3 marzo 2008

Dalla Sapienza... alla Ragione: analisi del "fattaccio" dell'università di Roma (Tracce)


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Benedetto XVI

Dalla Sapienza... alla Ragione

Stefano Filippi

Le porte chiuse in faccia al Papa dall’ateneo romano? Per molti, un semplice “incidente di percorso”, da archiviare il più in fretta possibile. E invece è un’occasione straordinaria per andare a fondo del rapporto tra fede, conoscenza e ricerca del vero. Come dimostra una mobilitazione partita tra chiostri e aule. Ma che ci riguarda tutti

La mobilitazione era partita subito, non appena era stata divulgata la lettera dei 67, prima ancora che Benedetto XVI rinunciasse a visitare la Sapienza. Non si trattava semplicemente di una risposta contro il fronte degli antipapisti, come pure vorrebbe il clima culturale italiano che ormai vive soltanto di muro contro muro, di battibecchi e polemiche, di dichiarazioni che poi nei telegiornali finiscono per essere messe alla pari qualunque siano i contenuti.

Era qualcosa di più anche della semplice manifestazione di sostegno al Pontefice, che in quel momento (erano i primi dell’anno) si trovava ancora quasi completamente solo. Era già chiaro che si stava aprendo una battaglia culturale, un confronto sull’idea di fede e ragione. L’ennesimo fronte aperto dal magistero di Benedetto XVI.

Nasce un primo appello agli accademici: un testo rivolto non genericamente al mondo universitario ma al corpo docente, una sollecitazione a esprimere un giudizio tra colleghi. In pochi giorni il documento (una lettera al professore Ruggero Guarini, rettore della Sapienza) raccoglie qualcosa come 650 adesioni: un numero di firme dieci volte superiore a quello che chiudeva la lettera dei 67 “scienziati fedeli alla ragione”. Sono tutti docenti e ricercatori, in gran parte di provenienza disciplinare scientifica. Nomi come il fisico Ugo Amaldi, membro dell’Accademia delle Scienze e dirigente di ricerca del Cern a Ginevra; il matematico Giorgio Israel, il fisico nucleare Gianpaolo Bellini, il filosofo Enrico Berti. E ancora: Piero Benvenuti, presidente dell’Istituto nazionale di Astrofisica; William Shea, della Cattedra Galileiana di Storia della scienza all’università di Padova; Massimo Castagnaro, preside di Medicina nello stesso ateneo. Partita dal mondo cattolico, la raccolta di firme si allarga subito a 360 gradi.
«Alla base di quella lettera c’era lo spontaneo desiderio di manifestare il disappunto e la tristezza suscitate dai professori di Roma che non hanno colto la grande opportunità e il privilegio di ospitare un collega», dice Marco Bersanelli, docente di Astrofisica all’università di Milano. «Perché Joseph Ratzinger, oltre che Papa, è un collega, un grande studioso.

La pretesa dello scientismo

Questo la dice lunga sull’impoverimento culturale in cui è caduta la nostra università». Gli fa eco un altro dei promotori del documento, Giovanni Maria Prosperi, professore emerito di Fisica teorica all’università di Milano: «Quella non è scienza, è scientismo, cioè la pretesa ideologica di spiegare tutta la realtà restando nel recinto del metodo scientifico. Ma la razionalità, correttamente intesa, costringe a cimentarsi con orizzonti ben più vasti».
La “lettera dei 600”, che solidarizza con Guarini e lo incoraggia a resistere davanti a «pregiudizio e intolleranza», giudica «inaccettabile il tono, la forma, la sostanza delle lettere» con cui si chiedeva di tenere il Papa lontano dall’università.
«L’atteggiamento del Papa e della Chiesa, col suo forte appello alla ragione e contro il relativismo, ci sembra molto più rispettoso e in linea con lo spirito scientifico di tante correnti del pensiero moderno», si legge tra l’altro. E poi: «L’idea che le conoscenze ottenute con i metodi delle scienze naturali non possano pretendere di essere esaustive di tutto ciò che lo spirito umano può aspirare a raggiungere non ci sembra per nulla lesiva della Scienza, ma anzi in linea con la più moderna epistemologia. Pensiamo si tratti comunque di una tesi degna di essere rispettata e che debba semmai essere oggetto di un confronto culturale sereno».
Quando il Papa rinuncia a mettere piede alla Sapienza, il documento sembra superato. In realtà la battaglia culturale è appena agli inizi.
«Dopo aver letto il discorso preparato da Benedetto XVI», spiega Bersanelli, «è apparsa evidente la sproporzione tra l’atteggiamento rigido e ideologico dei “67” e il concetto alto di ragione espresso dal Papa, il vero difensore della libertà e della laicità». Un’idea di ragione che però non ha ancora pieno diritto di cittadinanza nell’università italiana. Passato l’intoppo della Sapienza, si continua come se nulla fosse stato; si cerca di liquidare l’episodio come un incidente di percorso, mentre l’aria di chiusura e di intolleranza permea gli atenei.

E la parola d’ordine resta una «laicità» malintesa. Una riprova? Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina, a Milano per ricevere una laurea honoris causa in Biotecnologie industriali dall’università Bicocca, risponde così ai giornalisti che le chiedono se avrebbe fatto parlare il Papa alla Sapienza: «Sono membro del Vaticano (della Pontificia Accademia delle scienze, ndr) e non potevo firmare quello che invece approvavo completamente». Cioè la sordina a Ratzinger.

La partita più interessante

Così la mobilitazione continua. E prende la forma dell’Appello per la ragione e la libertà in università. Lo lanciano 90 professori ordinari che in pochi giorni quadruplicano, con quattro rettori (Lorenzo Ornaghi della Cattolica, Giuseppe Dalla Torre della Lumsa, Roberto Sani di Macerata e Paolo Scarafoni dell’Università europea di Roma) e numerosi presidi di facoltà. All’invito a «difendere quella ampiezza e vastità della ragione, quella libertà di ricerca e di confronto essenziale all’esercizio della professione di docente e per la costruzione di una civile convivenza», si uniscono nomi come il presidente emerito della Consulta Annibale Marini, il costituzionalista (ed ex deputato del Pci-Pds) Augusto Barbera, il giurista (ed ex senatore di An) Giuseppe Valditara, il matematico e accademico delle Scienze di Francia Laurent Lafforgue. E Giancarlo Cesana, Giorgio Vittadini, Giorgio Feliciani, Francesco Botturi, Lorenza Violini... Il sito internet (www.appellouniversita.net) in tre giorni raccoglie 350 adesioni, anche dall’estero, ed è appena un inizio. Ma è nelle aule e nei corridoi, nel rapporto tra docente e docente, che si gioca la partita più interessante.
E dove accadono i fatti più imprevisti. Succede che molti rettori leggono l’Appello, lo approvano ma poi non firmano, perché ci vuole prudenza ed è meglio lasciare che le acque si calmino. Molti presidi di facoltà fanno altrettanto, magari in attesa che la firma del rettore “sdogani” anche il loro appoggio. Incredibile al Politecnico di Milano. Al Senato accademico viene presentata una lunga mozione che condanna «i fatti tristi e inopportuni di Roma», ribadisce che l’università è «un luogo aperto e di dialogo» e ringrazia il Papa «per l’alto contenuto del suo testo».

Dopo un’ora e 40 di discussione, la mozione è approvata. Con un piccolo taglio: il riferimento diretto a Benedetto XVI. Il documento elogia l’idea di università promossa da Ratzinger senza però citarlo.

La posta in gioco

Ma c’è anche una parte del mondo accademico scossa da quanto è successo alla Sapienza, che ha presente la posta in gioco e non vuole lasciar correre. In Cattolica, il discorso del Papa viene letto in un’Aula Magna stipata di 700 persone, studenti, professori, personale tecnico. Da Milano (Politecnico e Cattolica) si allargano agli atenei di tutta Italia gli incontri pubblici sul testo dell’Appello, e soprattutto sui contenuti del testo di Benedetto XVI.

Posizione laica

E piovono adesioni inattese, come quella del professor Bruno Bosco, ordinario di Scienza delle finanze in Bicocca. Bosco è conosciuto per la militanza nella sinistra e le ricerche sulla Tobin Tax e l’economia di Cuba. Ma il giorno della rinuncia del Papa propone di dedicare una delle due ore di lezione a discutere del fatto del giorno. Benissimo, approvano gli studenti. E tacciono. Tocca a lui dare il giudizio, affermare che «se il Papa fosse venuto in Bicocca l’avrei ritenuto un onore immeritato». Applausi dai banchi, poi di nuovo il silenzio.
Quando gli viene sottoposto l’Appello, firma subito. «Non sono d’accordo su tutto», dice, «ma in questo momento voglio affermare una vera posizione laica. È in gioco il futuro dell’università».

© Copyright Tracce n. 2/2008

Da segnalare per correttezza:

La senatrice Rita Levi Montalcini smentisce clamorosamente la stampa: "Mai sognato di schierarmi contro il Papa"

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