21 marzo 2007

La profezia che si autoavvera...rassegna stampa del 21 marzo 2007


Come ampiamente previsto ieri (vedi post Il cardinale Bertone bacchetta di santa ragione i mass media), stamattina i giornali si occupano di sfuggita, e non tutti se ne occupano, della relazione tenuta dal cardinale Bertone a Milano.
"Repubblica" ignora completamente l'evento, ma non perde occasione per sferrare l'ennesimo attacco al Papa:





SE TORNA IL LATINO
Il Pontefice rilancia la messa secondo l´antico rito, ma le lingue classiche non si studiano più

Benedetto XVI vuol spianare la strada al ritorno della messa in latino, la cosiddetta messa tridentina, che era stata messa in ombra dalla rivoluzione del Concilio Vaticano II ed era cara soprattutto ai tradizionalisti seguaci del vescovo Marcel Lefebvre. Il documento papale è atteso a giorni. Per ascoltare la messa in latino basterà la richiesta di trenta fedeli. Non è un atto anticonciliare, assicurano: ma l´omaggio al passato è evidente. Una lunga comunione, quella tra la Chiesa cattolica e il latino, interrotta con un atto di democrazia: consentire a tutti di capire le parole del sacerdote, dare un senso alle preghiere che prima molti biascicavano a memoria e con molta approssimazione. Ma che cosa è successo, nel frattempo, al latino? Un fatto è certo: lo si studia sempre meno e qualcosa questo dato di fatto vorrà pur dire. Ne parlo con Gian Biagio Conte, filologo classico, attualmente in servizio alla Normale di Pisa («un´oasi») dopo tanti anni di insegnamento universitario in Italia e all´estero.
Professore, almeno il Papa crede nel latino.
«Il suo è un gesto controriformistico, fatto forse per paura. Il ritorno del latino nella messa, anche se certo non sarà generalizzato, mi ricorda due libri di Gigliola Fragnito pubblicati dal Mulino: uno si intitolava Proibito capire e l´altro La Bibbia al rogo, cioè come non far leggere la Bibbia».
Sono in pochi a capire il latino, anche per colpa o per scelta della scuola.
«I programmi sarebbero anche buoni, ma le ore destinate all´insegnamento non bastano. Spesso si leggono i testi in traduzione e anche all´Università le cose non vanno molto meglio. Non dovrei dirlo ma anni fa avevo scritto un manuale di circa ottocento pagine. L´editore mi chiese di prepararne un´edizione più agile per gli istituti magistrali e venne fuori un volume di circa trecento pagine. Bene, oggi è quello adottato nelle Università dove i programmi sono stati drasticamente ridimensionati con l´introduzione dei cosiddetti crediti. Insomma le università sono diventate dei licei, e non è un caso che stiano nascendo le cosiddette scuole di eccellenza per ristabilire livelli più alti di studio e di ricerca. Ma bisogna anche aggiungere che i metodi oggi in uso nelle scuole sono in genere migliori che in passato: si parte dalla lingua per desumere le regole e per avvicinare la realtà della cultura greca e latina. Aggiungerei che i classici si continuano a vendere in modo più che dignitoso».
Oggi però, a parte il Pontefice, l´attenzione verso il passato mi sembra molto ridotta.
«È vero, abbiamo voglia di futuro, di tecnologia, di globalizzazione: è sotto gli occhi di tutti».
Che ce ne facciamo allora del latino? Una volta era patrimonio delle classi colte. Avvocati e notai, tanto per fare un esempio, trafficavano molto col latino. Era alla base dello studio del diritto. In pochi decenni molte cose sono cambiate, anche radicalmente. Il Sessantotto ha cambiato la scuola, il Concilio ha cambiato la Chiesa.
«Prendiamola allora più alla larga: il latino non è per niente morto. Vive nelle lingue che ha contribuito a formare, l´italiano, il francese e attraverso il francese persino l´inglese che è ricco di voci latine. Quando Lutero scrive la Bibbia in tedesco è sul latino che modella quella traduzione».
Paradossalmente il gesto di Lutero avvicina i libri sacri alla gente, mentre la Chiesa cattolica tiene vivo il latino fino all´introduzione della messa secondo il nuovo rito, quello che Ratzinger vuole addolcire con un ritorno all´antico.
«Sì, è vero: la Chiesa porta fino a noi la lingua latina che comunque aveva avuto i suoi trionfi europei quando la classe dei colti ne fece uno strumento di comunicazione d´elezione. Erasmo da Rotterdam, che appunto era olandese, scriveva in latino».
Nessuno può dimenticare l´Umanesimo e le numerose rinascite del mondo classico.
«La rivalutazione del passato, in diversi casi, è stata un forte elemento di progresso. Non sempre però, anche il fascismo propose una sua lettura della classicità, alla ricerca di una propria identità».
Si scivolò nel grottesco.
«Resta il problema di fondo. Che cos´è l´antichità? Esiste un oggetto che si chiama Antichità Classica che si possa definire nella sua sostanza in termini assoluti? In altre parole l´Antichità è una realtà ontologica oltre che cronologica? Io penso che esistano delle rappresentazioni che di volta in volta le diverse epoche hanno costruito per contrapporre se stesse all´antichità o per cercarvi dei modelli o delle radici, talvolta esaltando l´Antichità in modo esasperato».
E oggi che rapporto abbiamo con l´Antichità?
«Siamo inquieti e sentiamo in modo forse più acuto che questa nostra è un´età di transizione. Saremmo dei masochisti se puntando sul futuro decidessimo di sbarazzarci di tutto quello che avevamo. In realtà non dovremmo buttar via ciò che ci sta alle spalle e che si può sintetizzare in tre città simbolo: Atene, Roma e Gerusalemme. Il latino, la cultura classica, come ho già detto, è già stata altre volte vissuta nel segno del progresso. Pensi a Carlo Magno che unifica l´Europa d´allora, la dota di strumenti unitari dalla moneta alla scuola e, mentre già stanno nascendo le lingue che diventeranno quelle di oggi, vede il latino rifiorire come cemento politico e culturale».
L´Europa di oggi avrebbe bisogno di una rifondazione culturale?
«Avrebbe bisogno di un mito di rifondazione capace di nobilitare il suo atto di nascita».
Quello che è già successo può dunque risuccedere?
«Attenzione: l´idea che vi sia una ciclicità nella storia semplifica un po´ troppo una realtà complessa. Più che il cerchio è la spirale, semmai, a rappresentare il ripetersi di situazioni. Ora noi non possiamo sapere se vi sarà una sorta di Umanesimo nuovo nel nostro domani: ogni volta le rinascite umanistiche si sono presentate con caratteristiche nuove. E noi saremo certamente meglio attrezzati per favorire il confronto di idee nuove e per rileggere l´Antichità in modo diverso, come del resto sta già accadendo».
Il nuovo serve a esplorare meglio l´antico?
«L´antropologia ci consente di avvicinare riti e miti dei greci e dei latini con le stesse modalità con cui si sono letti riti e miti dei primitivi. E pensi anche al cambio di prospettiva che ci porta a vedere la Grecia debitrice delle culture orientali che la precedono e di cui si era appropriata, così come Roma si appropriò della cultura greca».
Che cosa mette in forse la nostra identità, oggi?
«La perdita del senso storico. Gli americani hanno inventato il postmoderno proponendo una sorta di bricolage di elementi eterogenei e quindi anche di riutilizzo del passato».
Non sempre il passato è stato riutilizzato in chiave dialettica, per fondare meglio una nuova identità. Ci sono stati anche momenti in cui l´antichità veniva intesa come una sorta di ritorno all´ordine.
«Un conto era l´antichità vista come modello di perfezione che doveva appunto spingere a ricreare una nuova identità e un conto invece l´idea dell´antichità come entità da conservare e custodire. Insomma l´antico può essere inserito nel processo di costruzione del moderno, oppure come strumento di difesa e chiusura nei confronti del possibile cambiamento».
Pensando alla cultura latina mi è tornato in mente un vecchio saggio di Marino Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea. Proprio nella ricerca della propria identità culturale scrittori come Broch, come Eliot, come Yeats, e persino come la Woolf della Gita al faro si pongono su una linea di rivisitazione o almeno di citazione non casuale della poesia classica. Naturalmente con intensità diverse, ma sorprendenti, se si pensa alla distanza che intercorre tra loro e Virgilio.
«Barchiesi è stato un mio professore. Amava indagare anche la letteratura americana nel senso che lei ricordava».
Sarebbe interessante esplorare la letteratura più recente per vedere se c´è ancora qualcuno che va alla ricerca di Enea o magari, come Joyce, di Omero. Ma questo è davvero un altro discorso. Intanto aspettiamo di vedere che effetto avrà il motu proprio del pontefice. E che futuro avrà, più in generale, il nostro passato.

Repubblica, 21 marzo 2007

Ecco un esempio di come si possono travisare completamente le aperture di Papa Ratzinger!
Non mi pare che nell'Esortazione Apostolica (e poi, probabilmente nel motu proprio) ci sia scritto che la Messa conciliare viene abolita per lasciare posto a quella tridentina.
Nessuno vuole tornare al passato, c'e' semplicente una liberalizzazione di un rito che il Concilio non ha mai abolito.
Non si studiano le lingue classiche? E questo vi sembra un bene? A me assolutamente no! Se almeno trenta fedeli chiedono la celebrazione secondo il Messale antico, perche' negarglielo?



Il conflitto tra Stato e Chiesa e i diritti "non negoziabili"

STEFANO RODOTÀ

Spero che anche i più pigri e distratti si siano resi conto che siamo ormai di fronte ad un conflitto tra due poteri, lo Stato e la Chiesa, non governabile con le categorie tradizionali dell´ingerenza più o meno legittima delle gerarchie ecclesiastiche o con il riferimento al Concordato. E il terreno dello scontro è sostanzialmente quello dei diritti fondamentali della persona, a loro volta parte di una più generale questione dei diritti, quelli legati all´innovazione scientifica e tecnologica e quelli sociali, tema centrale della discussione pubblica in moltissimi paesi (e con il quale dovrebbe misurarsi chi continua a porre interrogativi su significato e sopravvivenza delle categorie di destra e sinistra, come hanno fatto negli ultimi tempi il mensile inglese Prospect e quello francese Philosophie Magazine).
Il conflitto tra poteri emerge dalle ultime prese di posizioni della Chiesa, che più nitide e radicali non potrebbero essere. Benedetto XVI ha indicato una serie di valori che "non sono negoziabili" e che impongono ai legislatori cattolici " di "presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondanti della natura umana" (13 marzo). La Pontificia Accademia per la vita ha "raccomandato una coraggiosa obiezione di coscienza" a tutti i credenti, e in particolare a "medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari ed altre figure professionali direttamente coinvolte nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo" (16 marzo). In concreto, questo significa che i valori di riferimento dei legislatori non devono più essere quelli definiti dalla Costituzione, ma quelli di un diritto naturale di cui la Chiesa si fa unica interprete. A questo si accompagna un esplicito rifiuto dell´ordine civile, rappresentato dalla legittima legislazione dello Stato ritenuta non conforme a quei valori, che persino i giudici non dovrebbero applicare. La rottura è netta. Viene posto un limite esplicito al potere del Parlamento di decidere liberamente sul contenuto delle leggi, con l´ulteriore ammonimento che, qualora quel limite non fosse rispettato, si troverebbe di fronte alla rivolta dell´intera società cattolica.
Esplosa negli ultimi tempi, questa posizione ha avuto una lunga incubazione, è stata colpevolmente sottovalutata e non può essere spiegata con riferimenti solo alla fase più recente. So bene che le autocitazioni non sono eleganti. Ma in un mio articolo, apparso il 26 settembre 1991 su questo giornale con il significativo titolo "La restaurazione del Cardinale Ruini", sottolineavo proprio che nei discorsi di Ruini si trovava un "impegnativo programma politico", costruito intorno a "valori a difesa dei quali i cattolici, compatti, dovrebbero schierarsi", e al quale i cattolici in Parlamento dovevano conformarsi. Già sedici anni fa chi avesse occhi per vedere poteva ben rendersi conto di quel che sarebbe successo.
Ora le cose sono andate assai più avanti, e l´analisi della situazione attuale non può essere condotta limitandosi a ripetere che bisogna respingere l´interferenza dei vescovi (ne ero convinto già nel 1991). Siamo di fronte ad un modo d´essere della Chiesa che si presenta e si organizza in forme ritenute necessarie per salvaguardare valori che lo Stato non sarebbe più in grado di garantire. La contrapposizione è frontale, la strategia è quella propria di un soggetto politico. E´ una realtà scomoda per chi ha ignorato i segnali che si accumulavano negli anni per il timore d´un conflitto con la Chiesa, e che oggi si trova di fronte ad un conflitto assai più profondo di quello che si è cercato di schivare. E´ una realtà scomoda per chi vorrebbe vedere nelle parole delle gerarchie ecclesiastiche nient´altro che la manifestazione della sua vocazione pastorale. Ed è una realtà che negli ultimi giorni ha assunto una tale evidenza, per la schiettezza con cui parla la Chiesa, che diventa sempre più difficile negarla parlando di forzature interpretative "laiciste".
La prima vittima di questo stato delle cose è il dialogo, che a parole molti dichiarano di volere. Ma il dialogo non è possibile quando una delle parti afferma d´essere depositaria di valori appunto "non negoziabili", e prospetta una rivolta permanente contro lo Stato. Vi è chi, come il cardinale Martini, cerca di rompere questo schema, ricordando che le parole della Chiesa non devono cadere "dall´alto, o da una teoria". Ma, come già era avvenuto per la sua posizione sul caso Welby, anche questa volta l´ufficialità ecclesiastica ne respinge le indicazioni. In questo modo, però, non è una opinione personale ad essere cancellata. Quando il dialogo scompare, quando la verità assoluta esclude l´attenzione per il punto di vista altrui, è la logica democratica ad essere sacrificata.
Ma, si dice, la non negoziabilità di quei valori nasce dal fatto che essi sono radicati nella natura stessa, fanno parte di un diritto naturale che l´uomo, dunque il legislatore, non può scalfire. In tempi non sospetti, tuttavia, Norberto Bobbio ha opportunamente ricordato che, "purtroppo, ‘natura´ è uno dei termini più ambigui in cui sia dato imbattersi nella storia della filosofia" e che sono almeno otto i significati di natura, e di diritto naturale. Chi scioglie questa ambiguità, chi sceglie tra le molte accezioni possibili? In definitiva, chi può parlare in nome della natura? E´ evidente che la pretesa d´avere il monopolio in questa materia rivela una attitudine autoritaria, non compatibile con le regole d´un sistema democratico. Non a caso, per evitare che l´azione pubblica fosse sottomessa a tavole di valori fissate in modo arbitrario o autoritario, si è affidata alle costituzioni la determinazione in forme democratiche dei valori comuni di riferimento, passando così ad uno "Stato costituzionale di diritto". Sostituire ai valori costituzionali quelli attinti ad una natura costruita in modo autoritario porta con sè una regressione culturale che, di nuovo, nega la logica della democrazia.
Altro è, evidentemente, sottolineare le novità, anche antropologiche, che il nuovo contesto scientifico e tecnologico propone, e chiedere che di questo si discuta apertamente. Presente e futuro sono carichi di incognite che richiedono una comune ricerca. Ma, per fare questo, bisogna appunto ricostruire le condizioni del dialogo tra persone di buona volontà, liberarsi dei dogmatismi, non rinserrarsi nelle proprie certezze e pretendere di imporle agli altri.
Le distorsioni della discussione sono evidentissime se si guarda ai problemi specifici. Si dice, ad esempio: invece di pensare al testamento biologico occupiamoci delle terapie antidolore, evitiamo l´abbandono e la solitudine dei morenti; invece di pensare ai Dico mettiamo a punto adeguate politiche della famiglia. Ma non v´è alcun contrasto tra queste iniziative, e le incompatibilità prospettate sono solo un modo per mascherare l´ostilità ai nuovi strumenti che si vogliono introdurre nella nostra legislazione.
Se si vuol discutere seriamente, bisogna ricordare che riconoscimento del testamento biologico e attenzione per le cure palliative convivono in molti paesi, anzi si sostengono reciprocamente, poiché il testamento biologico è un documento che consente di manifestare anche le proprie volontà sulle terapie contro il dolore. E in Francia, tanto per fare un solo esempio, la legge sui Pacs (ben più incisiva e chiara delle nostre proposte sulle unioni di fatto) convive con una delle più avanzate politiche di sostegno alla famiglia.
Se si vuol fare riferimento all´umanità e comprendere davvero le necessità e le sofferenze della gente, come ci incita a fare il cardinal Martini, bisogna abbandonare il dogmatismo e parlare di cose concrete. Cure palliative al primo posto? Benissimo. Si sappia, allora, che in Italia i centri specializzati sono 102 da Roma in su, e solo 5 nel resto del paese; e che a Milano un grande ospedale ha chiuso il reparto per le cure contro il dolore perché economicamente non rendeva. Politiche per la famiglia? Benissimo. Si legga, allora, quel che Massimo Livi Bacci scrive con il consueto rigore sulla situazione francese, mostrando quali debbano essere le azioni da condurre e quali gli investimenti necessari.
Liberi da dogmatismi e pretese autoritarie, possiamo meglio cogliere i valori di riferimento e le politiche da intraprendere. Da una parte, riconoscimento alle persone del diritto di governare liberamente la propria vita e di organizzare le relazioni personali, come già nitidamente ci dice la Costituzione. Dall´altra, rinnovata e forte attenzione pubblica, che è la condizione perché le scelte possano essere compiute responsabilmente e al riparo da ogni costrizione. Ma le politiche pubbliche, in queste materie, sono fatte di investimenti e di servizi, esattamente l´opposto delle derive privatistiche e liberistiche alle quali ogni giorno qualcuno incita.

Repubblica, 21 marzo 2007

Chi nega il dialogo? La Chiesa o un certo laicismo? Chi vorrebbe imporci il pensiero unico? La Chiesa o la cultura conformistica dominante? Non scherziamo...
Noto che Martini e' sempre citato e, come sempre, tace...accondentendo!

Come mai Repubblica non pubblica il discorso di Bertone? Teme che si riferisca proprio alla testata?
Raffaella

2 commenti:

lapis ha detto...

Certi articoli parlano del nulla; così è quello sulla lingua latina, che parte per la tangente dando per scontato che nei prossimi mesi si dovranno pubblicare solo Bibbie in latino per far sì che i fedeli non ne comprendano il contenuto. Forse che il Santo Padre ha vietato la pubblicazione della Bibbia nelle lingue nazionali? A me non risulta proprio. E allora perché tirare fuori questo argomento pretestuoso se non per mettere ancora una volta in cattiva luce la figura del Papa facendogli fare la parte del lupo cattivo? Si sarebbe fatto prima a dire semplicemente: "a me questo Papa non va giù e per partito preso sono contro qualsiasi sua decisione".
E poi, qui forse sbaglio perché non sono una liturgista, ma non mi pare nemmeno che la messa tridentina sia la sola messa in latino possibile. Tridentino è un rito, non una lingua. Voglio dire, la messa tridentina è sempre in latino, ma anche una messa celebrata con il novus ordo può essere in latino (eccetto l'omelia) e ne abbiamo già visto esempi in varie occasioni solenni, non solo durante questo pontificato ma anche durante quello di Giovanni Paolo II, pontefice ritenuto modernissimo.
Quindi, in realtà, la Chiesa non ha mai smesso di utilizzare il latino e la cosa mi sembra giusta, visto che fa parte del suo patrimonio bimillenario e conferisce ai riti solenni un carattere di universalità, proprio come Papa Benedetto ha più volte sottolineato. E poi, nell'era di internet, in cui tutto è accessibile a tutti, non credo sarebbe grande fatica reperire le necessarie preghiere in latino con la loro traduzione; certo, se la rete interessa alla gente solo per sbirciare i video filmati con i telefonini dove gli alunni fanno sesso sulla cattedra allora credo che i mali di questa società siano ben altri che non il maggior uso del latino durante le messe solenni.
Andiamo oltre il nulla, per favore.

Luisa ha detto...

Cara Raffaella, "Repubblica" non pubblicherà mai articoli in favore di Benedetto XVI o della Chiesa , voglio dire di quella Chiesa leale verso il Santo Padre . Non lo farà mai perchè sono degli anticlericali primari e pieni di astio , per non dire odio.
La botte non può dare che il vino che ha e il vino di "Repubblica" è acido, imbevibile.
Allora divertiamoci a leggere i loro articoli, non si fermeranno certo nella loro malafede e malevolenza, e poi riaffermiamo ciò in cui crediamo e diamo spazio laddove si`può alle rettificazioni pur sempre necessarie.
E ti ringrazio perchè è quello che tu fai con impegno e serietà.