13 giugno 2007

I media? Una belva selvaggia, parola di Tony Blair


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Di seguito riportiamo il testo di un discorso pronunciato da Tony Blair Reuters Building di Londra intervenendo sul tema "Stampa e politica".
Premetto che non condivido affatto molte scelte fatte dal governo inglese negli ultimi anni, tuttavia le riflessioni che seguono mi sembrano molto (ma molto!) interessanti e denotano una straordinaria lucidita' e capacita' di arrivare dritto al punto del problema.
Peccato che "Repubblica" si sia disturbata tanto a riportare l'intero discorso di Blair, ma non abbia avuto la stessa delicatezzza con il Papa che, in fondo, e' intervenuto piu' volte sullo stesso tema (i mass media). Non molti hanno il coraggio di dire la verita' sui mass media. Finora lo aveva fatto solo Benedetto XVI. Mi fa piacere che anche Blair abbia deciso di seguirne l'esempio. C'e' qualche altro coraggioso in campo pubblico?
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Raffaella


Il documento

Io accuso la stampa è una belva selvaggia

TONY BLAIR

Questo discorso non è una mia reazione all´ultimo attacco dei media. Non si tratta di una lamentela per l´ingiustizia di tutto ciò. Come ripeto sempre, è un privilegio enorme poter svolgere questo mestiere e se il peggio che può capitare facendolo è una copertura mediatica inclemente, si tratta pur sempre di un prezzo accettabile da pagare.
Ovviamente, per il fatto stesso di ritrovarmi all´apice del successo da tredici anni – dieci dei quali come Primo ministro – la mia vita, il mio lavoro di Primo ministro, le interazioni con i media mi hanno lasciato un´esperienza alquanto profonda, nel bene come nel male.
Occorre anche dire che la libertà di stampa è di importanza fondamentale per una società libera: per rendersi conto di quanto sia vero, è sufficiente pensare a quei luoghi nei quali la libertà di stampa è inesistente. Io non sono propenso a ritenere che i governi debbano procedere a una normalizzazione dei media, ma libertà significa anche poter criticare i media.

I media hanno il diritto assoluto di essere liberi. Io, al pari di chiunque altro, ho il diritto assoluto di esprimermi in proposito.

La mia riflessione principale è che il rapporto tra politica, vita pubblica e media sta cambiando in seguito al contesto in trasformazione nel quale noi tutti operiamo. Tale cambiamento sta diventando gravemente negativo per come si conduce la vita pubblica. Come minimo dobbiamo affrontare un dibattito adeguato e ponderato su come vogliamo gestire il nostro comune futuro.
Nell´analisi che mi accingo a fare, devo prima di tutto ammettere una complicità da parte mia: nei primi tempi del New Labour noi prestammo un´attenzione eccessiva corteggiando, blandendo, persuadendo i media. A nostra difesa, posso soltanto dire che dopo 18 anni all´opposizione e per l´ostilità talora feroce di parte dei media, era difficile ravvisare un´alternativa. Tale atteggiamento, tuttavia, ha comportato il rischio di alimentare nel comportamento dei media quegli stessi atteggiamenti che sto per mettere in discussione.
Dalla dichiarazione di Stanley Baldwin sul "potere che ha responsabilità, prerogativa delle meretrici nell´arco della storia", fino al trattamento spesso incredibilmente brutale riservato a Gladstone e Disraeli, passando per le lamentele di Harol Wilson negli anni Sessanta, i rapporti tra politica e media sono – e lo sono ineluttabilmente – difficili. Le cose sono come devono essere.
La domanda è: questi rapporti sono qualitativamente e quantitativamente diversi oggi? Credo di sì. E proprio da qui intendo partire per la mia analisi. Perché? Perché le circostanze obiettive nelle quali operano oggi i media sono radicalmente diverse.
Il mondo dei media – al pari di qualsiasi altra cosa – sta diventando sempre più frammentato ed eterogeneo, trasformato dalla tecnologia. Questi cambiamenti sono ovvi. Meno ovvia, invece, è la loro conseguenza. Adesso la programmazione delle informazioni è 24 ore al giorno, sette giorni su sette.

L´informazione si realizza in tempo reale. I giornali non danno più informazioni aggiornate: queste circolano già. Devono pertanto dare dettagli sensazionali e cercare di indirizzare l´informazione in una certa direzione, oppure offrire un commento. Tutto ciò inoltre avviene con una rapidità straordinaria.

Quando ho fatto campagna elettorale nel 1997 – appena dieci anni fa – affrontavamo un tema al giorno. Nel 2005 dovevamo averne uno per il mattino, un altro per il pomeriggio ed entro sera si era già andati avanti con l´agenda.
Si deve inoltre reagire agli avvenimenti in tempo reale. Di frequente il problema sta tanto nel come si assemblano i fatti quanto nel darli. Commetti un errore, e immediatamente passi dal dramma alla crisi. Negli anni Sessanta al governo qualche volta capitava di riunirsi per una questione di primaria importanza anche per due giorni consecutivi. Oggi sarebbe del tutto ridicolo pensare di poter fare una cosa del genere senza che prima dell´ora di pranzo del primo giorno caschi il cielo.
Le cose si complicano nel giro di pochi minuti. Ciò che voglio dire è che non è possibile permettere che si facciano speculazioni per più di qualche istante.

Sto per dirvi qualcosa che pochi personaggi pubblici sarebbero disposti a dire, ma che la maggior parte di loro sa essere assolutamente vero: di questi tempi l´unico aspetto più difficile in assoluto nel nostro mestiere - se si eccettuano le decisioni di primaria importanza – è avere a che fare con i media, con la loro incredibile influenza, il loro peso, la loro incessante iperattività. In alcuni momenti tutto ciò è assolutamente opprimente.

Parlate con chiunque, con personaggi di primo piano, di qualsiasi ambiente e in qualsiasi ceto – nel mondo degli affari, nell´esercito, nei servizi pubblici, nello sport, perfino nelle associazioni di carità e di volontariato – e tutti vi diranno la medesima cosa. La gente non ne parla perché, in generale, ha paura a farlo. Nondimeno ciò è vero, e chi ne ha avuto esperienza per qualche tempo vi potrà anche dire che la situazione è andata cambiando in maniera significativa negli ultimi anni.
Il pericolo, tuttavia, a questo punto è commettere lo stesso errore che i media fanno con noi: addossare le colpe ai reprobi. Io sostengo invece che ad essere cambiate non sono le persone, ma il contesto nel quale esse lavorano.
È mia opinione che la vera ragione di tutto questo cinismo sia da ricercarsi proprio nel modo col quale politica e media odierni interagiscono. Noi, nel mondo della politica, poiché temiamo di farci sentire, ci adeguiamo al concetto che sia tutta colpa nostra. È per questo motivo che io ho introdotto prima di tutto i briefing ufficiali nelle lobby, poi la pubblicazione dei verbali, e quindi le conferenze stampa mensili, e il Freedom of Information; e ancora, sono stato il primo Primo ministro a essersi recato alla sessione di nomina del presidente della Commissione, e così via. Ma nulla di tutto ciò è servito, e non perché queste cose non siano giuste, ma perché non hanno davvero a che vedere con la questione centrale: il modo col quale si parla di politica.
È nuovamente in corso un dibattito sul perché il Parlamento non sia considerato più importante e come sempre si biasima il governo. Ma noi non abbiamo modificato in alcunché le linee di spartizione delle responsabilità tra il Parlamento e l´esecutivo. Ad essere cambiato è il modo col quale si parla del Parlamento, o meglio, il modo col quale non se ne parla. Ditemi: quanti maiden speech ( il primo discorso di un rappresentante appena eletto, ndt), quanti eccellenti second reading speech o committee speech sono riportati? Tranne quando danno adito a qualche controversia di primo piano, nessuno.
Se oggi sei un backbencher (membro del Parlamento o legislatore privo di incarico di governo, ndt), prima devi imparare a rilasciare un comunicato stampa, poi a fare un buon discorso al Parlamento. Il fatto è che io credo che non sia giusto neppure addossare la responsabilità di tutto ciò ai media. Entrambi siamo alle prese con questa natura in evoluzione della comunicazione.
Quanto prima prenderemo atto di ciò, tanto meglio sarà, perché a quel punto potremo discutere e trovare un modo per andare avanti.
La realtà è che a causa di questo contesto in trasformazione nel quale operano i media del XXI secolo, questi devono affrontare una forma di concorrenza molto più serrata rispetto a ciò che possono aver sperimentato in precedenza. Non sono i padroni di questo cambiamento, bensì le vittime.

Ne consegue che i media contano sempre di più e sono indotti ad agire dall´impatto che ha una notizia. A contare è l´impatto. L´impatto è tutto ciò che può fare la differenza, quello che fa sì che ci si levi al di sopra dei clamori o si passi del tutto inosservati. Certo, l´accuratezza di una storia conta anch´essa, ma è secondaria rispetto all´impatto.

Ed è proprio questa necessaria devozione all´impatto a stravolgere tutti gli standard, ad abbassarli, a fare della diversità dei media non tanto il punto di forza che dovrebbe essere, bensì lo stimolo al sensazionalismo al di sopra di qualsiasi altra cosa.
Oggi i giornali di grande formato devono resistere alle medesime pressioni alle quali sono sottoposti i tabloid. E le emittenti sempre più avvertono le medesime pressioni alle quali sono sottoposti i giornali di grande formato. Si deve catturare l´audience, trattenerla e solleticarne le emozioni. Ciò che è interessante è meno efficace da questo punto di vista rispetto a ciò che provoca collera o shock. E le conseguenze di tutto questo sono gravi.

Primo, gli scandali e i contrasti di opinione sbaragliano i normali reportage. Le notizie di rado sono notizie, a meno che non provochino scalpore e attirino i riflettori.

Secondo, criticare le motivazioni di qualcuno è estremamente più efficace che criticarne le opinioni. Per alcuni non è sufficiente commettere un errore: quell´errore deve essere necessariamente venale, una cospirazione. Il Watergate è stato un meraviglioso esempio di giornalismo, ma vi è una tesi di dottorato che prende in esame le conseguenze per il giornalismo dell´essere sempre alla ricerca di una cospirazione. A creare cinismo e scetticismo non sono gli errori, bensì il comportarsi male. Ma è il comportarsi male che ha molto "impatto".
Terzo, per i media odierni la paura di perdersi qualcosa significa, più che mai rispetto al passato, cacciare in branco.

In tali circostanze, i media sono come una belva selvaggia, che fa a brandelli le persone e la loro reputazione. Però nessuno osa perdersi qualcosa.

Quarto, piuttosto che limitarsi a riportare le notizie, anche quelle sensazionali o controverse, la nuova tecnica consiste nel considerare il commento altrettanto importante della notizia stessa, se non di più. Di conseguenza, per esempio, spesso vi sono tante interpretazioni di ciò che dicono i personaggi politici quante sono le coperture effettive dei personaggi allorché le dicono.

Nelle interpretazioni ciò che conta non è tanto quello che i politici volevano dire, bensì ciò che quello che hanno detto può significare, anche quando è abbastanza evidente che si tratta di un´interpretazione errata. Questo comporta l´attività incredibilmente frustrante di dover investire moltissime energie a smentire le dichiarazioni sul significato di ciò che si è detto, il che non ha alcun tipo di rapporto, o quanto meno ne ha uno minimo, con ciò che si intendeva dire.

Ho perso il conto delle volte in cui i titoli dei giornali riportavano: "Blair ha detto la tal cosa", allorché Blair non l´aveva detta, né aveva detto nulla del genere, ma era stato interpretato così, come se l´avesse effettivamente detta.

A sua volta ciò comporta un quinto punto: la confusione tra notizie e commenti.

Il commento è una parte assolutamente onorevole del giornalismo, ma si suppone che debba essere separato e distinto dalla notizia alla quale si riferisce. Fatti e opinioni dovrebbero essere chiaramente evidenti e distinguibili. La verità è che una buona parte dei media odierni non soltanto elimina questa distinzione, ma lo fa automaticamente. In altre parole: non si tratta di un´eccezione, ma di routine.

Metafora di questo genere di giornalismo moderno è il quotidiano "Independent". Permettetemi di dire subito che si tratta di un prodotto editoriale buono e dinamico, che ha tutti i diritti di pubblicare ciò che vuole e come vuole sul Medio Oriente e qualsiasi altro argomento. Ma era nato come antidoto all´idea di giornalismo "opinioni, non notizie", ed ecco perché si era voluto chiamare Independent. Oggi è dichiaratamente un giornale di opinioni (un "viewspaper") e non soltanto un giornale di notizie (un "newspaper").

Conseguenza e conclusione di tutto ciò è che oggi è raro trovare equilibrio nei media. Le cose, le persone, le questioni, gli avvenimenti sono tutti in bianco o in nero. L´usuale grigiore della vita è pressoché assente. All´odierno modo di riportare le notizie sono del tutto alieni i concetti di un tempo: "C´è del bene, come del male", oppure "Alcune cose vanno bene, altre vanno storto". Oggi tutto è o un trionfo o un disastro. Un problema è una "crisi". Una battuta d´arresto è una "politica a brandelli". Una critica è "un attacco brutale".

La situazione sta forse peggiorando? Ancora una volta, direi di sì. Nei dieci anni trascorsi come Primo ministro ho notato tutti questi elementi evolversi con sempre maggior rapidità. Si era soliti pensare – e anch´io mi metto tra quanti lo facevano – che all´orizzonte si prospettasse una soluzione. Che nuove forme di comunicazione avrebbero fornito nuovi sbocchi per bypassare questo stridente e crescente atteggiamento da parte dei media tradizionali. Di fatto, invece, queste nuove forme possono risultare ancora più perniciose, meno equilibrate, più focalizzate di almeno cinque volte sull´ultima teoria cospiratoria.
Ma siamo in presenza altresì di un´opportunità. Ormai siamo tutti demoralizzati da come interagiscono media e vita pubblica.

La fiducia riposta nei giornalisti non è molto superiore a quella riposta nei politici. Vi è un mercato per chi fornisce notizie serie ed equilibrate. Vi è un desiderio di imparzialità. Forse starà cambiando il modo col quale la gente si procura le informazioni – spesso online – ma il desiderio che le notizie siano davvero realmente tali no.

I media temono che qualsiasi inversione di marcia rispetto all´impatto che oggi perseguono possa significare un calo delle vendite. In realtà è vero il contrario: un´impostazione deliberatamente più rigorosa fornirebbe una misura superiore di legittimità, incoraggerebbe l´obiettività e l´accuratezza più che il solo impatto. I media possono scegliere di fare ciò, invece che vederselo imporre dal governo.
Ad ogni modo, lasciando il mio incarico come sto per fare, non sono nella posizione di poter determinare in che modo procedere lungo questa strada. So che in alcuni ambienti quanto ho detto sarà duramente criticato. Ma so anche che dirlo era necessario.

Traduzione di Anna Bissanti

Questo discorso è stato pronunciato da Tony Blair al Reuters Building di Londra intervenendo sul tema "Stampa e politica".

Repubblica, 13 giugno 2007

APPLAUSI APPLAUSI APPLASI
Raffaella

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Incredibile, sembra che riguardi il papa... Ha detto quello che noi da tempo diciamo. Si va alla ricerca dell'impatto, non della notizia vera e propria, si da solo bianco e nero, senza le varie tonalità. E' ora di passare al giornalismo serio! Grazie per la ricerca dell'articolo! Ciao Raffaella, ciao a tutti! Marco.

mariateresa ha detto...

è straordinariamente lucido. e azzeccatissimo anche per le questioni di nostro interesse.
Ma aspetteremo invano un'autocritica dei giornalisti. Anche loro sono una "casta".

Anonimo ha detto...

Ciao Marco e Mariateresa, ero sicura che sareste arrivati alla mia stessa conclusione: Blair parla del rapporto fra politica e media, ma le stesse, identiche, riflessioni possono essere tranquillamente fatte per il rapporto fra il Papa e stampa e tv!
Azzeccatissimo il riferimento alla "casta"
:-)
Ciao
Raffaella

Luisa ha detto...

Questo discorso è da incorniciare!
Che i giornalisti lo leggano, e meditino sul contenuto di grande lucidità e verità. Beh, Blair trova il coraggio di dire il fondo del suo pensiero alla vigilia della sua partenza ma meglio tardi che mai!
Tuttto quello che noi diciamo da mesi è perfettamente descritto a prova che non siamo dei critici retrogradi e oscurantisti.
Quello che conta è catturare l`attenzione della gente , e mantenerla , tenendo alto il livello dell`emozione, e quando l`emozione scende, in fretta se ne trova un`altra e così via.
Sì catturare l`audience, è un termine che mi sembra molto adatto, perchè, se non siamo preparati e lucidamente informati, finiamo per essere effettivamente manipolati e resi prigionieri da questa strategia mediatica che fa leva sulle nostre emozioni.
I commenti altrettanto se non più importanti della notizia, le interpretazioni orientate e false, quanto Papa Benedetto ha già subito le conseguenze di questa stampa "bestia selvaggia" !