4 gennaio 2008

Scienza e fede: "L’enigma della cometa" (Avvenire)


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L’enigma della cometa

scienza e fede

Corpo celeste proveniente dalla nube di Oort? Rara congiunzione di pianeti?
Forse, ma la 'stella' vista a Betlemme eccede le categorie astronomiche


DI PIERO BENVENUTI

Quasi ogni anno, all’approssimarsi del Natale e dell’Epifania, qualche collega astronomo dichiara di aver individuato con certezza il fenomeno astronomico riportato da Matteo nel suo Vangelo come la 'stella' che annunciava ai Magi d’oriente la nascita di Gesù. Ogni anno mi chiedo quale sarebbe il vantaggio, ai fini della comprensio­ne del mistero del Logos fatto carne, il sapere che la 'stella' vista dai Magi era la cometa pe­riodica Churyumov-Gerasimenko oppure una Supernova esplosa nella Costellazione di Orio­ne o una rara congiunzione di Giove e Satur­no. Mi sembra davvero un inutile sforzo, simi­le a quello di chi cerca disperatamente di sco­prire il nome della donna ritratta da Leonardo nella 'Gioconda', come se il conoscere quel nome ci permettesse di penetrare maggior­mente nel mistero del suo enigmatico sorriso.
In realtà, se fine a se stesso, lo sforzo dell’astro­nomo di turno potrebbe anche essere danno­so, perché utilizzando un linguaggio scientifi­co (garanzia di veridicità per molti), riduce il ruolo dello Scrittore Sacro a semplice cronista di eventi cosmici, distogliendo il lettore dal chiedersi perché Matteo, nel ricostruire il rac­conto della nascita dai pochi elementi di informazione tramandatigli, abbia intessuto proprio 'quella' storia che ancor oggi entra nelle nostre case con il Presepe. In altre parole questi annunci potrebbero intralciare la no­stra spinta esegetica a tentare di scoprire il messaggio, ispirato dallo Spirito, che Matteo voleva e vuole trasmetterci: invitano, 'senza dirlo, a una forma di suicidio del pensiero'.
Partendo dal Documento Dei Verbum del Concilio Vaticano II, in particolare da quell’il­luminante 'nostrae salutis causa', pluripo­tente ablativo latino che qualifica la Verità da ricercare nelle Scritture, proponiamo un’ana­lisi alternativa del racconto di Matteo, senza rinunciare alle conoscenze astronomiche at­tuali, ma evitando che queste ne oscurino il messaggio. C hiediamoci innanzitutto come veniamo a conoscenza, oggi, di un qualunque fe­nomeno astronomico, sia questo una nuova cometa, una esplosione cosmica o qualche altro evento celeste. La risposta è im­mediata: attraverso i giornali, la radio o la tele­visione i quali, a loro volta, riportano una noti­zia ottenuta dagli 'astronomi' o dagli 'astrofi­li', una piccola cerchia di persone dedicate per professione e per passione all’osservazio­ne dei fenomeni celesti. Indirettamente dob­biamo ammettere che non siamo più in grado di accorgerci da soli di quanto avviene in Cie­lo: le luci della civiltà tecnologica e le nostre a­bitudini di vita ci hanno definitivamente di­staccato dal cielo stellato. Non era così ai tem­pi di Gesù: non era necessario che gli astrono­mi annunciassero l’apparizione di una nuova stella cometa perché tutti, alzando gli occhi al cielo, semplicemente la vedevano! I fuochi dei bivacchi e le flebili luci delle lucerne non riu­scivano ad offuscare la visione della nuova stella, soprattutto se, come spesso avviene, la sua tenue coda si estendeva per gran parte della volta celeste. Ecco un primo elemento di riflessione: quando Matteo inserisce la 'stella' nel suo racconto del Natale, sa di parlare di un evento naturalmente familiare ai suoi ascolta­tori. Conseguentemente, anche sulla base del­le attuali conoscenze astronomiche, è del tutto ragionevole identificare la stella di Matteo con una cometa, come d’altronde ha fatto sin dal­l’inizio la Tradizione; infatti nessuno degli altri possibili eventi cosmici inattesi ha lo stesso impatto visivo e suscita lo stesso senso di am­mirazione ed angoscia come l’apparizione di una grande cometa, che di notte in notte muta d’aspetto nella sua algida silenziosità. Inoltre, tra tutti i fenomeni celesti, la cometa è quello che più di ogni altro ha le caratteristiche del messaggio, sembra che il Cielo, interrompen­do la regolarità del suo corso, voglia avvertirci di qualcosa che sta per avvenire: che questa fosse l’opinione diffusa al tempo di Gesù ce lo testimoniano i trattati di allora, per esempio il libro dedicato alle comete di Seneca, e i primi esegeti, come Origene che, nel secondo secolo scriveva: «…avendo appreso dai trattati scien­tifici che questi corpi celesti fanno la loro ap­parizione quando qualcosa di importante av­viene nella storia degli uomini,… perché mai dovremmo meravigliarci se alla nascita di Chi stava per introdurre una nuova dottrina per il genere umano, una stella sia apparsa per ren­dere noto l’evento non solo ai Giudei, ma an­che ai Greci e a tutte le Nazioni?».
Oggi sappiamo che le comete provengo­no da un grande 'serbatoio' cosmico, chiamato nube di Oort, che si trova agli estremi confini del nostro sistema solare, a più di 100.000 volte la distanza che separa la Terra dal Sole. Costituite di una particolare forma di ghiaccio, molto poroso, il nucleo delle comete trattiene al suo interno le molecole di gas e i grani di polvere che facevano parte della nube originaria dalla quale ebbero origine i pianeti.
Dal punto di vista scientifico esse sono dei veri e propri messaggeri, che ci offrono preziose informazioni sulla composizione della nube O proto-planetaria. Avvicinandosi al Sole, il ghiaccio sublima liberando gas e polveri che per effetto della radiazione solare si allontana­no formando la caratteristica coda. Nella nube di Oort le comete si muovono lentissimamen­te e la maggior parte di esse rimarrà per sem­pre ai confini: solo poche, per effetto di mini­me perturbazioni gravitazionali, inizieranno il lungo viaggio che le porterà, dopo centinaia di milioni di anni, a stagliarsi nei nostri cieli. Tra queste, alcune rimarranno 'intrappolate' dal­l’azione gravitazionale dei pianeti maggiori e diverranno 'periodiche', come la famosa co­meta di Halley.
A questo punto, ritornando al racconto di Matteo, possiamo chiederci: ai fini del messaggio di Salvezza, era più effi­cace che Dio intervenisse, milioni di anni pri­ma della nascita di Gesù, perturbando l’orbita di una cometa nella nube di Oort in modo che apparisse al momento opportuno per annun­ciare ai Magi d’oriente l’atteso evento, oppure era più utile che lo Spirito Santo ispirasse Mat­teo a scrivere il suo racconto, utilizzando im­magini e conoscenze familiari ai suoi contem­poranei, per sottolineare come la Buona No­vella fosse accolta con gioia e speranza dai sa­pienti non Giudei (i Magi) e con sgomento e sospetto dai 'fondamentalisti' del Tempio e dal potere costituito (tutta Gerusalemme ed E­rode)?
Per il credente (anche per l’astronomo creden­te!) entrambe le interpretazioni sono possibili, ma non c’è dubbio che oggi la seconda sia molto più efficace ai fini di una riflessione profonda che ci metta in sintonia con il pen­siero ispirato dell’Evangelista. Probabilmente, ai tempi di Origene, la prima lettura era più vi­cina alla comprensione comune e quindi maggiormente efficace. Non credo che dob­biamo scandalizzarci se l’esegesi evolve nel tempo, ciò non fa che dimostrare la ricchezza inesauribile e la continua attualità della Sacra Scrittura.
Speriamo quindi che tutti, anche gli astrono­mi, si convincano che la Stella di Betlemme è sì una cometa reale che, divenuta periodica duemila anni fa, continua ad entrare nelle no­stre case con precisione astronomica, ma lo fa 'nostrae salutis causa', per rinnovare la nostra speranza nella possibilità di Salvezza, e non per riempire di dati orbitali le pagine di un al­manacco astronomico.

© Copyright Avvenire, 4 gennaio 2008


E i Re Magi fecero una sosta in Brianza

tradizione

Per secoli Brugherio (Mi) fu l’unica città italiana ad avere reliquie dei tre Sapienti.
Grazie a Marcellina, sorella di sant’Ambrogio


DI ROBERTO BERETTA

Cammina cammina, i Re Magi arrivarono a Bru­gherio in tangenziale... Beh, forse sarebbe un po’ pro­vinciale quale incipit per una storia dai sentori così misterio­si come quella dei tre sovrani d’Oriente. Ma non era anche Betlemme, del resto, un’oscura località dell’hinterland di Ge­rusalemme, almeno quanto Brugherio oggi fa parte della grigia corona urbanistica che cinge Milano?
Infatti nemmeno Federico Bar­barossa se ne occupò più di tan­to, allorché nel 1164 fece trafu­gare le reliquie dei Magi (pre­ziosissimi segni di regalità divi­na) conservate nella metropoli lombarda; e così per vari seco­li – ovvero fino al 1903, quando alcune reliquie di Melchiorre, Gaspare e Baldassare furono re­stituite simbolicamente da Co­lonia a Milano – la piccola Bru­gherio fu l’unica località italia­na a poter vantare il possesso di qualche resto dei no­bili cammellati dell’E­pifania. Un privilegio che fa data addirittura dal IV secolo e che ora – dopo tempi di deca­denza – i locali mostra­no di voler riscoprire e nuovamente valorizza­re.
Pare che il tutto sia co­minciato da sant’Ambrogio e dalla sorella maggiore Marcel­lina, che gli aveva fatto da ma­dre e che nel 374 – quando il congiunto si ritrovò inopi­natamente vescovo di Mila­no – l’aveva seguito nella città lombarda. Anzi, per la precisione si era stabilita a Brugherio, in una villa di campagna sulla via romana verso Aquileia, abitazione che poi (trasformata prima in convento, quindi in casa colonica) prese il nome di Cascina Sant’Ambrogio; an­cora oggi all’interno del cor­tile è rimasto un tratto del­l’absidiola della primitiva cappella. Forse lì vennero deposte e venerate le tre fa­langi dei Re Magi che il ve­scovo milanese avrebbe do­nato per devozione alla so­rella monaca, la quale morì po­chi mesi dopo di lui nel 397.
Reliquie preziosissime, ancor­ché sulla loro autenticità si pos­sano fare tutte le eccezioni del mondo. In certi periodi del­l’antichità e del Medioevo ave­vano un’importanza politica eccezionale: esse erano infatti la prova e insieme la base della sa­cralità del potere temporale, in quanto i sovrani orientali costi­tuivano l’immagine evidente dell’investitura ereditata dal­l’imperatore sacro e romano addirittura dalla grotta di Be­tlemme; non per nulla Barba­rossa, in epoca di lotta contro le disgreganti autonomie locali, pensò bene di portarsi – con un viaggio di eccezionale rapidità e sfidando gli anatemi del Papa – le reliquie fino a Colonia, a prova della legittimità anche «religiosa» della sua corona. Al­lo stesso modo Eustorgio (che, parimenti al successore Am­brogio, era stato alto funziona­rio imperiale) assurgendo nel 343 alla sede episcopale di Mi­lano – all’epoca capitale del­l’Impero d’Occidente – avreb­be potuto giovarsi dell’argo­mento sacro per consolidare u­na potestà che saldava indub­biamente trono e altare.
Ma perché, allora, tali reliquie «politiche» potevano interessa­re alla pia vergine Marcellina? Difficile saperlo, a meno di con­siderare la leggenda ambrosia­na come l’«antichizzazione» di un fatto posteriore: anche per­ché – a detta dello storico Fran­co Cardini – «fino al XII secolo inoltrato non v’è notizia di un culto delle reliquie dei magi a Milano». Più o meno il periodo in cui, complice il boom dei pel­legrinaggi a Colonia, la devo­zione per Melchiorre, Baldas­sare e Gaspare si diffonde in tut­ta l’Europa. Sull’architrave del­la case si dipingono le «magi­che » iniziali del trio, in un ca­ratteristico acrostico (C+M+B) tutt’altro che scomparso; al cor­teo orientale vengono dedicate chiese ma anche locande, co­me omaggio alla loro fama di viaggiatori...
Alla luce di questi dati, però, rie­sce ancor più arduo capire che ci facessero le tre reliquie dei Magi a Brugherio. Ammesso in­fatti che gli ossicini si trovasse­ro nella piccola località già pri­ma del furto del Barbarossa, com’è possibile che Milano – dove pure i Visconti coltivarono alla grande la devozione dei Re, commissionando ai Maestri Campionesi il pregevole trittico marmoreo gotico che si ammira tut­tora in Sant’Eustor­gio – abbia tollerato di lasciare gli unici resti superstiti nella cappella di un umi­le convento femmi­nile dell’hinterland? Chissà. L’unica cosa certa – oltre all’atte­stazione di una chiesa dedicata a San Bartolomeo e ai Re Magi all’epoca della visita pastora­le di san Carlo Bor­romeo (1578) – è un documento auto­grafo in cui il parro­co di Brugherio don Francesco Bernardino Paleari certifica (siamo nel 1613) nell’oratorio di Sant’Ambrogio affidato alle monache di Santa Caterina al­la Chiusa la presenza di «alcu­ne reliquie in un altare portabi­le con pietra consecrata le qua­li piamente si crede che sieno dei S.ti Re Magi».
Il documento è stato redatto in occasione del solenne traspor­to dei resti nella parrocchiale di Brugherio, dove si trovano tut­tora, conservati in un reliquia­rio barocco d’argento sul qua­le campeggiano le figure a tre quarti dei Magi; per questo, ri­ferendosi alla loro modesta al­tezza, i locali le hanno ribattez­zate in dialetto umitt ( «omini»). Fino a qualche decennio fa, ad ogni Epifania il bacio degli «o­mini » attirava fedeli da tutta la Brianza; in particolare i conta­dini credevano che le reliquie proteggessero dalla grandine. Adesso un gruppo di brughe­riesi sta tentando di rilanciare il culto e anche la ricerca sui re­perti, ristampando tra l’altro lo studio della storica locale Tina Magni su I Magi, unico esisten­te in materia e da tempo esau­rito. Un bel dono – chissà – per la prossima Epifania...

© Copyright Avvenire, 4 gennaio 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Augurando a tutti una bellissima festa dell'Epifania, articoli come quello di Benvenuti a me danno tanto dispiacere.

L'autore si chiede quale vantaggio ci sarebbe scoprendo che ciò che fu visto in cielo fu la tal cosa o la tal altra... Addirittura lo sforzo dell’astronomo di turno potrebbe anche essere dannoso, perché utilizzando un linguaggio scientifico riduce il ruolo dello Scrittore Sacro a semplice cronista. In altre parole questi annunci potrebbero intralciare la nostra “spinta esegetica” a tentare di scoprire il messaggio, ispirato dallo Spirito, che Matteo voleva e vuole trasmetterci: invitano, a una forma di “suicidio del pensiero”.

Un vero e proprio delirio da "spinta esegetica", pensiero unico del biblicismo imperante, scientifico ma che rimprovera a chi vuole cercare senza transitare da quei paludati consessi di farlo. Cosa volete saperne voi? Il vangelo lo conosciamo noi!
Perché (secondo quelli come lui) sarebbe riduttivo dare all’autore sacro il ruolo di cronista…

E’ davvero sconsolante che i cristiani, che credono in una Persona e non in qualche idea, si accontentino, parlando del vangelo, di qualcosa di meno vero della storia, la quale è costituita da fatti.
Così si perpetua la pessima abitudine di preferirle i racconti simbolici (per qualche studiato teologo è “mitico” persino quanto capitato il mattino di pasqua).

Gli esegeti (ormai una vera casta, credente quanto basta per credere maggiormente in se stessa)si sforzano in lodevoli biblicismi adattabili ai tempi (enfatizzando aspetti pur importanti come il ruolo del forestiero, del non credente che cerca, del dono), ma chissà perché li disturba (anzi, sono dei “suicidi del pensiero”) anche la sola ricerca di indizi (perché mai Matteo avrebbe dovuto metterceli? Non sarebbe stato meglio se avesse descritto il significato dei doni? O, che ne so, gli stati d’animo di Maria e Giuseppe?).

L’articolo su Avvenire, giornale che leggo e che stimo, sostiene l’ipotesi di una “cometa” smentita dalla storia e dall’astronomia, perché nelle date “giuste” non ci furono comete a noi note. E non va sottaciuto che i “magi” di astronomia se ne dovevano intendere… Chi di noi, senza un minimo di conoscenze, guardando il cielo, sa trarre informazioni pari oggi ad un navigatore satellitare? Invece un esperto, se non impedito dall’inquinamento luminoso, lo può fare (oggi come allora)!

Si chiede ancora l’autore dell’articolo, tenendosi ben lontano dai fatti e spendendosi in considerazioni valide a “prescindere”, se, ai fini del messaggio di Salvezza, era più efficace che Dio intervenisse, perturbando l’orbita di una cometa nella nube di Oort oppure era più utile che lo Spirito Santo ispirasse Matteo a scrivere il suo racconto, utilizzando immagini e conoscenze familiari ai suoi contemporanei, per sottolineare come la Buona Novella fosse accolta con gioia e speranza dai sapienti non Giudei (i Magi) e con sgomento e sospetto dai “fondamentalisti” del Tempio e dal potere costituito.

A parte che si è sempre detto che Matteo ha scritto soprattutto per gli Ebrei, la domanda sembra retorica, ma in pratica pone un aut aut a mio parere sbagliato: perché se è vero che Matteo ha ricevuto ispirazioni divine, pure ha soprattutto scritto di cose realmente successe.

Speriamo quindi che tutti, anche chi si occupa di esegesi su Agorà, si convincano che la Stella di Betlemme è reale, per rinnovare la nostra speranza nella possibilità di Salvezza, senza seminare il dubbio che i primi a non prendere sul serio il vangelo sono coloro che se ne riempiono la bocca.

Di qui il mio dispiacere, perché è come dire di non cercare: i Magi invece si mossero, cercando e inseguendo proprio un dato esperienziale, perché allora non c’erano ancora dei “cristiani”, ma gente attenta ai segni dei tempi.

Abbiamo la fortuna di avere una fede storica e ne parliamo come se non lo fosse, in balia delle più strampalate ricostruzioni altrui, le quali, se non altro, ci dovrebbero sfidare ad appassionarci a sapere meglio quanto è successo nei giorni in cui DIO SI E’ FATTO UOMO!
Invece abbonda chi dice di non guardare ai fatti, perché ciò che conta è l’interpretazione. E’ triste!

Per la cronaca (perché nel mio piccolo mi interesso da anni) l’ipotesi astronomica più “seria”, nemmeno citata nell’articolo, è quella della congiunzione planetaria (davvero inusitata e spettacolare per palati astronomicamente fini) tra Giove e Venere accaduta tra il 3 e il 2 a.C., quindi “durata” a sufficienza per interrogare anche chi viveva a più di mille chilometri dalla Palestina.

Qualcuno dirà: ma è impossibile, perché Erode è morto nel 4 a.C. (etc etc): altro errore, trito e ritrito, divenuto “vangelo” persino per alcune gerarchie ecclesiastiche poco propense a scavare nei fatti e brave a predicare, perché in fondo non conta tanto quello che dice il vangelo, ma i libri che scriviamo noi per spiegarlo...

Spero che il 2008 porti più sapienza e sana curiosità. Bussate e vi sarà aperto, chi cerca trova etc.

Il Signore ama vederci cercarlo, seguendone le tracce, come i Magi. I sapienti del tempio in teoria sapevano, ma non compresero, né Michea, né la stella di Balaam (Num, 24). Non sembra che si siano fatti molti passi avanti: serve sempre qualcuno più curioso e logico per rimetterci in gioco invece di predicare noi stessi. Al Vangelo, Parola di Dio, prima di addomesticarlo, bisognerebbe credere iota per iota. Quando fu composto, nel contesto di una precisissima tradizione orale, poi fissata per iscritto, viveva chi aveva visto: sia chiaro per capire che non si scriveva niente a caso!