4 dicembre 2007

"Spe salvi", il «grazie» di Bartolomeo I: «Dal Papa un’enciclica che aiuta l’ecumenismo»


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SULLE VIE DELLA FRATERNITÀ

Il «grazie» di Bartolomeo I «Dal Papa un’enciclica che aiuta l’ecumenismo»

DAL NOSTRO INVIATO A ISTANBUL

SALVATORE MAZZA

Il 30 novembre è appena pas­sato. Ma il senso di cosa sia stata, quest’anno, la principa­le festività della Chiesa ortodossa, è destinato a restare nel tempo.
Perché si tratta di un senso «dav­vero molto particolare», per come si sono fusi insieme gli elementi di straordinarietà che l’hanno ca­ratterizzata in una prospettiva marcatamente ecumenica. Con l’enciclica di Benedetto XVI a fare da sintesi, alla fine di tutto, per «aiutarci ad avere un approccio ottimistico al futuro, e in partico­lare al cammino verso l’unità dei cristiani».
La festa di Sant’Andrea 2007 è in archivio da poche ore quando incontriamo nella sede del Fanar Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli. Il quale – un largo sorriso a illuminargli gli occhi – non nasconde i suoi sentimenti. Non ci riesce.

Il dono della prima copia autografata della Spe salvi, che Papa Ratzinger gli ha fatto avere attraverso il cardinale Walter Kasper – presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani – ha un peso simbolico difficile da definire. Per il gesto in se stesso, e per quell’essere stata datata proprio al 30 novembre: «Non posso nascondere che questo fatto abbia per noi un significato molto importante – afferma il patriarca – perché fa riferimento al futuro, rispetto al quale noi non perdiamo mai la speranza, nonostante il passato che abbiamo ricevuto in eredità.

Adesso è tempo di guardare avanti con questa speranza, verso un futuro nel quale sarà possibile guarire le nostre divisioni, e superarle. Questa enciclica sicuramente ci aiuterà».
Per Bartolomeo I, quello che si è vissuto quest’anno, dodici mesi dopo la visita al Fanar di Benedetto XVI, è la conferma visibile di quanto espresso dalle parole sottoscritte nella Dichiarazione comune firmata in quell’occasione, perché «noi crediamo sempre che la coesistenza pacifica dei cristiani, in spirito di unità e di concordia, debba costituire la nostra fondamentale preoccupazione».
Conferma e, concretamente, passo ulteriore in quello spirito di «fratellanza, cooperazione e comunione» che deve guidare il progresso del cammino ecumenico.
Qualcosa che i fedeli ortodossi arrivati a Istanbul anche dall’estero, per la celebrazione del 30 novembre, hanno, in qualche modo, «toccato con mano», ritrovando dopo secoli, restituite alla loro venerazione, le reliquie di Sant’Andrea, che lo stesso patriarca ha riportato «a casa» da Amalfi. Per una Chiesa così strettamente legata alla sua storia e alle proprie tradizioni, dove la porta principale della sede patriarcale è sigillata in segno di lutto da quando, nel 1821, al suo architrave fu impiccato il patriarca Gregorio V, come ritorsione all’inizio della guerra d’indipendenza greca, è facile capire perché il ritorno delle reliquie «donate da Sua Santità il Papa è stato davvero una cosa particolare, molto importante – sottolinea Bartolomeo I –. Avere qui le reliquie di sant’Andrea, che è il fondatore del Patriarcato ecumenico, è un segno che rafforza l’amicizia e la fraternità».

Adesso, dunque, è tempo di guardare avanti. E in questo momento «guardare avanti» vuol dire innanzitutto fare riferimento al Documento sottoscritto a Ravenna dalla Commissione teologica mista cattolico­ortodossa lo scorso ottobre, nel quale per la prima volta si riconosce l’esistenza di una Chiesa universale e il ruolo di primato che, in essa, spetta al vescovo di Roma. Certamente «si tratta di un primo passo – osserva Bartolomeo I – e il soggetto è molto difficile, abbiamo ancora tanto da lavorare in futuro».

Tuttavia, aggiunge subito, «l’avere delle basi in comune è fondamentale, ora noi possiamo nutrire anche una speranza in comune per il futuro».
Torna così, prepotente, il tema della speranza. E di nuovo il discorso scivola su come la seconda enciclica di Benedetto XVI davvero suoni anche «e soprattutto» sul piano ecumenico come un invito «ad avere sempre fiducia». Anche rispetto ai problemi che proprio a Ravenna – non sul merito del Documento, ma sull’autonomia della Chiesa apostolica estone, non riconosciuta dai russi – sono sorti tra le Chiese ortodosse, con l’uscita piuttosto clamorosa (e rumorosa), dalla Commissione, dei delegati del Patriarcato di Mosca. Il patriarca non minimizza la questione, né si nasconde dietro un dito. Perché i problemi «senza dubbio ci sono», ma «la speranza che dobbiamo nutrire» è «in particolare e in primo luogo verso di loro». «Quello che abbiamo sperimentato a Ravenna – sottolinea con forza Bartolomeo I – è proprio questo, un segno di speranza, perché siamo riusciti a lavorare insieme su alcune cose molto importanti», su un argomento che «in altri tempi» non sarebbe stato possibile affrontare. Per questo, allora, «sono fiducioso che quei problemi saranno superati». Si è, in effetti, «solo all’inizio» di un qualcosa «completamente nuovo», da costruire «per obbedire al comandamento del Signore, che ha voluto l’unità dei suoi figli, e che è stata spezzata».
Da costruire «con la fiducia di arrivare alla meta». «Con la speranza», ripete un’ultima volta.

© Copyright Avvenire, 4 dicembre 2007

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