13 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 13 giugno 2007 (1)


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Rassegna stampa del 13 giugno 2007


Minacce a Bagnasco Indagata la brigatista Lioce

Trovati nella sua cella frammenti di una lettera sospetta

— ROMA —

L’ASSASSINA di Massimo D’Antona, Marco Biagi ed Emanuele Petri sarebbe anche il mandante delle minacce contro il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco. Nadia Desdemona Lioce è indagata dalla Procura dell’Aquila dopo il ritrovamento, nella cella del carcere delle Costarelle dov’è detenuta, di una lettera con alcune scritte che potrebbero collegarsi alle intimidazioni contro Bagnasco.

L’11 APRILE la cella è stata perquisita ed è stata trovata una busta bianca per corrispondenza, senza timbro di censura né in arrivo né in partenza, con un testo di due righe in buona parte illeggibili. Di sicuro c’è solo che si vede, nella parte centrale una scritta: «ne do ...asco ne... religios...». La busta è stata sequestrata come «elemento di reato» dalla polizia penitenziaria che aveva ispezionato la cella. L’ipotesi della Lioce come mandante fa risalire la matrice delle intimidazioni direttamente alle Br, formazione dalla quale Nadia Desdemona non si è mai dissociata. La Lioce è stata condannata all’ergastolo per gli omicidi dell’agente Polfer, Emanuele Petri, e dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi.

ORA È STATA iscritta sul registro degli indagati della procura abruzzese per associazione con finalità di terrorismo. Il sospetto degli inquirenti è che la terrorista possa aver mantenuto contatti con persone da identificare, che agiscono in stato di libertà, comunicando a mezzo di messaggi cifrati dal carcere dove è rinchiusa. L’ipotesi viene respinta dalla brigatista — in regime di 41 bis — e dai suoi legali che ribadiscono come la donna non possa avere alcun contatto con l’esterno. La stessa Lioce si è rivolta al Tribunale del Riesame, che però ha convalidato il sequesto della busta.

LE INDAGINI sono state estese a Genova, diocesi di monsignor Bagnasco. Gli investigatori, al momento, non avrebbero trovato alcun riscontro per questa ipotesi investigativa: non sarebbero emersi collegamenti con le due missive, accompagnate da un bossolo e da tre proiettili inesplosi, recapitati in Curia. La polizia continua a ritenere che i mittenti delle lettere minatorie siano mitomani non legati a gruppi eversivi.
Nessun commento ufficiale da parte della Cei, ma solo una rinnovata «piena fiducia negli inquirenti a cui è lasciata la responsabilità di definire il caso nei suoi contorni e dettagli». Va ricordato che l’ultima minaccia è di domenica scorsa.

UNA BUSTA, tre proiettili e la scritta «ti ucciderò». A monsignor Bagnasco è stata concessa una scorta di protezione.
Diversi i commenti alla notizia del coinvolgimento della Lioce da parte di esponenti del centro-destra. In particolare secondo Riccardo Pedrizzi, di An, è necessario che il ministro dell’Interno Giuliano Amato riferisca in Parlamento anche alla luce della ricostruzione «riduttiva» delle minacce date nei mesi scorsi dal viceministro Marco Minniti.

C’È UNA PRECISA responsabilità politica del governo Prodi, che «usa il guanto di velluto con i brigatisti rossi e non riesce ad assicurare la legalità al Paese», chiosa Isabella Bertolini di Forza Italia.
s. m.

Quotidiano nazionale, 13 giugno 2007


L'ATTACCO DELLE BRIGATE ROSSE AL PRESIDENTE DELLA CEI

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Indagata la brigatista Lioce per la minacce a Bagnasco

di Andrea Tornielli

Sulle minacce di morte rivolte contro l’arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Cei, fino ad oggi si è minimizzato, parlando di mitomani e giudicando messaggi e scritte minatorie quasi alla stregua di ragazzate, frutto di emulazione. Ora invece arriva la notizia di un’inchiesta della Procura dell’Aquila che vede indagata Nadia Desdemona Lioce, l’irriducibile brigatista rossa condannata all’ergastolo per gli omicidi dell’agente della Polfer Emanuele Petri, e dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi. All’origine del sospetto di una sua implicazione, c’è una busta sequestrata alla brigatista nel corso di una perquisizione due mesi fa, nella quale sarebbero leggibili alcuni spezzoni di parole: «ne do... asco ne... religios...». Frammenti ritrovati «in una piccola striscia di carta sovrapposta alla busta stessa», nella «parte superiore, quella che si ripiega per la chiusura». «In tali parole - si legge nel verbale di sequestro - possono ravvisarsi elementi di reato, tenuto conto della posizione processuale della Lioce e alla luce dei recenti fatti di cronaca in materia di terrorismo riportati dai mezzi di comunicazione».

Nel decreto di convalida del sequestro, il pm della Procura dell’Aquila Alfredo Rossini, scrive che Nadia Lioce è indagata perché «partecipava all’associazione denominata Br al fine di organizzare attività anche di attentati con finalità di terrorismo mantenendo contatti con persone da identificare che agiscono in stato di libertà comunicando a mezzo di messaggi cifrati dalle carceri dove è detenuta». La brigatista, unica detenuta in regime di 41 bis nella cosiddetta zona «gialla» del carcere dell’Aquila, non può comunicare con l’esterno e la sua corrispondenza è sottoposta a censura, sia in arrivo che in partenza. Ma questi timbri non c’erano nella busta non ancora utilizzata che è stata sequestrata lo scorso aprile nella sua cella.

Da parte sua, la Lioce smentisce qualsiasi coinvolgimento: «Disconosco qualsiasi attribuzione surrettizia, a me personalmente o all’organizzazione a cui appartengo, di contenuti più o meno politici estranei alla linea politica praticata e proposta dalle Br per la costruzione del partito comunista combattente, che sostengo», ha fatto sapere la detenuta ai giudici. «Per quanto mi riguarda - aggiunge la brigatista - il tempestivo reperimento di una frase dattiloscritta che si vuole riferire alla campagna mediatica e allarmistica in corso proprio in questi giorni, entra a far parte di un’operazione... volta in generale a inquinare l’informazione pubblica e soprattutto e in particolare, ad attaccare la linea politica dell’organizzazione a cui appartengo». Dura anche la reazione degli avvocati della Lioce, Carla Serra e Caterina Calia: «È assurdo che da un pezzo di frase incomprensibile sia stata formulata nei confronti della nostra assistita un’accusa parimenti assurda come quella di essere in qualche modo l’ispiratrice di messaggi di minaccia rivolti a monsignor Bagnasco. Si tratta, invece, di un’accusa strumentale volta soltanto a mantenere in piedi il 41 bis per la Lioce».
Nessun commento arriva, invece, dalla Curia di Genova. Bagnasco si trova in queste ore a Roma e da quanto si apprende le misure di sicurezza che lo riguardano non sono state rafforzate.

Il Giornale, 13 giugno 2007


Il vescovo Negri: «Intimidazioni allarmanti»

di Redazione

«Dobbiamo guardarci dal trarre conclusioni affrettate e rispettare, invece, il lavoro degli inquirenti ai quali è lasciata la responsabilità di verificare il caso in ogni suo dettaglio». Esprima cautela, nel suo primo commento dopo aver appreso la notizia, il vescovo di San Marino e Montefeltro, monsignore Luigi Negri. Dopo la doverosa cautela, condivisa peraltro dagli ambienti della Conferenza episcopale italiana, il prelato aggiunge però la preoccupazione: «Al di là di questa notizia, che ripeto va verificata prima di essere commentata - spiega il vescovo - non posso non esprimere innanzitutto la mia affettuosa solidarietà a monsignor Bagnasco, presidente della Cei, e la mia preoccupazione per le minacce di cui continua ad essere fatto oggetto».

C’è, a suo avviso, un’emergenza terrorismo?

«Voglio sperare, per quanto riguarda le minacce a Bagnasco, che vi sia molta ostentazione e un po’ di mitomania. Dunque non bisogna mai enfatizzare. Ma certo questi attacchi espliciti ci sono. Rispondo alla domanda dicendo che l’emergenza esiste da decenni ed è l’inevitabile conseguenza di una visione totalitaria e ideologica della vita. La nostra società è debole perché non ha fatto nulla per salvaguardare le identità culturali, manca una vera libertà di cultura e di educazione. Il terrorismo si vince con una vera pluralità di culture che dialogano tra di loro in un clima di autentico rispetto. Mi sembra sia ciò che manca oggi... ».

Che cosa pensa delle recenti manifestazioni che hanno inneggiato al terrorismo e alla morte dei poliziotti?

«La vulnerabilità del nostro sistema nei confronti dei fenomeni eversivi è data dal fatto che, purtroppo, vi sono forze politiche appaiono spesso troppo contigue. Ci sono forze che arrivano a giustificare certe manifestazioni di violenza e che finiscono per condizionare la nostra vita politica».

Come reagire, allora?

«Isolando chi giustifica certi atti, prendendo sempre e comunque le distanze da chi commette violenze. Difendo senza se e senza ma chi è vittima delle minacce».

Perché è la Chiesa a finire nel mirino delle minacce?

«La Chiesa è il vero grande avversario di ogni totalitarismo. I cristiani sono lietamente presenti nella società, costi quel che costi, per dare testimonianza della bellezza di ciò che hanno incontrato. Spero sia definitivamente tramontata, nel mondo cattolico, l’idea che i cristiani debbano essere aperti e dialoganti invece che missionari. Si tratta di una contrapposizione assurda: dialogo e apertura si accompagnano alla missione. Senza missione siamo alla mercè di chi vuole tenerci sotto tiro».

Il Giornale, 13 giugno 2007


La brigatista respinge l'accusa

Minacce a Bagnasco, indagata la Lioce Sarebbe la mandante

Chiara De Salvo

ROMA
Sarebbe la "mandante" della strategia che ha ordito le minacce al presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco. Dal carcere avrebbe inviato messaggi cifrati a militanti esterni finalizzati a mettere in atto la campagna di intimidazioni all'arcivescovo di Genova. Nadia Desdemona Lioce (foto in alto), la brigatista che sta scontando tre ergastoli per gli omicidi di Marco Biagi, Massimo D'Antona e per quello del sovrintendente della Polfer, Emanuele Petri, è indagata per questo dalla procura dell'Aquila per associazione con finalità di terrorismo. Ma dal carcere del capoluogo abruzzese dove è detenuta in regime di 41 bis, la brigatista, senza mezzi termini, con un documento "politico", depositato al Tribunale del Riesame, parla di «strumentalizzazione» negando che il "partito comunista combattente" abbia interesse strategico nella vicenda Bagnasco.
L'inchiesta del pm Alfredo Rossini è scaturita da una perquisizione fatta l'11 aprile scorso nella cella della Lioce, unica detenuta del reparto "giallo" del penitenziario abruzzese, davanti al quale, nei giorni scorsi, fu organizzata da gruppi della estrema sinistra una manifestazione proprio contro il 41 bis. Durante la perquisizione, eseguita dalla polizia penitenziaria, venne rinvenuta, e poi sequestrata, una busta bianca con un testo di due righe: nelle quali si legge «...ne do...asco ne...» e nella seconda riga la parola «religios...». Per gli inquirenti era un indizio di un possibile coinvolgimento nelle minacce a monsignor Bagnasco. La vicenda è poi finita al vaglio del Tribunale del Riesame dell'Aquila che ha convalidato il sequestro e ora sarà un incidente probatorio a chiarire la natura delle scritte e se la busta sia riconducibile alla Lioce.
Nel verbale di sequestro si legge di «una busta bianca da lettera non utilizzata, senza timbri di censura, né in arrivo, né in partenza, recante sulla parte superioreuna piccola striscia di carta sovrapposta alla busta stessa». La striscia «ricopre un rettangolo annerito con un testo dattiloscritto di due righe in gran parte illeggibile. «Tale sequestro – continua il verbale – si è reso necessario dal momento che in tali parole possono ravvisarsi elementi di reato».

Gazzetta del sud, 13 giugno 2007

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