14 giugno 2007

I sequestri dei missionari? Di serie B...non sono giornalisti!


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Cari amici, oggi ho avuto modo di leggere molte, e sacrosante, prese di posizione contro l'atteggiamento dei media che non si preoccupano affatto di darci informazioni sui sequestri dei missionari, da ultimo quello di Don Giancarlo Bossi, nelle Filippine.
Del resto che cosa pretendiamo? Non sono certo giornalisti
!
Raffaella


Sequestri, media autoreferenziali

di Bruna Iacopino

“In questo caso così come per gli altri sequestri di missionari, l’attenzione da parte dei nostri media lascia molto a desiderare, mentre è altissima ogni qual volta ad essere rapito è un giornalista…”
Così, padre Giulio Albanese, missionario comboniano e fondatore di MISNA, commenta l’attenzione mediatica in merito al rapimento di padre Bossi. “Condivido, a pieno le affermazioni di padre Albanese- sostiene- Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21 – per questo, in sede di Commissione Vigilanza Rai, ho chiesto al Presidente Landolfi di rappresentare ai vertici dell’azienda la necessità di seguire questo sequestro con la massima attenzione, anche attraverso la presenza sul posto, in modo tale che accanto alla diplomazia si faccia percepire la più vasta partecipazione popolare. Questo deve valere per i cronisti, come per i missionari e per qualsiasi altro lavoratore rapito (penso alla Nigeria)”.

“Naturalmente- continua padre Albanese- è una cosa fisiologica, ma occorrerebbe, in certi casi, meno autoreferenzialità da parte del mondo dell’informazione. La dignità di ogni persona è sacrosanta.” “ Io sono, nel mio piccolo, un africanista ma seguo comunque quello che accade nel mondo missionario. Per quanto concerne questo sequestro le motivazioni possono essere diverse: da una parte la necessità, da parte di gruppi ribelli, di avere visibilità sui media internazionali, ma, giacchè non ci sono state, ad oggi, rivendicazioni, l’altra pista potrebbe essere l’estorsione, oppure lo scambiio di prigionieri. Non è la prima volta che si verificano sequestri del genere a danni di missionari in quell’area”.

Il sequestro di padre Bossi pone nuovamente l’accento sulla difficile convivenza tra comunità cristiana e musulmana…

La convivenza tra cristiani e musulmani, nelle Filippine, non è facile. Il cattolicesimo, in quella parte dell’Asia è una sorta di “isola felice”, ma in generale, in buona parte del mondo orientale le difficoltà sono molteplici. Dovrebbe valere sempre e comunque il principio di reciprocità ( e di questo problema i nostri politici dovrebbero farsi carico), ovvero, la libertà religiosa dovrebbe essere garantita a tutti comprese le minoranze, nel rispetto, reciproco appunto.
In questi ultimi anni si è fatto molto per promuovere il dialogo interreligioso che è una delle opzioni base per le chiese cristiane che si collocano all’interno del mondo islamico.

Cos’è che impedisce il dialogo allora?

Permangono, purtroppo, spinte di natura estremista, penso soprattutto al movimento salafita, che rendono difficile l‘apertura dialogica. Del resto è anche vero che alla jiad, non si può rispondere con la crociata perché non è questo l’insegnamento cristiano.

Condivide le preoccupazioni espresse dal Santo Padre in rapporto alle comunità cristiane in Iraq?

C’è da dire che le comunità cristiane sono, in generale, quelle maggiormente penalizzate, penso anche alle comunità che si trovano in Terra Santa, tra due fuochi. Molte volte i cristiani sono penalizzati anche dalle legislazioni locali, per esempio, in Egitto, dove l’avanzamento di carriera non è possibile ad un cristiano, oppure, all’Arabia Saudita, dove invece si rischia addirittura la vita ad essere cristiani. Eppure queste sono cose di cui non si discute, perché gli interessi economici soppiantano il sacrosanto diritto alla libertà religiosa, sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.

Come africanista vede la possibilità di una soluzione pacifica al dramma del Darfur?

Pur avendo accettato la presenza di una forza ibrida di interposizione, Kartum continua ad essere un interlocutore inaffidabile, e, in questo, la comunità internazionale ha responsabilità enormi. Il Darfur continua ad essere la linea di faglia su cui si scontrano gli opposti interessi del mondo arabo e di quello occidentale. I disordini di quell’area stanno poi coinvolgendo i paesi vicini: Ciad, Repubblica Centrafricana. Quello che emerge è l’incredibile incoerenza delle potenze internazionali. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha preso in esame la questione Darfur, ma, al suo interno si scontrano gli interessi di Cina e USA, in più c’è da dire che gli USA non avendo ratificato il Trattato di Roma hanno di fatto bloccato i mandati di cattura internazionale che gravano su molti esponenti della classe politica sudanese.
Le responsabilità ricadono non solo sui politici, ma anche sull’informazione che ha sempre dedicato poco spazio al Darfur.

I limiti dell’informazione nostrana?

Il giornalismo italiano è fortemente viziato di provincialismo, di spicciola e inutile, a volte, cronaca politica. Gli esteri, invece rappresentano il fanalino di coda e questa è sicuramente una forte contraddizione se si pensa che viviamo in un mondo globale. La colpa è degli editori come dei direttori, dovrebbero essere i giornalisti, in questo caso, a sollevare una questione etica in merito.
Io dico sempre: informarsi è un diritto, formare un dovere, la negazione delle due cose è dittatura.

Articolo 21


Cristiani e opinione pubblica. I sequestri di serie B

di Redazione

I sequestri dei cristiani scivolano via in fretta, in Iraq come nelle Filippine. La situazione opposta di quanto avvenuto per giornalisti, operatori umanitari e responsabili di ong. Le vittime sono forse cittadini di serie B?

Un appello drammatico si è perso nel flusso continuo di notizie. È quello del vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, che nei giorni scorsi, parlando all'agenzia Sir, ha espresso la preoccupazione della comunità cristiana irachena per il sequestro di padre Hani Ahad, rapito il 6 giugno. Il vescovo spiega di non avere ancora notizie, ma lancia un'accusa pesante alla comunità internazionale, specie ai cristiani.

“Se una cosa del genere fosse accaduta ad una qualche popolazione islamica, - ha detto - le masse musulmane sarebbero scese in piazza a protestare e chiedere rispetto, come accadde per le vignette satiriche tempo fa. Invece i cristiani non stanno facendo nulla mentre qui si muore, si viene rapiti, costretti a convertirsi all’Islam o a pagare per ottenere protezione, a cedere le proprie figlie a dei delinquenti per evitare ritorsioni o a fuggire lasciando tutto il lavoro di una vita”. E ancora: “Dagli Usa e dall’Europa solo silenzio.
Quando è stato trucidato padre Ragheed Ganni nessuno ci ha mostrato solidarietà. Solo il papa ci ha inviato un telegramma di cordoglio ed ha alzato la voce per far conoscere la tragedia dei cristiani iracheni”. Il sasso è stato lanciato e nessuno ha ritirato la mano. Le parole di mons. Warduni sono un pugno nello stomaco per opinioni pubbliche abituate a pensare ad altro, a fissare gerarchie di interesse e a rincorrere chimere. Non stupisce quindi che l'Iraq oggi sia molto lontano, eppure il silenzio è sempre colpevole. E non solo in Medio Oriente.

Prendiamo il caso di padre Giancarlo Bossi, il missionario italiano rapito nelle Filippine. La notizia del suo sequestro è scivolata via in fretta: si sa che la polizia è al lavoro e che è ancora poco chiaro il quadro della situazione, ma l'Italia pensa ad altro. E con dinamiche paradossali se si pensa agli altri sequestri di italiani. Padre Bossi non è un giornalista, né un operatore umanitario, né un responsabile di una Ong, ma pur sempre un cittadino italiano.

E allora, qualcuno sa spiegare come mai al rapimento di Daniele Mastrogiacomo, di Giuliana Sgrena o delle due Simone seguì una vera e propria mobilitazione, con fiaccolate, gigantografie sulla facciata del Campidoglio, riscatti pagati e trattative addirittura non convenzionali? Padre Bossi è forse un cittadino di serie B? Oppure, in fondo è normale che un missionario corra dei rischi?

Misteri della logica dei media, anche se non ha senso prendersela solo con chi ha il dovere di informare e di tenere alta la guardia. Il disinteresse dei credenti racchiuso nelle parole di Warduni è un fatto reale, il segno di un'appartenenza sempre più sfumata, di una religiosità che fa fatica ad andare oltre il proprio orizzonte. Uno spirito di appartenenza che a ragione si anima sulle grandi battaglie etiche, ma restio ad appassionarsi ai temi della libertà religiosa e delle difficoltà dei cristiani di terre lontane. E così, basta poco per far scoprire anche a molti cattolici italiani che in fondo nessuno è immune dal provincialismo e che è più facile pensare alle realtà conosciute piuttosto che a quelle che non si vedono. Questione di abitudine, ma c'è sempre tempo per cambiare rotta. Come? Cominciando a parlare, dando voce a chi non può dire nulla, vivendo coerentemente, senza cadere nel rischio di dare tutto per scontato, a cominciare dalla fede, dono che anche adesso, in decine di Paesi, continua a costare molto caro.

Korazym

1 commento:

euge ha detto...

Già sequestri di seri B .......... qualcuno potrà anche dire che i missionari per scelta rischiano ad andare dove ci sono guerre, carestie, rivoluzioni etc.etc. e che forse, il rischio è simile a quello di un giornalista. Beh , a mio avviso non è proprio la stessa cosa anche perchè so e questo me lo ha confidato una mia ex collega di lavoro, che quando per un qualsiasi giornalista od operatore televisivo, si presenta l'opportunità di andare in zone di guerra e quant'altro si scatena la guerra per la solita squallida storia degli ingaggi. Ora il missionario pòer quanto ne sò personalmente, si muove per umanità, per chè porta il messaggio di Cristo mosso dalla fede e senza uno straccio di guadagno anzi.......allora c'e' da chiedersi perchè per un giornalista pluri pagato c'è la mobilitazione generale e per un missionario no????????????????? qualquno potrebbe dire si tratta di un essere umano e su questo sono d'accordo ma, allora il missionario cos'è??????? qualcosa di inumano???????? un E.T forse?????????? Purtroppo, la risposta potrebbe essere questa ma, spero con tutto il cuore che non lo sia........" Il Missionario portando Cristo è una persona che accetta anche di ssacrificare la propria vita per Lui e quindi anche se ne muore qualcuno di qua e qualcuno di la, avranno la loro rinconpensa in Dio" il giornalista invece, che fa un lavoro si di cronaca ma, qualche volta sconfinando in cose che non proprio sono inenrenti al proprio lavoro, diventa se muore, un martire dell'informazione o di presente verità nascoste....!!!!!!!
E comunque poi c'e' un'altra cosa da non sottovalutare anche trai giornalisti ci sono quelli di serie A e quelli di serie B per iprimi si muove la cittadinanza intera , le redazioni e per fino il governo, per altri invece si fa un pò di rumore per qualche giorno e poi quel che sarà sarà......... Questa purtroppo, è la società in cui viviamo in cui perfino la vita umana subisce la divisione in A e B come se fosse un banalissimo torneo di calcio!!!!!!!!!!!!!
Eugenia