31 gennaio 2008

Alla scuola della speranza: la "Spe salvi" vista dalla Russia


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VISTO DALLA RUSSIA

Alla scuola della speranza

Aleksandr Archangel'skij

Non ho nessuna preparazione teologica, mi manca il gusto e l’abitudine di occuparmi di teologia. Ma il testo così serio e profondo di papa Benedetto XVI mi induce a guardare ancora una volta alla realtà odierna entro cui vivo e mi muovo. In questo contesto in che cosa, in chi può sperare un cristiano, anche l’ultimo arrivato? La risposta sembrerebbe elementare: in Dio, nella Provvidenza. Ma per chi non si limiti a rispondere in maniera teorica e generica, bensì concreta, entrando nel vivo della questione, in realtà il problema è arduo. Chi e che cosa amare, lo sappiamo; in che cosa credere, lo intuiamo (anche se viviamo come se non credessimo in niente). Ma sulla speranza caschiamo. Quanto più solido, esteriormente affidabile si presenta il mondo post-cristiano, tanto più disperante si fa la percezione che abbiamo del vivere. Non possiamo sperare nel crollo di un ordinamento mondiale, che ha tolto di mezzo Dio, ma si presenta quantomai confortevole, così come speravano i cristiani cittadini di regimi dispotici orientali o di sistemi totalitari. E questo semplicemente perché il crollo dell’ordine attuale potrebbe condurre (e molto probabilmente succederà così) al sorgere di un nuovo ordine di gran lunga peggiore. Non possiamo sperare nel graduale ritorno dei fondamenti della civiltà cristiana, perché nella storia non c’è mai nulla che torni indietro. Non possiamo sperare nel progresso, perché il progresso di una civiltà spesso comporta un regresso della fede. Non possiamo sperare nei «principi, figli di uomini», perché la salvezza non è in loro. Tanto meno accontentarci di quello che c’è, perché ce lo impedisce la coscienza.
In questo senso, l’enciclica Spe salvi è di una straordinaria attualità, centra il cuore della nostra problematica esistenziale, ci ricorda che la speranza ci viene offerta come intuizione, scoperta, nella misura in cui ci educhiamo a un lavoro personale. Sperare non significa solo fare genericamente assegnamento sul fatto che le cose vadano bene; sperare implica un impegno quotidiano. Implica una vigilanza, una disponibilità, in modo da avere qualcosa da esibire alla Provvidenza, quando questa ritenesse necessario offrirci ancora una possibilità di realizzarci come cristiani nella storia. La cosa più terribile sarebbe che ci venisse offerta una nuova chance e noi (non dico il mondo, ma dico “noi”) ci trovassimo con le lampade spente. Insomma: ascoltiamo questo appello paterno e poniamo mano al lavoro della speranza.

© Copyright Tracce n. 1/2008

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IL PAPA E L'OSCURANTISMO INTOLLERANTE DEI LAICISTI UNIVERSITARI: LO SPECIALE DEL BLOG

Incontro con lo studioso di letteratura rabbinica antica Jacob Neusner

Un vero israelita a colloquio con Gesù

Andrea Monda

Se il Papa avesse potuto leggere il suo discorso alla Sapienza, lo scorso 17 gennaio, avrebbe avuto come ascoltatore entusiasta anche Jacob Neusner; in particolare la sua esortazione al "coraggio della verità", rivolta ai docenti e agli studenti universitari, avrebbe riscosso il plauso di questo rabbino, professore emerito della Bard University, che ha dedicato tutta la vita allo studio delle sacre Scritture.

"Benedetto XVI ha arricchito la vita di diverse comunità religiose nel sottolineare la pretesa di verità delle religioni e l'importanza del confronto con e nella verità" - confida all'Osservatore Romano.

"Per un lungo periodo molti hanno avuto paura di affrontare la questione su chi sia il giusto nella prospettiva di Dio, temendo che dal confronto religioso sarebbe emersa solo l'intolleranza. Papa Ratzinger ha avuto il coraggio di affrontare le differenze religiose e di spiegare nei dettagli, caso per caso, ogni posizione e ogni contrapposizione. Questo ha permesso di ridefinire la caratteristica di come le comunità religiose si relazionino l'una con l'altra. Il suo discorso di Regensburg fu un atto di coraggio".

Jacob Neusner non è un "fan" del Papa, ma è un ebreo ortodosso e fervente che è "fan" solo della verità e della ricerca della verità. È proprio per questo che, a suo tempo, fu anzitutto l'allora cardinale Ratzinger a essere un estimatore del lavoro intellettuale e scientifico del rabbino americano.
La storia, dunque, non è recentissima, inizia quindici anni fa. Il rabbino Jacob Neusner, nato ad Hartford nel Connecticut nel 1932, raffinato esegeta delle Sacre Scritture ebree - oltre 900 sono le sue pubblicazioni su Torah, Mishnah, Talmud e sui Midrash - e illustre professore di storia e teologia del giudaismo al Bard College dello stato di New York, nel 1993 pubblica un saggio breve quanto "esplosivo": A Rabbi talks with Jesus che poco tempo dopo finisce nella mani del cardinale Ratzinger il quale lo apprezza molto.

Nel 2007, all'indomani della pubblicazione del Gesù di Nazaret di Benedetto XVI, il nome di Jacob Neusner ha fatto il giro del mondo spingendo tra l'altro l'editore San Paolo a ripescare quel vecchio saggio in questione, ormai da anni scomparso dalle librerie italiane. In effetti, a rileggerlo si può comprendere il fascino suscitato in un lettore del livello di Joseph Ratzinger; si tratta di un libro, quello di Neusner, che contiene un'audace provocazione intellettuale proposta, peraltro, con limpidezza e onestà, per cui quella provocazione diventa stimolo preziosissimo, interrogazione profonda e mai banale. Si intuisce che, sebbene l'esito della ricerca di Neusner su Gesù non tenda all'adesione al cristianesimo, l'atteggiamento con cui il rabbino "interroga" il figlio di Maria non può non piacere al futuro Pontefice.
Neusner infatti prende sul serio il Gesù dei Vangeli e la pretesa di verità contenuta nel messaggio di Cristo intuendo che messaggio e messaggero coincidono, che il cristianesimo non è una dottrina morale o una teoria filosofica, ma l'incontro con la persona di Cristo. Questo che è l'incipit della Deus caritas est, riflette il modo con cui Neusner affronta il dialogo con Gesù. Dopo aver letto il suo libro-dialogo, abbiamo quindi ricercato il rabbino Neusner che, ancora una volta, non si è sottratto al piacere di un incontro franco e aperto rivelando il motivo per cui - a suo dire - è nata questa intesa tra un rabbino ebreo americano e un teologo tedesco oggi Papa.

"In molti suoi discorsi Benedetto XVI, Papa-teologo, non ha risparmiato critiche alla teologia e ai teologi. Il rischio del teologo è quello della superbia quando invece dovrebbe essere umile e la teologia buona è quindi "la teologia in ginocchio" come ha detto di recente. È la mia stessa posizione, nel secondo capitolo del mio libro affermo di voler incontrare Gesù senza il "filtro" della teologia, accostandomi alla Scrittura, in particolare al vangelo di Matteo, così come fanno i fedeli "semplici", il popolo, e non gli esperti delle università. In altre parole ho voluto prendere sul serio il Vangelo, ma non come testo da analizzare, ma come testo "performativo" - come dice il Papa nella sua seconda recente enciclica Spe Salvi - un testo cioè scritto non per informare, ma per cambiare la vita del lettore. Questo testo viene letto non per ricevere informazioni, ma "trasformazioni": è questo il fondamento della vita religiosa. Il cuore di tutto è come incontrare Dio, il testo sacro è fondamentale per il culto, per l'adorazione".

Neusner non ama dispute su temi astratti, alla domanda sul presunto "individualismo" della fede cristiana rispetto alla dimensione maggiormente comunitaria della fede giudaica - è un aspetto che risulta ricorrente nel saggio - in un primo momento non risponde direttamente preferendo chiarire i termini della sua indagine: "Io incontro Gesù durante il Sermone della montagna e gli chiedo se i suoi insegnamenti su questo monte corrispondono agli insegnamenti di Mosè sul Monte Sinai. Gli aspetti astratti dell'individualismo contrapposto alla dimensione comunitaria non si presentano se non in quel contesto", ma poi precisa e, di fatto muove una critica al giudaismo riformato e anche alle correnti protestanti interne al cristianesimo: "I profeti e la tradizione rabbinica mettono in evidenza le obbligazioni del singolo nei confronti della comunità: il singolo credente è soggetto al patto tra Dio e la comunità. Le chiese riformate e il giudaismo riformato rilanciano invece molto la dimensione individuale e quella della coscienza introspettiva, ponendo di fatto il singolo al di sopra della comunità al contrario del giudaismo classico e del cattolicesimo che considerano primari gli obblighi del singolo verso la comunità ponendo l'accento sul mantenimento dell'ordine sociale nella giustizia e nell'equità".
È sempre l'amore verso la concretezza che lo spinge ad affermare la necessità di evitare il rischio dell'astrattezza, mentre un'altra critica mossa al cristianesimo nel dialogo serrato con Gesù, è quella dell'astrattezza, dell'essere rivolto a un mondo posto al di là, ad un'escatologia che si avvera nel futuro, non su questa terra. "Se lo scopo dei comandamenti della Torah è la purificazione del cuore dell'uomo, il che può sembrare un concetto astratto" - spiega Neusner - "gli stessi comandamenti sono però concreti e particolari. I doveri religiosi che noi adempiamo nelle nostre azioni concrete incarnano quelle verità religiose che affermiamo astrattamente. Mantenere e osservare la Torah nella vita quotidiana vuol dire manifestare i principi della religione".

Il dialogo con questo ebreo a tu per tu con Gesù volge al termine, è un confronto serrato, anche duro, ma che si può svolgere - Neusner e Ratzinger dialogano a distanza da oltre quindici anni - nella lealtà e nella fiducia reciproche, con stima e soprattutto in una comune sintonia di vera, profonda speranza.

"Nel nono capitolo del mio saggio - a pagina 180 dell'edizione italiana - ho voluto affermare una cosa in cui credo fermamente: "Per un ebreo, disperare è un peccato".

Saluto con gioia quindi questa seconda enciclica del Papa dedicata alla speranza e penso ci possa essere una speranza per il dialogo, nel rispetto della diversità, tra ebrei e cristiani. Un dialogo fatto di rispetto, di cammino e di preghiera comune. Cammino e preghiera che portano alla pace".
Ma, ancora una volta, Neusner non ama i temi e i toni astratti, ma preferisce declinare la sua riflessione in termini il più possibile "incarnati", citando un esempio vivo di dialogo e preghiera: "Giovanni Paolo II ha rappresentato una grande benedizione per l'umanità affermando l'integrità dell'uomo contro le dottrine avvilenti e riduttive del materialismo e del comunismo. Più di molte altre personalità del suo tempo, lui si è stagliato lottando per la dignità dell'uomo. È stato Papa per tutti gli uomini".

(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2008)


Ma il Sinai è ancora troppo lontano dal monte delle beatitudini

Francesco Licinio Galati

Allorché nel 1993 uscì la prima edizione di A Rabbi talks with Jesus determinante, ai fini della sua diffusione nel mondo cattolico, fu il giudizio del cardinale Joseph Ratzinger che lo aveva definito: "Il saggio di gran lunga più importante uscito nell'ultimo decennio per il dialogo ebraico-cristiano"; con queste motivazioni: "l'assoluta onestà intellettuale, la precisione dell'analisi, il rispetto per l'altra parte unita a una radicale lealtà verso la propria posizione, caratterizzano il libro e lo rendono una sfida, specialmente per i cristiani, che dovranno riflettere bene sul contrasto tra Mosè e Gesù".

Più determinante ancora, per l'accoglienza della seconda edizione americana, l'attenzione riservatale dal Papa nel suo Gesù di Nazaret in cui si legge: "Mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo".

Forse mai erano state scritte parole più gratificanti per un esponente dell'ebraismo da parte di un Pontefice romano, parole che, oltre tutto, pongono in risalto la serietà di uno studioso considerato il più grande specialista vivente della letteratura rabbinica antica.
Uscito in prima versione italiana nel 1996 presso le edizioni Piemme col titolo Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, il libro è stato riproposto dalle edizioni San Paolo col titolo Un rabbino parla con Gesù (pagine 199, euro 14). L'autore - anticipando le lancette del suo orologio di circa duemila anni - immagina di essere stato presente in Galilea al "Discorso della montagna" e, dopo averlo ascoltato, di essersi deciso a proseguire nella fede della Torah di Mosè dissentendo dagli insegnamenti di Gesù, in quanto, a suo parere, in contrasto con punti essenziali della fede dei suoi padri.
"Laddove Gesù diverge da quanto Dio rivelò a Mosè, egli sbaglia e Mosè ha ragione": questo l'avvio del libro, tutto incentrato su una rispettosa e corretta discussione che affronta lealmente i punti di sostanziale divergenza tra cristianesimo ed ebraismo, soprattutto perché, in contrasto con le parole di Gesù che pretende di riformare e migliorare la Torah - "Voi avete sentito dire (...) ma io vi dico (...)" - l'ebreo è convinto che essa sia perfetta e non suscettibile di miglioramenti. Donde il dialogo, svolto in un clima di reciproco rispetto, che nelle intenzioni di Neusner dovrà aiutare da una parte i cristiani a riconoscere i motivi fondamentali della loro fede e a rispettare l'ebraismo, e dall'altra gli ebrei a rafforzare il loro attaccamento alla Torah, rispettando nel contempo il cristianesimo. "Credo - afferma il rabbino - che, quando ciascuna delle due parti comprende allo stesso modo i problemi che la dividono dall'altra, ed entrambe sostengono con fondate ragioni le loro verità, allora tutti possono amare e venerare Dio in pace, consci che si tratta davvero dell'unico e del solo Dio che essi venerano insieme nella differenza religiosa".
Ovviamente la discussione si muove da poli opposti: secondo il rabbino Neusner, all'epoca di Gesù, la religione d'Israele era autentica e senza bisogno di riforme e di rinnovamento; il rabbi di Nazaret insiste invece nel dire di non essere venuto per abolire la Legge e i Profeti, "ma per dare compimento".
Proprio per conoscere questo punto di vista, Neusner si rifà al "Discorso della montagna": il suo messaggio lo affascina anche se non egli non può non restare perplesso di fronte al reiterato "Ma io vi dico", quasi che il rabbi di Nazaret avesse il potere di spiegare in nome proprio quello che la Torah prescriveva in nome di Dio: "Che tipo d'insegnamento è quello che migliora gli insegnamenti della Torah senza citare la fonte e cioè Dio stesso? Non sono tanto turbato dal messaggio, su alcuni punti del quale potrei avanzare qualche obiezione, ma del suo messaggero".
Un messaggero che, ponendosi al di sopra della Legge, pretende di parlare in nome proprio, non può non sconcertare il credente e praticante Neusner per il quale vale soltanto l'assoluto della Torah, come vale l'assoluto di Dio che non potrà mai abbandonare per seguire il rabbi di Nazaret. "No, se fossi stato là quel giorno, non mi sarei aggregato a quei discepoli per seguire il Maestro lungo la sua strada. Me ne sarei tornato invece alla mia famiglia e al mio villaggio, proseguendo la mia vita come una parte dell'Eterno Israele e all'interno di esso".
La decisione di non seguire il Maestro dopo il "discorso della montagna" sembra definitiva, senonché l'interesse di Neusner per gli insegnamenti di Gesù non può venir meno, e l'urgenza di approfondirli diventa sempre più pressante, soprattutto per ciò che concerne l'osservanza dei comandamenti che talvolta sembrano in contrasto con la Torah. Difficile infatti è comprendere il messaggio di Gesù quando afferma di essere "venuto a mettere l'uomo contro suo padre e la figlia contro sua madre", da cui si dedurrebbe che "per seguire Gesù io debba porre il mio amore per lui al di sopra di quello per i miei genitori", con la conseguenza che "la famiglia si disintegrerebbe, la casa crollerebbe e quello che tiene unito il villaggio e la terra, il corpo della famiglia, cederebbe. Per seguirlo, debbo violare uno dei Dieci Comandamenti?".
L'approdo di Neusner è fin troppo consequenziale considerando gli schemi della letterale osservanza ebraica che non affronta il problema del Cristo Dio. Il discorso di Neusner è innegabilmente onesto, profondo e lucido, ma - anche nei capitoli successivi - il problema della natura del rabbi di Nazaret non è nemmeno sfiorato, neanche per una discussione critica. Ciò, chiaramente, rappresenta un ostacolo invalicabile all'approfondimento dell'insegnamento di Gesù, anche se occorre pur dire che la sensibilità e l'erudizione di Jacob Neusner che sostanziano le pagine del libro offrono strumenti notevoli per aprirsi alla spiritualità e alla teologia ebraiche, soprattutto in relazione al problema fondamentale: che cosa vuole Dio da me? "Come posso trasformarmi in ciò che Dio vuole che io sia e in che cosa Dio mi fa diventare?".
È risaputo - sostiene Neusner - che la risposta di Gesù riguarda soltanto l'individuo, mentre la Torah parla sempre alla comunità e s'interessa della formazione di un ordine sociale degno del Dio che ha fatto esistere Israele: "La santità non è solo per me e per te, ma è per tutti noi; tutti noi, tutti insieme e contemporaneamente, siamo coloro ai quali Dio parlò, quando usando il plurale "voi", disse: "Voi sarete santi, perché io il Signore, vostro Dio, sono santo"".
Il discorso sulla santità occupa non poche pagine del capitolo sesto, ma soprattutto del settimo, in cui vengono messi in discussione gli sferzanti giudizi di Gesù contro gli scribi e i farisei "ipocriti", anche a causa della loro ostinazione a osservare le regole solo esteriormente. È ovvio che la posizione di Gesù urti la sensibilità di Neusner, ma è innegabile che i suoi tentativi di leggere nella luce della santità anche i fatti esteriori contribuiscono notevolmente a penetrare nello spirito della religiosità ebraica. Tuttavia il problema rimane, anche perché lo stesso autore manifesta tutta la sua perplessità quando scrive: "Credo nell'ebraismo che si identifica con i farisei. Il regno di Dio è qui e ora? Oppure solo nel futuro immediato? E dove e come e in quali circostanze debbo servire Dio e vivere una vita santa? O presentando il problema in termini ancora più semplici: a Dio interessa che cosa mangio a colazione?".
Tuttavia sembra che le problematiche fondamentali il rabbino Neusner non le voglia nemmeno sfiorare, se persino nell'ipotetico incontro sulla strada di Cafarnao con Gesù non si preoccupa di rivolgergli altre domande e preferisce proseguire per la propria strada, "al villaggio, a casa, al regno di Dio qui e ora", vale a dire a persistere nelle convinzioni che l'ebraismo gl'impone. Semplicemente perché, secondo lui, è impossibile conciliare gli insegnamenti della Torah con quelli di Gesù, per il quale conta soltanto il regno dei cieli.
In effetti, la montagna dove Gesù tenne il suo discorso programmatico non può nullificare quella del Sinai, dove Mosè "disse al popolo come organizzarsi nelle sue faccende di tutti i giorni, come adorare e servire Dio; come Dio gli avrebbe dato una terra santa e come avrebbe dovuto coltivarla, insomma tutto quello che serve per costituire un regno, il regno di Dio, sotto il dominio di Dio e per mezzo del suo profeta Mosè".
A turbare il rabbino sembra sia soltanto l'idea di Gesù che privilegia il regno dei cieli, in assoluta proiezione verso il futuro. Donde la domanda: "Che cosa ne è di questo luogo e di questo momento?". Proprio l'assenza di una puntuale risposta a tale interrogativo sembra più che sufficiente per giustificare il rifiuto di Neusner a seguire il rabbi di Nazaret.

(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2008)

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IL PAPA E L'OSCURANTISMO INTOLLERANTE DEI LAICISTI UNIVERSITARI: LO SPECIALE DEL BLOG

Dibattito all'Università Cattolica del Sacro Cuore sul discorso del Papa alla Sapienza

La verità è il cibo della ragione

Roberto Sgaramella

Un appuntamento affollato e molto seguito da docenti e da studenti universitari quello svoltosi nel pomeriggio del 30 gennaio nell'aula Gemelli dell'Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma. Motivo dell'incontro lo svolgimento di un colloquio sul discorso di Papa Benedetto XVI all'Università "La Sapienza" di Roma - mai pronunciato di persona in seguito ai noti fatti - da parte di due relatori: l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano "Il Foglio".
Ha introdotto gli interventi Lorenzo Ornaghi, rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha ricordato gli anni trascorsi da Ravasi a Milano come Prefetto dell'Ambrosiana e l'undicesimo compleanno del giornale di Giuliano Ferrara, che ha iniziato la pubblicazione il 30 gennaio 1996. Ornaghi ha inoltre ricordato che l'incontro di Roma è il primo di due appuntamenti per i colloqui sul discorso di Benedetto XVI a "La Sapienza".

Il prossimo si svolgerà il 4 febbraio presso la sede di Milano dell'Università Cattolica. I relatori saranno Giorgio Israel, ordinario di matematiche complementari all'Università "La Sapienza", Salvatore Veca, ordinario di filosofia politica all'Istituto universitario di studi superiori di Pavia, Serena Vitale, ordinario di lingua e letteratura russa all'Università Cattolica del Sacro Cuore.

Ciò che maggiormente ha colpito Ornaghi del discorso di Benedetto XVI è l'interrogarsi sulla natura e la missione dell'università, specie se riferita a una università come questa che non ha solo come aggettivo accessorio la qualifica di "cattolica". Il rettore ha sottolineato nelle parole del Papa il richiamo insistente alla ragione, a "quel Dio che è Ragione Creatrice e al contempo Ragione Amore". Ha inoltre citato la parte conclusiva del discorso quando Benedetto XVI afferma che "Il pericolo del mondo occidentale (...) è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. (...) Se però la ragione (...) diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita (...) Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma". Queste parole di Benedetto XVI per Ornaghi hanno un grande valore nel contesto universitario dove non solo si ricerca, si insegna e si studia ma spesso ci si chiede che cosa debba fare davvero l'Università, una istituzione il cui compito non è certo quello di scomporre bensì di contribuire a comporre.
"Strepitoso, folgorante e intellettualmente ironico": così Ferrara, ha definito l'inizio del discorso del Papa. Questo - ha aggiunto - nonostante le circostanze imbarazzanti che hanno impedito a Benedetto XVI, benché invitato a pronunciarlo, di essere presente. Circostanze determinate da proteste che si fondavano su una interpretazione equivoca e fondamentalmente sbagliata di una conferenza del Papa su Galileo Galilei.
Un discorso degno di un grande professore, di un grande teologo, di un grande filosofo e uomo di scienza, intendendo per scienza anche ma non soltanto la teologia; un grande discorso di libertà e razionalità in un luogo che per un momento aveva abbandonato i principi laici dell'accoglienza e della libertà di parola.
Il discorso del Papa, invece, inizia proprio con un omaggio all'università laica e alla sua autonomia. Una università che - afferma Benedetto XVI - deve essere legata esclusivamente all'autorità della verità.

Il Papa parla in quanto vescovo di Roma "sorvegliante" e pastore di una comunità di credenti che vive nel mondo, una Chiesa pellegrina, una Chiesa in cammino che non è del mondo, ma è nel mondo. Questo del Papa evidentemente non è un discorso da professore a professore; è invece un discorso del Vescovo di Roma, del Pontefice, un discorso fatto in questa veste propria a una istituzione laica nella sua autonomia e con rispetto della sua natura, che si basa esclusivamente sull'autorità della verità.

Il Papa esprime la grande istanza della fede: credere nel vero uomo e vero Dio, nel suo messaggio e nella sua resurrezione. Per questo Benedetto XVI si pone anche come una "voce della ragione etica dell'umanità". Il Papa cita John Rawls. Questo filosofo contemporaneo esclude la possibilità di assorbire integralmente un complesso di fede religiosa nella ragione pubblica, ma avverte che non si può fare a meno del "fondo storico dell'umana sapienza" che è incorporato nella religione, nella Chiesa e nella comunità di fede.
Giuliano Ferrara ha rilevato, inoltre, come il Papa, parlando della disputa sul rapporto teoria e prassi, abbia fatto riferimento al concetto medioevale di università articolata in quattro Facoltà. Passando al presente, ha aggiunto citando ancora il Papa, "è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell'uomo". È in questo passaggio - sottolinea Ferrara - che Benedetto XVI fa riferimento a Jürgen Habermas quando dice che "la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti". Riguardo a questa "forma ragionevole" il Papa annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità (...) È detto bene ma è cosa molto difficile a trasformarsi in una prassi politica".
L'arcivescovo Ravasi si è dichiarato "imbarazzato" dovendo intervenire dopo la glossa al testo del Papa di Giuliano Ferrara che, ha sottolineato, ne ha centrato la sostanza. Il tema affrontato da Ravasi è quello della università come legata esclusivamente all'autorità della verità. In un'altra citazione tratta dal discorso si dice che l'intima origine dell'università sta nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Questo è un punto di partenza valido sia per il non credente sia per il credente.
Poi partendo dalla frase di Agostino intellectum valde ama (ama fortemente l'intelletto) e nella scia di questa brama di conoscenza, Socrate afferma il dissolvimento della nebbia della ragione mitologica, falsa ragione per far posto a quella scoperta di Dio che è ragione creatrice e al contempo ragione amore.
Anche il non credente sa che esiste un itinerario che non è quello della ragione formale, razionalità in senso tradizionale. Chi si innamora vive una esperienza che ha una logica profonda analoga a quella della poesia. La logica dell'amore è alla fine di un percorso che fa parte della brama di conoscenza che non è identificabile semplicemente con la ragione creatrice. Dissolvendo il velo delle ambigue ragioni, è indispensabile riuscire a ritrovare la vera ragione.
Quindi la verità va conquistata sia attraverso la ragione-creatrice sia con la ragione-amore. Ravasi ha citato Hobbes per quello che ha scritto al capitolo ventiseiesimo del Leviatano: Auctoritas, non veritas, facit legem, in riferimento al positivismo del diritto legislativo. Il Papa, ha aggiunto Ravasi, ricorda che "la verità non è soltanto teorica. Agostino, nel porre una relazione tra le Beatitudini del Discorso della montagna e i doni dello spirito menzionati in Isaia, ha affermato una reciprocità tra scientia e tristitia: il semplice sapere, dice, rende tristi". Quindi l'importanza di Veritas et Amor, verità e bontà, la caratteristica del messaggio cristiano. Verità che è cibo sia alla ragione logica sia a quella che ama. Per questo motivo Benedetto XVI fa una analisi dell'università medioevale che con le sue quattro facoltà - medicina, giurisprudenza, filosofia, teologia - teneva insieme in un nodo d'oro la diversità e la complessità della realtà. Orizzontalità e verticalità si incontrano sempre a costituire il concetto di verità.

(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2008)

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Ouellet: nel Sinodo dialogo e missione

Verso l’assemblea dei vescovi di ottobre. Parla il relatore generale

DI GIANNI CARDINALE

Il 2008 è un anno importante per il Québec e per il suo primate, il cardinale Marc Ouellet. Dal 15 al 22 giugno infatti la capitale del Canada francofono ospiterà il 49° Congresso eucaristico internazio­nale. Lo scorso 12 gennaio, poi, il porporato sulpiziano poi è stato nominato dal Papa relatore gene­rale del 12° Sinodo dei vescovi che si celebrerà a Roma dal 5 al 26 ot­tobre prossimi sul tema «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa».
Senza contare che la città di Québec festeggia proprio quest’anno i 400 anni dalla sua fon­dazione. Ce ne è abbastanza, in­somma, per porre alcune doman­de al porporato che è stato allievo del teologo Hans Urs von Baltha­sar.

Eminenza, siamo sempre più vici­ni alla celebrazione del Congresso eucaristico internazionale. Come procedono i preparati­vi?

La preparazione è a buon punto e anche le adesioni sono già a un buon livello. Spero vi­vamente che queste si moltiplichino ancora, soprattutto dalla cara Italia.

Lei ha annunciato, a malincuore, che Bene­detto XVI non parteciperà perso­nalmente all’evento.

Certamente avevamo sperato che ciò potesse avvenire. Ma l’agenda del Pontefice per questo 2008 è già molto fitta di impegni piuttosto gra­vosi. Ad aprile sarà negli Stati Uni­ti per una visita al Palazzo di Vetro dell’Onu e a luglio in Australia per la giornata mondiale della gio­ventù. Forse era un po’ troppo da parte nostra sperare che potesse sobbarcarsi un altro viaggio inter­continentale. Certo, sarebbe stato bello ospitare il vescovo di Roma, il nostro Papa, a Québec, città fon­data nel 1608 lungo le rive del fiu­me San Lorenzo, proprio nell’anno giubilare in cui si festeggiano i 1750 anni dal supplizio del più romano dei santi martiri venerati dalla Chie­sa cattolica!

Sarà comunque previsto qualche collegamento con Roma durante il Congresso eucaristico?

Intanto il Papa invierà a rappre­sentarlo un cardinale legato. Cre­do che faremo in modo che il Papa sia comunque pre­sente alla messa fi­nale del Congresso eucaristico. Magari con un collegamen­to via satellite in cui possa pronunciare l’omelia. In Canada tra i nostri fedeli, ma non solo, c’è molta attesa per quello che il Papa potrà dire.

Il Canada è un Paese multiconfes­sionale. Il Congresso eucaristico a­vrà anche una dimensione ecu­menica?

Certamente avrà implicazioni ecu­meniche: ho già chiesto al Pontifi­cio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani di predi­sporre un elenco di personalità del­le Chiese e delle comunità cristia­ne non cattoliche da invitare uffi­cialmente. Spero in una loro pre­senza qualificata anche perché il Congresso eucaristico sarà antici­pato, dall’11 al 13 giugno, da un im­portante simposio teologico che impreziosirà l’evento.

Oltre per il Congresso eucaristico lei è impegnato anche per la cele­brazione del prossimo Sinodo dei vescovi che si celebrerà qui a Ro­ma a ottobre sul tema «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa». Come ha accolto la nomina a relatore generale?

Sono ovviamente rimasto com­mosso della benevolenza che il Pa­pa ha manifestato nominandomi a questo incarico, anche se questo aumenterà il lavoro. Ma si tratta di un Sinodo importante che sta già suscitando una attesa enorme nel­la Chiesa cattolica e anche tra le al­tre confessioni cristiane.

Quindi si tratterà di un Sinodo dal­la forte caratterizzazione ecume­nica.

Certamente. E speriamo che possa contribuire all’avvicinamento tra Roma e le altre Chiese e comunità cristiane. Sarebbe bello se fosse co­sì. Anche perché fu anche a causa dell’interpretazione delle Scritture che ci fu la tragica separazione del­la Riforma. Ma sarà un Sinodo che avrà come scopo anche il rilancio della dimensione missionaria del­la Chiesa. La Parola di Dio è desti­nata a tutti gli uomini.

Quali sono i nodi problematici che il Sinodo potrebbe affrontare?

Un primo punto che potrà essere certamente chiarito, riguarda la di­stinzione, che bisogna sempre ave­re ben presente, tra la Scrittura, che è una testimonianza, e la Parola vi­va di Dio, che è Gesù Cristo risorto e presente nella sua Chiesa princi­palmente nei sacramenti. Una que­stione su cui il Sinodo dovrà cerca­re di dare una parola chiarificatrice riguarda poi la questione dell’in­terpretazione delle Sacre Scritture. Interpretazione che non può esse­re solo individuale ma che deve es­sere sempre confrontata con la tra­dizione vivente della Chiesa. Inter­pretazione poi che deve far sempre tesoro della ricerca scientifica degli esegeti, ma che allo stesso tempo non deve porsi in concorrenza e opposizione al magistero.

Eminenza, lei negli ultimi mesi si è trovato in prima linea nel suo Paese ad affrontare la decisione presa dal governo della provincia del Québec di sostituire la classica ora di religione confessionale con un’ora di etica e cultura religiosa obbligatoria e uguale per tutte le scuole, statali e private. A che pun­to è la situazione?

La legge cui lei fa riferimento do­vrebbe entrare in vigore dal pros­simo anno scolastico. Per fortuna ci sono delle forze politiche che hanno già chiesto di rinviare l’ap­plicazione di un anno perché il cor­so imposto non sarebbe piena­mente rispettoso delle radici cri­stiane, e cattoliche, del Québec. In effetti è proprio così. Lo Stato non può arrogarsi il diritto di interpre­tare il fenomeno religioso e di im­porre una propria visione di esso. Così facendo viola il diritto delle fa­miglie e della Chiesa. Si tratta, a mio avviso, di una violazione della li­bertà religiosa, di un atto totalita­rio in nome di quella che ho defi­nito una dittatura del relativismo. A marzo ci sarà l’assemblea gene­rale di tutti i vescovi del Québec. Spero che nell’occasione ci sarà un pronunciamento chiaro e netto di tutto l’episcopato.

© Copyright Avvenire, 31 gennaio 2008

Ricordi d'infanzia a Tittmoning (video del sito Benoît et moi)

Segnaliamo questo bellissimo video inserito nel sito Benoît et moi. Il Papa parla in tedesco ma Béatrice ha fornito una traduzione in francese molto comprensibile.

Souvenirs d'enfance à Tittmoning

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Sconfitta per nostra democrazia che ha ceduto a intolleranti

Città del Vaticano, 31 gen. (Apcom) - "La nostra democrazia ha rivelato di non essere in grado di sopportare neppure una piccola frazione di conflitto così ridotta, e si è ceduto agli 'intolleranti'".
Il caso della mancata visita del Papa alla 'Sapienza' sembra non avere la parola fine. Questa volta se ne discute sul numero di 'Civiltà Cattolica', il quindicinale dei gesuiti le cui bozze sono riviste in Segreteria di Stato prima della pubblicazione.

"Il Papa 'non è andato' all'università La Sapienza": questo il titolo dell'editoriale della rivista che parla di "increscioso episodio" della Sapienza.

I gesuiti riportano i fatti a partire dall'Angelus del 20 gennaio, sottolineando in negativo il fatto che un simile episodio si sia verificato proprio in una Università.

"Purtroppo - scrivono i gesuiti - riemerge dalle ceneri un 'fuocherello' mai sopito in Italia, che ogni giorno sembra ampliarsi: l'anticlericalismo e il laicismo fondamentalista". "L'episodio della 'Sapienza' ha squalificato la laicità autentica, facendola apparire intollerante e incapace di dialogare". In tal senso, "non si può tacere una considerazione sulla democrazia in vigore in Italia" che "ha rivelato di non essere in grado di sopportare neppure una piccola frazione di conflitto" e ha "ceduto agli 'intolleranti'".

Non si puo' e non di deve archiviare il "caso Sapienza" come se nulla fosse...
R.

SEGNALAZIONE BELLISSIMO SITO FRANCESE SUL PAPA: "BENOIT ET MOI"

Cari amici, Luisa ci segnala un bellissimo sito in francese interamente dedicato a Benedetto XVI. Mi piace moltissimo. Faccio i miei più grandi complimenti a Béatrice per il grande e bellissimo lavoro.

Benoît et moi

Questo sito verra' inserito fra i preferiti del blog :-)
Raffaella

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Non è vero progresso se la scienza non rispetta la dignità di ogni uomo: così, Benedetto XVI nell’udienza alla Plenaria della Dottrina della Fede. Il Papa si sofferma anche su ecumenismo e evangelizzazione

Un discorso appassionato sulla dottrina della Chiesa e l’ecumenismo, sui principi dell’evangelizzazione, ma anche sulle sfide poste ai cristiani dai progressi delle tecnologie biomediche. E’ quello rivolto stamani da Benedetto XVI nell’udienza ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione della Dottrina della Fede. Un intervento a tutto campo, quello del Papa, che ha ribadito come il ministero del Successore di Pietro sia primariamente in funzione dell’unità di fede. A rivolgere l’indirizzo d’omaggio al Papa è stato il cardinale prefetto William Levada. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Nella formazione della loro coscienza”, i cristiani “devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa”, che è “maestra di verità” per volontà di Cristo: Benedetto XVI cita il documento conciliare "Dignitatis Humanae" per ribadire quali siano gli orientamenti che i fedeli devono seguire anche di fronte ai problemi difficili e complessi posti oggi dalla bioetica. Il Magistero della Chiesa, rassicura il Papa, “non può e non deve intervenire su ogni novità della scienza, ma ha il compito di ribadire i grandi valori in gioco e di proporre” a tutti gli uomini di buona volontà dei principi etico-morali:

“I due criteri fondamentali per il discernimento morale in questo campo sono a) il rispetto incondizionato dell’essere umano come persona, dal suo concepimento fino alla morte naturale, b) il rispetto dell’originalità della trasmissione della vita umana attraverso gli atti propri dei coniugi”.

Il Papa ha così ricordato che dopo la pubblicazione nel 1987 dell’Istruzione Donum Vitae, che aveva enunciato tali criteri, molti hanno criticato il Magistero della Chiesa, “denunciandolo come se fosse un ostacolo alla scienza e al vero progresso dell’umanità”. Tuttavia, è stata la sua riflessione, “i nuovi problemi connessi, ad esempio, con il congelamento degli embrioni umani, con la riduzione embrionale, con la diagnosi pre-impiantatoria, con le ricerche sulle cellule staminali embrionali e con i tentativi di clonazione umana, mostrano chiaramente come, con la fecondazione artificiale extra-corporea, sia stata infranta la barriera posta a tutela della dignità umana”:

“Quando esseri umani, nello stato più debole e più indifeso della loro esistenza, sono selezionati, abbandonati, uccisi o utilizzati quale puro 'materiale biologico', come negare che essi siano trattati non più come un 'qualcuno', ma come un 'qualcosa', mettendo così in questione il concetto stesso di dignità dell’uomo?”.

Certamente, ha proseguito, “la Chiesa apprezza e incoraggia il progresso delle scienze biomediche che aprono prospettive terapeutiche finora sconosciute, mediante, ad esempio, l’uso delle cellule staminali somatiche oppure mediante le terapie volte alla restituzione della fertilità o alla cura delle malattie genetiche”. Apprezzamento accompagnato da una chiarificazione sul ruolo della Chiesa:

“Essa sente il dovere di illuminare le coscienze di tutti, affinché il progresso scientifico sia veramente rispettoso di ogni essere umano, a cui va riconosciuta la dignità di persona, essendo creato ad immagine di Dio, altrimenti non è un vero progresso”.

Una parte importante del suo discorso, il Papa l’ha dedicata alla dottrina della Chiesa e all’evangelizzazione. Benedetto XVI ha preso spunto da due documenti pubblicati dalla Congregazione della Dottrina della Fede nel 2007, contenenti, ha detto, precisazioni necessarie per lo svolgimento corretto del dialogo ecumenico e del dialogo con le religioni e le culture del mondo. Il primo documento su alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa, ha affermato, ripropone “l’insegnamento del Concilio Vaticano II” e conferma che “l’una e unica Chiesa di Cristo ha la sua sussistenza, permanenza e stabilità nella Chiesa cattolica”. Il Documento, ha aggiunto, richiama inoltre l’attenzione “sulla differenza che ancora permane tra le diverse confessioni cristiane nei riguardi della comprensione dell’essere Chiesa in senso propriamente teologico”:

“Ciò, lungi dall’impedire l’impegno ecumenico autentico, sarà di stimolo perché il confronto sulle questioni dottrinali avvenga sempre con realismo e piena consapevolezza degli aspetti che ancora separano le Confessioni cristiane, oltre che nel riconoscimento gioioso delle verità di fede comunemente professate e della necessità di pregare incessantemente per un cammino più solerte verso una maggiore e alla fine piena unità dei cristiani”.

Ed ha aggiunto che “coltivare una visione teologica” secondo cui “la Chiesa esisterebbe di fatto in molteplici configurazioni ecclesiali, riconciliabili soltanto in prospettiva escatologica, non potrebbe che generare un rallentamento e ultimamente la paralisi dell’ecumenismo stesso”. Il Pontefice ha così rivolto il pensiero alla Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, pubblicata nel dicembre scorso. A fronte del “rischio di un persistente relativismo del dialogo tra le religioni e le culture”, ha avvertito, “la Chiesa, nel tempo del dialogo tra le religioni e le culture, non si dispensa dalla necessità dell’evangelizzazione e dell’attività missionaria verso i popoli”. Allo stesso tempo, ha ribadito, non “cessa di chiedere agli uomini di accogliere la salvezza offerta a tutte le genti”:

“Il riconoscimento di elementi di verità e bontà nelle religioni del mondo e della serietà dei loro sforzi religiosi, lo stesso colloquio e spirito di collaborazione con esse per la difesa e la promozione della dignità della persona e dei valori morali universali, non possono essere intesi come una limitazione del compito missionario della Chiesa, che la impegna ad annunciare incessantemente Cristo come la via, la verità e la vita”.

Dal canto suo, il cardinale Levada ha affermato che nella Plenaria, in vista di un eventuale Documento, sono state esaminate le questioni della bioetica “per trovare una conveniente soluzione morale, alla luce dei principi generali dell’antropologia cristiana”.

© Copyright Radio Vaticana

La Chiesa incoraggia il progresso scientifico ma sente il dovere di illuminare le coscienze affinchè esso sia rispettoso di ogni essere umano

Clicca qui per leggere l'importante discorso del Santo Padre ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede.

CHISSA' CHE COSA SCRIVERANNO I GIORNALI...

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Il pregiudizio contro la verità

Chi nega il fondo di saggezza che le religioni portano alla ragione pecca contro la laicità: ieri a Roma un confronto fra monsignor Ravasi e Giuliano Ferrara. Ornaghi: «Dalla lectio del Papa un invito a riflettere» Il pregiudizio contro la verità

DA ROMA MIMMO MUOLO

La prima parola chiave è «pre­venzioni ». La seconda «verità».
Miscelandole, monsignor Gianfranco Ravasi conia quella che si potrebbe definire la «morale» del­la brutta vicenda che ha costretto il Papa a rinunciare alla visita all’uni­versità 'La Sapienza'. Argomenta, infatti, il presidente del Pontificio Consiglio per la cultura: «Questa vi­cenda ci deve spingere a superare le prevenzioni della nostra epoca nei confronti della verità».
Il che signifi­ca «uscire dal sospetto che la verità sia una cappa che ci sta sopra e non una meta di luce da raggiungere».

Benedetto XVI questo l’ha mostrato con chiarezza nel discorso inviato al rettore Renato Guarini. Dunque, conclude il vescovo, «il suo è un in­vito a intraprendere il cammino che porta a quella meta, perché una vi­ta senza la ricerca della verità non mette conto di essere vissuta».

Ravasi è intervenuto, ieri pomerig­gio, insieme con il direttore de Il Fo­glio Giuliano Ferrara, al primo dei due colloqui organizzati dall’Uni­versità Cattolica del Sacro Cuore sul discorso del Pontefice alla 'Sapien­za'. Un incontro, svoltosi nella sede della Facoltà di Medicina a Roma e moderato (come del resto lo sarà an­che il secondo in programma a Mi­lano lunedì prossimo) dal rettore magnifico Lorenzo Ornaghi.
Il qua­le nella sua introduzione non ha mancato come il testo di Benedetto XVI sia davvero contro corrente. «In un’epoca come la nostra che si fer­ma alla superficie dei fenomeni e non si interessa più all’essenza del­le cose, un’epoca in cui sappiamo più distinguere il giusto dall’ingiu­sto, il vero da ciò che non lo è, il Pa­pa invita a riflettere».
E il suo invito è particolarmente importante per l’università nel suo complesso, che «Benedetto XVI esorta a riprendere un’opera di composizione del sape­re, anziché contribuire a scompor­lo ».

Il successivo dibattitto tra Ravasi e Ferrara ha visto un’ampia conver­genza proprio su questa necessità. Il vescovo e il giornalista si sono trovati innanzitutto d’accordo nell’indivi­duare il passaggio chiave del discor­so. Quello in cui il Papa invita a «non gettare nel cestino della storia delle idee», la sapienza delle grandi tradi­zioni religiose, che contribuisce a formare «il fondo storico dell’uma­na sapienza».

Il direttore de 'Il Fo­glio', ad esempio, dopo aver ricor­dato che la contestazione è nata da «un’interpretazione equivoca e fon­damentalmente sbagliata di un vec­chio intervento del cardinale Rat­zinger, un 'super-professore' che sa benissimo cos’è il mondo universi­tario », ha definito il suo discorso alla 'Sapienza' «strepitoso, folgoran­te e anche intellettualmente ironi­co, specie nell’affermazione di par­tenza, in cui il Pontefice rende o­maggio all’università laica, alla sua autonomia, che deve essere legata esclusivamente alla verità».

La «perla» di tutto l’intervento, se­condo Ferrara, è però quella in cui «Joseph Ratzinger denuncia il rischio di un Occidente che tende a esclu­dere in maniera sistematica e pre­ventiva il ricorso a quel 'fondo sto­rico dell’umana sapienza' che è la fede come esperienza concreta».

Ri­nuncia «poco coraggiosa», che di­venta anche «un pericolo», in quan­to «si può risolvere nella mancanza di volontà a collaborare insieme al­la ricerca della verità».

Ciò ha delle ripercussioni in ambito politico, che Ferrara ha sottolineato in riferimento all’esperienza con­creta di Zapatero. «Il suo modo di governare – ha detto – costituisce l’inveramento storico-politico del­l’esclusione del ricorso al 'fondo sto­rico dell’umana sapienza'». «Non solo si fa ciò che dice la maggioran­za, ma questa volontà maggioritaria diventa anche misura del vero e del giusto».

Per Ferrara, invece, la strada indica­ta da Benedetto XVI nella conclu­sione del suo discorso può offrire u­tili spunti anche a chi non crede. «Ve lo dico da laico – ha concluso – Quel­la di Cristo è una luce che illumina il cammino non solo per chi ha den­tro di sé la fede, ma anche per non possiede questo tesoro».
Anche per Ravasi punto nodale del­la riflessione di Benedetto XVI è quello in cui il Papa ricorda che «il vero concetto di ragione non è e­sauribile nella sola logica formale». «Esiste una Ragione-creatrice che è al contempo RagioneAmore. E an­che la logica dell’amore fa parte del­la brama di conoscenza, che il Be­nedetto XVI ha ricordato essere 'la vera, intima origine dell’università'».

Non solo. Citando Platone, il presi­dente del Pontificio Consiglio per la cultura, ha fatto notare che esiste an­che una logica estetica, che la verità contiene in sé la bellezza e che la ri­cerca della verità diviene anche ar­te e poesia.

Benedetto XVI, dunque, «contraria­mente alla cultura filosofica domi­nante – secondo cui la verità è una questione di retroguardia o, come afferma Michel Foucault, è «paraliz­zante e impositiva» – propone di ri­portare questo tema dentro l’uni­versità ». Perciò, ha notato ancora Ravasi, «il ritorno alla cultura greca è un dato fondamentale del suo ma­gistero, in quanto il Papa sa che quel­la cultura ha creato tutte le regole per far sì che la ragione si orienti ver­so la luce che ci trascende e che sem­pre ci interpella». La prova? Ancora una volta Platone, secondo cui «il ci­bo profondo dell’anima e della stes­sa ragione sta proprio nella pianura della verità, verso cui bisogna met­tersi in cammino come se fosse un pellegrinaggio».

© Copyright Avvenire, 31 gennaio 2008