21 dicembre 2007

La laicità si coniuga con la fede religiosa: il testo integrale dell'intervento di Sarkozy al Laterano


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La laicità si coniuga con la fede religiosa

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Pubblichiamo il discorso pronunciato dal pre­sidente francese Sarkozy nella basilica di San Giovanni in Laterano, dove ha ricevuto dal car­dinale Ruini il titolo di canonico onorario.

Signori cardinali, signore e signori, cari a­mici, consentitemi di rivolgere le prime parole al cardinale Ruini, per ringraziarlo molto calo­rosamente della cerimonia che ha appena pre­sieduto. Mi hanno toccato le preghiere che ha voluto offrire per la Francia e la felicità del suo popolo. Voglio ringraziarlo anche per l’acco­glienza che mi ha riservato in questa cattedra­le di Roma, in mezzo al suo capitolo.
Le sarei parimenti riconoscente, Eminenza, di voler trasmettere a Sua Santità Benedetto XVI i miei sinceri ringraziamenti per l’apertura del suo palazzo pontificio che ci permette di ritrovarci questa sera. L’udienza che il Santo Padre mi ha concesso stamani è stata per me un mo­mento emozionante e di grande interesse. Rin­novo al Santo Padre il mio attaccamento al pro­getto di un suo viaggio in Francia nel secondo semestre del 2008. In quanto presidente di tut­ti i francesi, mi faccio portatore delle speranze che tale prospettiva suscita nei miei concitta­dini cattolici e in numerose diocesi.
Qualun­que siano le tappe del suo viaggio, Benedetto XVI sarà il benvenuto in Francia.
Nel recarmi stasera in San Giovanni in Latera­no, accettando il titolo di canonico onorario di questa basilica, che fu conferito per la prima volta a Enrico IV e che da allora è stato tra­smesso a quasi tutti i capi di Stato francesi, as­sumo pienamente su di me il passato della Francia e il legame particolare che ha unito co­sì a lungo la nostra nazione alla Chiesa.
Con il battesimo di Clodoveo la Francia è di­ventata Figlia maggiore della chiesa. È un fat­to. Facendo di Clodoveo il primo sovrano cri­stiano, quell’evento ha avuto conseguenze im­portanti sul destino della Francia e sulla cri­stianizzazione dell’Europa. In seguito, a più ri­prese, nel corso della storia, i sovrani francesi hanno avuto l’occasione di manifestare quan­to fosse profondo l’attaccamento che li legava alla Chiesa e ai successori di Pietro. (...) Al di là dei fatti storici, è soprattutto perché la fede cristiana è penetrata in profondità nella società francese, nella sua cultu­ra, nei suoi paesaggi, nel suo mo­do di vivere, nella sua architet­tura, nella sua letteratura, che la Francia ha con la sede apostoli­ca una relazione così particola­re. Le radici della Francia sono essenzialmente cristiane. E la Francia ha dato all’irradiamen­to del cristianesimo un contri­buto eccezionale. Contributo spirituale e morale tramite un’abbondanza di santi e di san­te di portata universale: san Bernardo di Chia­ravalle, san Luigi, san Vincenzo de’ Paoli, san­ta Bernadette di Lourdes, santa Teresa di Li­sieux, san Jean-Marie Vianney, Frédéric Oza­nam, Charles de Foucauld... Contributo let­terario e artistico: da Couperin a Péguy, da Claudel a Bernanos, Vierne, Poulenc, Duruflé, Mauriac o ancora Messiaen. Contributo in­tellettuale, tanto caro a Benedetto XVI, che si tratti di Blaise Pascal, Jacques Bénigne Bos­suet, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Henri de Lubac, Yves Congar, René Girard... Mi sia consentito citare anche l’apporto deter­minante della Francia all’archeologia biblica ed ecclesiale, qui a Roma, ma anche in Terra Santa, così come all’esegesi biblica, in parti­colare con la Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme.
Voglio inoltre rievocare tra voi questa sera la fi­gura del cardinale Jean-Marie Lustiger che ci ha lasciati la scorsa estate. Il suo irraggiamen­to e la sua influenza hanno anch’essi di gran lunga oltrepassato le frontiere della Francia. Ho tenuto a partecipare alle sue esequie, perché nessun francese è rimasto indifferente alla te­stimonianza della sua vita, alla forza dei suoi scritti, al mistero della sua conversione. Per tut­ti i cattolici la sua scomparsa ha rappresentato un grande dolore. (...) Quanto profondamente il cristianesimo sia i­scritto nella nostra storia e nella nostra cultura è visibile qui a Roma nella presenza mai inter­rotta di francesi all’interno della Curia, con le più alte responsabilità. Voglio salutare stasera il cardinale Etchegaray, il cardinale Poupard, il cardinale Tauran, monsignor Mamberti, il cui operato onora la Francia.

Le radici cristiane della Francia sono visibili an­che in simboli quali i Pii Istituti, la messa an­nuale di Santa Lucia e quella della cappella di Santa Petronilla. E poi c’è ovviamente la tradi- zione che fa del presidente della Repubblica francese il canonico onorario di San Giovanni in Laterano. San Giovanni in Laterano, niente di meno. È la cattedrale del Papa, è la 'testa e la madre di tutte le chiese di Roma e del mon­do', è una chiesa cara al cuore dei romani. Che la Francia sia legata alla Chiesa cattolica da que­sto titolo simbolico è la traccia di una storia co­mune in cui il cristianesimo ha contato molto per la Francia e la Francia ha contato molto per il cristianesimo.

È dunque con la massima na­turalezza, come il Generale de Gaulle, come Valéry Giscard d’Estaing, e più recentemente come il presidente Chirac, che sono venuto a i­scrivermi in questa tradizione.

Come il battesimo di Clodoveo, anche la laicità è un fatto nel nostro Paese. Conosco le soffe­renze che la sua applicazione ha provocato in Francia nei cattolici, nei sacerdoti, nelle con­gregazioni, prima e dopo il 1905. So che l’in­terpretazione della legge del 1905 come un te­sto di libertà, di tolleranza, di neutralità è in parte una ricostruzione retrospettiva del pas­sato. È soprattutto attraverso il loro sacrificio nelle trincee della Grande guerra, attraver­so la condivisione delle soffe­renze dei loro concittadini, che i sacerdoti e i religiosi di Francia hanno disarmato l’an­ticlericalismo; ed è la loro co­mune intelligenza che ha con­sentito alla Francia e alla San­ta Sede di superare i loro dis­sidi e ristabilire le relazioni.

Tuttavia nessuno più contesta che il regime francese della laicità sia oggi una libertà: libertà di credere o non credere, libertà di praticare una religione e libertà di cambiar­la, libertà di non venire offesi nella propria sen­sibilità da pratiche ostentatrici, libertà per i ge­nitori di far impartire ai figli un’educazione conforme alle loro convinzioni, libertà di non essere discriminati dall’amministrazione in funzione del proprio credo.

Il nostro Paese è cambiato molto. I cittadini francesi hanno convinzioni più varie di un tem­po. Perciò la laicità si afferma come necessità e opportunità. È diventata una condizione della pace civile. Ed è per questo che il popolo fran­cese è stato tanto pronto a difendere la libertà scolastica quanto a voler vietare i segni di o­stentazione nella scuola.

Stando così le cose, la laicità non potrebbe es­sere negazione del passato. Non ha il potere di tagliare alla Francia le sue radici cristiane. Ha cercato di farlo. Non avrebbe dovuto. Come Be­nedetto XVI, ritengo che una nazione che ignori l’eredità etica, spirituale, religiosa della propria storia commetta un crimine contro la propria cultura, contro quel miscuglio di storia, di pa­trimonio, d’arte e di tradizioni popolari che im­pregna profondamente il nostro modo di vive­re e di pensare. Strappare le radici vuol dire per­dere il significato, vuol dire indebolire il ce­mento dell’identità nazionale e inaridire ulte­riormente i rapporti sociali che tanto hanno bi­sogno di simboli di memoria.

Per questo dobbiamo tenere insieme i due ca­pi della corda: accettare le radici cristiane del­la Francia, e anche valorizzarle, continuando a difendere la laicità giunta a maturità. Ecco il senso del passo che ho voluto compiere stase­ra in San Giovanni in Laterano.

È giunto il momento che, in uno stesso spirito, le religioni, in particolare la religione cattolica che è la nostra religione maggioritaria, e tutte le forze vive della nazione guardino insieme al­la posta in gioco del futuro e non più solo alle ferite del passato.

Condivido l’opinione di Benedetto XVI quan­do ritiene, nella sua ultima enciclica, che la speranza sia una delle questioni più impor­tanti del nostro tempo. Dal secolo dei Lumi, l’Europa ha sperimentato molte ideologie. Di volta in volta ha riposto le speranze nell’e­mancipazione degli individui, nella democra­zia, nel progresso tecnico, nel miglioramento delle condizioni economiche e sociali, nella morale laica. Ha deragliato nel comunismo e nel nazismo. Nessuna di quelle diverse pro­spettive – che chiaramente non metto sullo stesso piano – è stata in grado di rispondere al bisogno profondo degli uomini e delle donne di trovare un senso all’esistenza.

Certo, fondare una famiglia, contribuire alla ricerca scientifica o alle scienze umane e so­ciali, insegnare, lottare per le proprie idee, in particolare quelle della dignità umana, guida­re un Paese, possono dare senso a una vita. So­no queste piccole e grandi speranze 'che, gior­no per giorno, ci mantengono in cammino' per riprendere le parole dell’enciclica del San­to Padre. Non rispondono però alle domande fondamentali dell’essere umano sul senso del­la vita, sul mistero della morte. Non sanno spiegare cosa accada prima della vita e dopo la morte.
Tali domande appartengono a tutte le civiltà e a tutte le epoche. Non hanno perso nulla del­la loro pertinenza. Al contrario. Gli agi mate­riali sempre maggiori nei Paesi sviluppati, la frenesia del consumo, l’accumulo di beni sot­tolineano ogni giorno di più la profonda aspi­razione degli uomini e delle donne a una di­mensione che li superi, perché la soddisfano meno che mai.
'Quando le speranze si realizzano, prosegue Benedetto XVI, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere [...] Se non possiamo sperare più di quanto è ef­fettivamente raggiungibile, né più di quanto si possa sperare dalle autorità politiche ed eco­nomiche, la nostra vita si riduce a essere pri­vata di speranza'. O ancora, come scrisse Era­clito: 'Se non si spera l’insperabile, non lo si ri­conoscerà mai'. La mia profonda convinzione, che ho espresso in particolare nel libro di interviste che ho pub­blicato sulla Repubblica, le religioni e la spe­ranza, è che la frontiera tra fede e non-creden­za non passi tra quanti credono e quanti non credono, ma attraversi ciascuno di noi. Anche chi sostiene di non credere non può dire di non interrogarsi sull’essenzialità. Il fatto spirituale è la tendenza naturale di tutti gli uomini a cer­care una trascendenza. Il fatto religioso è la ri­sposta delle religioni a tale aspirazione fonda­mentale.
Per tanto tempo la Repubblica laica ha sotto­stimato l’importanza dell’aspirazione spiritua­le. Perfino dopo il restauro delle relazioni di­plomatiche tra la Francia e la Santa Sede, essa si è mostrata più diffidente che benevola di fron­te ai culti. Ogni volta che ha fatto un passo ver­so le religioni, che si tratti del riconoscimento delle associazioni diocesane o della questione scolastica o delle congregazioni, ha dato l’im­pressione che agiva perché non poteva fare al­trimenti. È solo nel 2002 che ha accettato il prin­cipio di un dialogo istituzionale regolare con la Chiesa cattolica. Mi sia permesso ugualmente di ricordare le virulenti critiche di cui sono sta­to oggetto al momento della creazione del Con­siglio francese per il culto musulmano. Ancora oggi, la Repubblica mantiene le congregazioni sotto una forma di tutela, rifiuta di riconosce­re un carattere di culto all’azione caritativa o ai mezzi di comunicazione delle Chiese, le ripu­gna riconoscere il valore dei diplomi rilasciati dalle istituzioni di istruzione superiore cattoli­ca mentre la Convenzione di Bologna lo pre­vede, non accorda nessun valore ai diplomi di teologia, considera che non deve interessarsi alla formazione dei ministri del culto.
Penso che questa situazione sia dannosa per il nostro Paese. Certamente, coloro che non cre­dono devono essere protetti da ogni forma di intolleranza e di proselitismo. Ma un uomo che crede è un uomo che spera. E l’interesse della Repubblica è che ci siano molti uomini e don­ne che nutrono speranza. La disaffezione pro­gressiva delle parrocchie rurali, il deserto spi­rituale delle periferie, la scom­parsa dei patronati e la penu­ria dei sacerdoti non hanno re­so i francesi più felici. Questa è un’evidenza.
Vorrei anche dire che, se esiste incontestabilmente una mora­le umana indipendente dalla morale religiosa, la Repubbli­ca ha interesse a che esista an­che una riflessione morale i­spirata alle convinzioni reli­giose. Anzitutto perché la mo­rale laica rischia sempre di esaurirsi o di tra­sformarsi in fanatismo quando non è appog­giata a una speranza che colma l’aspirazione al­l’infinito. Poi e soprattutto perché una morale sprovvista di legami con il trascendente è mag­giormente esposta alle contingenze storiche e in definitiva all’arrendevolezza. Come scriveva Joseph Ratzinger nella sua opera sull’Europa nella crisi delle culture, 'il principio ricono­sciuto oggi è che la capacità dell’uomo sia la misura della sua azione. Ciò che sappiamo fa­re, possiamo anche farlo'. A un certo punto, il pericolo è che il criterio dell’etica non sia più quello di cercare di fare ciò che dobbiamo fa­re, ma di fare ciò che possiamo fare.
Nella Repubblica laica, l’uomo politico che io sono non deve decidere in funzione di consi­derazioni religiose. Ma importa che la sua ri­flessione e la sua coscienza siano illuminate specialmente dai pareri che fanno referenza a norme e convinzioni libere dalle contingenze immediate. Tutte le intelligenze, tutte le spiri­tualità che esistono nel nostro Paese devono farne parte. Noi saremo più saggi se coniu­ghiamo la ricchezza delle nostre differenti tra­dizioni. È per questo che mi auguro profonda­mente l’avvento di una laicità positiva, cioè u­na laicità che, pur vegliando alla libertà di pen­sare, a quella di credere o non credere, non considera che le religioni sono un pericolo, ma piuttosto un punto a favore. Non si tratta di mo­dificare i grandi equilibri della legge del 1905. I francesi non lo auspicano e le religioni non lo chiedono. Si tratta, in compenso, di cercare il dialogo con le grandi religioni di Francia e di a­vere come principio quello di agevolare la vita quotidiana delle grandi correnti spirituali piut­tosto che di cercare di complicarla a loro.
(...) Vorrei rivolgermi a coloro che tra voi sono impegnati nelle congregazioni, presso la Curia, nel sacerdozio e l’episcopato e a coloro che in questo momento si stanno formando da semi­naristi.
(...) Mi rendo conto dei sacrifici che rappresenta u­na vita intera consacrata a Dio e agli altri. So che il vostro quotidiano è e sarà attraversato tal­volta dallo scoraggiamento, dalla solitudine, e certamente anche dal dubbio. So anche che la qualità della vostra formazione, il sostegno del­le vostre comunità, la fedeltà ai sacramenti, la lettura della Bibbia e la preghiera, vi permetto­no di superare queste prove.
Sappiate che abbiamo almeno una cosa in co­mune: quella di avere una vocazione. Non si è prete a metà, lo si è in tutte le dimensioni del­la propria vita. Credetemi che non si è neanche presidente a metà. Capisco che vi siete sentiti chiamati da una forza incontenibile che veni­va da dentro, perché io stesso non mi sono mai seduto per chiedermi se avrei fatto politica, l’ho fatto. Capisco i sacrifici che fate per risponde­re alla vostra vocazione perché anch’io cono­sco quelli che ho fatto per realizzare la mia.
(...) È grande il vostro contributo all’azione ca­ritativa, alla difesa dei diritti dell’uomo e della dignità umana, al dialogo interreligioso, alla formazione delle menti e dei cuori, alla rifles­sione etica e filosofica. Lo vediamo radicato nel­la profondità della società francese, con una varietà di modi spesso insospettata, così come si dispiega attraverso il mondo. (...) Offrendo in Francia e nel mondo la testimo­nianza di una vita donata agli altri e riempita dall’esperienza di Dio, voi create speranza e svi­luppate sentimenti nobili. È un’opportunità per il nostro Paese e da Presidente la considero con molta attenzione. Nella trasmissione dei valo­ri e nell’apprendimento graduale della diffe­renza tra bene e male, l’insegnante non potrà mai rimpiazzare il parroco o il pastore, anche se è importante che egli si accosti ad essi, per­ché gli mancherà sempre la radicalità del sa­crificio della propria vita e il carisma di un im­pegno sostenuto dalla speranza.
Voglio inoltre evocare con voi la memoria dei monaci di Tibhérine e di monsignor Pierre Cla­verie, il cui sacrificio porterà un giorno frutti di pace: ne sono convinto. L’Europa ha troppo gi­rato le spalle al Mediterraneo, anche se una par­te delle sue radici vi affondano e se i Paesi ri­vieraschi di questo mare sono all’incrocio di un gran numero di sfide del mon­do contemporaneo. Ho voluto che la Francia prenda l’iniziati­va di un’Unione del Mediterra­neo. La sua collocazione geo­grafica, così come il suo passa­to e la sua cultura ve la condu­cono naturalmente. In questa parte del mondo in cui le reli­gioni e le tradizioni culturali e­sasperano spesso le passioni, in cui lo scontro delle civiltà può rimanere allo stato di fantasma o rovesciarsi nella realtà, noi dobbiamo coniu­gare i nostri sforzi per raggiungere una coesi­stenza pacifica, rispettosa di ciascuno, senza rinnegare le nostre convinzioni profonde, in u­na zona di pace e di prosperità. Questa pro­spettiva incontra, mi sembra, l’interesse della Santa Sede.

Ma ciò che mi sta a cuore dirvi è che in questo mondo paradossale, ossessionato dal benesse­re materiale, ma sempre più in cerca di senso e di identità, la Francia ha bisogno di cattolici con­vinti che non temano di affermare ciò che so­no e ciò in cui credono. (...) Come ha scritto Henri de Lubac, grande amico di Benedetto XVI, 'la vita attira, come la gioia'. E’ per questo che la Francia ha bisogno di cat­tolici felici che testimonino la loro speranza.

Da sempre la Francia è nota nel mondo per ge­nerosità e intelligenza. E’ per questo che essa ha bisogno di cattolici pienamente cristiani e di cristiani pienamente attivi.
La Francia ha bisogno di credere di nuovo che non deve subire l’avvenire, ma costruirlo. E’ per questo che ha bisogno della testimonianza di quanti, condotti da una speranza che li sor­passa, ogni giorno si rimettono per strada per costruire un mondo più giusto e più generoso. Stamattina ho donato al Santo Padre due edi­zioni originali di Bernanos. Permettetemi di concludere con lui: 'L’avvenire è qualcosa che si domina. Non si subisce l’avvenire, lo si fa (…) L’ottimismo è una falsa speranza ad uso dei vi­li (…). La speranza è una virtù, una determina­zione eroica dell’anima. La forma più alta di speranza è la disperazione dominata'.
Ovunque agirete, nelle periferie, nelle istitu­zioni, accanto ai giovani, nel dialogo interreli­gioso, nelle università, io vi sosterrò. La Fran­cia ha bisogno della vostra generosità, del vo­stro coraggio, della vostra speranza.

(Traduzione redazionale)

© Copyright Avvenire, 21 dicembre 2007

1 commento:

euge ha detto...

Già ma chissà perchè ci si ostina a confondere la laicità con il laicismo!!!!!!!