2 ottobre 2007

Il Papa ed il capitalismo: due opinioni a confronto


Vedi anche:

Don Guido Marini e la stima del Papa per la curia genovese

Consigli di lettura: Giovanni Miccoli, "In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI"

ALESSIO II: POTREI INCONTRARE PAPA BENEDETTO XVI TRA 1-2 ANNI

Una Messa per il Papa in San Pietro il 10 ottobre...

Messa tridentina: il commento di Salvatore Izzo

Chiesa e pedofilia: il Papa esige tollerenza zero (articolo "sorprendente" di Ingrao)

Chi può scrivere meglio la biografia del Papa se non il suo gatto Chico?

Nota Sir: i giochini mediatici sono inutili perchè la Chiesa non si può fare “intimidire”

Rosso Malpelo: Repubblica eviti di farsi aiutare dai radicali in fatto di conti!

IL PAPA NOMINA GUIDO MARINI NUOVO MAESTRO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE PONTIFICIE

Indiscrezioni: Mons. Ranjith al posto del cardinale Arinze al Culto divino?

A "Gesu' di Nazaret" il Gran Premio Capri San Michele 2007

Il coraggio del Papa, l'articolo di Politi ed il solito Pannella...

Messa tridentina, Enzo Bianchi: la Messa antica era un monumento della fede

E' durante la vita che bisogna ravvedersi, farlo dopo non serve a nulla

Messa tridentina: il Papa potrebbe dare il buon esempio il 2 dicembre

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

CONSIGLIO DI LETTURA: IL SITO DI FRANCESCO

L’intervento che ha fatto molto discutere

La fatwa che non c’è

Il Papa ha solo commentato il Vangelo e, in particolare, la parabola dell’amministratore “disonesto” che usa i soldi affidatigli per allargare la cerchia di quanti gli sono grati

di Carlo Lottieri

Il tam-tam mediatico è partito immediatamente, già nel primo pomeriggio. L’Angelus pronunciato domenica da papa Benedetto XVI è stato sfruttato da innumerevoli commentatori come l’ennesima opportunità per presentare la Chiesa quale nemica dell’economia di mercato. Non è neppure mancato chi ha parlato di un papa “no global”. Ma è davvero possibile leggere una scomunica del mercato nelle ultime parole del papa? Per nulla, come si può constatare leggendo il testo integrale.

Benedetto XVI ha solo commentato il Vangelo e, in particolare, la parabola dell’amministratore “disonesto” che usa i soldi affidatigli per allargare la cerchia di quanti gli sono grati.

Fuor di parabola, le parole di Cristo sono un invito ad usare beni materiali e vita terrena per guadagnarsi una beatitudine più alta. Nell’Angelus, il papa ha quindi ricordato il primato cristiano dell’amore sull’egoismo. Ha spinto a prendersi cura degli altri e in particolare dei poveri, evitando di essere schiavi delle ricchezze. Riferendosi ai beni economici ha sostenuto che “invece che usarli solo per interesse proprio, occorre pensare anche alle necessità dei poveri”.
C’è in questo qualcosa che contrasti con l’economia liberale? Niente affatto, dato che è forte la consapevolezza che una società può più facilmente liberarsi dal dispotismo politico dove maggiore è la fraternità volontaria e più viva la spontanea disponibilità a farsi carico del prossimo. Uno studioso neo-randiano come Tibor Machan (e Ayn Rand ha teorizzato una forma assai peculiare di “egoismo”) ha scritto un testo intitolato Generosity, in cui questa virtù viene riconosciuta come un pilastro di una società giusta e libera.

Benedetto XVI ha fatto affermazioni assai nette su questioni inerenti i rapporti interpersonali: frasi, che di tutta evidenza, i cronisti non hanno ritenuto degne di interesse. Egli ha detto che “il denaro non è disonesto in se stesso” e se certamente può indurre gli uomini a sfuggire al prossimo, può essere usato in maniera positiva.

Soprattutto, egli non ha demonizzato un onesto arricchimento. Ancora una volta è bene riportare le sue parole: “Il profitto è naturalmente legittimo e, nella giusta misura, necessario allo sviluppo economico”. Ha poi citato l’enciclica Centesimus Annus, dove afferma che “la moderna economia d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che si esprime in campo economico come in molti altri”. I commentatori più favorevoli al dirigismo statale hanno enfatizzato il passo in cui il papa afferma che “il capitalismo non va considerato come l’unico modello valido di organizzazione economica”. Ma qui bisogna intendersi. Nel linguaggio corrente, per “capitalismo” si intende la società contemporanea: ed è probabilmente a questa realtà che il papa si è riferito con tale termine. Mentre un numero esiguo di teorici liberali usa l’espressione “capitalismo” per indicare il modello astratto di una società basata su proprietà, contratti, donazioni e comunità volontarie (una società liberata dalla coercizione, insomma), è certamente vero che in generale il termine “capitalismo” indica un insieme complesso di realtà: tra cui vanno incluse anche le istituzioni democratiche e le norme di un diritto civile amministrato dallo Stato.
Quando Benedetto relativizza l’ordine sociale dell’Europa o del Nord America, ben pochi liberali possono avere qualcosa da obiettare, dato che non si tratta affatto del migliore dei mondi possibili, né della “fine della storia”. Sulle parole del papa è stata quindi costruita una propaganda che non trova giustificazioni nel testo, anche dove – ed è questo il passaggio meno felice – si afferma che “la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e poveri e un rovinoso sfruttamento del pianeta”. A ben guardare perfino in questi passi c’è una valutazione equilibrata, dato che di fronte all’uomo “si confrontano due logiche economiche: la logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni, che non sono in contraddizione l’una con l’altra, purché il loro rapporto sia bene ordinato”. Da cui ricava che non soltanto il profitto è giustificato, ma la stessa “logica del profitto” può avere una sua legittimazione se non prevale sul dovere di sentirsi vicini ai propri fratelli.
La chiusa dell’Angelus, al riguardo, è assai significativa, perché il papa ha chiesto alla Madonna di aiutare i cristiani ad usare i beni del mondo con saggezza evangelica. Qui come altrove, la Chiesa parla al cuore degli uomini, e non suggerisce soluzioni tecniche inerenti al tasso di interesse, all’aumento della domanda interna e via dicendo. Un’ultima considerazione. Quando presentò il suo volume su Gesù il pontefice invitò i cattolici a criticarlo liberamente, poiché non si trattava di un’opera scritta ex cathedra. Viceversa, di fronte ad affermazioni come quelle di domenica (più o meno maldestramente manipolate) vari opinionisti hanno quasi voluto vedere un pronunciamento della Chiesa in quanto tale. Forse ci vorrebbero più equilibrio.

© Copyright L'Opinione, 26 settembre 2007


Le reazioni all’articolo di Carlo Lottieri di mercoledì scorso sulle parole di Benedetto XVI

Il liberalismo non piace al Papa
Il Pontefice non è solo anti-capitalista


di Carmelo Palma

Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale.... Così parlava – con grande chiarezza – l’allora cardinale Ratzinger, decano del collegio cardinalizio, nella Messa “Pro eligendo Romano Pontifice”, il 18 aprile 2005. In quell’omelia che era, a tutti gli effetti, un discorso di investitura, Ratzinger individuava gli avversari e gli obiettivi con cui la Chiesa e il nuovo Papa avrebbero dovuto misurarsi. Non furono in pochi a notare che allora Ratzinger aveva posto il liberalismo sulla stesso piano del marxismo: dottrine non uguali, ma ugualmente, per il cardinale tedesco, nemiche del pensiero cristiano. Divenuto Papa, Ratzinger si è scrupolosamente attenuto al proprio “programma”.

L’attacco portato al capitalismo nell’Angelus di domenica scorsa è uno svolgimento coerente di quel “Ratzinger-pensiero”. Tentare di neutralizzarne la portata e di circoscriverne l’interpretazione, non penso renda giustizia alle parole del Papa.
Carlo Lottieri, sull’Opinione di mercoledì scorso, ha invitato a leggere l’attacco del Papa in una chiave – diciamo così – “privatistica” piuttosto che “pubblicistica”: come un monito, rivolto ai singoli, a partecipare in modo generoso e responsabile alla vita della comunità sociale, piuttosto che come un invito, rivolto alla politica, a modificare il modello di sviluppo e di governo dell’attività economica, in nome di un migliore ideale di giustizia. Ma è credibile che il Papa usi impropriamente, per una sorta di lapsus calami, il termine “capitalismo” come sinonimo di egoismo individuale? E’ credibile che, per la stessa ragione, i termini “logica del profitto” servano unicamente ad evocare (e a condannare) l’avidità di beni terreni e l’indifferenza ai doveri d’amore verso il prossimo, cui la fede cristiana obbliga i credenti? Se si legge l’intero discorso del Papa, è difficile accogliere un’interpretazione così riduttiva delle sue parole.

E’ vero: Ratzinger, all’inizio, premette che: “Il denaro non è ‘disonesto’ in se stesso, ma più di ogni altra cosa può chiudere l’uomo in un cieco egoismo. Si tratta dunque di operare una sorta di ‘conversione’ dei beni economici: invece di usarli solo per interesse proprio, occorre pensare anche alle necessità dei poveri….”. Queste parole potrebbero essere sottoscritte, come è ovvio, dal più coerente liberista: sono a tutti gli effetti le società capitalistiche (nel senso più radicale del termine) quelle in cui la virtù della carità umana, liberamente organizzata, acquisisce un fondamentale rilievo civile e morale. E’ parte importante dell’ottimismo liberista la convinzione (suffragata dai fatti) che la spontanea generosità umana sia, nella gran parte dei casi, un fattore di unità e coesione straordinariamente più efficace dei complicati e costosi congegni del welfare state. Ma il Papa non si ferma qui. Dal livello “micro” sale a quello “macro” e parla chiaramente di “due logiche economiche: la logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni, che non sono in contraddizione l’una con l’altra, purché il loro rapporto sia bene ordinato. La dottrina sociale cattolica ha sempre sostenuto che l’equa distribuzione dei beni è prioritaria”.
Qui non vi è alcun richiamo alla doverosa sollecitudine morale degli individui, ma un’esplicita messa in discussione di quell’insieme di diritti e istituti che fondano, nella sua legittimità, e costituiscono, nel suo ordinario funzionamento, l’economia di mercato. E’ il Papa, non qualche malevolo interprete a chiarire, richiamando l’enciclica Centesimus annus, che si sta parlando del capitalismo nel senso più proprio e politico: “…il capitalismo non va considerato come l’unico modello valido di organizzazione economica”. E’ il Papa ad addebitare all’economia capitalistica - quando essa non sia subordinata al principio di solidarietà - la fame, le disuguaglianze e lo sfruttamento ambientale: “L’emergenza della fame e quella ecologica stanno a denunciare, con crescente evidenza, che la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e poveri e un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo e sostenibile”. Perfino l’appello finale all’intercessione della Madonna ha un contenuto politico: “ispiri ai governanti e agli economisti strategie lungimiranti che favoriscano l’autentico progresso di tutti i popoli”.
La tesi che il mercato produca povertà e sfruttamento ha un connotato tipicamente anti-liberale. E’ una tesi comune e diffusa, che i liberali fortunatamente si ostinano (con molte ragioni pratiche e senza grandi imbarazzi ideologici) a considerare sbagliata. Non ha probabilmente nessuna utilità domandarsi se le parole sul capitalismo di Ratzinger siano più di destra o di sinistra. Ne verrebbe fuori, forse, la conclusione che il Papa attacca il capitalismo insieme da destra e da sinistra, come sempre accade quando si oppone il personalismo cristiano all’individualismo liberale. Ciò detto, mi pare abbastanza difficile suffragare la tesi che dalle parole pronunciate il 23 settembre da Benedetto XVI non emerga nulla più che un richiamo alla responsabilità morale nell’uso delle ricchezze private. Emerge chiara anche la richiesta di subordinare la logica del profitto a quella distributiva, l’iniziativa dell’individuo al “bene” della società; una richiesta, a dire il vero, né così originale né così liberale: nella sintesi catto-comunista, l’art. 41 della Costituzione Italiana (uno dei più classicamente anti-liberali) si fonda sull’identico assunto: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Inoltre, occorre ammettere che la polemica anti-capitalistica di Ratzinger si inscrive in un discorso più generale, dove ad essere rigettati sono proprio i fondamenti individualistici, relativistici ed evoluzionistici di quella peculiare “antropologia”, che emerge dall’onda del liberalismo. Ratzinger dice da tempo che il liberalismo non è, né più né meno, che la versione economica del permissivismo e che l’individualismo morale ed economico è in contrasto con l’antropologia cristiana. Non vedo perché ­– si condividano o meno le parole del Papa – non si debba prenderne atto. E’ questa consapevolezza, peraltro, a rendere ancora più evidenti e preziosi i meriti di quella parte del mondo cattolico, che non si è solo culturalmente “riconciliata” con il liberalismo e con il capitalismo, ma costituisce, nel nostro paese, una delle voci più autenticamente liberali e innovative del dibattito sociale ed economico. Le riflessioni ratzingeriane, però, “puntano” altrove, dettando (purtroppo) una svolta conservatrice e sostanzialmente anti-liberale al centro-destra italiano; hanno echi evidenti nella polemica anti-mercatista di Tremonti, nel vagheggiato post-liberalismo “dignitario” e anti-libertario di Possenti e nelle varie forme di “identitarismo” politico-religioso, in cui viene declinata la questione nazionale ed europea. Insomma, sono una cosa molto seria: ma non sono proprio, né vogliono essere, una “cosa liberale”.

© Copyright L'Opinione, 29 settembre 2007

Nessun commento: