17 gennaio 2008

Quel professore e Papa della ragione, a disposizione del suo tempo (Giuliano Ferrara)


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Quel professore e Papa della ragione, a disposizione del suo tempo

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di Giuliano Ferrara

Quando fu eletto, tra i nostri laicissimi applausi di atei devoti (formula ironica e autoironica>, lo definimmo Papa della ragione. La fede nell'avvenimento cristiano in un successore di Pietro è implicita,l'apertura alla ragione, e generosa e dialogante, era invece una scelta, una caratterizzazione che nasceva, oltre che da antiche radici patristiche agostiniane e tomiste, dallo stile e dalle idee dell'ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e dal lungo e splendente papato del suo predecessore Giovanni Paolo II.
Ci era sembrato, da molto tempo e in modo esplosivo da qualche anno, che quel teologo e pastore della chiesa cattolica fosse, nella sua adamantina sicurezza intellettuale e anche nella sua mitezza, qualcuno che si metteva a disposizione del suo tempo. In questo una vera creatura del Concilio Vaticano II, sebbene un critico rigoroso di certi approdi che nel dopo-Concilio avevano compromesso alcuni aspetti della identità cristiana e cattolica nel mondo. Mettersi a disposizione del tempo, senza farsene divorare, voleva dire, per quel cardinale teologo venuto dalla Baviera, discutere in modo impegnativo e nel segno del reciproco ascolto di stato e laicità, di etica e cittadinanza, con un rilevante intellettuale europeo come Júrgen Habermas, per esempio, o di scienza e storia con Ernesto Galli della Loggia, per esempio, o di radici cristiane dell'Europa con Marcello Pera, e con tante altre espressioni della cultura scientifica e mondana in Europa e nel mondo moderno. Voleva dire anche ingaggiare epiche battaglie intorno al cristianesimo marxista dei teologi della liberazione nel mondo ispanico e latinoamericano, puntando, ben prima della fine del comunismo storico, su un argomento razionale che poi da Papa confermerà nella enciclica Spe salvi: per quanto Marx abbia argomentato vigorosamente la necessità di riformare le strutture, confinare la speranza escatologica degli uomini e delle donne che abitano la terra in nuovi ordinamenti mondani, e solo in quelli, è illusorio.

Quella disponibilità verso il tempo, il professor Ratzinger, come prima di lui Paolo VI nella drammatica enciclica Humanae vitae, promulgata giusto quarant'anni fa, la espresse opportune et importune, come dice San Paolo citato oggi da un nostro squisito lettore. La esprimeva cioè, con coraggio e lucidità intellettuale, accompagnando e insieme contrastando l'aria del tempo.

Fu così quando parlava delle donne moderne, sollecitando spesso risposte non banali del femminismo internazionale; quando diceva la sua sulla morale sessuale e familiare, sollevando polveroni ed equivoci ma anche questioni di una certa importanza, che solo la mentalità del pregiudizio poteva esorcizzare con l'astio e l'irrisione. Che un uomo poi vestito di bianco, titolare di un deposito di fede e di cultura così incontestabilmente profondo, intendesse rinnovare l'archivio aureo del cristianesimo di tutti i tempi con le sue conferenze di teologo e i suoi libri, e con le sue omelie di pastore, mettendosi a confronto in ogni campo con le grandi e piccole faccende del nostro modo di ragionare, affrontando i labirinti del nichilismo filosofico, dell'esistenzialismo e del decostruzionismo postmoderno, sembrava a noi atei devoti (form. iron. et autoiron.) una laica benedizione o più modestamente un aiuto insperato in un'epoca di svuotamento tendenziale del significato del vivere e del convivere. Specie in relazione al risveglio del temperamento più fanatico di un certo islamismo radicale, che proponeva come cura violenta del relativismo occidentale l'assolutezza della legge teocratica.

Non ci eravamo sbagliati, e questo è tutto. Lo dimostra il magnifico discorso "universitario" che pubblichiamo al posto della tradizionale prima pagina, due giorni dopo la vergogna laica che abbiamo provato per l'insipienza dei sapienti che hanno impedito a quelle parole di suonare il loro suono sempre aperto al contraddittorio nell'aula magna della più grande, e della più miserabile, oggi, Università europea.

Il direttore di Repubblica, che ha fatto di noi ratzingeriani laici il suo piccolo capro espiatorio per cavarsi d'impaccio nel tremendo contrappasso causato dalla demenza intollerante di gente del suo mondo, deve ora farci la grazia di rivedere i suoi giudizi con onestà. Non siamo disponibili, come lui ingenuamente chiede, a conversioni forzose, magari per pregare un Dio finalmente trovato in una dimensione esclusivamente privata, come a lui piacerebbe, tacendo sul resto e lasciando campo libero ai salon spenti dell'illuminismo per dettare l'agenda del pensiero.

E continueremo, possibilità che ci offre un tollerante e laico Papa della ragione, a lasciarci sollecitare e interrogare nel coraggio della verità e della sua ricerca.

© Copyright Il Foglio, 17 gennaio 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Si è scritto che l'Università la Sapienza non è una parrocchia ma io insisto nell'affermare che la formazione della persona non la si fa solamete facendogli spendere i migliori anni della vita sui tomi accademici. Per costruire la persona matura non bisogna tagliare le ali della speranza. Il Papa, e tutto ciò che lui rappresenta (una Chiesa che è ancora viva e che agisce positivamente nel mondo, un messaggio che dà un senso alla vita) è proprio speranza, coraggio, ispirazione. L'uomo non è semplicemente un animale evoluto e se alcuni lo pensano che facciano pure gli ominidi ma che lascino agli altri il diritto di elevarsi culturalmente e spirituamente come meglio riescono. Se continua così, un domani, morto un Papa non se ne farà più un altro e ai nostri figli non resterà che vivere la precarietà in tutti i sensi.
Michele Salcito