12 aprile 2007

Una lezione di stile a Repubblica


Pubblichiamo la lettera che Don Marco Granara (Diocesi di Genova) ha indirizzato al quotidiano "La Repubblica" per esporre le proprie perplessita' sul modo di gestire "l'affare Bagnasco" da parte del giornale di Ezio Mauro. Sarebbe stato giusto ed onesto pubblicare questa lettera nell'edizione nazionale, magari nello stesso spazio che di solito "Repubblica" riserva agli editoriali di attacco alla Chiesa. Sapete dove e' finita? Nell'edizione di Genova...a voi ogni commento!
Mi sembra comunque che Don Granara sia riuscito a dare una bella lezione di giornalismo e di obiettivita' a tutti.

Raffaella


Cari giornali ma su Bagnasco non state esagerando?

Messaggio di un prete in difesa del suo vescovo troppo attaccato

CARA Repubblica, che un prete scriva per solidarizzare col suo Vescovo, in questi giorni bersagliato ingiustamente, certo non può fare notizia. E tuttavia lo voglio fare con profonda convinzione, senza se e senza ma.
Proseguire poi, per chiedere a tutti - soprattutto agli organi della comunicazione - di provare a verificare la effettiva consistenza dei fatti per ridimensionarne la portata, mi pare altrettanto doveroso e, a questo punto, anche urgente. Non le pare che si sia andati "oltre" fin troppo? Non le pare che si rischi di non rendersi conto che un certo chiacchierare, per di più continuando ad equivocare senza che i primi relatori responsabili non chiariscano l´equivoco, può portare molto più lontano di qualche, pur esecrabile, scritta muraria? Creato il terreno di coltura, fatto di equivoci, confusioni, intemperanze, intolleranze, massimalismi, violenze verbali… non dovremo solo aspettarci che qualche testa calda possa andare ancora oltre in questa scalata di eroica (!) indignazione? E poi? Ci meraviglieremo? Ci stracceremo le vesti? Torneremo a ulteriori indagini sociologiche per capire l´accaduto? Non è l´ora di abbassare i toni, di portare il problema non sulle fin troppo equivocate esemplificazioni dell´Arcivescovo, ma sui principi che lodevolmente e doverosamente voleva richiamare? Affidare la liceità di un qualsiasi comportamento - soprattutto intorno ai valori fondamentali della vita - alla richiesta popolare, magari anche di maggioranza, piuttosto che al valore in sé della norma, non è pericolosissimo? Dobbiamo esemplificare ancora senza ritornare nuovamente a pedofilia ed incesto, magari riprendendo il problema della pena di morte? Se si dovesse legiferare in merito - magari sotto le spinte emotive e mediaticamente amplificate di certi fattacci - dove andremmo a finire? Saranno le piazze a dover dire ciò che è "giusto", o il giusto e l´errato precedono i movimenti di piazza? Portare i problemi, da parte dei Vescovi, a questi livelli alti della riflessione collettiva è un merito o un sopruso e un torto? È possibile farlo o lo si può fare solo su benevola concessione laica dei padroni della "morale del momento"? Il più volte denunciato "relativismo" è davvero un "nodo" cruciale del dibattito culturale o un "pallino" di papa Benedetto? Tutto questo è solo un problema di natura religioso confessionale o è alla base dell´ordinamento etico giuridico di ogni società civile?
L´Arcivescovo Bagnasco è da colpevolizzare o da ringraziare, perché sa individuare i nodi portanti del presente e del futuro? Non sono qui a chiedere di chiudere il dibattito, ma di spostare l´obiettivo, con uno sforzo minimo di onestà.
Non sono qui a chiedere di chiudere gli occhi sulla realtà, vorrei solo sperare che si possa ancora "alzare il tiro" della dialettica intorno ai valori. So benissimo che certi interlocutori laici della Chiesa contestano alla radice concetti assodati per secoli e che ora farebbero problema: morale naturale, senso comune, oggettività e assolutezza della norma, devono fare i conti non con la logica comune (e che cos´è la logica?), ma col relativismo concettuale ed etico, la rivendicazione di individualismo che rivendica diritti e non riconosce doveri. Mentre i nuovi saggi (!) del pensiero debole discutono con questi e altri preconcetti, non sembra dire nulla la forza dei numeri, da fallimento epocale, sul versante della realizzazione e della felicità della gente. Fino a quando i "fatti" non varranno, come sempre, più delle speciose "argomentazioni"?
Ancora una cosa. Nella pressoché generale espressione di solidarietà all´Arcivescovo e alla Chiesa da Lui rappresentata, mi è parso cogliere qualche "se" e qualche "ma" che trovo per lo meno discutibile. Mi spiego. Far la predica della "carità" alla Chiesa che interviene, quasi a significare che alla Chiesa interessi più l´arida norma delle persone stesse, come dare orientamenti a un figlio equivalga a non amare il figlio, mi pare proprio eccessivo. E´ storia di tutti i giorni e di sempre, di ogni genitore che si rispetti, come della "Chiesa Madre" nel suo insieme. Da che mondo è mondo, i figli spesso non stanno a sentire il genitore educatore, prendono strade, da questi paventate, che li mettono a rischio di guai e di rovine. Spesso genitori e Chiesa hanno dovuto rispettare le scelte di segno opposto dei figli fino a vederli rotolare nel precipizio.
È difficile sopportare tutto questo da parte di un genitore/educatore, eppure si tollera e si spesso si subisce. Del resto tutti comprendiamo che, anche in questo, "vincere senza convincere"… è sempre un vittoria di Pirro! La Chiesa lo fa da sempre e continuerà a farlo. Contestata come "quella che non capisce", quella che "non sa stare ai tempi", si vede i suoi figli coccolati da altre madri più "comprensive" (queste si che sarebbero capaci di "voler bene" ai figli!)… Ma tutti sanno - da sempre - che quando gli stessi figli che "sapevano loro" come fare, tornano con le ossa rotte o peggio, l´unica porta aperta rimane quella di casa. Là dove ti era stata detta una verità un po´ scomoda, come ulteriore, ennesima, prova d´amore, non troverai chi ti rinfaccerà i tuoi torti, chi te la farà pagare, ma piuttosto chi farà festa per il tuo ritorno, chi ucciderà il vitello grasso, indisponendo, nella stessa casa anche qualche "fratello perfettino" che, a suo giudizio, non avrebbe mai sbagliato. Ci sarà chi, a difesa dell´errante, dirà a tutti che "sono autorizzati a lanciare i primi sassi, coloro che non avessero mai sbagliato". Dire la Verità, non solo non è mancanza d´amore, ma forse la prima, la più nobile, la più difficile prova d´amore. Qualcuno ha spesso fatto dell´ironia su una Chiesa ché si illuderebbe di proclamare la "sua morale", antistorica, antimoderna, senza avvedersi che gli stessi suoi figli - figuriamoci poi chi in lei non si riconosce! - nel frattempo, senza capire le sue "ragioni etiche", si sarebbero fatte morali parallele alternative. Molti vedono in questo il colmo dell´ipocrisia della Chiesa. Non sarebbe meglio "concedere", relativizzandosi ai tempi e alle tendenze culturali prevalenti? E invece no! La Chiesa, da sempre, stima troppo la sua gente, credendola capace di mete alte e impossibili alla buona media del costume in atto, si riempie poi di "viscere di misericordia" per accogliere e valutare con amore tutti i reiterati tentativi andati a vuoto.
Se la stampa, invece che inseguire gli scoop, perseguisse ideali alti del genere, alla lunga risponderebbe alla sua più alta funzione sociale.
DON MARCO GRANARA

Repubblica, 12 aprile 2007

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