segue oggi, contiene meno letture le quali si ripetono (sempre le stesse) nell’arco di un solo anno liturgico e non, come avviene ora, nel corso di tre anni.
Quindi, chi parteciperà alla messa della domenica celebrata col Messale di San Pio V rivisto nel 1962 potrà capitare che ascolti delle letture diverse da chi partecipa a una messa col rito post conciliare.****
La liberalizzazione concessa dal papa avviene nella consapevolezza che l’antico Messale in realtà non venne mai abolito.
Infatti, dopo la riapprovazione nel 1962 operata dal “papa buono”, fu Giovanni Paolo II, nel 1984 con la “Lettera circolare Quattuor abhinc annos”, nel 1988 con il “Motu Proprio Ecclesia Dei” e dieci anni più tardi, nel 1998, con l’“Allocuzione per il decimo anniversario dell’Ecclesia Dei”, che ne confermò l’utilizzo previo consenso del vescovo della diocesi di appartenenza.
Ma col nuovo Motu Proprio a firma Benedetto XVI le cose divengono ulteriormente più agevoli perché il permesso dei vescovi non è più necessario. Insomma, tra qualche giorno, quando il testo del Motu Proprio uscirà ufficialmente, i fedeli che lo desiderano, se riconosciuti in un «gruppo stabile», potranno uscire di chiesa rispondendo «Deo, gratias» all’«Ite missa est» finale.

© Copyright Il Riformista, 29 giugno 2007

**** Veramente ben scritti questi due articoli. Faccio notare che anche nel rito ambrosiano si riscontra una diversita' di letture (a Pasqua anche del Vangelo) rispetto al rito romano.
Raffaella

La lettera del Papa ai Cattolici cinesi (stampa)


Vedi anche:

Rassegna stampa del 30 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 giugno 2007 (1)

Il Papa: Gesu' non e' uno dei grandi fondatori di religioni, ma il Figlio di Dio

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO

Un esemplare articolo di Filippo Di Giacomo per "La Stampa" [Messa tridentina]

Qualche indiscrezione sulla lettera ai Cattolici cinesi

Cattolici in Cina: intervista al cardinale Zen Ze-kiun

Nota pastorale dell'Episcopato italiano "dopo Verona" (per la lettura occorre scaricare il documento allegato).



VATICANO

LA SVOLTA DI RATZINGER

Passo definitivo La Santa Sede vuole arrivare alla normalizzazione dei rapporti interrotti nel 1951

Il Papa: in Cina una sola Chiesa

FLAVIA AMABILE

ROMA
Si saprà oggi quel che il Papa ha scritto nella lettera ai fedeli cinesi ma qualcosa è trapelato già ieri sul suo contenuto. Benedetto XVI afferma innanzitutto che nella Cina popolare non ci sono due chiese contrapposte tra loro: una fedele a Roma e l’altra legata al governo. Esiste invece una sola Chiesa e che la maggior parte dei vescovi consacrati senza l’autorizzazione papale - all’incirca l’80 per cento - sono già stati riconosciuti dalla Santa Sede e che tutti comunque si sentono legati al Papa. Dovrebbe essere questo il passo definitivo in vista di una lenta normalizzazione delle relazioni con la Cina con cui il Vaticano non ha rapporti diplomatici dal 1951, due anni dopo l’arrivo di Mao al potere.
Il testo è di 30 pagine (ma la lunghezza varia a seconda delle traduzioni) e verrà reso noto solo oggi per dare la possibilità a Pechino di prenderne visione. A quanto sembra il governo cinese ha deciso di leggere la lettera e di non commentarla, il che equivale a una sorta di tacito assenso visto che finora la reazione ufficiale era sempre stata netta e ferma: non vogliamo interferenze. La scelta di papa Ratzinger è di usare toni «prudenti» verso le autorità centrali, senza proclami contro l’Associazione patriottica e la Chiesa filogovernativa volti a rimarcare l’autorità vaticana sui vescovi e sulle nomine. Il contenuto è invece più di tipo pastorale, con passaggi dottrinali, e rappresenta un segno di attenzione e incoraggiamento da Roma verso i 10-12 milioni di cattolici cinesi, che nel loro Paese vivono una situazione non semplice.
Papa Ratzinger intende infatti incoraggiare i fedeli cinesi a vivere in pienezza la loro fede essendo buoni cittadini. Al governo di Pechino, al quale il Pontefice si rivolge con grande rispetto, la lettera ricorda che proprio la piena libertà religiosa è la misura di uno stato moderno e democratico. La Chiesa cattolica, da parte sua, non vuole interferire nella politica ma solo contribuire al progresso del Paese. È proprio questo uno dei timori più forti del governo di Pechino, e cioè che la battaglia condotta coraggiosamente da alcune personalità della Chiesa cattolica in favore dei rispetto dei diritti umani diventi uno strumento per organizzare una sorta di strisciante opposizione al regime in nome della fede. E su questo punto il pontefice ha voluto rassicurare il governo.
La decisione di inviare una lettera ai cattolici cinesi era stata annunciata lo scorso 20 gennaio al termine di una riunione di due giorni in Vaticano per analizzare i problemi della Chiesa in Cina. La riunione, presieduta dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, era stata convocata da Benedetto XVI «nel desiderio di approfondire la conoscenza della situazione della Chiesa cattolica nella Cina Continentale». Presenti all’incontro alcuni esponenti dell’Episcopato cinese (Hong Kong, Macao e Taiwan) e coloro che, per la Santa Sede, seguono più da vicino la questione. E’ possibile che dopo l’invio della lettera, il pontefice decida di mandare anche un cardinale a Pechino.

© Copyright La Stampa, 30 giugno 2007


Lo si apprende da fonti del clero tedesco

Chiesa, Ratzinger invierà un cardinale in Cina per avviare il dialogo

A quanto apprende l'ADNKRONOS, il porporato partirà nelle prossime settimane per incontrare esponenti del governo e delle diocesi. Benedetto XVI in visita a Napoli il 21 ottobre

Città del Vaticano, 29 giu. (Adnkronos) - Nelle prossime settimane Benedetto XVI invierà in Cina un cardinale che avrà il delicato compito di avviare il dialogo con le autorità cinesi. E' quanto apprende l'Adnkronos da fonti del clero tedesco.
Si tratterebbe di una sorta di inviato speciale che sonderà il terreno e avrà colloqui con personalità e autorità del governo e della Chiesa cinesi. L'iniziativa cade in concomitanza con l'uscita, annunciata per domani dalla Sala stampa vaticana, della lettera che il Pontefice ha scritto ai vescovi, ai sacerdoti e ai credenti della Cina popolare. Obiettivo della Santa Sede è quello di cercare un canale di dialogo stabile e riservato con le autorità di Pechino per cominciare ad affrontare le numerose questioni aperte fra Santa Sede e Cina.
Il prossimo 21 ottobre, intanto, Benedetto XVI si recherà in visita pastorale a Napoli. Ad annunciarlo è stato lo stesso Pontefice al termine della recita dell'Angelus. ''Sono lieto di annunciare che accogliendo l'invito dell'arcivescovo di Napoli, cardinal Crescenzio Sepe, domenica 21 ottobre prossimo, mi recherò in visita pastorale a Napoli - ha detto il Papa - Saluto con affetto la cara comunità napoletana, che invito a preparare l'incontro nella preghiera e nella carità operosa".
Durante le celebrazioni per San Pietro e San Paolo, Benedetto XVI ha espresso l'auspicio che si "compia ogni sforzo affinché cattolici e ortodossi possano celebrare insieme l'eucaristia". E per questo, prosegue il Pontefice, "è necessario fra l'altro sciogliere il nodo dell'autorità della Chiesa, cioé del rapporto fra il vescovo di Roma e gli altri vescovi". "L'impossibilità attuale di poter concelebrare l'unica Eucaristia del Signore - ha detto il Papa - è un segno che non vi è ancora piena comunione: è una situazione che vogliamo, con decisione e lealtà, cercare di superare".
''Siamo lieti, pertanto - ha aggiunto Ratzinger - che il dialogo teologico abbia ripreso il suo corso con rinnovato spirito e vigore. Nel prossimo autunno la Commissione mista internazionale competente si incontrerà per continuare lo studio su una questione centrale e determinante come è quella delle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della struttura sacramentale della Chiesa, in particolare della collegialità e dell'autorità nella Chiesa".


OGGI LA LETTERA DEL PAPA AI CINESI: 28 PAGINE E 7 LINGUE
Segno di apertura al dialogo verso Chiesa in Cina


Città del Vaticano, 30 giu. (Apcom) - Si intitola "Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese" la missiva che Papa Ratzinger ha preparato per i cattolici in Cina e che sarà resa nota oggi in mattinata.
Composta da 28 pagine "non è una vera e propria Lettera apostolica" e nemmeno una Enciclica, ma "una piccola Enciclica", come la definisce chi ha avuto modo di lavorare alla stesura del documento pontificio.
"Cari confratelli nell'episcopato": questo l'incipit della lettera, firmata Benedetto XVI con la data di Pentecoste, riferisce ad Apcom un'autorevole fonte. Il documento sarà disponibile in 7 lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, polacco e cinese. "E' stata scritta in italiano - proseguono le fonti - e non in una versione in latino. Per questo che non porta un titolo specifico e non è stata dichiarata Lettera apostolica".


VATICANO

Una lettera del Papa per riaprire il dialogo sulla religione in Cina

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO — Mano tesa del Papa alla Cina: pubblica oggi una lettera ai cattolici cinesi con cui li «incoraggia» nelle «difficoltà» in cui si trovano a vivere e chiede alle autorità dello Stato il rispetto della libertà religiosa, offrendo la disponibilità a una rapida normalizzazione dei rapporti anche sul piano diplomatico. L'invio della lettera era stato annunciato il gennaio scorso a conclusione di un vertice che si era tenuto in Vaticano con la partecipazione di vescovi e cardinali cinesi, esperti e responsabili di Curia. «Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese»: questa è l'intestazione della lettera che inizia con le parole: «Cari confratelli nell'episcopato». Si compone di 28 pagine che non fanno menzione delle ordinazioni episcopali non autorizzate da Roma avvenute lungo l'ultimo anno. Tra le rassicurazioni rivolte alle autorità c'è anche quella che la Chiesa cinese svolge esclusivamente attività «pastorali» e non persegue «finalità politiche». La lettera era pronta da tempo ma la sua pubblicazione è stata più volte rinviata allo scopo di avere un riscontro attendibile sul modo in cui sarebbe stata "recepita" dal principale interlocutore e cioè dalle autorità di Pechino. Secondo le indiscrezioni della vigilia la lettera è stata firmata dal Papa il 27 maggio, festa di Pentecoste. Qualche giorno addietro il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, aveva detto che il documento è «rivolto ai cattolici della Cina ma anche al popolo cinese» ed esprime la «volontà di dialogo di papa Benedetto XVI verso questo grande Paese decisivo per il futuro dell'umanità».

© Copyright Corriere della sera, 30 giugno 2007


Il Papa: in Cina una sola Chiesa La Cei: priorità a vita e famiglia

MARCO POLITI

CITTA´ DEL VATICANO - Papa Ratzinger pubblica stamane la sua Lettera ai cattolici cinesi. Un passo importante per mettere sui binari giusti il confronto con la Cina popolare al fine di arrivare ad una normalizzazione delle relazioni diplomatiche e al superamento della spaccatura tra «Chiesa patriottica», legata alle autorità comuniste, e Chiesa clandestina.
Nel messaggio, che è stato già tradotto in cinese e inviato ai vescovi della Cina, Benedetto XVI si rivolge ai fedeli cinesi nel loro complesso, lasciando intravedere la volontà di considerare «una» la comunità cattolica del grande Paese e l´intenzione di procedere al riconoscimento di tutta la gerarchia ecclesiastica a prescindere dalle anomalie con cui in vari momenti è stata istituita. Il dubbio riguarda l´accoglienza che Pechino riserverà al documento. Le autorità hanno già convocato una riunione di vescovi «ufficiali» per studiare una risposta. Se sarà negativa, potrebbe aprirsi una nuova crisi tra Santa Sede e Pechino. Se, invece, l´atteggiamento dovesse essere abbastanza aperto, allora il Vaticano ha la speranza di poter negoziare sul serio un sistema concordato per nominare vescovi graditi sia al pontefice che al governo di Pechino.
A Roma è stato, frattanto, reso noto il documento programmatico della Cei nell´era Bagnasco (che ieri ha ricevuto in San Pietro il pallio dal pontefice). C´è forte allarme tra i vescovi per la disgregazione della società italiana. «Il tessuto della convivenza civile mostra segni di lacerazione», è detto nel documento di 21 pagine, intitolato: «Rigenerati per una speranza viva: testimoni del grande sì di Dio all´uomo». Nella nota pastorale, elaborata dopo il Convegno ecclesiale di Verona nell´ottobre scorso, i vescovi chiedono ai credenti i vescovi di impegnarsi per un «ethos condiviso».
Per la Cei questo significa rivisitare i «veri diritti della persona». La Chiesa, viene sottolineato, non vuole sconfinare di campo, quando parla ed agisce non lo fa in difesa di un «interesse cattolico» bensì per contribuire al futuro del Paese. Ai politici cattolici vengono richiesti standard molto rigorosi: «Operano come cittadini sotto propria responsabilità - affermano i vescovi - e devono essere animati da competenza e onestà, protagonisti di uno stile politico virtuoso, guidati da una coscienza retta e informata, illuminata dalla fede e dal Magistero della Chiesa». I credenti tutti sono chiamati a contrastare con «determinazione e chiarezza di intenti» ogni legislazione non in sintonia con la dottrina cristiana. In questo senso l´istituzione ecclesiastica ribadisce la strategia di mobilitazione permanente per fare pressione sul Parlamento. I vescovi invitano esplicitamente a «fronteggiare il rischio di scelte politiche e legislative, che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell´essere umano».
Obiettivi fondamentali sono il rispetto della dignità della persona umana «in ogni momento della vita», il sostegno alla «famiglia fondata sul matrimonio», l´impegno per la giustizia e la pace e per «lo sviluppo integrale e il bene della comunità civile, nazionale e internazionale». In complesso il documento rivela la volontà della Chiesa di presentarsi come soggetto attivo della scena sociale e pubblica, anche dialogando con esponenti di «tradizioni ideali o spirituali diverse». In primo piano la questione della disoccupazione, della precarietà del lavoro e del «rispetto dei diritti inalienabili del lavoratore», da salvaguardare pur nel mutare delle nuove condizioni lavorative.

© Copyright Repubblica, 30 giugno 2007


Lettera alla Cina, la “mini enciclica” sarà pubblicata oggi

Sarà pubblicata oggi l'attesa “Lettera del Papa ai cattolici della Repubblica Popolare Cinese”. Lo ha reso noto ieri la sala stampa vaticana che questa mattina metterà il documento, considerato un decisivo atto per la riapertura del dialogo con il governo di Pechino, a disposizione dei giornalisti. Quasi una “piccola enciclica”, lunga 28 pagine, la missiva contiene anche un forte appello per la libertà religiosa, come diritto da tutelare e garantire. Benedetto XVI non farebbe cenno alle nomine episcopali illegittime, che nell'ultimo anno hanno rappresentato il maggior motivo di attrito con le autorità cinesi, né allo stato di separazione tra Chiesa ufficiale e clandestina, ma si rivolgerebbe sempre a un'unica Chiesa in Cina. Il documento viene comunque visto come un passo fondamentale verso la distensione dei rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare, nella prospettiva della normalizzazione delle relazioni diplomatiche. La scelta di Papa Ratzinger è di usare toni prudenti verso le autorità centrali, senza proclami contro l'Associazione patriottica e la Chiesa filogovernativa volti a rimarcare l'autorità vaticana sui vescovi e sulle nomine. La Lettera rappresenta un segno di incoraggiamento da Roma verso i 10-12 milioni di cattolici cinesi, che nel loro paese vivono una situazione non semplice.

© Copyright Il Cittadino, 30 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 giugno 2007 (1)


Vedi anche:

Rassegna stampa del 30 giugno 2007

Il Papa: Gesu' non e' uno dei grandi fondatori di religioni, ma il Figlio di Dio

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO

Un esemplare articolo di Filippo Di Giacomo per "La Stampa" [Messa tridentina]

Qualche indiscrezione sulla lettera ai Cattolici cinesi

Cattolici in Cina: intervista al cardinale Zen Ze-kiun

Nota pastorale dell'Episcopato italiano "dopo Verona" (per la lettura occorre scaricare il documento allegato).


«Socrate e Buddha? Saggi, ma Gesù è Dio»

di Andrea Tornielli

Oggi Gesù «è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione» ed è paragonato «a Buddha, Confucio, Socrate» ma non viene riconosciuto nella sua unicità, come messia figlio di Dio. Lo ha affermato ieri mattina Benedetto XVI nell’omelia della festa dei santi Pietro e Paolo, prima di imporre a quarantasei nuovi arcivescovi metropoliti provenienti da tutto il mondo - tra i quali gli italiani Bagnasco (Genova), Romeo (Palermo) e La Piana (Messina) - il pallio, la piccola sciarpa di lana d’agnello decorata con croci nere che sottolinea lo speciale legame con il Pontefice.

Il Papa è tornato ancora una volta a meditare sulla «confessione di Pietro», cioè sul riconoscimento della divinità di Gesù che il primo degli apostoli fece, sottolineando come questa sia «inseparabile dall’incarico pastorale a lui affidato nei confronti del gregge di Cristo». E ha parlato della domanda che Cristo rivolge ai suoi: «E voi chi dite che io sia?». Una domanda cruciale da duemila anni di fronte all’unico uomo che ha definito se stesso «la via, la verità e la vita». Secondo tutti gli evangelisti, la «confessione» di Pietro avviene in un momento decisivo della vita di Gesù, quando, dopo la predicazione in Galilea, egli si dirige risolutamente verso Gerusalemme dove sarà crocifisso. «I discepoli - ha detto il Papa - sono coinvolti in questa decisione: Gesù li invita a fare una scelta che li porterà a distinguersi dalla folla per diventare la comunità dei credenti in lui, la sua “famiglia”, l’inizio della Chiesa».

Benedetto XVI ha continuato spiegando come vi siano «due modi» di «vedere» e di «conoscere» Gesù. Il primo, quello della folla, più superficiale, «l’altro, quello dei discepoli, più penetrante e autentico». Prima il Nazareno domanda che cosa la gente dica di lui, invitando «i discepoli a prendere coscienza di questa diversa prospettiva». La gente, infatti, pensa che Gesù sia un profeta. «Questo non è falso - aggiunge Ratzinger - ma non basta; è inadeguato. Si tratta, in effetti, di andare in profondità, di riconoscere la singolarità della persona di Gesù di Nazaret, la sua novità».

Anche oggi, ha continuato il Papa, accade così: «Molti accostano Gesù, per così dire, dall’esterno. Grandi studiosi ne riconoscono la statura spirituale e morale e l’influsso sulla storia dell’umanità, paragonandolo a Buddha, Confucio, Socrate e ad altri sapienti e grandi personaggi della storia. Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità. Viene in mente ciò che disse Gesù a Filippo durante l’Ultima cena: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”».

«Spesso Gesù - ha aggiunto ancora Benedetto XVI - è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione». Come allora, dunque, anche oggi la gente «ha opinioni diverse su Gesù». Ma come allora, «anche a noi, discepoli di oggi, Gesù ripete la sua domanda: “E voi, chi dite che io sia?”. Vogliamo fare nostra la risposta di Pietro... “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”».

Che cosa era dunque difficile da accettare per la gente a cui Gesù parlava? Che cosa continua ad esserlo anche per molta gente di oggi, si è chiesto Ratzinger? «Difficile da accettare è il fatto che egli pretenda di essere non solo uno dei profeti, ma il figlio di Dio, e rivendichi per sé la stessa autorità di Dio. Ascoltandolo predicare, vedendolo guarire i malati, evangelizzare i piccoli e i poveri, riconciliare i peccatori, i discepoli giunsero poco a poco a capire che egli era il messia nel senso più alto del termine, vale a dire non solo un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso fattosi uomo». «Nella professione di fede di Pietro - ha concluso - possiamo sentirci ed essere tutti una cosa sola, malgrado le divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato l’unità della Chiesa con conseguenze che perdurano tuttora». Parole ancor più significative, dato che a fianco dell’altare, in San Pietro, sedeva la delegazione inviata dal patriarca ecumenico di Costantinopoli.

© Copyright Il Giornale, 30 giugno 2007


Benedetto XVI: "Saluto con affetto la cara comunità partenopea, preparate l´incontro nella preghiera e nella carità"

Il Papa: "A Napoli il 21 ottobre"

Annuncio durante l´Angelus, accolto l´invito del cardinale

Il 21 ottobre Benedetto XVI sarà a Napoli. L´ha annunciato egli stesso al termine dell´Angelus: «Accogliendo l´invito del cardinale Sepe, domenica 21 ottobre mi recherò in visita pastorale a Napoli. Saluto con affetto la cara comunità napoletana, che invito a preparare l´incontro nella preghiera e nella carità operosa».

© Copyright Repubblica (Napoli), 30 giugno 2007


LA VISITA DEL PONTEFICE

Il Papa a Napoli, la città si mobilita

Iervolino: "È una grande gioia, una presenza che ci onora"

La riserva è sciolta, fumata bianca. Papa Joseph Ratzinger arriverà a Napoli per la sua prima visita pastorale il 21 ottobre. La sua presenza coinciderà con l´apertura del meeting tra i capi delle religioni di tutto il mondo organizzato dal cardinale Crescenzio Sepe insieme con la comunità di Sant´Egidio, che fu l´ispiratrice della tre-giorni di Assisi giunta alla sua ventunesima edizione.
Una decisione che conferma le prudenti parole pronunciate dal cardinale Sepe lo scorso maggio: «Ho più di una speranza per dire che Sua Santità potrebbe essere insieme a noi». Il dialogo interreligioso di ottobre si chiuderà in piazza Plebiscito, è atteso anche il Presidente Napolitano, un evento che incassa il «grazie di cuore» delle istituzioni. «Grande gioia» esprime il sindaco Iervolino, per la quale «questa circostanza onora la città e dimostra l´attenzione che ad essa riserva l´attuale Pontefice, così come accadde con Giovanni Paolo II, attraverso la sua non dimenticata presenza a Napoli e l´invito ai cittadini a "costruire la speranza"». Per il presidente della Provincia Di Palma «l´arrivo del Papa è un forte segnale di affetto e vicinanza per tutto il nostro territorio e va preparata con coscienza e impegno da parte di tutti». Il governatore Bassolino è sicuro che «tanti e tanti napoletani potranno esprimere al Papa la loro vicinanza, la fede e l´affetto. Siamo certi che Napoli e la Campania sapranno accoglierlo nel modo migliore». Anzi - aggiunge Bassolino - «ci vedremo nelle prossime ore con la Curia, Comune e la Provincia per fare in modo che un evento di tale importanza venga organizzato come merita».
È un rapporto discreto ma costante quello che lega l´ex cardinale Ratzinger a Napoli. Così Papa Benedetto XVI ha voluto dare pubblicamente la notizia durante la recita dell´Angelus per la festività dei patroni di Roma, Pietro e Paolo: «Sono lieto di annunciare che, accogliendo l´invito del cardinale Sepe, domenica 21 ottobre mi recherò in visita pastorale a Napoli. Saluto già oggi con affetto la cara comunità napoletana, che invito a preparare l´incontro nella preghiera e nella carità operosa». Un «bellissimo regalo», lo definisce il cardinale Sepe, che sigillerà proprio domani il suo primo anno da vescovo di Napoli. Non a caso per il giorno in cui sarebbe diventata ufficiale la visita di Ratzinger a Napoli, l´arcivescovo aveva organizzato la veglia in Duomo per celebrare la festività dei santi Pietro e Paolo, invitando la città a pregare per «tutte le intenzioni del nostro Papa».
(co. sa.)

© Copyright Repubblica (Napoli), 30 giugno 2007


IL PERSONAGGIO

Sepe, un anno in trincea il vescovo del rivolgimento

CONCHITA SANNINO

Un anno dopo, la città che rischia il dirupo e protesta ogni giorno, si stringe intorno al suo pastore, Crescenzio Sepe. Con lui, i simboli tornano a parlare, le parole anche. Sono trascorsi 12 durissimi mesi da quel primo luglio 2006 in cui l´ex potente prefetto "rosso", il vertice della Propaganda Fide e il vescovo più vicino a Papa Giovanni Paolo II che si pensava proiettato verso altissime cariche romane, fece il suo ingresso napoletano in umiltà. Passò da Scampia, l´ultima delle porte, baciò quel suolo sofferente e bagnato di sangue. E da allora non si è più fermato.
Un anno dopo, a trovare la sintesi più efficace del primo anno di magistero nella città delle sabbie mobili, viene in mente uno slogan da ragazzi che campeggiava in piazza Dante la mattina del 31 marzo, nel giorno in cui la Giornata diocesana della gioventù la gremì di oltre 10mila adolescenti. Diceva: «Ciao pastore dell´arrevuoto». In quattro parole, il ritratto di Crescenzio Sepe. Leader di una Chiesa tornata protagonista del sociale.
Il vescovo del rivolgimento, in un anno, ha tuonato 20 volte dall´altare e fuori contro «la camorra, i boss, le forze del male, i prevaricatori, i capi dei capi che invece sono niente, proprio niente senza Cristo». Ha spinto i giovani, incitandoli da un palco per tre volte con queste parole: «Ribellatevi al male, vi scongiuro, non vi arrendete». Ha chiesto ai ragazzi e agli immaturi di ogni età di lasciare le armi e i coltelli. Ha consumato oltre cento incontri istituzionali e con i cittadini fuori dalle liturgie; decine e decine di trasferte in chiese della provincia, altre dozzine di visite preparate di mese in mese presso gli ospedali o le carceri; in punta di piedi è entrato anche nelle case di numerosissimi anziani e religiose ammalate, ha riaperto chiese che non avevano più un parroco (in periferia nord), ha benedetto la prima pietra di erigende parrocchie (a Casalnuovo. «Ma mica è abusiva, eh», scherzò con la rituale ironia).
Un lungo percorso, andando con passo fermo incontro alle città, alzando la voce e mettendo se necessario il dito sulle piaghe. Come è successo, per ultimo, lo scorso 13 giugno accogliendo la squadra del Napoli e provocando: «Ma qui altri devono portare la città in serie A». Pungente, ma senza mortificare la speranza.
Così, ieri sera in Duomo, appena stanco dopo avere celebrato la lunga messa per i santi Pietro e Paolo in onore del Papa, il cardinale Sepe sorride a chi chiede che regalo desidererebbe dalle istituzioni per il primo anniversario del suo magistero: «Vorrei si impegnassero un po´ di più. Ecco, lo dico affettuosamente, e con rispetto della fatica che obiettivamente costa. In loro c´è sempre stata disponibilità, ho anche trovato molto dialogo: ma poi, per difficoltà che non conosco, ho visto che non si riesce a passare dalla teoria alla pratica». Fermo. Mai ostile. Severo pur conservando il tratto profondamente umano. È nata grazie alla sua impronta caratteriale quell´empatìa nuova tra Chiesa di Napoli ed i settori più laici (anche i più diversi tra loro) della comunità: intellettuali, imprenditori, associazioni e volontariato di frontiera. Guido Trombetti, rettore dell´Università Federico II, loda «le sue azioni pastorali concrete e i gesti simbolici di grande valore, Sepe mi piace per l´attenzione riservata alla funzione culturale della città, nell´accezione più ampia».Trombetti fa un esempio: «Avere spinto tanti ragazzi a depositare sotto l´altare decine di coltelli non ha risolto certo il problema della camorra o delle violenze, ma ha tenuto alto il valore dei simboli. E poi - sottolinea il rettore - Sepe si impone come uomo del fare. Ha saputo incarnare un´autorità morale alta, senza mai valicare i confini e tuttavia senza limitarsi all´attività di sermone». Anche il costituzionalista Francesco Paolo Casavola si sofferma sulle sue molteplici capacità: «Il suo temperamento e anche il piglio manageriale ne hanno fatto il pastore giusto nella città che ne aveva più bisogno: perché questo popolo deve essere inseguito dal suo pastore. Direi che ormai è una esigenza epocale che sia il pastore a cercare a radunare le pecore, occorre un dinamismo che la tradizione non prevedeva accanto al carisma del vescovo. Lui, per fortuna, ce l´ha».
Ieri sera alle 19, quando suonano a festa le campane della cattedrale e salgono gli applausi dalle navate per ringraziare il Papa di avere annunciato la sua visita a Napoli, la riconoscenza del popolo è anche per Sepe. Il cardinale sottolinea dall´altare «l´immensa gratitudine di Napoli, che ama e venera il nostro Papa per aver detto sì al nostro desiderio di averlo in mezzo a noi». La liturgia celebra due uomini apparentemente "mancanti": Pietro che negava il Signore, Paolo che lo perseguitava prima di convertirsi, eppure a loro «la Grazia del Signore concederà di diventare pietre angolari su cui edificare la sua Chiesa». Ed il massimo vertice «di questa chiesa viva, Papa Ratzinger - spiegherà il cardinale - è particolarmente vicino alla nostra bella e tormentata città. È chiaro che viene ad ottobre a portare parole di incoraggiamento, di fiducia e di stimolo». Preoccupato di come sarà la città nell´autunno che vedrà la prima visita del Papa? Il cardinale preferisce essere ottimista: «Mi auguro che per quella data non ci sia più l´emergenza della spazzatura».
Poi, facendosi serio: «Ero fuori Napoli quando ho saputo della procedura di infrazione dell´Unione Europea per la nostra questione rifiuti: basta con questo spettacolo. È assai triste vedere che qualcuno debba girare con la mascherina per le nostre strade. Perché, mi chiedo. La maschera ce l´abbiamo già, è quella di Pulcinella, lasciamola al teatro e nei libri, Ma noi no: noi dobbiamo mostrarci senza brutte maschere, dobbiamo fare emergere il volto pulito della città».
Un anno dopo, la città festeggerà il suo cardinale - lunedì alle 18.30 - sul sagrato del Duomo. Un evento senza inviti, cui sono invitati tutti, i commercianti della strada e il suo clero, artisti e atleti, canti, artigiani, imprenditori e operai. Perché si sa, il pastore dell´arrevuoto non ama stare nel Palazzo.

© Copyright Repubblica (Napoli), 30 giugno 2007


Presentata ieri a Roma

Nota pastorale dei Vescovi dopo “Verona”

Roma «Dare nuovo valore alla vocazione laicale». È l’esortazione dei vescovi italiani nella Nota pastorale dopo il IV Convegno ecclesiale di Verona che è stata presentata ieri mattina. Al Convegno che si è svolto nel mese di ottobre dell’anno scorso aveva partecipato anche una delegazione lodigiana guidata dal vescovo Giuseppe Merisi e dal vicario generale monsignor Iginio Passerini. Poi c’erano stati degli incontri di approfondimento e di rilancio diocesano sui contenuti molto partecipati. «Il Convegno - scrivono i vescovi nella nota di ieri - ha rivelato il volto maturo del laicato che vive nelle nostre Chiese. Le comunità cristiane devono trarne conseguenze capaci di farle crescere nella missione, individuando scelte pastorali che esprimano una conversione di atteggiamenti e di mentalità». Per questo diventa essenziale «accelerare l’ora dei laici», rilanciandone l’impegno ecclesiale e secolare, senza il quale il fermento del Vangelo non può giungere nei contesti della vita quotidiana, né penetrare quegli ambienti più fortemente segnati dal processo di secolarizzazione. Un ruolo specifico spetta agli sposi cristiani che, in forza del sacramento del Matrimonio, sono chiamati a divenire «Vangelo vivo tra gli uomini» .«Riconoscere l’originale valore della vocazione laicale significa, all’interno di prassi di corresponsabilità, rendere i laici protagonisti di un discernimento attento e coraggioso, capace di valutazioni e di iniziativa nella realtà secolare, impegno non meno rilevante di quello rivolto all’azione più strettamente pastorale - scrive la Cei - Occorre pertanto creare nelle comunità cristiane luoghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare la loro esperienza di vita, le loro domande, le loro scoperte, i loro pensieri sull’essere cristiani nel mondo. Solo così potremo generare una cultura diffusa, che sia attenta alle dimensioni quotidiane del vivere». «Perché ciò avvenga - conclude la Cei - dobbiamo operare per una complessiva crescita spirituale e intellettuale, pastorale e sociale, frutto di una nuova stagione formativa per i laici e con i laici, che porti alla maturazione di una piena coscienza ecclesiale e abiliti a un’efficace testimonianza nel mondo. Questo percorso richiede la promozione di forme di spiritualità tipiche della vita laicale, affinché l’incontro con il Vangelo generi modelli capaci di proporsi per la loro intensa bellezza».

© Copyright Il Cittadino, 30 giugno 2007


L´annuncio durante i Vespri nella Basilica che contiene le spoglie del santo. L´evento per celebrare i 2000 anni dalla nascita

Il Papa: "Giubileo per San Paolo"

Si aprirà il 28 giugno del 2008 e chiuderà il 29 giugno del 2009
Attesi pellegrini sulla tomba del santo per i riti liturgici

RENATA MAMBELLI

Un Giubileo per San Paolo: lo ha annunciato ieri papa Benedetto XVI dalla Basilica di San Paolo fuori le mura durante i vespri della vigilia della festa di San Pietro e Paolo. L´appuntamento è per il 28 giugno del 2008, giorno dell´inizio dell´anno paolino, che si chiuderà il 29 giugno del 2009. «Sono lieto di annunciare ufficialmente», ha detto papa Ratzinger, «che all´apostolo Paolo dedicheremo uno speciale anno giubilare, in occasione del bimillenario della sua nascita, dagli storici collocata tra il 7 e il 10 d.C.».
La comunità cattolica di Roma, e insieme ad essa tutta la città, ha un anno di tempo per mettere in moto la complessa macchina dell´accoglienza che accompagna ogni Giubileo. Ieri il vicesindaco Maria Pia Garavaglia ha ringraziato papa Ratzinger per la sua scelta per cui «per un anno la Basilica di San Paolo», ha detto, «sarà al centro di iniziative di pellegrinaggio, di preghiera e di riflessione ecumenica». Il Papa, ieri, ha infatti praticamente gettato giù un abbozzo di scaletta del prossimo "Giubileo speciale". «Quest´Anno Paolino», ha detto, «potrà svolgersi in modo privilegiato a Roma, dove da venti secoli si conserva sotto l´altare papale di questa Basilica il sarcofago che conserva i resti dell´apostolo Paolo». Sarà proprio la Basilica di San Paolo il centro non solo spirituale dell´avvenimento durante il quale, spiega il Papa, «potranno avere luogo una serie di eventi liturgici, culturali ed ecumenici, come pure varie iniziative pastorali e sociali, tutte ispirate alla spiritualità paolina».
E ci sarà, naturalmente, spazio per i pellegrini: «Speciale attenzione potrà essere data ai pellegrinaggi che da varie parti vorranno recarsi in forma penitenziale presso la tomba dell´Apostolo per trovare giovamento spirituale». E ancora il Papa ha annunciato convegni di studio e celebrazioni ecumeniche. Tutto per il santo che, ha aggiunto, insieme a San Pietro ha formato la coppia di fondatori della Chiesa romana, simile a quella di Romolo e Remo fondatori della città.

© Copyright Repubblica (Roma), 29 giugno 2007