18 febbraio 2008

Il cardinale Saraiva Martins presenta ai media l’Istruzione “Sanctorum Mater” (Radio Vaticana)


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Il cardinale Saraiva Martins presenta ai media l’Istruzione “Sanctorum Mater” che chiarisce le norme per la fase diocesana delle Cause di beatificazione. Quella di Giovanni Paolo II, precisa, seguirà un iter normale e non abbreviato

Un documento per permettere ai vescovi diocesani e ai loro collaboratori di istruire la prima fase di un processo di beatificazione - quella locale, che avviene nella loro diocesi - con quel rigore necessario, ma non sempre rispettato, a verificare la “fama di santità” del candidato agli onori degli altari. Sta in questo il senso dell’Istruzione Sanctorum Mater, presentata stamattina in Sala Stampa vaticana dal cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, José Saraiva Martins, e dai vertici del dicastero. Molte, fra l’altro, le domande dei giornalisti sull’andamento dei processi riguardanti la beatificazione di Giovanni Paolo II e Pio XII. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Serve maggior “rigore”. E’ la parola d’ordine che giunge dalla Santa Sede alle diocesi del mondo nelle quali è in corso o si sta procedendo ad istruire un processo di beatificazione. Raccogliere prove - documenti e testimonianze - sulla santità di vita di un candidato, sul suo eventuale martirio, sul presunto miracolo attribuito alla sua intercessione deve avvenire nell’unico e sovrano interesse dell’accertamento della verità. E’ questo che chiede con la sua Istruzione il dicastero pontificio. Dopo 25 anni dalla promulgazione delle norme su questo argomento da parte di Giovanni Paolo II, si è reso necessario - ha spiegato il cardinale Saraiva Martins - fornire ai diretti interessati un “chiarimento” sulle modalità di applicazione delle regole esistenti e non tanto fornirne di nuove. Per istruire un processo in fase diocesana, ha affermato con chiarezza il cardinale prefetto, è necessario anzitutto che la fama di santità sia “spontanea e non artificiosamente procurata”:

“Il vescovo non può, nemmeno volendo, iniziare una causa di beatificazione se non c’è questa ‘fama sanctitatis' in seno alla comunità ecclesiale alla quale appartiene il candidato agli altari. In fondo, è la comunità stessa di laici che fa il primo passo in un processo di Beatificazione, poiché praticamente sono loro che devono dire al vescovo: ‘Questa persona per noi era santa’. Ecco la ‘fama sanctitatis’”.

Il cardinale Saraiva Martins ha subito replicato, già in fase di presentazione del documento, a una possibile obiezione: ovvero, che l’Istruzione Sanctorum Mater rappresenti in realtà un irrigidimento nelle procedure di beatificazione e canonizzazione:

“Tale irrigidimento non esiste se per esso si intende una modifica delle norme in vigore da più di 25 anni (…) L’‘Istruzione’ mira a promuovere l’osservanza puntuale di quanto prescritto nelle norme vigenti e in questo senso è ovvio e auspicabile che il documento abbia come conseguenza un’applicazione più accurata delle disposizioni di legge”.

Numerosissime le domande dei giornalisti in Sala Stampa, in rappresentanza di molte testate internazionali. Intanto, al pari di Giovanni Paolo II, è stata ribadita - numeri alla mano - la grande “sensibilità” di Benedetto XVI ai modelli di santità e dunque ai testimoni da proporre all’attenzione della Chiesa. Prova ne è il fatto che in soli tre anni di Pontificato siano stati finora beatificati e canonizzati 577 Servi di Dio, ovvero un terzo di tutti quelli registratisi sotto il Pontificato di Papa Wojtyla. Qui è emersa la principale novità voluta da Benedetto XVI, riguardante la celebrazione delle beatificazioni nelle diocesi di appartenenza dei nuovi Beati. Ciò, ha constatato il cardinale Saraiva Martins, ha quadruplicato-quintuplicato il numero delle cerimonie, ma nel contempo ha anche aperto a magnifiche esperienze di tipo pastorale ed ecclesiale. Si pensi, ha portato come esempio il prefetto del dicastero, al fatto che in molte circostanze siano stati gli stessi familiari del Beato a portarne all’altare le reliquie, ogni volte nel più generale e commosso silenzio. Anche l’aspetto relativo al riconoscimento del miracolo ha indotto il cardinale Saraiva Martins a rammentare le procedure che vedono, in prima istanza, i circa sessanta medici di chiara fama, appartenenti alla Consulta vaticana, esprimersi sulle guarigioni dal punto di vista della comprensibilità scientifica o meno. Quindi, il pronunciamento della trentina, tra cardinali e presuli, chiamati ad emettere un parere di tipo ecclesiale-teologico qualora il miracolo non sia spiegabile dalla scienza. In ogni caso, ha distinto il porporato:

“Il miracolo non ha niente a che fare con la santità, sia ben chiaro: sono due cose diverse. Il miracolo è un segno, un sigillo che Dio appone sulla santità della persona. Ma una cosa è il miracolo, un’altra cosa è la santità. Il miracolo conferma la santità, non è la santità stessa”.

Interesse ha suscitato anche lo stato delle Cause di beatificazione relative ai Papi del 20.mo secolo o ad altri esponenti della Chiesa, come mons. Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso nel 1980, o del fondatore della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, padre Leon Dehon. Entrambe le cause, ha ribadito il prefetto vaticano, sono allo studio proprio allo scopo di chiarire con limpidezza gli aspetti della loro testimonianza cristiana. Per ciò che concerne la canonizzazione del Beato Giovanni XXIII si attende la certificazione del secondo miracolo, necessario per la chiusura del processo, mentre non vi saranno ulteriori accelerazioni per quanto riguarda la beatificazione di Giovanni Paolo II, giacché - ha ribadito il cardinale Saraiva Martins - la dispensa concessa da Benedetto XVI riguarda l’inizio del processo e non il processo stesso, che dunque seguirà un iter normale. Netta invece la presa di posizione del prefetto vaticano sulla Causa in corso riguardante Pio XII. Sui presunti ostacoli che essa incontrerebbe, il porporato ha affermato:

“Certe difficoltà che qualcuno ha sollevato in realtà non esistono, secondo me. Molti dicono: ‘[La Causa] non va avanti perché lui è famoso per il silenzio nella condanna al nazismo, non ha condannato il nazismo’. Questo non è vero storicamente. Io, piuttosto che di silenzio, parlerei di ‘prudenza’. Il silenzio non c’è stato. Inoltre, la prudenza di Papa Pio XII appare molto chiara dalle sue stesse parole (…) e vorrei confermarla con una testimonianza al di sopra di ogni sospetto, e cioè con le parole di Robert Kempner, magistrato ebreo e pubblico ministero al Processo di Norimberga. Lui ha scritto, nel gennaio del 1964: ‘Qualsiasi presa di posizione propagandistica della Chiesa contro il governo di Hitler avrebbe accelerato l’assassinio di un numero ben maggiore di ebrei e sacerdoti’”.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

PIO XII PRUDENTE E PIO XI IMPRUDENTE ?

A margine delle dichiarazioni di Mons. Saraiva Martins sullo “status qaestionis” della causa di beatificazione di Pio XII, credo siano opportune alcune considerazioni. Esistono oggettivamente dei silenzi di Pio XII su ciò che accadde in Europa dopo il I settembre 1939, silenzi certamente non imputabili a mancanza di informazioni da parte della Santa Sede: nunziature, episcopati stranieri, compreso quello tedesco, semplici cappellani militari facevano pervenire in Vaticano notizie sulla tragedia che si stava abbattendo sugli ebrei d’Europa: tra la messe di comunicati vale la pena riportare quanto scriveva Monsignor Montini il 18 settembre 1942:
“I massacri degli ebrei hanno raggiunto proporzioni e forme esecrande e spaventose. Incredibili eccidi sono operati ogni giorno; pare che per la metà di ottobre si vogliono vuotare interi ghetti di centinaia di migliaia di infelici languenti…”
Il punto cruciale non sta dunque nei silenzi, o nella “prudenza” (il termine è giustamente virgolettato anche nella comunicazione di Mons. Martins) di Pio XII nei confronti del regime hitleriano, ma nei confronti della shoah in atto e di cui a Roma si avevano notizie certe. Anche perché la condanna del nazismo da parte della Chiesa cattolica era già stata pronunciata, in maniera netta ed inequivocabile, da parte di Pio XI: l’enciclica “Mit brennender Sorge” del 1937 non era certamente stata una presa di posizione “propagandistica” (per usare l’aggettivo quanto meno bizzarro del citato pubblico ministero Kempner) nei confronti dell’ideologia pagana del nazismo e del razzismo in essa contenuto. Le reazioni di Berlino furono durissime: l’ambasciatore Von Bergen attaccò pesantemente il Papa ed il Vaticano e l’allora Segretario di Stato Pacelli cercò di ridimensionare la portata della condanna contenuta nell’enciclica circoscrivendola ad un ambito “semplicemente” religioso. Cominciano da qui le “prudenze” di Pio XII ?
Ma c’è dell’altro: non solo si stava consumando, per iniziativa di Pio XI, la rottura tra Santa Sede e nazismo, ma anche con il fascismo italiano si stava arrivando ad un punto di svolta radicale. L’apertura degli archivi segreti vaticani relativamente al periodo 1922-1939 ha permesso di gettare luce su questo aspetto.
E’ noto che in occasione del decimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1939) Pio XI aveva preparato un discorso da pronunciare ai vescovi riuniti per la celebrazione. Colui che dieci anni prima Pio XI aveva chiamato “l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare” adesso, soprattutto con la promulgazione delle leggi razziali del ’38, si presentava ormai con un volto che lo apparentava sempre più al dittatore tedesco. Il discorso che il Pontefice avrebbe pronunciato, malgrado i tentativi di dissuasione di Pacelli (un altro passo sulla via della “prudenza” ?), avrebbe verosimilmente comportato una rottura con il Regime. Ma nella notte del 10 febbraio Pio XI morì, quel discorso non solo non fu mai pronunciato, ma neanche distribuito ai vescovi dopo la morte del Pontefice. Dagli appunti di Mons. Domenico Tardini apprendiamo che il Segretario di Stato aveva disposto la distruzione di tutto il materiale tipografico relativo a quel discorso (un altro atto ”prudente” ?).
Alla luce dei fatti suesposti si deve concludere che valutare “prudenti” i comportamenti di Pio XII implica automaticamente ritenere “imprudenti” quelli del suo predecessore.
Un’auspicabile, ulteriore apertura degli archivi segreti vaticani per gli anni successivi al 1939 potrebbe gettare nuova luce sulle ombre che ancora gravano su certi aspetti problematici della figura di Pio XII.

Roberto Cappellini GE
cappe.ro@virgilio.it