24 ottobre 2007

Screzi al tavolo del Papa fra ebrei e musulmani: intervista ad Andrea Riccardi


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«Al tavolo del Papa nessuna lite sul Medio Oriente»

Luigi Accattoli

NAPOLI — «L'immagine dei leaders religiosi che siedono a tavola con il Papa è già di suo un messaggio, simboleggia la famiglia umana che si ritrova e sappiamo che nella famiglia umana esistono problemi »: così il fondatore della comunità di Sant'Egidio,

Andrea Riccardi, risponde alla domanda su che cosa sia davvero avvenuto domenica al tavolo del Papa, durante il pranzo di apertura del meeting interreligioso che si è chiuso ieri con un appello di pace sottoscritto da tutti i partecipanti.

Di che si è parlato durante quel pranzo?

«Si è parlato di Napoli, dell'ecumenismo e della pace.
Con serietà e serenità. Tutti quelli che eravamo a quel tavolo, dieci con il Papa, ne siamo testimoni. Davvero non c'è stata nessuna lite».

Neanche sul Medio Oriente?

«Ci sono stati punti di vista differenti, esposti con rispetto. Ma badi che è stato solo un passaggio di tutta la conversazione e del resto è ovvio che dovessero emergere le diverse prospettive, sedendo a quel tavolo un ospite proveniente da Israele, un altro dal Libano e un terzo dagli Emirati Arabi Uniti. È stato proprio Ezzeddin Ibrahim, fondatore dell'Università degli Emirati, a definire quel tavolo come "il tavolo del sorriso"».

Che atteggiamento aveva il Papa?

«Sereno e accogliente, di ascolto. Aveva alla sua destra il patriarca di Costantinopoli e alla sua sinistra l'arcivescovo di Canterbury e interloquiva con ognuno con la delicatezza che tutti gli riconoscono».

C'è chi vi accusa di fare spazio, nei vostri convegni, a musulmani fondamentalisti...

«Se lei allude a Ezzeddin Ibrahim, le dico che è un esponente storico del dialogo con la Chiesa Cattolica dai tempi del cardinale Pignedoli. A me sembra che egli manifesti un atteggiamento di rispetto per le libertà e le idee altrui».

Si critica anche il fatto che una volta abbiate avuto ospite Ahmed al-Tayeb, rettore dell'Università di Al Azhar...

«Egli è in quella posizione chiave, a capo di un'università da cui escono generazioni di imam, non certo per nostra iniziativa! È stato messo in quel posto dalle autorità egiziane che sono alleate dell'Occidente. Io dico che è nostro interesse incontrare le persone di quel mondo che sono aperte a cercare una via di convivenza nel rispetto e nella libertà. Lo dobbiamo fare anche quando le posizioni non sono coincidenti».

Che frutti avete ottenuto in vent'anni di convegni?

«Il cammino è stato grande. All'inizio era inimmaginabile mettere insieme ebrei e musulmani. Più tardi si poteva ma a patto che gli ebrei non fossero israeliani! Oggi invece sono qui insieme e si rispettano. E non è poco, perché le culture non possono parlare tra loro ma sono gli uomini che si devono incontrare».

Si afferma che dovreste porre - nello scegliere gli ospiti - la condizione che rispettino Israele...

«Non abbiamo bisogno di accreditarci come amici di Israele e degli ebrei. Gli ebrei romani sanno che siamo sempre stati con loro. Per questa vicinanza tre mesi addietro abbiamo avuto il riconoscimento della "Nemorah d'oro". Ci fu un'occasione in cui rifiutammo di fare un incontro interreligioso in Siria perché ci era stato posto il veto a invitare ebrei israeliani».

Che dice della lettera inviata al Papa e ad altri leaders cristiani da 138 intellettuali musulmani?

«Il promotore dell'iniziativa è il principe Hassan di Giordania che conosco bene e che è persona di grandissima serietà. Il testo è interessante e so che i leaders cristiani lo stanno valutando in vista di una risposta. Credo non lo si debba esaltare ma neanche demonizzare. È una prima reazione ai tanti messaggi che il mondo cristiano ha inviato al mondo musulmano. Parla di Gesù con citazioni prese dal Vangelo e non dal Corano. Esprime una volontà di incontro che non possiamo lasciar cadere».

© Copyright Corriere della sera, 24 ottobre 2007

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