31 gennaio 2008

Il rabbino Jacob Neusner parla all'Osservatore del suo dialogo a distanza con Joseph Ratzinger: il Papa è un uomo coraggioso


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Se il Papa avesse potuto leggere il suo discorso alla Sapienza, lo scorso 17 gennaio, avrebbe avuto come ascoltatore entusiasta anche Jacob Neusner; in particolare la sua esortazione al "coraggio della verità", rivolta ai docenti e agli studenti universitari, avrebbe riscosso il plauso di questo rabbino, professore emerito della Bard University, che ha dedicato tutta la vita allo studio delle sacre Scritture.

"Benedetto XVI ha arricchito la vita di diverse comunità religiose nel sottolineare la pretesa di verità delle religioni e l'importanza del confronto con e nella verità" - confida all'Osservatore Romano.

"Per un lungo periodo molti hanno avuto paura di affrontare la questione su chi sia il giusto nella prospettiva di Dio, temendo che dal confronto religioso sarebbe emersa solo l'intolleranza. Papa Ratzinger ha avuto il coraggio di affrontare le differenze religiose e di spiegare nei dettagli, caso per caso, ogni posizione e ogni contrapposizione. Questo ha permesso di ridefinire la caratteristica di come le comunità religiose si relazionino l'una con l'altra. Il suo discorso di Regensburg fu un atto di coraggio".

Jacob Neusner non è un "fan" del Papa, ma è un ebreo ortodosso e fervente che è "fan" solo della verità e della ricerca della verità. È proprio per questo che, a suo tempo, fu anzitutto l'allora cardinale Ratzinger a essere un estimatore del lavoro intellettuale e scientifico del rabbino americano.
La storia, dunque, non è recentissima, inizia quindici anni fa. Il rabbino Jacob Neusner, nato ad Hartford nel Connecticut nel 1932, raffinato esegeta delle Sacre Scritture ebree - oltre 900 sono le sue pubblicazioni su Torah, Mishnah, Talmud e sui Midrash - e illustre professore di storia e teologia del giudaismo al Bard College dello stato di New York, nel 1993 pubblica un saggio breve quanto "esplosivo": A Rabbi talks with Jesus che poco tempo dopo finisce nella mani del cardinale Ratzinger il quale lo apprezza molto.

Nel 2007, all'indomani della pubblicazione del Gesù di Nazaret di Benedetto XVI, il nome di Jacob Neusner ha fatto il giro del mondo spingendo tra l'altro l'editore San Paolo a ripescare quel vecchio saggio in questione, ormai da anni scomparso dalle librerie italiane. In effetti, a rileggerlo si può comprendere il fascino suscitato in un lettore del livello di Joseph Ratzinger; si tratta di un libro, quello di Neusner, che contiene un'audace provocazione intellettuale proposta, peraltro, con limpidezza e onestà, per cui quella provocazione diventa stimolo preziosissimo, interrogazione profonda e mai banale. Si intuisce che, sebbene l'esito della ricerca di Neusner su Gesù non tenda all'adesione al cristianesimo, l'atteggiamento con cui il rabbino "interroga" il figlio di Maria non può non piacere al futuro Pontefice.
Neusner infatti prende sul serio il Gesù dei Vangeli e la pretesa di verità contenuta nel messaggio di Cristo intuendo che messaggio e messaggero coincidono, che il cristianesimo non è una dottrina morale o una teoria filosofica, ma l'incontro con la persona di Cristo. Questo che è l'incipit della Deus caritas est, riflette il modo con cui Neusner affronta il dialogo con Gesù. Dopo aver letto il suo libro-dialogo, abbiamo quindi ricercato il rabbino Neusner che, ancora una volta, non si è sottratto al piacere di un incontro franco e aperto rivelando il motivo per cui - a suo dire - è nata questa intesa tra un rabbino ebreo americano e un teologo tedesco oggi Papa.

"In molti suoi discorsi Benedetto XVI, Papa-teologo, non ha risparmiato critiche alla teologia e ai teologi. Il rischio del teologo è quello della superbia quando invece dovrebbe essere umile e la teologia buona è quindi "la teologia in ginocchio" come ha detto di recente. È la mia stessa posizione, nel secondo capitolo del mio libro affermo di voler incontrare Gesù senza il "filtro" della teologia, accostandomi alla Scrittura, in particolare al vangelo di Matteo, così come fanno i fedeli "semplici", il popolo, e non gli esperti delle università. In altre parole ho voluto prendere sul serio il Vangelo, ma non come testo da analizzare, ma come testo "performativo" - come dice il Papa nella sua seconda recente enciclica Spe Salvi - un testo cioè scritto non per informare, ma per cambiare la vita del lettore. Questo testo viene letto non per ricevere informazioni, ma "trasformazioni": è questo il fondamento della vita religiosa. Il cuore di tutto è come incontrare Dio, il testo sacro è fondamentale per il culto, per l'adorazione".

Neusner non ama dispute su temi astratti, alla domanda sul presunto "individualismo" della fede cristiana rispetto alla dimensione maggiormente comunitaria della fede giudaica - è un aspetto che risulta ricorrente nel saggio - in un primo momento non risponde direttamente preferendo chiarire i termini della sua indagine: "Io incontro Gesù durante il Sermone della montagna e gli chiedo se i suoi insegnamenti su questo monte corrispondono agli insegnamenti di Mosè sul Monte Sinai. Gli aspetti astratti dell'individualismo contrapposto alla dimensione comunitaria non si presentano se non in quel contesto", ma poi precisa e, di fatto muove una critica al giudaismo riformato e anche alle correnti protestanti interne al cristianesimo: "I profeti e la tradizione rabbinica mettono in evidenza le obbligazioni del singolo nei confronti della comunità: il singolo credente è soggetto al patto tra Dio e la comunità. Le chiese riformate e il giudaismo riformato rilanciano invece molto la dimensione individuale e quella della coscienza introspettiva, ponendo di fatto il singolo al di sopra della comunità al contrario del giudaismo classico e del cattolicesimo che considerano primari gli obblighi del singolo verso la comunità ponendo l'accento sul mantenimento dell'ordine sociale nella giustizia e nell'equità".
È sempre l'amore verso la concretezza che lo spinge ad affermare la necessità di evitare il rischio dell'astrattezza, mentre un'altra critica mossa al cristianesimo nel dialogo serrato con Gesù, è quella dell'astrattezza, dell'essere rivolto a un mondo posto al di là, ad un'escatologia che si avvera nel futuro, non su questa terra. "Se lo scopo dei comandamenti della Torah è la purificazione del cuore dell'uomo, il che può sembrare un concetto astratto" - spiega Neusner - "gli stessi comandamenti sono però concreti e particolari. I doveri religiosi che noi adempiamo nelle nostre azioni concrete incarnano quelle verità religiose che affermiamo astrattamente. Mantenere e osservare la Torah nella vita quotidiana vuol dire manifestare i principi della religione".

Il dialogo con questo ebreo a tu per tu con Gesù volge al termine, è un confronto serrato, anche duro, ma che si può svolgere - Neusner e Ratzinger dialogano a distanza da oltre quindici anni - nella lealtà e nella fiducia reciproche, con stima e soprattutto in una comune sintonia di vera, profonda speranza.

"Nel nono capitolo del mio saggio - a pagina 180 dell'edizione italiana - ho voluto affermare una cosa in cui credo fermamente: "Per un ebreo, disperare è un peccato".

Saluto con gioia quindi questa seconda enciclica del Papa dedicata alla speranza e penso ci possa essere una speranza per il dialogo, nel rispetto della diversità, tra ebrei e cristiani. Un dialogo fatto di rispetto, di cammino e di preghiera comune. Cammino e preghiera che portano alla pace".
Ma, ancora una volta, Neusner non ama i temi e i toni astratti, ma preferisce declinare la sua riflessione in termini il più possibile "incarnati", citando un esempio vivo di dialogo e preghiera: "Giovanni Paolo II ha rappresentato una grande benedizione per l'umanità affermando l'integrità dell'uomo contro le dottrine avvilenti e riduttive del materialismo e del comunismo. Più di molte altre personalità del suo tempo, lui si è stagliato lottando per la dignità dell'uomo. È stato Papa per tutti gli uomini".

(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2008)


Ma il Sinai è ancora troppo lontano dal monte delle beatitudini

Francesco Licinio Galati

Allorché nel 1993 uscì la prima edizione di A Rabbi talks with Jesus determinante, ai fini della sua diffusione nel mondo cattolico, fu il giudizio del cardinale Joseph Ratzinger che lo aveva definito: "Il saggio di gran lunga più importante uscito nell'ultimo decennio per il dialogo ebraico-cristiano"; con queste motivazioni: "l'assoluta onestà intellettuale, la precisione dell'analisi, il rispetto per l'altra parte unita a una radicale lealtà verso la propria posizione, caratterizzano il libro e lo rendono una sfida, specialmente per i cristiani, che dovranno riflettere bene sul contrasto tra Mosè e Gesù".

Più determinante ancora, per l'accoglienza della seconda edizione americana, l'attenzione riservatale dal Papa nel suo Gesù di Nazaret in cui si legge: "Mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo".

Forse mai erano state scritte parole più gratificanti per un esponente dell'ebraismo da parte di un Pontefice romano, parole che, oltre tutto, pongono in risalto la serietà di uno studioso considerato il più grande specialista vivente della letteratura rabbinica antica.
Uscito in prima versione italiana nel 1996 presso le edizioni Piemme col titolo Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, il libro è stato riproposto dalle edizioni San Paolo col titolo Un rabbino parla con Gesù (pagine 199, euro 14). L'autore - anticipando le lancette del suo orologio di circa duemila anni - immagina di essere stato presente in Galilea al "Discorso della montagna" e, dopo averlo ascoltato, di essersi deciso a proseguire nella fede della Torah di Mosè dissentendo dagli insegnamenti di Gesù, in quanto, a suo parere, in contrasto con punti essenziali della fede dei suoi padri.
"Laddove Gesù diverge da quanto Dio rivelò a Mosè, egli sbaglia e Mosè ha ragione": questo l'avvio del libro, tutto incentrato su una rispettosa e corretta discussione che affronta lealmente i punti di sostanziale divergenza tra cristianesimo ed ebraismo, soprattutto perché, in contrasto con le parole di Gesù che pretende di riformare e migliorare la Torah - "Voi avete sentito dire (...) ma io vi dico (...)" - l'ebreo è convinto che essa sia perfetta e non suscettibile di miglioramenti. Donde il dialogo, svolto in un clima di reciproco rispetto, che nelle intenzioni di Neusner dovrà aiutare da una parte i cristiani a riconoscere i motivi fondamentali della loro fede e a rispettare l'ebraismo, e dall'altra gli ebrei a rafforzare il loro attaccamento alla Torah, rispettando nel contempo il cristianesimo. "Credo - afferma il rabbino - che, quando ciascuna delle due parti comprende allo stesso modo i problemi che la dividono dall'altra, ed entrambe sostengono con fondate ragioni le loro verità, allora tutti possono amare e venerare Dio in pace, consci che si tratta davvero dell'unico e del solo Dio che essi venerano insieme nella differenza religiosa".
Ovviamente la discussione si muove da poli opposti: secondo il rabbino Neusner, all'epoca di Gesù, la religione d'Israele era autentica e senza bisogno di riforme e di rinnovamento; il rabbi di Nazaret insiste invece nel dire di non essere venuto per abolire la Legge e i Profeti, "ma per dare compimento".
Proprio per conoscere questo punto di vista, Neusner si rifà al "Discorso della montagna": il suo messaggio lo affascina anche se non egli non può non restare perplesso di fronte al reiterato "Ma io vi dico", quasi che il rabbi di Nazaret avesse il potere di spiegare in nome proprio quello che la Torah prescriveva in nome di Dio: "Che tipo d'insegnamento è quello che migliora gli insegnamenti della Torah senza citare la fonte e cioè Dio stesso? Non sono tanto turbato dal messaggio, su alcuni punti del quale potrei avanzare qualche obiezione, ma del suo messaggero".
Un messaggero che, ponendosi al di sopra della Legge, pretende di parlare in nome proprio, non può non sconcertare il credente e praticante Neusner per il quale vale soltanto l'assoluto della Torah, come vale l'assoluto di Dio che non potrà mai abbandonare per seguire il rabbi di Nazaret. "No, se fossi stato là quel giorno, non mi sarei aggregato a quei discepoli per seguire il Maestro lungo la sua strada. Me ne sarei tornato invece alla mia famiglia e al mio villaggio, proseguendo la mia vita come una parte dell'Eterno Israele e all'interno di esso".
La decisione di non seguire il Maestro dopo il "discorso della montagna" sembra definitiva, senonché l'interesse di Neusner per gli insegnamenti di Gesù non può venir meno, e l'urgenza di approfondirli diventa sempre più pressante, soprattutto per ciò che concerne l'osservanza dei comandamenti che talvolta sembrano in contrasto con la Torah. Difficile infatti è comprendere il messaggio di Gesù quando afferma di essere "venuto a mettere l'uomo contro suo padre e la figlia contro sua madre", da cui si dedurrebbe che "per seguire Gesù io debba porre il mio amore per lui al di sopra di quello per i miei genitori", con la conseguenza che "la famiglia si disintegrerebbe, la casa crollerebbe e quello che tiene unito il villaggio e la terra, il corpo della famiglia, cederebbe. Per seguirlo, debbo violare uno dei Dieci Comandamenti?".
L'approdo di Neusner è fin troppo consequenziale considerando gli schemi della letterale osservanza ebraica che non affronta il problema del Cristo Dio. Il discorso di Neusner è innegabilmente onesto, profondo e lucido, ma - anche nei capitoli successivi - il problema della natura del rabbi di Nazaret non è nemmeno sfiorato, neanche per una discussione critica. Ciò, chiaramente, rappresenta un ostacolo invalicabile all'approfondimento dell'insegnamento di Gesù, anche se occorre pur dire che la sensibilità e l'erudizione di Jacob Neusner che sostanziano le pagine del libro offrono strumenti notevoli per aprirsi alla spiritualità e alla teologia ebraiche, soprattutto in relazione al problema fondamentale: che cosa vuole Dio da me? "Come posso trasformarmi in ciò che Dio vuole che io sia e in che cosa Dio mi fa diventare?".
È risaputo - sostiene Neusner - che la risposta di Gesù riguarda soltanto l'individuo, mentre la Torah parla sempre alla comunità e s'interessa della formazione di un ordine sociale degno del Dio che ha fatto esistere Israele: "La santità non è solo per me e per te, ma è per tutti noi; tutti noi, tutti insieme e contemporaneamente, siamo coloro ai quali Dio parlò, quando usando il plurale "voi", disse: "Voi sarete santi, perché io il Signore, vostro Dio, sono santo"".
Il discorso sulla santità occupa non poche pagine del capitolo sesto, ma soprattutto del settimo, in cui vengono messi in discussione gli sferzanti giudizi di Gesù contro gli scribi e i farisei "ipocriti", anche a causa della loro ostinazione a osservare le regole solo esteriormente. È ovvio che la posizione di Gesù urti la sensibilità di Neusner, ma è innegabile che i suoi tentativi di leggere nella luce della santità anche i fatti esteriori contribuiscono notevolmente a penetrare nello spirito della religiosità ebraica. Tuttavia il problema rimane, anche perché lo stesso autore manifesta tutta la sua perplessità quando scrive: "Credo nell'ebraismo che si identifica con i farisei. Il regno di Dio è qui e ora? Oppure solo nel futuro immediato? E dove e come e in quali circostanze debbo servire Dio e vivere una vita santa? O presentando il problema in termini ancora più semplici: a Dio interessa che cosa mangio a colazione?".
Tuttavia sembra che le problematiche fondamentali il rabbino Neusner non le voglia nemmeno sfiorare, se persino nell'ipotetico incontro sulla strada di Cafarnao con Gesù non si preoccupa di rivolgergli altre domande e preferisce proseguire per la propria strada, "al villaggio, a casa, al regno di Dio qui e ora", vale a dire a persistere nelle convinzioni che l'ebraismo gl'impone. Semplicemente perché, secondo lui, è impossibile conciliare gli insegnamenti della Torah con quelli di Gesù, per il quale conta soltanto il regno dei cieli.
In effetti, la montagna dove Gesù tenne il suo discorso programmatico non può nullificare quella del Sinai, dove Mosè "disse al popolo come organizzarsi nelle sue faccende di tutti i giorni, come adorare e servire Dio; come Dio gli avrebbe dato una terra santa e come avrebbe dovuto coltivarla, insomma tutto quello che serve per costituire un regno, il regno di Dio, sotto il dominio di Dio e per mezzo del suo profeta Mosè".
A turbare il rabbino sembra sia soltanto l'idea di Gesù che privilegia il regno dei cieli, in assoluta proiezione verso il futuro. Donde la domanda: "Che cosa ne è di questo luogo e di questo momento?". Proprio l'assenza di una puntuale risposta a tale interrogativo sembra più che sufficiente per giustificare il rifiuto di Neusner a seguire il rabbi di Nazaret.

(©L'Osservatore Romano - 1 febbraio 2008)

1 commento:

mariateresa ha detto...

Grazie per questi brani, Raffaella. Come dice Ungaretti "Mi illumino di immenso".
E' una bella continuazione della lettura del Gesù di Nazareth e un modo di conoscere i nostri fratelli ebrei.
L'Osservatore Romano decolla bene e vola alto.