18 novembre 2007

Oggi a Novara la beatificazione di Antonio Rosmini: gli articoli di Repubblica ed Europa


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Beatificazione per Rosmini la Chiesa lo aveva condannato

MARCO POLITI

ROMA - Antonio Rosmini sarà proclamato beato oggi a Novara. Filosofo, cattolico liberale, fautore di un´Italia confederata sotto la guida del romano pontefice, critico della Chiesa perché separata dalle masse, precursore della riforma ecclesiale, il pensatore vissuto nella prima metà dell´Ottocento è stato troppo avanti sui suoi tempi per non finire nella macina del Sant´Uffizio. Scrive ai fedeli il vescovo di Novara monsignor Corti che dagli uomini grandi, anche morti, «giunge silenziosamente una risposta che ci illumina e ci orienta. Forse li dovremmo interrogare di più». Ed è l´ammissione che certe sue tesi sono un pungolo persino per la Chiesa odierna.
La causa di beatificazione è durata 17 anni. Fondamentale l´appoggio di Ratzinger sia da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede e da pontefice. Notevoli le acrobazie verbali per aggirare le condanne del Sant´Uffizio. Si è detto in Vaticano che la condanna contro Rosmini rimane valida per chi legge i punti incriminati delle sue opere «al di fuori del contesto di pensiero rosminiano», mentre il senso delle proposizioni condannate «non appartiene in realtà all´autentica posizione di Rosmini».
Nato a Rovereto nel 1797, amico del Manzoni, il filosofo attento alla novità della democrazia liberale e della monarchia costituzionale venne condannato due volte. Una prima volta nel 1949 per i suoi scritti sulla costituzione e soprattutto per il suo celebre «Le cinque piaghe della Chiesa». Riabilitato da Pio IX, un nutrito elenco delle sue tesi sarà definitivamente condannato post mortem nel 1887, regnante Leone XIII. Rosmini si è già spento a Stresa nel 1855, ma con la glorificazione del tomismo come filosofia ufficiale della Chiesa, la sua libertà di ricerca diventa colpa.
Il suo libro "Le cinque piaghe della Chiesa" rimane un esempio di preveggenza. Rosmini stigmatizza l´ignoranza del clero, la separazione dai fedeli, l´ingerenza politica negli affari ecclesiali, la detenzione di ricchezze non utilizzate a fini di carità. La Chiesa deve essere povera, proclama, «perché quando sembra arbitro delle sorti umane diventa impotente».
Lino Prenna, esponente cattolico democratico, ricorda oggi anche altre intuizioni attualissime: «Il concorso del popolo nell´elezione dei vescovi, il contributo dei semplici fedeli alla legislazione canonica della Chiesa, la loro partecipazione attiva nella gestione e distribuzione dei beni ecclesiastici». Sferzante il movimento «Noi siamo Chiesa»: le autorità ecclesiastiche facciano una riflessione autocritica. Proclamarlo beato è il segno della svolta profonda, impressa dal concilio Vaticano II alla Chiesa. Contrariamente alla tesi continuista della dottrina ufficiale ratzingeriana. Per gli appassionati di storia c´è anche un giallo. Don Claudio Papa, postulatore della causa, documenta che Rosmini, di ritorno da un pranzo in casa dei nobili Bossi-Fedrigotti, si sentì male e confidò alla cognata: «Sono avvelenato». Ma chiese che non si dicesse niente.

© Copyright Repubblica, 18 novembre 2007

Bah! Vorrei ricordare al caro Politi che il Papa e' uomo del Concilio (era presente, al contrario di tanti altri...) e che la tesi della rottura con la tradizione non si ritrova MAI in nessun testo di Joseph Ratzinger.
Raffaella


LA BEATIFICAZIONE DI ANTONIO ROSMINI Un riconoscimento a un profeta perseguitato

Il dito nelle piaghe

Per lui fede e ragione si integravano. Il suo cattolicesimo liberale è molto attuale per il rapporto tra pensiero di ispirazione cattolica e pensiero laico

ALDO MARIA VALLI

«Quando la Chiesa è servita male dagli uomini, allora le sue enormi potenzialità di bene vengono come bloccate, paralizzate, e la Chiesa stessa appare crocifissa».
Padre Umberto Muratore, direttore del Centro internazionale di studi rosminiani di Stresa, riassume così la sollecitudine di Antonio Rosmini (Rovereto 1797 – Stresa 1855) nel denunciare i mali della Chiesa cattolica. Con la sua opera Delle cinque piaghe della santa Chiesa (1846), scrive Muratore, Rosmini innalza un inno paragonabile allo Stabat Mater: come nella preghiera si canta il dolore di Maria davanti a Gesù crocifisso, così Rosmini esprime il dolore del figlio innamorato davanti alla Chiesa crocifissa dalle debolezze degli uomini.
Non si può capire Antonio Rosmini se non si parte dalla sua fedeltà alla Chiesa e al papa, fedeltà che è a sua volta espressione della piena fiducia nella volontà del Signore. Nelle Massime di perfezione cristiana (1830) si legge che il cristiano «non può mai sbagliare quando si propone tutta la santa Chiesa come oggetto dei suoi affetti, dei suoi pensieri, dei suoi desideri e delle sue azioni».
Un amore così grande è per forza un amore esigente.
Ecco perché Rosmini si spinge fino alla denuncia.
Per costruire, non per distruggere. Netto e tagliente, avverte che in gioco ci sono i beni supremi della libertà e dell’unità della Chiesa. Inevitabilmente disturba. E così quella che oggi è riconosciuta come l’analisi di uno spirito profetico, all’epoca viene vista, e contrastata, come minaccia.
Rosmini si rese conto – e anche in questa intuizione c’è un impressionante anticipo sui tempi – che la mentalità figlia della miscela di illuminismo, idealismo e razionalismo avrebbe portato l’uomo a escludere Dio dall’orizzonte della ragione. Definì questo pericolo “soggettivismo” e mise in luce i rischi a cui va incontro un uomo che concepisce se stesso non più come figlio e come creatura ma come creatore e legislatore. Per lui fede e ragione non si escludono ma si integrano. Significativo è che Giovanni Paolo II abbia citato Rosmini nella Fides et ratio, unico italiano, come esempio di collaborazione e rapporto fecondo tra le due sfere. Rosmini capì che per la Chiesa sarebbe stato impossibile e controproducente affrontare la nuova sfida arroccandosi in un mondo chiuso e con lo sguardo rivolto all’indietro. La partita andava giocata a viso aperto, nel dialogo diremmo oggi. Assieme agli amici Alessandro Manzoni e Niccolò Tommaseo, vide nel liberalismo un nucleo profondo figlio del cristianesimo, la centralità della persona umana, e propose che da lì la Chiesa partisse per condurre il confronto, con vigilanza pari alla fiducia, in un rapporto costruttivo con la modernità, senza nostalgie e senza paure paralizzanti. Sta qui il suo cattolicesimo liberale, che lo rende tanto attuale e tanto prezioso anche adesso nel rapporto fra pensiero di ispirazione cattolica e pensiero laico.
Nel proporre a modello la Chiesa dei primi secoli Rosmini non cade nella nostalgia. Mostra che la Chiesa è tale se missionaria, ma non può essere missionaria se non è libera. È la commistione con il potere politico il grande nodo da sciogliere.
Nessuna dipendenza, niente privilegi.
Furono Giovanni XXIII e Paolo VI a riscoprire Rosmini.
papa Roncalli fece gli esercizi spirituali meditando sulle Massime di perfezione e papa Montini tolse il veto alla pubblicazione delle Cinque piaghe. Oggi beatificare Antonio Rosmini vuol dire certamente rendere giustizia a un figlio della Chiesa perseguitato ma soprattutto significa recuperarne il pensiero.
Nella prefazione al bel libro di Maurizio De Paoli Antonio Rosmini maestro e profeta (edizioni Paoline) un rosminiano di ferro come monsignor Antonio Riboldi ricorda l’applauso che si alzò dai vescovi italiani quando Giovanni Paolo II decretò che si desse inizio alla causa di beatificazione.
Fu come cancellare più di un secolo di silenzio e diffidenza. Nasce una domanda: i casi Rosmini appartengono al passato o la Chiesa è ancora oggi un luogo in cui un pensiero profetico su di essa deve aspettare decenni prima di essere riconosciuto come tale dall’istituzione? Nel libro Rosmini: conoscere e credere (edizioni Studium) il postulatore della causa di beatificazione, padre Claudio Massimiliano Papa, scrive che dal 1887 (quando quaranta proposizioni del sacerdote vennero condannate dal Sant’Uffizio) fino ai giorni nostri nessuno è mai stato deviato o “avvelenato” dalle dottrine filosofiche e teologiche rosminiane.
Semmai, al contrario, molti ne sono stati arricchiti. Tuttavia nella nota del 2001 con la quale è stata messa la parola fine alla condanna nei confronti delle quaranta proposizioni, il cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, pur rivalutando «l’orizzonte ascetico e spirituale » entro il quale Rosmini operò, ribadiva che il suo pensiero non fu privo di «una certa rischiosa arditezza».
In parole povere: Rosmini i guai andò a cercarseli. Di fronte a questa annotazione va detto con chiarezza che se l’autore delle Cinque piaghe diventa beato è precisamente perché, per amore della Chiesa, seppe assumersi rischi che pagò di persona a carissimo prezzo. Proprio questo fa di lui un esempio per i cristiani. E per questo il 18 novembre 2007 resterà come data di festa e di consolazione per tutti quelli che anche oggi per amore della Chiesa mettono il dito nelle sue piaghe ricevendo spesso in cambio ostilità e isolamento.

© Copyright Europa, 18 novembre 2007

3 commenti:

mariateresa ha detto...

buona domenica, a te e a tutti.
Già che ci siamo ricordiamo a Politi anche che è stato il cardinale Ratzinger a sdoganare Rosmini. Ma lui lo sta benissimo.
Meglio continuare a recitare la solita rancida filastrocca.
Di Valli invece a volte mi sta sull'anima una retorica da due soldi. Questione di gusti personali.

mariateresa ha detto...

aggiungo che sul Foglio di ieri, scusate mi vengono in mente le cose a scoppio ritardato, c'è un articolo di Alessandro Turci su Rosmini con una chiave di lettura abbastanza diversa da Valli, anzi diciamo pure opposta ,dal titolo "Rosmini il molto ingerente prete filosofo, diplomatico e politico". Come si vede chi è morto può essere tirato da una parte o dall'altra con estrema facilità . Tanto non può smentire.

Anonimo ha detto...

Grazie Mariateresa ;-))