21 agosto 2007

Eugenia Roccella per Avvenire: ci aspettavamo piu' coraggio da Amnesty


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Questi paladini che non vedono e si adeguano

Eugenia Roccella

È cosa fatta. Amnesty International ha scelto, dopo molte discussioni, di «difendere l'accesso delle donne all'aborto», e di lavorare perché «siano rispettati i diritti sessuali e riproduttivi». Da tempo diciamo che i cosiddetti diritti riproduttivi, così come sono formulati nei documenti delle organizzazioni internazionali, sono a senso unico: servono solo a non riprodursi, e mai ad aiutare le donne ad avere figli. Infatti l'enorme tasso di mortalità materna, nel mondo, è tragicamente stabile: la salute delle madri e dei bambini importa a pochi. L'aborto non si può considerare un diritto, anche le femministe lo sanno e lo dicono: è una tragica realtà, che dovremmo sforzarci di arginare, per tentare di ridurre i 46 milioni di aborti che ogni anno si praticano nel mondo.
Ma all'Onu interessa assai di più bloccare la crescita demografica nei Paesi terzi, che garantire davvero i diritti delle donne. È a questo scopo che sono nate organizzazioni come l'Unfpa, il Fondo internazionale per la popolazione, che raccoglie e distribuisce i fondi per i piani nazionali di controllo delle nascite. È per questo che si sono indette svariate conferenze mondiali sulla popolazione, e si finanziano Ong potenti e diffuse come l'Ippf (International Planned Parenthood Federation), nata dalla Lega eugenetica di Margaret Sanger, colei che divideva le persone tra "fit" e "unfit", cioè adatte e inadatte; e va da sé che gli inadatti (i poveri, i neri, i disabili) non dovevano riprodursi.
Le belle parole sulla libertà femminile usate da queste organizzazioni mascherano in gran parte una realtà opposta, fatta di cinismo indifferente. La verità è che l'aborto è un elemento essenziale delle politiche di controllo demografico, insieme alla sterilizzazione. Eppure anche questo non basta: per ottenere un effettivo calo delle nascite bisogna aggiungere spesso la violenza, il raggiro, la brutalità. Come è accaduto in Cina, dove la ventennale «politica del figlio unico», premiata ufficialment e dall'Onu, è stata condotta con una ferocia senza limiti. Ma anche quando l'imposizione dei governi è stata meno sfacciata e poliziesca, i diritti umani delle donne, che Amnesty sostiene di voler difendere, sono stati mille volte violati. Nel mondo ci sono 160 milioni di donne sterilizzate, naturalmente quasi tutte nei Paesi in via di sviluppo. Chiediamo ad Amnesty: negarsi ogni possibilità di cambiare idea in futuro, è davvero una forma di libera scelta? Ed è possibile che le donne ricorrano in massa alla legatura delle tube come mezzo anticoncezionale? In realtà, da molte denunce sappiamo che la sterilizzazione viene quasi sempre imposta, oppure offerta in cambio di un piccolo aiuto economico, di fronte al quale chi ha problemi di sopravvivenza è ovviamente molto fragile.
E parliamo anche dell'aborto. Si dice che solo dove è illegale sia rischioso, eppure l'India è stata, ed è tuttora, una sorta di laboratorio a cielo aperto di sperimentazioni selvagge di tecniche orribili e pericolose, come le paste abrasive da inserire nell'utero, o la pillola abortiva Ru486, facile da reperire sul mercato. Nel mondo occidentale sono già 14 le donne morte dopo averla assunta. Ma non sapremo mai quali tragedie ha provocato in India, o in Cina, dove il governo ha preferito ritirarla dalle farmacie.
Amnesty però sembra voler ignorare tutto questo, e preferire una via più comoda, che non la metta in contrasto con i poteri forti dell'antinatalismo. Peccato, ci aspettavamo più coraggio da un'organizzazione con una storia così importante alle spalle.

© Copyright Avvenire, 20 agosto 2007


«STRAPPO» SULLA VITA

la svolta In Messico, a porte chiuse, i delegati della più grande Ong del mondo hanno saltato il «fosso della neutralità»: il gruppo si impegnerà a «prevenire gravidanze indesiderate» Inoltre si batterà per depenalizzare la pratica e facilitare l’accesso alle strutture sanitarie

L'autogol di Amnesty sull'aborto

Mozione approvata dal comitato internazionale: «È un diritto umano»

Di Lorenzo Fazzini

Lo strappo è consumato: Amnesty International, la più grande associazione umanitaria del mondo (con 2,2 milioni di aderenti), ha cambiato la propria politica in tema di aborto includendo il sostegno alla depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza e il «libero esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi» tra i propri obiettivi «umanitari».
La decisione, che segna un precedente per molti versi sconcertante nella storia della gloriosa organizzazione per la difesa dei diritti civili, è stata ratificata dal “28° Incontro del Comitato internazionale di Amesty International”, conclusosi venerdì sera a Cocoyoc, in Messico. La riunione ha coinvolto 400 delegati provenienti da 75 Paesi e ha affrontato diverse tematiche nella prospettiva – come recita il comunicato finale dell’assemblea – di un «mondo diviso dall’ineguaglianza, impunità e povertà». Per questo – si legge nella nota resa pubblica da AI (sigla internazionale di Amnesty International) – è necessaria una «coraggiosa ed estesa difesa dei diritti umani».
Da tempo l’incontro internazionale in Messico – appuntamento che si ripete ogni due anni – era sotto osservazione della stampa internazionale per la nuova politica sull’aborto, approvata in via preliminare dal Comitato internazionale di Amnesty nella primavera scorsa e criticata da molti. Il perché risulta evidente, come evidenziato da più parti: un’associazione nata per la difesa della libertà di coscienza, da sempre in prima linea per l’abolizione della pena di morte, ora ha “saltato il fosso” morale della neutralità sul tema aborto e si è schierata (pur con numerose critiche interne) per la possibilità dell’interruzione di gravidanza come «nuovo diritto umano».
In particolare, l’Ong – fondata dall’avvocato cattolico inglese Peter Benenson nel 1961 – ha dichiarato che considerando «la prevenzione della violenza contro le donne come il principale obiettivo delle proprie campagne, i nostri leader si impegnano di nuovo per lavorare in favore del rispett o universale dei diritti sessuali e riproduttivi. AI si impegna a rafforzare il lavoro dell’organizzazione nel prevenire gravidanze indesiderate e altri fattori che contribuiscono al ricorso delle donne all’aborto». Inoltre, si legge nel comunicato finale, Amnesty afferma nel concreto la propria prospettiva pratica su alcuni aspetti riguardanti l’aborto: sancisce che d’ora in poi darà «supporto alla sua decriminalizzazione» e si batterà per «assicurare alle donne l’accesso ai servizi sanitari quando sorgono complicazioni dopo un aborto».
Inoltre, «difende il ricorso all’aborto, dentro ragionevoli limiti a livello di gestazione quando la loro salute o i loro diritti umani sono in pericolo». In sostanza, la nuova politica – che utilizza un eufemismo molto in voga nelle Ong di marca abortista – certifica la propria deregulation etica con queste parole: «Sottolineiamo con forza che le donne e gli uomini devono esercitare i loro diritti sessuali e riproduttivi liberi da coercizione, discriminazione e violenza».
Da notare poi che, come rilevato da più parti, le modalità di AI nell’affrontare la questione non sono risultate particolarmente trasparenti: l’agenzia stampa Catholic News Service ha denunciato che il meeting in Messico si è svolto «a porte chiuse sia per la stampa che per il pubblico; inoltre non è stata resa nota l’agenda dei lavori». Anche a livello nazionale, con le consultazioni avviate nella primavera del 2005, i dibattiti interni sono stati “silenziati” e non sono state fornite notizie ufficiali. Infatti, solo grazie ad uno scoop del giornalista americano Ryan T. Anderson sulla rivista First Thing si era venuto a sapere (nella primavera del 2005) dell’inizio del lavoro consultivo dentro AI in tema di aborto.
A giugno scorso, in un’intervista al National Catholic Register, il cardinale Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, aveva criticato la nuova direttiva di AI, affermando che con essa «Amnesty International ha tradito la sua missione» perché porta avanti un doppio standard morale: da una parte si batte per l’abolizione della pena di morte, mentre ora «condona l’uccisione di un bambino non nato».
Il prelato, inoltre, aveva annunciato che da tale scelta sarebbe derivata la sospensione di ogni finanziamento ad Amnesty da parte di organizzazioni cattoliche.

© Copyright Avvenire, 20 agosto 2007

12 commenti:

Anonimo ha detto...

dal sito di Amnesty International

La posizione di Amnesty International in tema di aborto

In occasione del XXVIII Congresso internazionale di Amnesty International, che si è svolto in Messico ad agosto di quest’anno, l’organizzazione per i diritti umani ha ratificato la sua posizione sull’aborto. La discussione su questo tema ha avuto origine nel contesto della campagna “Mai più violenza sulle donne”, che ha messo in luce la drammatica realtà di donne e bambine vittime di violenza sessuale e che subiscono ancora oggi le conseguenze della violazione dei loro diritti sessuali e riproduttivi. La sua adozione è stata preceduta da una consultazione internazionale durata due anni tra le Sezioni Nazionali, i Gruppi e i soci dell’associazione.

La posizione di Amnesty non è per l’aborto come diritto ma per i diritti umani delle donne che devono vivere libere dalla paura, dalla violenza e dalle coercizioni quando affrontano le conseguenze dello stupro e di altre violazioni dei diritti umani.

La policy adottata consentirà all’associazione di occuparsi di questioni specifiche riguardanti l’aborto, nella misura in cui queste sono direttamente legate alle attività di Amnesty International sul diritto alla salute e sulla violenza contro le donne.

Amnesty International pertanto chiederà agli Stati di:

• fornire a uomini e donne informazioni complete riguardanti la salute sessuale e riproduttiva;
• modificare o abrogare le leggi per effetto delle quali le donne possono essere sottoposte a imprigionamento o ad altre sanzioni penali per aver abortito o cercato di abortire;
• garantire che tutte le donne con complicazioni sanitarie derivanti da un aborto abbiano accesso a trattamenti medici adeguati, indipendentemente dal fatto che abbiano abortito legalmente o meno;
• garantire l’accesso a servizi legali e sicuri di aborto a ogni donna la cui gravidanza sia dovuta a una violenza sessuale o a incesto o la cui gravidanza presenti un rischio per la sua vita o la sua salute.

Sulla base della policy adottata, Amnesty International:

• non svolgerà campagne generali in favore dell’aborto o di una sua generale legalizzazione;
• non giudicherà se l’aborto sia giusto o sbagliato;
• non consiglierà a singole persone di proseguire o interrompere una gravidanza;
• non prenderà posizione sul fatto che una donna debba o meno abortire nelle circostanze sopra descritte, ma chiederà agli Stati di assicurarle la possibilità di ricorrere all’aborto in maniera sicura e accessibile e di prevenire gravi violazioni dei diritti umani correlate alla negazione di questa possibilità;
• naturalmente, proseguirà a opporsi a misure di controllo demografico coercitive come la sterilizzazione e l’aborto forzati.


21.08.07

MSMG1965 ha detto...

Scusate, ma quando Amnesty International afferma (evidenzio testualmente solo alcune frasi del comunicato ufficiale sopra riportato):

"Amnesty International pertanto chiederà agli Stati di:
(...)
• garantire l’accesso a servizi legali e sicuri di aborto a ogni donna la cui gravidanza sia dovuta a una violenza sessuale o a incesto o la cui gravidanza presenti un rischio per la sua vita o la sua salute."

AI, di fatto, apre all'aborto, per ogni donna, in ogni caso, in ogni stato,...
Una sorta di legge 194/78 a livello mondiale perché è facile giustificare qualsiasi aborto con la necessità di preservare la salute della donna (per ragioni di spazio non posso scendere nei dettagli...).
Il comunicato di AI, pur cercando di difendersi dalle accuse, di fatto non solo non nega, ma afferma il suo programma relativo all'aborto.
Non è legalizzando l'aborto che si prevengono le violenze sulle donne.
Ci si sarebbe atteso qualcosa di diverso sul tema: ormai anche AI si è livellata ai dettami delle lobby abortiste che vedono ai primi posti le agenzie dell'ONU.

Sonia R. ha detto...

"naturalmente, proseguirà a opporsi a misure di controllo demografico coercitive come la sterilizzazione e l’aborto forzati"

questa frase della posizione ufficiale di amnesty viene spesso dimenticata...

Sonia R. ha detto...

difatti la posizione di amnesty non si incardina nella fase "preventiva" della violenza sulle donne...cerca di non costringere una appena quattordicenne (se non più piccola)a partorire e portarsi per tutta la vita il ricordo di una esperienza devastante! Anche mettere al mondo un figlio in condizioni di sofferenza profonda e di umiliazione è una scelta irreversibile....
secondo voi un figlio nato da una relazione incestuosa come crescerà??? Una cosa del genere è sana? Ma soprattutto: spetta ad un estraneo dedicere cosa è meglio per la salute mentale e fisica di una donna e del suo futuro bambino? E non ditemi che spetta a Dio per sollevarvi la coscenza: Dio non opera attraverso le leggi dell'uomo, ma parlando al cuore di chi vuole ascoltarlo. E una donna può anche decidere di portare avanti una gravidanza per quanto indesiderata e frutto di violenza. Se lo vuole lo farà: col sostegno della famiglia, degli amici...ma soprattutto in armonia con la sua coscenza.

Anonimo ha detto...

La vita e' indisponibile. Questo e', per me, un concetto basilare, pero' comprendo il dramma di una giovane donna violentata che porta in grembo una creatura frutto di uno stupro. Per questo non giudichero' mai questa donna se dovesse decidere di abortire. Posso capire il dramma ma non posso giustificare l'aborto.

Sonia R. ha detto...

Mi piacerebbe tanto che si riuscisse a parlare dell'argomento senza tacciare nessuno di antinatalismo, di infanticidio o di appartenere a lobby di potere - anche perchè nell'ultimo caso non so chi sia più lontano da logiche di controllo delle masse....
Quello che vorrei è che ci si potesse confrontare con toni meno apocalittici, più disposti non solo ad ascoltare, ma ad accogliere le opinioni e le motivazioni degli altri. E per accoglienza intendo l'ascolto attivo, che ti fa crescere e che ti stimola ad evolverti, confrontandoti. Proprio per stimolare questo tipo di dibattito chiedo:
Se la vita (come anche io credo fermamente) è un diritto indisponibile, allora perchè non ci battiamo contro l'art. 52 c.p. che consente per legittima difesa di togliere la vita ad un'altra persona? Perchè il Catechismo prevede ancora la pena di morte anche se non è - per fortuna - più praticata? Perchè Papa Wojtila nella Evangelium Vitae la condanna non in termini di principio bensì solo perchè oggi la civiltà è così evoluta da non essere più necessario punire con la morte? La pena di morte non è stata condannata punto e basta...è stata ritenuta un crimine non più necessario: dunque, prima era necessario ergo giustificabile?

Anonimo ha detto...

La legittima difesa e' giustamente ammessa dalla Chiesa cosi' come dal diritto penale. Cio' che non e' ammesso, nemmeno dal diritto penale, e' l'omicidio. Non c'e' alcuna contraddizione nel diritto canonico e nella dottrina della Chiesa che condannano tanto l'omicidio quanto l'aborto.

Sonia R. ha detto...

Omicidio: art. 575 c.p. "Chiunque cagioni la morte di un'altra persona è punito..ecc, ecc". Abbastanza lineare direi. La legittima difesa è prevista per dare la possibilità alla potenziale vittima in pericolo di vita di salvare la propria o quella di altre persone. L'omicidio viene giustificato tanto da essere degradato da reato ad atto legittimo, poichè ci sono in gioco le vite di due persone: potenziale assassino e potenziale vittima di omicidio. Quest'ultima ha la scelta: salvarsi uccidendo o rischiare di morire per non uccidere? Perchè la donna che rischia la vita non ha la stessa possibilità di scelta? Dite che non c'è contraddizione? Argomentate...

Anonimo ha detto...

In che senso rischia la vita?

Sonia R. ha detto...

Esistono patologie connesse alla gravidanza o che possono aggravarsi a causa della stessa o del parto che possono comportare un rischio di vita per la partoriente. In questi casi la 194 prevede l'interruzione di gravidanza. Posto che per applicare la legittima difesa il rischio deve essere, oltre che proporzionato, contemporaneo alla minaccia, il risultato è lo stesso. Si può uccidere per salvarsi la vita (alle condizioni suddette), ma dovrebbe essere impedito ad una persona di preservare la sua vita per non farla abortire. Non voglio semplificare, ma il nocciolo è questo e, secondo me, la contraddizione esiste.

MSMG1965 ha detto...

Torno oggi a leggere il blog e vedo che è andato avanti.
Vendiamo con ordine.
Mi sembra che si voglia paragonare l'aborto (eseguito per motivi di salute), con la legittima difesa.
Come argomento di discussione mi va benissimo, e avrò modo di legarlo con alcuni recenti fatti di cronaca.
Certo, se posto nei termini: o la vita della madre o la vita del figlio, si può anche porre in termini di legittima difesa. Schematicamente penso che le questioni stiano in questi termini: non ci troviamo davanti ad un duello all'ultimo sangue fra due persone armate: qui c'è una madre ed un figlio, entrambi vivi anche se in fasi diverse della vita, in un quadro che difficilmente porterebbe l'uno o l'altro a morte sicura.
La morte del bambino verrebbe pianificata a tavolino, accreditando maggior valore alla vita della madre (per storia, affetti, relazioni,...). Ci troviamo davanti ad un esempio di relativismo...
Cosa diversa è perdere un bambino quale effetto secondario e non voluto di terapie eseguite nel tentativo di curare e salvare la vita della madre. Non "legittima difesa", ma effetto collaterale e non voluto di un trattamento.
Chi, medico, si assume la responsabilità di suggerire (talora con incredibile insistenza) l'aborto perché il destino del bambino o della madre sarebbe comunque segnato, si assume un peso enorme perché la certezza dell'esito infausto e della mancanza di alternative non la può avere nessuno.
A tal proposito, il recente invito del cardinal Ruini a rivedere la legge 194/78 va proprio letto in tal senso: oggi ci sono numerose malattie che 29 anni fa erano giudiate incurabili; inoltre oggi sono sempre più numerosi i bambini nati dopo meno di 6 mesi di vita intrauterina che sopravvivono ed hanno una vita del tutto normale.
Ancora qualche considerazione.
Gli aborti eseguiti per salvare la vita della madre sono estremamente rari, rarissimi. La maggioranza degli aborti viene eseguita per motivi diversi (non mi posso dilungare...). Non è la salute della donna che viene tutelata, ma una concezione di libertà assoluta, che non tiene conto della vita dell'altro. In questo la campagna di AI riprende riprende i temi cari di un certo femminismo e tende a sottolineare un particolare (la salute della donna, le gravidanze frutto di violenza) per affermare un preteso diritto: il diritto all'aborto.
Vi sono ancora donne che, nonostante l'insistenza dei sanitari, scelgono di portare avanti la gravidanza e rischiare la propria vita per la vita del figlio: un caso fa parte del mio bagaglio di medico (ovviamente non posso scendere nei dettagli), uno è apparso su alcuni giornali in questi giorni: è il caso di Caroline Aigle (vedi internet), prima donna uffficiale dell'areonautica francese e vincitrice a livello nazionale di gare di triatlon, morta per aver deciso di non abortire e per aver ritardato l'inizio della chemioterapia per salvare la vita di suo figlio.
Da ultimo: è l'aborto che va condannato, non chi ha abortito (non mi voglio dilundìgare neanche su questo...).

Sonia R. ha detto...

Il mio proposito non era quello di paragonare l'aborto ad una lotta di sangue...non arrivo a questo cinismo. Il riferimento alla legittima difesa, così come alla pena di morte, era un modo per mettere in risalto il fatto che ci sono delle eccezioni - accettate dal mondo giuridico e religioso - al principio della inviolabilità della vita. Quello che mi chiedo è: se la vita è davvero il principio massimo ed assolutamente inviolabile, perchè si accettano come moralmente giuste tali eccezioni? Se è solo Dio che può dare e togliere la vita, perchè la potenziale vittima di un omicidio non dovrebbe accettare il suo destino e basta? E perchè si accetta di punire un uomo con la morte? Forse perchè in entrambi i casi parliamo di persone che "meritano" di essere uccise? Capisco che sia più facile proteggere un essere assolutamente innocente e puro piuttosto che un uomo che ha sbagliato...ma non siamo tutti meritevoli della stessa dignità? Allora perchè la morte di alcuni può essere giustificata? Questa per me è la contraddizione.
Cmq, sto manipolando il dibattito. Grazie per lo spazio concessomi e per gli spunti di conversazione.