12 agosto 2007

Mons. Fisichella: Oriana Fallaci e Papa Benedetto


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Monsignor Fisichella e gli ultimi giorni della Fallaci

di FRANCA GIANSOLDATI

MONSIGNOR Rino Fisichella, il prete che ha preso per mano Oriana Fallaci nell’ultimo percorso di vita, quello più difficile, quello segnato dalla malattia e dall’isolamento, che non ha esitato a metterle a disposizione per alcuni periodi la sua abitazione al Laterano senza la necessità della solita scorta per le minacce islamiste, attrezzandole una stanza per affrontare l’emergenza medica, cerca di spiegare l’eredità intellettuale di questa «atea devota».

L’eredità di una scrittrice controversa e coraggiosa che interroga sempre più il mondo cattolico. Il dibattito ospitato al Meeting ne è la prova.

La Fallaci sembra fare proseliti..

«La personalità di Oriana era talmente polivalente che non poteva non attrarre il mondo cattolico. Certamente bisogna considerare le molteplici sfaccettature della sua persona e della sua opera letteraria. E’ inevitabile che il coraggio di Oriana induca a riflessione. Da sempre. Si è trattato di coraggio quando ha scritto Lettera a un bambino mai nato. In un periodo di forte contrapposizione scrisse una pagina certamente autobiografica che andava al di là della sua biografia per affrontare una problematica che le è sempre stata vicina. La difesa della vita».

Nell’ultimo periodo, vedendo la vita che si spegneva, si rammaricava di qualcosa in particolare?

«Posso dire che uno dei suoi desideri era di scrivere la continuazione alla Lettera a un bambino mai nato. Non c’è riuscita. Nella vita di coloro che hanno una forte valenza intellettuale succede che quando si trovano davanti alla fine si accorgono di avere ancora tanto da fare, e questo valeva anche per lei. Ripetutamente mi diceva che non poteva morire perché doveva scrivere ancora tante cose».

Perché voleva tornare sul tema antiabortista?

«Mi aveva chiesto del materiale per riparlare di diritto alla vita. Sentiva forte la necessità di riflettere sulla vita. Era convinta della negatività di qualsiasi legge che potesse interrompere la vita nascente. Penso che volesse dare continuazione al libro al di là di ogni dibattito politico».

Un’atea devota che condivideva con la Chiesa molte battaglie..

«Nella visione positiva di Oriana c’era anche il suo costante richiamo al valore dell’identità dell’Europa. Ha detto e scritto concetti facilmente condivisibili, e lasciando in disparte i suoi aspetti caratteriali, ha saputo difendere strenuamente l’identità cristiana di un continente da ricondurre al cristianesimo».

Era una persona di fede?

«Si diceva cristiana in quanto si riconosceva nella cultura che ha dato le basi all’Europa. Che fosse senza fede non saprei. Quando parlavo con lei mi tornavano in mente quelle pagine scritte da Silone nel suo romanzo postumo Severina, laddove in una pagina la protagonista del romanzo veniva invitata a dare una risposta: “Ma tu credi? Credi?” E lei rispondeva: “Non credo ma spero”. La cosa bella è questa: che solo Dio conosce la fede nel cuore di ogni persona. Il cuore di Oriana era pieno di grande speranza. La speranza di un Dio, di una vita oltre la morte».

Che affinità ci sono tra il Papa e la Fallaci?

«Ricordo il giorno dell’udienza a Castel Gandolfo. Si è presentata col libro di Benedetto XVI sull’Europa tra le mani. Era tutto sottolineato nei passaggi fondamentali. L’affinità intellettuale era tutta lì, nella visione della profonda crisi del mondo occidentale e forse anche nel desiderio di trovare la strada giusta per venirne fuori. Oriana a differenza di Benedetto XVI percepiva soprattutto il problema dell’Islam mentre il Papa vede la crisi quale prodotto del secolarismo».

E’ vero che l’università del Laterano di cui lei è rettore dedicherà alla Fallaci un piccolo museo?

«Al Laterano ha lasciato in eredità i suoi libri. Ha impacchettato lei stessa i volumi che voleva donare. Lo ha fatto finché ha potuto, in ginocchio per terra, come faceva lei, metteva la dedica e la sua firma, li ha inscatolati personalmente. Questo fino a un paio di settimane prima di morire. Ha donato anche fotografie e altri oggetti. Non voleva che andassero perduti, che andassero all’asta, dispersi in mille rivoli. Voleva tenerli uniti. I libri del Fondo Fallaci li stiamo catalogando poi saranno a disposizione. Questione di pochi mesi. Il Laterano riserverà una sala in cui esporre anche gli oggetti, una specie di piccolo museo. Ci sono i taccuini, le penne predilette, la sua macchina da scrivere, persino lo zaino del Vietnam».

© Copyright Il Messaggero, 12 agosto 2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ho letto tutti d’un fiato gli ultimi libri della Fallaci. Considero lei, l’ultimo vero baluardo nei confronti dell’Islam! Percepivo dai suoi scritti, un disperato appello a tutte le persone di buon senso, e alla sinistra “buonista e cogl…” in particolare, ad aprire gli occhi sulla tremenda e subdola minaccia che esso rappresenta…! Mi dispiace solo che sia stata abbandonata proprio da coloro che dicevano di identificarsi nelle sue idee - finché parlava di Vietnam… -, per poi abbandonarla e isolarla in quel silenzio che per lei è stata come una seconda condanna a morte! Vergogna, doppia vergona!!!