30 settembre 2008

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Ampio reportage sul NEW YORK TIMES

Francia, le musulmane nelle scuole cattoliche per indossare il velo

Migliaia i giovani di fede islamica che frequentano istituti cattolici per aggirare la legge sulla laicità

Francesco Tortora

MARSIGLIA (Francia)

Frequentare una scuola cattolica per indossare il velo islamico. In Francia sono ormai decine di migliaia le ragazze musulmane che studiano in istituti cattolici privati per aggirare la legge sulla laicità dello Stato che vieta di ostentare simboli religiosi nelle scuole pubbliche francesi.
Il New York Times dedica un ampio reportage a questo crescente fenomeno e sottolinea che le giovani musulmane scelgono gli istituti cattolici proprio perché qui sono tollerati tutti i simboli religiosi, anche quelli appartenenti a religioni diverse da quella cattolica romana.

CIFRE

La maggior parte degli studenti, in alcuni istituti privati cattolici, è di religione musulmana. Addirittura nel collegio di St. Mauront, a Marsiglia, la presenza di alunni di fede islamica raggiunge la percentuale record dell'80%. Gli istituti musulmani in Francia sono solo quattro e per questo le 8.847 scuole cattoliche sono diventate l'ultimo rifugio per quei tanti musulmani che considerano la legge sulla laicità dello Stato qualcosa di ingiusto e liberticida. Secondo le statistiche diffuse dagli insegnanti francesi oggi le scuole cattoliche transalpine sono frequentate da circa due milioni di ragazzi: oltre il 10% degli studenti sono di religione musulmana.

TOLLERANZA

Gli alunni di origine musulmana che frequentano la scuola cattolica di St. Mauront si dichiarano felici di non studiare in un istituto pubblico: «Qui almeno c'è rispetto per la nostra religione» taglia corto Nadia, studentessa di 14 anni di origine algerina. «Nelle scuole pubbliche non potrei mai indossare il velo». Anche gli esponenti del mondo religioso musulmano fanno notare le contraddizioni insite nella scuola francese. «La laicità è diventata la religione di Stato e la scuola repubblicana il suo tempio» afferma Imam Soheib Bencheikh, ex Gran Muftì di Marsiglia e oggi fondatore dell'Istituto di Alti Studi Islamici. «È ironico, ma oggi la Chiesa Cattolica è molto più tollerante dello Stato francese quando si parla di Islam» conclude Bencheikh che ha una figlia che frequenta una scuola cattolica.
Gli istituti cattolici in Francia hanno un costo relativamente basso rispetto ai collegi privati delle altre nazioni: in media i genitori spendono 1400 euro per le scuole medie inferiori e 1800 euro per quelle superiori.

LIBERTÀ RELIGIOSA

Jean Chamoux, direttore dell'istituto di St. Mauront, lavora in questa scuola da circa 20 anni: «A differenza della scuola pubblica noi crediamo nella libertà religiosa» afferma il preside. «Se proibissi alle ragazze di portare il velo, la metà degli studenti che oggi sono in queste classi non andrebbe a scuola. Preferisco averli qui, parlare con loro e spiegare che esse sono ragazze fortunate perché possono scegliere». Naturalmente anche nel collegio di St. Mauront non regna sempre l'armonia. È lo stesso preside Chamoux a confessare che probabilmente una minoranza delle studentesse è costretta dai genitori a portare il velo. Inoltre quando vi sono le lezioni di nuoto, tanti familiari fanno rimanere a casa le proprie figlie per evitare che mostrino parti del corpo o che nuotino in piscina con dei ragazzi.

Infine Chamoux sottolinea che anche le libertà religiose hanno un limite: quando gli studenti musulmani gli hanno chiesto di togliere dalla classe il crocifisso per poter pregare «liberamente» durante i giorni del Ramadan, egli non ha voluto sentire ragioni e non ha mosso dalla parete il simbolo cristiano.

CRITICHE

Le considerazioni dei fautori del secolarismo sono totalmente diverse da quelle del preside Chamoux. Secondo costoro bisognerebbe rafforzare ulteriormente lo spirito laico dello Stato affinché alcuni dei valori occidentali quali il rispetto della donna e le libertà personali continuino ad essere principi inviolabili: «Il velo è un simbolo sessista e attesta la sottomissione della donna all'uomo» afferma Xavier Darcos, ministro dell'educazione francese. «Nella nostra scuola repubblicana non vi può essere posto per la discriminazione sessuale».

© Copyright Corriere della sera, 30 settembre 2008 consultabile online anche qui.

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Intervento delle Conferenze episcopali del continente sull'aggravarsi della situazione

La Chiesa in Asia preoccupata per le violenze anticristiane in India

New Delhi, 30.

Si va sempre più aggravando l'ondata di attacchi nei confronti della comunità cristiana in India e i presuli del Paese, cui si sono uniti anche quelli dell'intero continente asiatico, esprimono profonda preoccupazione per la difficile situazione. In particolare modo nello Stato dell'Orissa si sono registrate negli ultimi giorni diverse violenze: ben centonove abitazioni e tre chiese sono state danneggiate o distrutte dai fondamentalisti indù, nel solo distretto di Kandhamal. Inoltre i cadaveri di tre persone sono stati trovati nel fiume che attraversa la zona. I corpi sono quelli di una coppia e di una donna che erano scomparsi dopo aver distribuito del vaccino agli abitanti di un villaggio. Una fonte sottolinea che "la situazione è insostenibile e che c'è un vero e proprio progetto sistematico per eliminare la vita cristiana, uccidendo persone e distruggendo proprietà". Una dozzina di feriti è, infine, il bilancio di scontri tra cristiani e indù avvenuti nel villaggio di Rudangia, rende noto la Reuters.
In un messaggio l'arcivescovo di Cotabato e segretario generale della Federazione delle Conferenze episcopali dell'Asia (Fabc), Orlando B. Quevedo, dichiara che i presuli "sono profondamente preoccupati per i molti atti di violenza perpetrati ai danni della Chiesa cattolica in India, contro sacerdoti, religiosi, laici, strutture, luoghi e oggetti sacri". E specifica: "Siamo ugualmente preoccupati per le sofferenze degli altri cristiani: leggiamo ogni giorno di uccisioni e distruzioni". Poi aggiunge: "Come è tragica oggi l'immagine di quello che una volta era un Paese di grande armonia e tolleranza religiosa, rovinata da una minoranza di estremisti". E conclude invocando: "Preghiamo il Dio dell'amore e della pace, attraverso l'intercessione della Beata Vergine Maria, affinché la violenza possa fermarsi e tutti coloro che sono inclini a essa possano tornare sui propri passi e scoprire il giusto cammino verso una relazione pacifica e armoniosa con i propri fratelli e sorelle cristiani".
Il messaggio, inoltre, rivolge un forte appello alle autorità governative perché fermino le aggressioni e condannino i responsabili.
L'intervento dei vescovi asiatici giunge in un momento in cui gli attacchi da sporadici sono diventati sistematici, quasi quotidiani e si sono estesi in vari Stati, coinvolgendo, oltre all'Orissa, il Kerala, il Karnataka, l'Andra Pradesh, il Madhya Pradesh, il Chattisgarh e il Tamil Nadu. Da parte sua la Conferenza episcopale in India (Cbci) ha diffuso un ulteriore appello. I presuli si dicono "scioccati e preoccupati per gli episodi di estrema violenza contro i cristiani" e esprimono disappunto "per l'apatia e l'indifferenza del Governo, a livello centrale e nei singoli Stati".
Secondo l'assemblea "l'antica civiltà dell'India viene umiliata e i suoi valori di verità, tolleranza e rispetto, gelosamente preservati per secoli, vengono calpestati".
I presuli fra l'altro avanzano precise richieste: a partire da misure forti, come l'immediato contrasto ai fondamentalisti, che devono essere banditi e fermati come "terroristi"; la compensazione alle chiese cristiane per le violenze subite; l'individuazione e il processo dei responsabili. Si ribadiscono poi i diritti costituzionali di cui godono i cittadini indiani di fede cristiana, come tutti gli altri cittadini della nazione. Infine si ricorda l'esempio della Chiesa, rilevando la risposta delle comunità cristiane aggredite, sempre improntata alla non violenza, alla pace e al perdono.
Gli attacchi alla comunità hanno creato comunque un clima di accesa tensione in molti villaggi rurali, le aree preferite dai fondamentalisti per contrastare i cristiani. La comunità è infatti accusata, tra l'altro, di fare proselitismo soprattutto nelle zone più remote della nazione, dove maggiore è la presenza di tribali e dalit.
Il vescovo ausiliare di Bombay, Agnelo Rufino Gracias, in una sua recente analisi, ha ribadito che i cristiani sono attaccati per le conversioni. Per il presule, "i partiti fondamentalisti Vishawa Hindù Parishad (Vhp) e il Bajrang Dal (Bd), agitano in modo costante lo spettro delle conversioni" ma, replica, "se ci fossero migliaia di conversioni, il numero dei cristiani sarebbe altissimo e, invece, è l'opposto". L'analisi elenca alcuni dati a proposito e riferisce un calo dei cristiani a confronto con tutta la popolazione: due e sei per cento nel 1971; due e quarantaquattro per cento nel 1981; due e trentadue per cento nel 1991 e due e tre per cento nel 2001. La diminuzione, secondo il vescovo, è proseguita inoltre negli anni successivi.
Monsignor Gracias evidenzia altresì che il fatto che i governi degli Stati indiani non siano in grado di dimostrare alcun caso di conversione, è un segno ulteriore che l'accusa è soltanto una bugia; come anche il fatto che molti indù preferiscono mandare i loro figli nelle scuole cristiane per ricevere un'educazione più adeguata.

(©L'Osservatore Romano - 1 ottobre 2008)

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La Chiesa inviata nel mondo per servire e non per essere servita

La politica ha bisogno del cristianesimo

Pubblichiamo quasi integralmente l'intervento del cardinale segretario di Stato all'incontro "Il secolo delle fedi" che si tiene il 30 settembre a Roma, a palazzo De Carolis, in occasione della presentazione dell'ultimo numero della rivista "Aspenia", periodico trimestrale di politica internazionale dell'Aspen Institute Italia.

di Tarcisio Bertone

Non sono mai stato d'accordo con chi sostiene che la politica sia inutile, perché promette di costruire ponti anche dove non passa il fiume! Sono convinto, invece, che la politica sia necessaria. Ma credo che, per comunicare valori autentici, debba rispettare il "ponte" che collega ciascuno di questi valori con Dio.
Pertanto, il primo punto su cui desidero attirare l'attenzione del qualificatissimo pubblico di quest'incontro è che i valori, di cui la politica si nutre, ben difficilmente possono essere rispettati vivendo etsi Deus non daretur. Nella distinzione dei ruoli, la politica ha bisogno della religione; quando, invece, Dio è ignorato, la capacità di rispettare il diritto e di riconoscere il bene comune comincia a svanire.
Lo attesta l'esito tragico di tutte le ideologie politiche, anche di segno opposto, e mi pare che lo confermi l'odierna crisi finanziaria. Laddove si ricerca solo il proprio profitto, a breve termine e quasi identificandolo con il bene, si finisce per annullare il profitto stesso.
Esiste certamente un'etica "laica", come spesso si dice, ossia non ispirata alla trascendenza. Essa merita attenzione, rispetto e sovente concorre al bene comune. Essa, però, rischia talvolta di assomigliare a quel tale che voleva uscire dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli! In altre parole, non inspirandosi alla trascendenza finisce per essere più esposta alle fragilità umane ed al dubbio. Per questo motivo, nonostante nella nostra epoca si proclamino con particolare solennità i diritti inviolabili della persona, a queste nobili proclamazioni si contrappone spesso, nei fatti, una loro tragica negazione. Basti pensare alla povertà crescente, alla persistente imposizione di certi modelli culturali o economici, all'intolleranza.
In tale prospettiva, nel citato discorso il Santo Padre ha affermato: una "cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi" (Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12 settembre 2008).

In questa stessa linea, il Papa ha ricordato più volte che, se l'illuminismo era alla ricerca di fondamenti della morale validi etsi Deus non daretur, oggi dobbiamo invitare i nostri amici agnostici, anche quando si occupano della "cosa pubblica", ad aprirsi a una morale si Deus daretur. In assenza di un punto di riferimento assoluto, infatti, l'agire dell'uomo si perde nell'indeterminatezza e sovente finisce in balia delle forze del male.

Non bisogna poi dimenticare che, nelle odierne società multi-etniche e multi-confessionali, la religione costituisce un importante fattore di coesione fra i membri e la religione cristiana in particolare, con il suo universalismo, invita all'apertura, al dialogo ed all'armoniosa collaborazione.
Proseguendo nella riflessione, desidero aggiungere che la religione non è un rimedio, una sorta di "oppio" dei poveri. Nell'odierno mondo politico capita che questa convinzione si trovi tanto a destra come a sinistra. Non credo, invece, che il "ritorno a Dio" debba essere circoscritto a quelle società che stentano a decollare o a quelle che, al contrario, sembrano costrette a frenare.
All'origine della conversione di san Francesco, uno dei più grandi santi e dei più famosi italiani, non c'è una vita di stenti e di espedienti, quanto piuttosto di agi e di una certa dissolutezza. È vero che la ricchezza ed il benessere rappresentano anche una tentazione: quando è domenica e c'è il sole, chi ha una casa al mare ed una in montagna è tentato di andare là, piuttosto che in chiesa. Ma anche chi non le ha, spesso preferisce restare a dormire! Ciò che intendo dire è che, se la ricchezza o il potere costituiscono spesso una forte tentazione, perché è difficile gestirli senza attaccarvi il cuore, anche la povertà può spingere a fare a meno di Dio. In ogni modo, ricca o povera, influente o sconosciuta, ogni persona è fatta per Dio che non manca di seguirla e di attirarla a sé. Si ricordi il famoso assioma del grande sant'Agostino: "Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" (Confessioni, i, 1, 1).
Facciamo un passo ulteriore. Desidero, cioè, sottolineare che, per gestire la globalizzazione, la politica non necessita soltanto di un'etica ispirata alla religione, ma ha bisogno che tale religione sia razionale. Anche per questo, la politica ha bisogno del cristianesimo.
Fin dai suoi albori, infatti, alla luce della sua originaria novità, il cristianesimo ha assunto, elaborato ed approfondito il meglio della sapienza greca e romana, presentandosi proprio come la vittoria del pensiero umano sul mondo delle religioni del tempo. Nel cristianesimo, in un certo senso, la razionalità è divenuta religione, perché Dio non ha respinto la conoscenza filosofica, ma la ha assunta. San Giustino, dopo aver studiato tutte le filosofie, aveva trovato nel cristianesimo la vera philosophia. Era cioè convinto che, diventando cristiano, non aveva rinnegato la filosofia; anzi, proprio allora era diventato pienamente filosofo.
La forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione mondiale è consistita esattamente nella sua sintesi fra ragione, fede e vita. Questa combinazione, così potente da rendere vera la religione che la manifesta, è anche quella che può consentire alla verità del cristianesimo di risplendere nel mondo globalizzato e nel processo di mondializzazione.
A differenza di quanto sostengono alcuni politici e pensatori, il cristianesimo non si accontenta di mostrare la parte della faccia che Dio tiene rivolta verso l'Occidente, in quanto nella sua essenza esso è mondiale e, quindi, risponde perfettamente alle dinamiche dell'odierno mondo globalizzato. La fede cristiana, quindi, non è una specie di optional dell'Occidente, magari un po' superato, quanto piuttosto un tesoro per il mondo presente ed un investimento per quello futuro. Anzi, personalmente lo ritengo l'investimento migliore, perché è il più proficuo, quello che fruttifica per la terra e per il cielo!
Vale infine la pena di sottolineare che la fede cristiana e la razionalità secolare, consapevoli di essere alleate e protagoniste della cultura occidentale, potrebbero utilmente correlarsi con le altre grandi culture, nelle quali si identificano popolazioni anche più numerose di quella europea. Tale relazionalità, a sua volta, potrebbe aiutare a riscoprire o ad approfondire valori e norme presagiti da tutti gli uomini e consentire ad essi di conseguire nuova sorgente d'illuminazione e maggior forza operante. È evidente che tutto ciò aiuterebbe il compito specificamente politico d'indirizzo della globalizzazione.
È quindi del tutto opportuno, oltre che pienamente legittimo, che i cristiani partecipino al dibattito pubblico.
Altrimenti, argomenti e ragioni teiste e religiose non potrebbero essere invocati pubblicamente in una società democratica e liberale, mentre lo potrebbero gli argomenti razionalisti e secolari, con chiara violazione del criterio di eguaglianza e di reciprocità che sta alla base del concetto di giustizia politica.
La religione non è come il fumo, che si può tollerare in privato, ma che in pubblico deve essere sottoposto a strette limitazioni. Mi pare che questa consapevolezza si faccia strada nei dialoghi pubblicati sull'ultimo numero di "Aspenia", e ne sono particolarmente lieto, anche se riconosco che alcune considerazioni, di fatto, evocano ancora la convinzione contraria, un po' corrosa dal tempo e sfilacciata, ma che, come tutte le "bandiere", non è facile da "ammainare".
In ogni modo, "la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve restare ai margini nella lotta per la giustizia (Deus caritas est, 28).
Il cristianesimo conosce da sempre la distinzione fra la sfera religiosa e quella sociale e politica, in altre parole la sana laicità. L'ha scoperta addirittura prima dello stato. Infatti, molti dei primi cristiani furono martirizzati perché, pur insegnando il rispetto delle autorità civili, si rifiutavano di offrire incenso all'imperatore.
Nel suo recente discorso all'Eliseo, il 12 settembre corrente, il Santo Padre ha ricordato che "sul problema delle relazioni tra sfera politica e sfera religiosa Cristo aveva già offerto il criterio di fondo, in base al quale trovare una giusta soluzione. Lo fece quando, rispondendo ad una domanda che gli era stata posta, affermò: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio"" (Incontro con le Autorità dello Stato francese all'Elysée, 12 settembre 2008).
Consapevole di tale distinzione, il cristianesimo promuove valori che non si dovrebbe etichettare come "cattolici" e, quindi, "di parte", accettabili solo da chi condivide questa fede. La verità di quei valori, infatti, sta nella loro corrispondenza alla natura dell'uomo e, dunque, alla sua verità e dignità. Di conseguenza, chi li sostiene non ambisce un regime confessionale, ma è semplicemente consapevole che la legalità trova il suo ultimo radicamento nella moralità e che quest'ultima, per essere pienamente umana, non può che rispettare il messaggio proveniente dalla natura della persona, perché in essa è iscritto anche il suo "dover essere". Pertanto, quando la legge positiva è in armonia con la legge naturale, l'attività dell'individuo e della comunità rispetta la dignità umana ed i diritti fondamentali della persona e può evitare tutte quelle strumentalizzazioni che rendono l'uomo "miseramente schiavo del più forte", come ebbe a scrivere Giovanni Paolo ii nell'esortazione apostolica Christifideles laici (n. 5).
Solo nel rispetto di precise condizioni, il desiderio di giustizia e di pace che sta nel cuore di ogni uomo potrà trovare appagamento e gli uomini, da "sudditi", potranno diventare veri e propri "cittadini". In questa prospettiva, è ancora attuale la lezione del poeta francese Charles Péguy, per cui la democrazia o è morale o non è democrazia.
In regime di democrazia, rispettare posizioni diverse è doveroso; fare proprie o appoggiare scelte e decisioni inconciliabili con la natura umana, è però una contro-testimonianza alla dignità della persona. In politica si deve spesso scegliere la strada possibile, anziché quella migliore; occorre tuttavia il coraggio di non imboccare ogni sentiero solo perché teoricamente percorribile.
È questa la prospettiva in cui collocare i ripetuti appelli del Papa e di tanti esponenti ecclesiali, in favore dei cosiddetti "valori non negoziabili". Mi riferisco alla promozione della vita umana, dal suo concepimento fino alla fine naturale, alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, all'educazione dei figli. La "non negoziabilità" di tali principi non dipende dalla Chiesa e dalla sua supposta intransigenza o, peggio, dalla sua chiusura mentale di fronte alla modernità; dipende, piuttosto, dalla natura umana stessa, a cui quei principi sono saldati. La natura umana non cambia con le maggioranze parlamentari e nemmeno con il passare del tempo, con il cambio di latitudine o di longitudine.
La frequenza degli interventi a tutela dei "valori non negoziabili" è determinata dall'assiduo riferimento a tali questioni nell'agenda politica odierna e dalla loro grande portata. Quando la politica cerca di sostituirsi alla natura dell'uomo, anziché difenderla, o quando il legittimo bilanciamento dei poteri e delle responsabilità dello Stato non viene rispettato ed in gioco c'è questa stessa natura, allora i pastori debbono intervenire: non per hobby o per prevaricazione; quanto, piuttosto, per difendere la dignità e, in ultima analisi, il bene della persona e della società, da manipolazioni facilmente presentate come liberazioni. Non si tratta, pertanto, di un'indebita ingerenza della Chiesa in un ambito che non le sarebbe proprio, ma di un aiuto per far crescere una coscienza retta ed illuminata e, perciò stesso, più libera e responsabile. Del resto, né la democrazia è la regola del "non disturbo", né la morale cattolica un utile instrumentum regni!
La Chiesa non insegue il plauso e la popolarità, perché Cristo la invia nel mondo "per servire" e non "per essere servita"; non vuole "vincere ad ogni costo", ma "convincere", o per lo meno "allertare" i fedeli e tutte le persone di buona volontà circa i rischi che corre l'uomo quando si allontana dalla verità su se stesso!

(©L'Osservatore Romano - 1 ottobre 2008)

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“Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”.
Questo il tema indicato ieri dal Papa per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, giunta alla 43.ma edizione, che sarà celebrata in Italia il 31 maggio 2009, mentre il messaggio del Santo Padre in vista della ricorrenza sarà reso noto - come di consueto - il 24 gennaio, festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Roberta Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali:


R. - Anzitutto, il Papa dà una lettura positiva di ciò che sta avvenendo. Vale a dire che le nuove tecnologie sono sostanzialmente utili per instaurare, per aumentare le nostre relazioni sociali. Qui, però, c’è un fenomeno che emerge ugualmente con una certa chiarezza: da un lato questi mezzi portano ad allentare i tradizionali confini geografici e culturali, dall’altro c’è il fatto che questi mezzi fanno perdere ai soggetti il senso del territorio in cui abitano o del gruppo sociale in cui operano. Lei pensi, ad esempio, al cellulare: il cellulare è diventato veramente una condizione quasi imprescindibile del nostro vivere. C’è la frenesia di essere connesso. Allo stesso tempo, però, siamo più preoccupati della connessione che non dei contenuti che possiamo dare attraverso queste relazioni che si instaurano. Ecco, allora, che il Papa, senza parlare di rischi o di limiti, propone questa problema in tono positivo e ci dice che proprio in queste relazioni, offerteci ampiamente dai nuovi mezzi di comunicazione, bisogna promuovere una cultura di dialogo, di rispetto, di amicizia.

D. - Nuove tecnologie, eccellenza, dalle quali - è vero - ci sentiamo spesso travolti e con la sensazione sovente di subirle. E’ forse, quindi, mancata fino ad oggi una riflessione seria da parte degli studiosi e degli stessi operatori della comunicazione?

R. - Sì. La Chiesa stessa è molto attenta a questo fenomeno. Abbiamo pensato che nel marzo prossimo inviteremo tutti i responsabili dei mezzi di comunicazione delle Conferenze episcopali per una settimana di studio, di approfondimento, per vedere insieme con professori del mondo accademico ed anche operatori dei media cosa queste realtà pongono come problematiche umane e quindi non solamente come ricchezza o come possibilità. La Chiesa, che è maestra di umanità, si domanderà che cosa fare, come essere presenti e, quindi, come disegnare le nuove prospettive di una pastorale ecclesiale dei mezzi di comunicazione.

D. - Eccellenza, lei crede che sia necessario anche vincere un certo timore verso i nuovi media?

R. - Il Papa ha uno sguardo positivo, di profondo apprezzamento per i media. Poi, è innegabile, dovremmo vedere come questi media pongono dei nuovi quesiti al nostro comportamento e qui, ancora una volta, riermergono le dimensioni antropologiche e le dimensioni etiche di questa nostra presenza nel campo dei media.

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Domenica prossima il Papa apre il Sinodo sulla Parola di Dio: intervista con il segretario generale, mons. Nikola Eterović (Radio Vaticana)


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Tutto è ormai pronto per l’apertura del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà dal 5 al 26 ottobre in Vaticano sul tema: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Benedetto XVI presiederà la Messa inaugurale domenica prossima alle 9.30 nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Partecipano all’evento 253 Padri sinodali, 41 esperti, 37 uditori, delegati fraterni di 10 Chiese e comunità ecclesiali. Ascoltiamo, in proposito, il segretario generale del Sinodo, mons. Nikola Eterović, intervistato da Isabella Piro:

R. - Il tema del Sinodo è "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa", dunque i Padri sinodali devono mettersi in ascolto religioso della Parola di Dio, riflettere su che cosa è la Parola di Dio, o meglio, Chi è la Parola di Dio, e per noi è Gesù Cristo: celebrare questa Parola nella vita della Chiesa, nella liturgia, nella preghiera, annunciarla nella catechesi, nell’evangelizzazione, celebrarla in altri Sacramenti, soprattutto nell’Eucaristia. E poi, annunciarla ai vicini e ai lontani, dunque essere inviati nel mondo, dove uno lavora, cominciando dalla propria famiglia, dall’ambiente sociale e anche, in senso proprio, in missione, nei Paesi e presso le persone e i popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, la Buona Novella.

D. - Ci saranno “presenze eccellenti”, possiamo dire, come il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I o il rabbino capo di Haifa, Cohen. Un segnale importante per il dialogo interreligioso…

R. - Senz’altro, perché con i fratelli ebrei noi condividiamo la stima, la venerazione nei riguardi della Sacra Scrittura. Le nostre radici provengono da là, e Gesù Cristo ci dà la chiave interpretativa anche delle Scritture, interpretando quello che i profeti, i patriarchi hanno detto nei suoi riguardi. Dunque, la presenza di un rabbino che ci spiegherà come gli ebrei celebrano la Parola di Dio per noi è importante. D’altra parte la Bibbia, insieme con il Battesimo, è uno dei punti che uniscono i cristiani, nonostante le divisioni. Quindi, la Parola di Dio è importante per tutti i cristiani, per tutte le Chiese, le comunità cristiane. Il rappresentante illustre delle Chiese ortodosse, il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, sarà presente, anche personalmente, in un incontro di preghiera e di riflessione sulla Parola di Dio nel ricordo di San Paolo, perché si tratta anche della commemorazione dell’Anno Paolino.

D. - In che rapporto si pone il Sinodo rispetto al Concilio Vaticano II?

R. - Il Sinodo è nato nell’ambiente del Concilio Vaticano II, il 15 settembre 1965, e il Concilio ha avuto fine l’8 dicembre dello stesso anno, così del Sinodo dei Vescovi si parla nei due documenti del Concilio Vaticano II. Poi, per noi è molto importante il legame con la Dei Verbum, la Costituzione dogmatica sulla Rivelazione: anche i documenti preparatori della’Assemblea sinodale, i Lineamenta e l’Instrumentum Laboris, fanno continuamente riferimento alla Dei Verbum. Bisogna dunque vedere com’è stato applicato questo grande documento del Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa.

D. - Qual è l’attenzione all’Africa, da parte del Sinodo dei Vescovi?

R. - Nel 2009, ci sarà la seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi; il Santo Padre, Benedetto XVI, insieme con la Chiesa, è molto attento alla Chiesa in Africa, piena di dinamismo, di grande crescita non solo quantitativa, ma anche qualitativa. Un segno è anche la presenza del segretario speciale nella persona dell’arcivescovo di Kinshasa, mons. Laurent Monsengwo Pasinya. L’Africa porta nuovo dinamismo, nuova vitalità a tutta la Chiesa - ovviamente anche con i suoi problemi - e penso che pure lì ci sarà uno scambio di doni: la Chiesa universale che riceve aspetti positivi della Chiesa in Africa, e la Chiesa universale che contribuisce anche alla Chiesa in Africa, nel crescere e nello svilupparsi in piena armonia cattolica.

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Fede e democrazia in una società dove lo Stato ha rinunciato al compito di educare i cittadini

Un kit di sopravvivenza per l'umanità

Il 30 settembre a Roma, a Palazzo De Carolis, in occasione della presentazione dell'ultimo numero della rivista "Aspenia" - pubblicazione trimestrale di politica internazionale dell'Aspen Institute - si svolgerà un incontro intitolato "Il secolo delle fedi" al quale parteciperanno il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, Massimo D'Alema, deputato e presidente della Fondazione Italianieuropei, e Giulio Tremonti, ministro dell'Economia e delle Finanze.
Sul tema del rapporto tra fede e politica pubblichiamo integralmente uno dei saggi contenuti nella rivista.


di Rémi Brague

Ci sono solo due elementi reali, per ora almeno, in questa tendenza al "ritorno della religione". Da una parte la presenza di una religiosità diffusa, talvolta un po' insensata o decisamente perversa. Chiunque è pronto a riconoscere che la religiosità è una dimensione fondamentale dell'uomo. E quindi essa non "ritorna" ma sussiste, nonostante i teorici della "secolarizzazione". I grandi gruppi religiosi tradizionali, come la Chiesa, avevano almeno il vantaggio di piegare la cosiddetta religiosità al controllo della ragione, se non altro perché proponevano qualcosa che usciva dal contesto del gruppo ristretto, della setta, per assumere un valore universale. Oggi, le sette proliferano.
D'altra parte, è indubbio che stiamo assistendo a un ritorno del discorso sulla religione. Un tema considerato più o meno osceno negli anni Sessanta e Settanta, che oggi viene non solo tollerato, ma è addirittura onnipresente nei mass media. Se ne parla nei toni più vari, con entusiasmo o con disprezzo. Ma è comunque interessante notare che la religione entra a far parte del discorso politico e che i politici osano finalmente parlarne. Tuttavia, la domanda legittima è se questo ritorno non sia che un semplice elemento ornamentale, di cui alcuni amano fra l'altro servirsi a mo' di spauracchio. In effetti, a fungere da contrappeso al ritorno del discorso sulla religione c'è un aspetto che costituisce un sintomo inquietante: in molti Paesi vengono pubblicati saggi che assegnano all'ateismo funzioni militanti, se non addirittura aggressive. Sono scritti che attribuiscono infatti alla "religione" o alle "religioni" le colpe di tutti i mali possibili dell'umanità. Pensavamo che questi toni appartenessero alla propaganda nazista contro gli ebrei e i cristiani, oppure ai libri dei "senza dio" nell'ex Urss. Non per niente nazismo e comunismo, come regimi, erano entrambi ferocemente atei e hanno finito per essere enormemente più distruttivi delle "religioni". Nel loro caso, la letteratura di propaganda antireligiosa ha aperto la strada a persecuzioni molto concrete. Dobbiamo aspettarci qualcosa di simile in Europa? Non saprei. L'unica cosa di cui sono certo è che non dobbiamo dimenticare anche questo tipo di "ritorno".
Un'ipotesi interessante collega questi fenomeni a una crisi interna della democrazia, che finirebbe per negare se stessa. Come regime politico, infatti, la democrazia starebbe attraversando una crisi di identità. Ma questi concetti sono in realtà dei "contenitori", nei quali si può infilare tutto e il contrario di tutto. È quindi urgente un chiarimento.
Cominciamo dalla "democrazia". Si tratta di un regime politico che gli storici e i pensatori dell'antichità già conoscevano, a partire dall'esperienza della pòlis greca, delle aristocrazie mercantili dei fenici, di Cartagine e della Roma repubblicana. Esperienza alquanto breve, peraltro, poiché cedette subito il passo agli imperi: prima l'impero d'Alessandria, poi suddiviso in regni, quindi l'impero romano, che fu molto più longevo. I filosofi consideravano la democrazia una specie fra le tante, alla stregua dell'aristocrazia e della monarchia, nell'ambito dei buoni regimi.
La democrazia veniva distinta dai cattivi regimi, oligarchia e tirannia, ed era l'esatto contrario della sua forma corrotta, l'oclocrazia, il governo della massa più vile. Platone e Aristotele classificano la democrazia come il meno buono dei buoni regimi, o il meno cattivo dei cattivi. Churchill, che aveva studiato i classici, aveva forse in mente gli antichi filosofi greci quando pronunciò la famosa battuta sulla democrazia, definendola la "peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che abbiamo sperimentato finora".
La nostra esperienza dei regimi "democratici", nei quali abbiamo la fortuna di vivere, è ben diversa. Per esempio, il corpo sociale che ne è l'artefice, l'insieme dei cittadini, è ben più consistente di quanto non fosse in Grecia. I cittadini della pòlis greca erano di sesso maschile e di condizione libera. Donne e schiavi, come pure gli stranieri residenti, ne erano esclusi. Inoltre il voto, che per noi è il simbolo della democrazia, aveva un peso molto limitato. I magistrati molto spesso venivano scelti con un'estrazione a sorte. Tutte queste novità sono di origine stoica, e in seguito cristiana. "La democrazia è d'essenza evangelica", scrisse il filosofo dell'élan vital Henri Bergson. In realtà, le procedure di selezione dei governanti attraverso il voto vennero concepite nel Medioevo dagli ordini religiosi.
Ciò che in Grecia non esisteva, così come non esisteva nelle repubbliche italiane del Medioevo, ma che invece caratterizza la nostra epoca è l'esaltazione della democrazia. Esaltazione grazie alla quale ogni altro regime appare infausto, se non addirittura criminale.
Inoltre, il concetto di democrazia, specie nella sua forma aggettivata ("democratico"), forma che viene automaticamente valorizzata, va ben oltre la sfera politica. Oggi viene infatti utilizzata per qualificare ogni pratica, comportamento, atteggiamento umano che abbia come fine la ricerca della parità di condizioni e il rifiuto di qualsiasi distinzione tra individui. Tanto che potremmo addirittura parlare di "democratismo".
Bisogna però chiarire subito anche la nozione di "autonomia": l'autonomia della volontà individuale, infatti, è spesso considerata uno degli ingredienti della democrazia. In origine, autonomia significava la possibilità di autogovernarsi in base a leggi proprie. Se questo equivale a dire che la coscienza è l'ultima istanza decisionale, nulla da obiettare. Abelardo, nel xii secolo, insegna - e dopo di lui san Tommaso nel xiii secolo - che abbiamo il dovere di seguire la nostra coscienza, se siamo sinceramente convinti che essa ci intimi di fare qualcosa, e dobbiamo seguirla perfino nel caso in cui essa sbagli.
L'idea di autonomia diventa però pericolosa nel momento in cui viene intesa come capacità di decidere ciò che è bene e ciò che è male, e cioè di "creare valori", formula assurda, ma assai diffusa. È per questo motivo che gli autori medievali, fautori dei diritti della coscienza come ultima istanza, si affrettano a sottolineare che la coscienza ha l'urgente e rigoroso dovere di informarsi, di formarsi, di entrare in una dialettica che l'aiuterà a evolvere, superando i propri errori.
La coscienza è un po' come il gusto. Soltanto io posso dire se ciò che sto bevendo mi piace oppure no. E nessuno riuscirà a convincermi del contrario. Ora, è oggettivamente vero che una bottiglia di Chateau Margaux è molto meglio di una lattina di Coca Cola, sebbene non tutti siano in grado di percepire la differenza. Il gusto, inoltre, può essere educato, così come può essere corrotto, a forza di bere porcherie. È possibile che qualcuno mi aiuti a scoprire un buon vino. Ma l'unico modo per farlo è farmelo bere. È chiaro che quando sarò in grado di apprezzare ciò che è oggettivamente migliore, sarò pur sempre io a giudicare, ma i miei criteri si saranno affinati.
Il problema è che da qualche decennio a questa parte, lo Stato legislatore ha rinunciato a uno dei suoi compiti essenziali: educare i cittadini. In passato, le leggi non solo presupponevano una certa morale, ma al tempo stesso la promuovevano. Lo Stato assolveva a questo compito senza peraltro aderire a una morale specifica - ammesso che questa espressione abbia un senso. Semplicemente, cercava di garantire le condizioni di un ordine sociale soddisfacente, da cui esso stesso dipende.

Oggi, succede sempre più spesso che il legislatore pensi di essere sempre preposto al compito di registrare l'evoluzione delle mentalità, modificando le leggi in funzione delle oscillazioni della "domanda sociale".

Con questa espressione, il più delle volte si intendono gli slogan di gruppi di pressione, non necessariamente molto numerosi, i quali tuttavia pretendono di parlare in nome della società stessa. E quando tengono in pugno i media, riescono a far credere di rappresentare il pensiero della maggioranza.

In questo contesto, viene spesso citata la tesi di Ernst-Wolfgang Böckenförde. Il giurista tedesco, allievo di Carl Schmitt, che ha ricoperto le più alte cariche in ambito universitario e nello Stato, è un personaggio alquanto interessante, cattolico praticante e membro attivo del partito socialdemocratico. La sua tesi centrale si trova in un saggio di grande successo pubblicato quarant'anni fa. E consiste nel sostenere che lo Stato democratico vive di presupposti (Voraussetzungen) che esso stesso non è in grado garantire. Secondo Böckenförde, va trovata una legittimazione a tutto ciò che impone un obbligo; fra le varie fonti di legittimazione, la religione non è l'unica, ma una delle più importanti, poiché è quella che trasmette l'èthos nei rapporti tra cittadini, èthos in assenza del quale ogni forma di vita in comune sarebbe impossibile in un assetto liberale. È una tesi che mi pare assai profonda e feconda, alla quale tuttavia aggiungerei due elementi.
La situazione descritta da Böckenförde sembra avere, anzitutto, una portata più ampia. Il problema, secondo il costituzionalista tedesco, è che lo Stato democratico emette per così dire assegni a vuoto. Questo però è solo un caso specifico. Sfruttare risorse non rinnovabili è quanto i tempi moderni fanno sin da quando sono iniziati. Ma il progetto moderno ha funzionato finché si fondava sull'esistenza di quel soggetto sovrano che era l'uomo. Al principio era l'uomo cosciente della propria dignità dell'Umanesimo italiano. Poi, l'uomo padrone di sé di Cartesio e di Corneille, che partiva alla conquista della natura, secondo Francis Bacon. Poi era l'uomo dei Lumi, che considera l'"umanità" un valore e rivendica ovunque un atteggiamento "umano". Viene poi l'uomo industriale, fiero della sua conoscenza e delle sue conquiste tecniche, l'uomo del giovane Marx, "saldamente piantato sulla terra ben tonda".
Eppure noi, gradualmente, abbiamo smesso di credere nel valore dell'uomo. Questo cambiamento è accaduto nel xix secolo, ed è una storia che andrebbe raccontata. Una certa interpretazione delle tesi di Darwin ha tentato di farci credere che l'uomo non è altro che il prodotto del caso.
Nietzsche è stato il primo a concepire l'insufficienza dell'uomo, o quantomeno a proclamarla a gran voce con l'immagine del "super uomo": l'uomo è ciò che va superato, l'uomo così com'è non è capace di adempiere al ruolo che gli è stato assegnato. Pensate a tutti i sogni odierni per rifare l'uomo, Compresi gli incubi biologici... Questa dialettica, secondo cui l'umanesimo finisce per autodistruggersi, andrebbe presa sul serio.
Va aggiunto che la concezione che Böckenförde ha del ruolo della religione meriterebbe qualche sfumatura. La religione, per lui, è innanzitutto una fonte di doveri. Io invece penso che il problema sia ben più grave. Non si tratta di individuare dei limiti, degli argini. Si tratta piuttosto di trovare delle ragioni di vita. Noi pensiamo che il problema fondamentale sia di incanalare una vita che sgorga impetuosa e rischia di straripare. Questo forse è vero in alcuni casi. Ma, nell'insieme, la nostra vecchia civiltà è piuttosto stanca di vivere.
Due secoli addietro Hegel scriveva che esistono parole altisonanti - il Bello, la Religione, e così via - le quali fungono da esca per risvegliare la "voglia di mordere". Era già ironico allora. Mi domando però che cosa avrebbe detto oggi.
Il cristianesimo possiede una particolarità che in questa circostanza potrebbe rivelarsi utile. Ho dedicato un intero libro per tentare di enuclearla.

Il cristianesimo non difende una morale specifica. Si limita a quello stretto necessario che consente alla vita umana di continuare a vivere e di restare umana. Questo "kit di sopravvivenza" dell'umanità lo troviamo nei dieci comandamenti.

Ma anche nei pensatori pagani dell'antichità, in Cina, nelle Indie, a dire il vero un po' dappertutto. Non esistono regole morali prettamente cristiane. Come vivere lo sanno tutti, o possono saperlo. Ma perché vivere, perché scegliere la vita e, tanto per cominciare, perché dare la vita, sono interrogativi più complessi. È a essi che il cristianesimo fornisce una risposta.

(©L'Osservatore Romano - 29-30 settembre 2008)

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Le Società Bibliche USA regalano una Bibbia al Papa e al Sinodo

Benedetto XVI riceverà la “Bibbia Poliglotta”

di Miriam Díez i Bosch

ROMA, lunedì, 29 settembre 2008 (ZENIT.org).

In occasione del Sinodo dei Vescovi, la maggiore entità biblica degli Stati Uniti offrirà a Roma una Bibbia multilingue a Benedetto XVI e a tutti i membri del Sinodo, dedicato alla Parola di Dio e che si celebrerà a ottobre nella Città Eterna.

La “Bibbia Poliglotta” è stata illustrata da Cláudio Pastro, artista brasiliano di arte sacra, e verrà consegnato al Papa il 7 ottobre in un'edizione personale di lusso in bianco, mentre i membri del Sinodo ne riceveranno una copia di colore rosso.
L'Antico Testamento viene presentato in cinque lingue: ebraico-aramaico, greco, latino, inglese e spagnolo, mentre il Nuovo Testamento apparirà in quattro: greco, latino, inglese e spagnolo.
Questa edizione della Bibbia è stata elaborata nella stamperia biblica della Società Biblica Brasiliana, considerata la seconda per importanza al mondo per la sua elaborazione e stampa di Bibbie (6.000.000 di copie all'anno).
Secondo quanto ha reso noto Mario Paredes, membro del comitato presidenziale di collegamento delle Società Bibliche degli Stati Uniti con la Chiesa Cattolica Romana, “la prima e più grande stamperia biblica è in Cina, e ha elaborato e stampato circa 50.000.000 di unità negli ultimi 25 anni. Situata nella città di Nanjing e proprietà della Società Biblica Cinese, questa stamperia funziona anche per una consistente partecipazione e investimento del Governo cinese e della American Bible Society”.
La Bibbia in questione ha 3.220 pagine e pesa 3,440 chili.
L'edizione è stata pensata come un'opera con testi che possano essere utilizzati nelle assemblee liturgiche e con valore accademico, esegetico.

La presentazione finale di questa edizione speciale della “Bibbia Poliglotta” è avallata e approvata dalla American Bible Society e dalla Libreria Editrice Vaticana.

L'edizione è di carattere ecumenico visto che i suoi testi, tutti con l'imprimatur e il nihil obstat della Chiesa cattolica, provengono – come il testo in inglese – dal Consiglio delle Chiese Protestanti e dalle Società Bibliche Unite.
“E' dunque enorme il valore simbolico e l'apporto che questa iniziativa rappresenta nel compito ecumenico, il compito di tutti i credenti in Cristo: impregnare il mondo dei valori del Vangelo”, ha spiegato Mario Paredes parlando a ZENIT.
Paredes, che supervisiona anche progetti in spagnolo dell'entità biblica, riconosce che i cristiani si rallegrano “per questa iniziativa biblica che contribuisce in modo così significativo al desiderio di Nostro Signore: che tutti siano una cosa sola”.
“Al di là delle nostre storie di fondazione, al di là delle nostre tradizioni e delle nostre differenze a livello dottrinale, liturgico e delle varie espressioni religiose, la Bibbia Poliglotta conferma, rende possibile, aumenta e arricchisce un accordo comune tra tutti i cristiani e un'intenzione rilevante nell'interesse ecumenico del pontificato di Benedetto XVI: la centralità che la Parola di Dio deve avere nella nostra storia personale, ecclesiale e sociale”, ha aggiunto.
A Washington la Bibbia verrà presentata al termine del Sinodo: il 28 ottobre nella Nunziatura Apostolica, nel corso di un ricevimento offerto dal Nunzio Apostolico, l'Arcivescovo Pietro Sambi.
L'American Bible Society, fondata 192 anni fa, è l'organizzazione interconfessionale più antica e prestigiosa degli Stati Uniti.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Lucetta Scaraffia: "Le religioni sono tornate nel dibattito internazionale" (Osservatore Romano)

Ad un anno dal motu proprio Summorum Pontificum. Don Tiziano Trenti (Bologna): "La liturgia di San Pio V non intacca il Vaticano II" (Panettiere)

Vescovo di Mumbai: Perchè gli indù attaccano noi Cristiani (Asianews)

Il Papa assisterà, il 13 ottobre, al concerto dell'Orchestra Filarmonica Vienna

"Papa, viaggi effimeri" (Il Manifesto)

Il Papa: "Invochiamo con fiducia l'aiuto e la protezione degli Angeli. L’invisibile presenza di questi Spiriti beati ci è di grande aiuto e conforto"

Il Papa: Nell'umiltà la grandezza - Il testamento spirituale di Giovanni Paolo I (Zavattaro)

Il Papa benedice la svolta laica dell’Osservatore (Galeazzi)

Mons. Amato: "Dall'abbassamento all'esaltazione il profilo di un'identità" (Osservatore Romano)

Il cantico del prof. Nazir-Ali. Parla il vescovo anglicano che ammira Ratzinger e vuole una Magna Charta per salvare l’Europa (Meotti)

Angelus del Santo Padre: podcast di Radio Vaticana

"Summorum Pontificum", un anno dopo: l'analisi di Don Pierangelo Rigon. «Rito in latino, una messa per tutti»

Un anno alla guida dell'Osservatore Romano: intervista con il prof. Vian (Radio Vaticana)

Benedetto XVI: "L’umiltà può essere considerata il testamento spirituale di Giovanni Paolo I. Grazie proprio a questa sua virtù, bastarono 33 giorni perché Papa Luciani entrasse nel cuore della gente" (Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 28 settembre 2008)

Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)"

il fatto

Tutta la Bibbia in tv, giorno e notte

Domenica prossima sarà Benedetto XVI a inaugurare, su Rai1, la lettura integrale della Parola. Parla l’ideatore

Giuseppe De Carli: evento religioso ma anche culturale

DA ROMA MIMMO MUOLO

E alla fine di letture integrali della Bibbia se ne sarebbero potute fare 145.
Calcolando, infatti, il numero delle richieste giunte attraverso Internet (più di 181mila) e quello dei brani a disposizione
(1.250), è più o meno questo il numero che risulta. Uno straordinario risultato che conferma quanto l’idea di leggere dall’inizio alla fine in tivù il Libro per eccellenza abbia colto nel segno. «Un po’ me l’aspettavo – confessa Giuseppe De Carli, direttore di Rai Vaticano e ideatore del progetto insieme con Elena Balestri –. Quando ho cominciato a parlarne agli amici, tutti mi dicevano: 'È una cosa che fa venire i brividi'. Così mi sono convinto che poteva funzionare». Ora, dopo diversi mesi di preparazione, tutto è pronto per «La Bibbia giorno e notte», la lettura integrale della Sacra Scrittura che partirà domenica prossima alle 19 su Rai Uno con un primo lettore d’eccezione, Benedetto XVI, e che proseguirà senza interruzioni fino all’11 ottobre.

De Carli, che significato ha questa iniziativa?

Un significato religioso e culturale insieme. Naturalmente la lettura della Bibbia tocca una corda spirituale e noi intendiamo dare 'fisicità' alla Parola di Dio, che è lo sguardo più profondo sull’uomo. Ma senza dimenticare che siamo servizio pubblico e che la Bibbia è il grande codice della cultura dell’Occidente. Di fatto, di tutte le possibili critiche al progetto non ce n’è stata nemmeno una, proprio per la sua grande valenza culturale. Tra l’altro – con le sue 139 ore consecutive – questa è la diretta più lunga mai realizzata dalla Rai.

Il Papa sarà il primo a leggere. Come prenderà il via la Lettura integrale?

Il 5 ottobre alle 19, innanzitutto il libro della Bibbia verrà portato da un gruppo di laici sul leggio all’interno della tenda che sarà allestita nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, qui a Roma. Quindi si canterà il Salmo 119: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino». È un salmo molto significativo, che ha anche una particolarità.
Ogni versetto inizia con una lettera dell’alfabeto ebraico. Arrivati al versetto 115 ci collegheremo con il Palazzo Apostolico, dove il Papa aprirà il libro e leggerà tutto il capitolo 1 della Genesi e i versetti 1-4a del secondo capitolo.

Perché il Papa come primo 'staffettista di Dio'?

Perché il Papa è la massima autorità religiosa che risiede a Roma, dove si svolge la lettura. Io penso che nessuno possa legittimamente lamentarsi di tale scelta. Ma voglio anche sottolineare che questa non è un’iniziativa cattolica. Abbiamo coinvolto tutte le confessioni cristiane e tutte le religioni del libro. Prova ne sia che verranno a leggere 20 ortodossi, 30 rappresentanti delle Chiese della Riforma, 16 ebrei e 6 musulmani a titolo personale. I lettori provengono da 37 Paesi diversi.

Mancherà però il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che in un primo momento aveva aderito.

Ne sono dispiaciuto, perché tutti i passi erano stati concordati con la Sinagoga. Ma la collaborazione non si interrompe. Capisco le difficoltà che può aver avuto il rabbino capo di Roma, non tutti devono aver condiviso. E lui, probabilmente, ha preferito fare un passo indietro. Rimane, però, la sua adesione al progetto, che si può leggere sito www.labibbiagiornoenotte.

A proposito di adesioni, qual è quella che l’ha sorpresa di più?

Innanzitutto il numero. Oltre 181mila richieste. Fra questi solo 2500 saranno coinvolti, perché le pericopi sono 1250, ma molti verranno in due (marito e moglie, fidanzati, padri e figli) e poi c’è una lista di attesa di 800 persone. Poi mi ha colpito particolarmente il caso di Manolo e di sua sorella Brina, che lavorano in una panineria. Un giorno me li sono ritrovati sotto la sede della Rai, perché non avevano internet e ho dovuto accompagnarli in un internet point per fare l’iscrizione. Si sono presi anche 300 depliant che ogni sera distribuiscono ai giovani del loro locale.

Si è parlato anche di alcuni vip.

Sì, verranno Roberto Benigni e Andrea Bocelli, che canterà il primo stacco musicale. E tra gli sportivi forse anche il fuoriclasse del Milan, Kakà. Ma la loro partecipazione non è meno significativa di quella di alcuni ciechi che leggeranno in braille, di un sordomuto che userà il linguaggio dei segni, e dei detenuti di Casal del Marmo e di Regina Coeli o dei 9 ragazzi della Comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio, che hanno alle spalle storie terribili e hanno avuto la forza di ricominciare.

In sintesi, come definiresti 'la Bibbia giorno e notte'?

Mi piace pensare al popolo di Dio, in tutte le sue articolazioni, che legge la Parola. Dai padri sinodali, che hanno dato lo loro adesione (leggeranno in 40) ai semplici fedeli. Tutti si ritroveranno sotto la tenda nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme come fosse un accampamento in mezzo al deserto. Inoltre abbiamo chiesto ai lettori di proclamare, non di interpretare, dando il meglio di sé. Io penso che tutti lo abbiano capito, perché c’è gente che farà appositamente centinaia di chilometri pur di non mancare all’appuntamento.

© Copyright Avvenire, 30 settembre 2008

Beh, dal momento che siamo in Italia e che la maggioranza degli Italiani e' cattolica ci mancherebbe che qualcuno si lamentasse per il fatto che e' il Papa ad inaugurare la lettura!
Non servivano nemmeno le spiegazioni "religiosomediaticamente corrette"
.
R.

IL PROGRAMMA

Dal 5 all’ 11 ottobre 139 ore di diretta tv

La Bibbia giorno e notte andrà in diretta tv per 139 ore consecutive, anche se non sempre sullo stesso canale. Raiuno trasmetterà la prima ora con la Genesi domenica 5 ottobre, e l’ultima con l’Apocalisse sabato 11 ottobre. La diretta integrale verrà mandata in onda sul satellite su Rai Educational 2. La trasmissione sarà curata da sei registi, coordinati da don Antonio Ammirati e da quattro squadre di ripresa. Al leggio della Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme si alterneranno più di 1200 lettori. La lettura dei 73 libri biblici sarà intervallata da uno spazio musicale in tema: gruppi strumentali, cori e solisti eseguiranno brani di musica sacra, per accompagnare la riflessione sui passi della Scrittura appena letti. Un maxischermo, posto all’esterno della Basilica, offrirà ai passanti l’occasione di vedere e ascoltare minuto per minuto.

© Copyright Avvenire, 30 settembre 2008