7 marzo 2008

Gianfranco Ravasi e Jacob Neusner difendono la preghiera per la salvezza degli ebrei. Ecco perché Benedetto ha voluto cambiarne il testo (Magister)


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“La Civiltà Cattolica” non è infallibile. Inciampa sugli ebrei

Un vescovo e un rabbino difendono la preghiera per la salvezza degli ebrei

Il vescovo è Gianfranco Ravasi. Il rabbino è Jacob Neusner. La preghiera è quella del Venerdì Santo in rito antico. Ecco perché Benedetto XVI ha voluto cambiarne il testo

di Sandro Magister

ROMA, 7 marzo 2008 – Alcuni esponenti di rilievo del mondo ebraico avevano protestato vivacemente contro la nuova formulazione voluta da Benedetto XVI della preghiera per i giudei nella liturgia del Venerdì Santo, secondo il rito antico.

A queste proteste è ora arrivata una risposta autorevole, in una breve nota pubblicata sull'ultimo numero della "Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il controllo previo, riga per riga, della segreteria di stato vaticana.

In più, nei giorni scorsi sono intervenuti in difesa della nuova formulazione anche personalità importanti della Chiesa cattolica e del mondo ebraico: da una parte l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cutlura, e dall'altra il rabbino Jacob Neusner (nella foto), professore di storia e teologia del giudaismo al Bard College di New York, autore ampiamente citato da Benedetto XVI, con reciproca stima, nel suo libro "Gesù di Nazaret".

In breve, questi sono gli antefatti.

Fino a un anno fa nella liturgia del Venerdì Santo di rito antico – il cui uso è stato liberalizzato da papa Joseph Ratzinger con il motu proprio "Summorum Pontificum" del 7 luglio 2007 – si invitava in latino a pregare per i giudei "affinché Dio e Signore nostro tolga il velo dai loro cuori, perché anch’essi riconoscano Gesù Cristo, nostro Signore".

E subito dopo l'orazione era così formulata:

"Dio onnipotente ed eterno, che non respingi dalla tua misericordia neppure la perfidia giudaica, esaudisci le nostre preghiere che ti presentiamo per l’accecamento di quel popolo; affinché, riconosciuta la verità della tua luce, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre. Per lo stesso Cristo Signore nostro, Amen".

Benedetto XVI, con una nota della segreteria di stato pubblicata il 6 febbraio 2008 su "L'Osservatore Romano", ha cambiato le parole sia dell'invito alla preghiera che dell'orazione.

Il papa ha disposto che, nella liturgia di rito antico, si inviti a pregare per gli ebrei "affinché Dio e Signore nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini".
E poi si pronunci questa orazione:

"Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi nella tua bontà che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. Per Cristo nostro Signore. Amen".

In latino il nuovo testo dell'invito è il seguente:

Oremus et pro Iudaeis. Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum".

E quello dell'orazione:

Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen”.

Stando alla nota pubblicata su "La Civiltà Cattolica", questa sarebbe stata la ragione del cambiamento:

"Nell’attuale clima di dialogo e di amicizia tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico è sembrato giusto e opportuno al papa [fare questo cambiamento], per evitare ogni espressione che potesse avere anche la più piccola apparenza di offesa o comunque dispiacere agli ebrei".

Le parole della precedente formulazione che a molti – sia ebrei che cattolici – apparivano offensive erano soprattutto "perfidia" (che propriamente in latino significa "incredulità") e "accecamento". Entrambe sono sparite dal nuovo formulario.

Ma ciò non ha impedito che dal mondo ebraico si levassero nuove proteste.

La più aspra è venuta dall'assemblea dei rabbini italiani. In un comunicato firmato dal loro presidente, Giuseppe Laras, hanno detto che la nuova preghiera costituisce "una sconfitta dei presupposti stessi del dialogo" ed è "solo apparentemente meno forte" della precedente. Essa "legittima anche nella prassi liturgica un’idea di dialogo finalizzato, in realtà, alla conversione degli ebrei al cattolicesimo, ciò che è ovviamente per noi inaccettabile". E quindi, "in relazione alla prosecuzione del dialogo con i cattolici, si impone quanto meno una pausa di riflessione che consenta di comprendere appieno gli effettivi intendimenti della Chiesa cattolica circa il dialogo stesso".

Altre comunità ebraiche, specie americane, hanno reagito in modo meno duro, negando che la nuova preghiera metta in pericolo il dialogo con la Chiesa.

Un dialogo che di per sé – ha rimarcato "La Civiltà Cattolica" – "non è finalizzato alla conversione degli ebrei al cristianesimo, ma si propone l’approfondimento della mutua conoscenza in campo religioso, la crescita della reciproca stima e della collaborazione nei settori della pace e del progresso, oggi messi in grave pericolo".

Quanto alla nuova formulazione della preghiera, la nota della "Civiltà Cattolica" così conclude, con un periodare un po' contorto:

"Essa non ha nulla di offensivo per gli ebrei, perché in essa la Chiesa chiede a Dio quello che san Paolo chiedeva per i cristiani: che, cioè, 'il Dio del Signore nostro Gesù Cristo [...] possa illuminare gli occhi della mente' dei cristiani di Efeso perché possano comprendere il dono della salvezza che essi hanno in Gesù Cristo (cfr Efesini 1,18-23). La Chiesa infatti crede che la salvezza sia soltanto in Gesù Cristo, come è detto negli Atti degli Apostoli (4,12). È chiaro d’altra parte che la preghiera cristiana non può non essere che 'cristiana', fondata, cioè, sulla fede – che non è di tutti – che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini. Perciò gli ebrei non hanno motivo di offendersi se la Chiesa chiede a Dio che li illumini affinché riconoscano liberamente Cristo, unico Salvatore di tutti gli uomini, e siano anch’essi salvati da Colui che l’ebreo Shalom Ben Chorin chiama il Fratello Gesù".

Naturalmente, la nuova formulazione della preghiera vale solo per la liturgia di rito antico. E quindi nella quasi totalità delle chiese cattoliche il prossimo Venerdì Santo si continuerà a pregare per gli ebrei con il formulario del messale di Paolo VI del 1970.

Secondo questo formulario universalmente più diffuso, si prega per gli ebrei affinché Dio “li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza”.

Parole ineccepibili – e in effetti mai contestate – ma anche meno ricche di rimandi biblici, all'Antico e al Nuovo Testamento, di quelle introdotte da Benedetto XVI con la sua variante del testo antico della preghiera.

Col nuovo formulario, infatti, papa Ratzinger ha non attenuato, ma molto rafforzato la preghiera con più pregnanti contenuti cristiani.
Da questo punto di vista, quindi, la nuova preghiera per gli ebrei nella liturgia in rito antico non impoverisce ma postula un arricchimento di senso della preghiera in uso nel rito moderno.

Esattamente come in altri casi è il rito moderno a postulare un'evoluzione arricchente del rito antico. In una liturgia perennemente viva come quella cattolica, è questo il senso della coabitazione tra i due riti antico e moderno voluta da Benedetto XVI con il motu proprio "Summorum Pontificum".

Una coabitazione non destinata a durare ma a comporsi in futuro "di nuovo in un solo rito romano", prendendo il meglio da entrambi. Questo scrisse nel 2003 l'allora cardinale Ratzinger – svelando un suo recondito pensiero – in una lettera a un colto esponente del tradizionalismo lefebvriano, il filologo tedesco Heinz-Lothar Barth.

Tornando alla nuova formulazione della preghiera per gli ebrei nel rito antico, ecco qui di seguito come l'arcivescovo Gianfranco Ravasi – presidente del pontificio consiglio della cutlura ma anche biblista di fama mondiale – ne ha spiegato la stupefacente ricchezza in un articolo su "L'Osservatore Romano" del 15 febbraio 2008.

Con subito dopo uno scritto del rabbino americano Jacob Neusner, pubblicato in Germania il 23 febbraio 2008 su "Die Tagespost" e in Italia su "il Foglio" del 26 febbraio, anch'esso in difesa della nuova formulazione della preghiera.

1. "Oremus et pro Iudaeis"

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2. Anche Israele chiede a Dio di illuminare il cuore dei gentili

di Jacob Neusner

Israele prega per i gentili. Perciò anche le altre religioni monoteistiche, compresa la Chiesa cattolica, hanno il diritto di fare la stessa cosa, e nessuno dovrebbe sentirsi offeso. Qualsiasi altro atteggiamento nei confronti dei gentili impedirebbe a questi ultimi l’accesso all’unico Dio rivelato a Israele nella Torah.
La preghiera cattolica manifesta lo stesso spirito altruista che caratterizza la fede del giudaismo. Il regno di Dio apre le proprie porte a tutta l’umanità: quando pregano e chiedono il rapido avvento del regno di Dio, gli israeliti esprimono lo stesso grado di libertà di spirito che impregna il testo papale della preghiera per gli ebrei (meglio: il “Santo Israele”) da pronunciare al venerdì santo.

Mi spiego. Per la teologia del giudaismo nei confronti dei gentili mi baso sulla liturgia standard della sinagoga, ripetuta tre volte al giorno.

Il testo cui mi riferisco è l’Authorised Daily Prayer Book delle United Hebrew Congregations of the British Empire (London, 1953), che contiene la traduzione inglese di una preghiera per la conversione dei gentili, recitando la quale si conclude il rito pubblico eseguito tre volte al giorno in ogni singolo giorno dell’anno.
In questo testo Israele, in quanto popolo sacro (da non confondere con lo stato di Israele), ringrazia Dio per averlo reso diverso dalle altre nazioni, e chiede che il mondo sia portato fino alla perfezione, quando tutta l’umanità invocherà il nome di Dio inginocchiandosi davanti a Lui.

Il testo della preghiera inizia con le parole È nostro dovere lodare il Signore di tutte le cose” e ringrazia Dio per avere creato Israele diverso dalle altre nazioni del mondo. Israele ha il proprio “destino”, che consiste proprio nell’essere diverso da tutte le altre nazioni. A Dio viene chiesto di “eliminare gli abominii della terra”, quando il mondo giungerà alla perfezione sotto il regno dell’Onnipotente.

Questa preghiera per la conversione di “tutti gli empi della terra” – che sono “tutti gli abitanti del mondo” – viene recitata non una volta all’anno ma ogni giorno. Ha un parallelo in un passo delle Diciotto Benedizioni, nel quale si domanda a Dio di spazzare via “il dominio dell’arroganza”.

Possiamo quindi affermare che nel giudaismo si chiede a Dio di illuminare le nazioni e di accoglierle nel suo regno. Proprio per sottolineare ulteriormente questa aspirazione la preghiera “È nostro dovere” è seguita dal seguente Kaddish: “Possa Egli stabilire il suo regno durante la vostra vita e nei giorni e nella vita di tutta la casa di Israele”.
Questi passi tratti dalla liturgia quotidiana del giudaismo non lasciano alcun dubbio sul fatto che, quando Israele si riunisce in preghiera, chiede a Dio di illuminare il cuore dei gentili. La visione escatologica trova il proprio nutrimento nei Profeti e nella loro visione di una singola umanità riunita, nonché in una libertà di spirito che si estende a tutta l’umanità. La condanna dell’idolatria non concede molto sollievo al cristianesimo o all’islam, che non vengono menzionati. Le preghiere chiedono a Dio di affrettare l’avvento del suo regno.

Queste preghiere ebraiche sono il corrispettivo di quella voluta da Benedetto XVI che chiede la salvezza di tutto Israele quando il tempo avrà raggiunto la propria pienezza e tutta l’umanità entrerà nella Chiesa. Le preghiere di proselitismo ebraiche e cristiane hanno in comune lo stesso spirito escatologico e tengono la porta della salvezza aperta per tutti gli uomini.

Tanto la preghiera “È nostro dovere” quanto quella cattolica "Preghiamo anche per gli ebrei” sono la concreta espressione della logica del monoteismo e della sua speranza escatologica.

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ERRATA CORRIGE:

“La Civiltà Cattolica” non è infallibile. Inciampa sugli ebrei

La nota semi-ufficiale con cui “La Civiltà Cattolica” del 1 marzo ha spiegato la modifica voluta da Benedetto XVI della preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo secondo il rito antico è incorsa in un errore abbastanza grossolano, a dispetto degli occhiuti controlli previi a cui ogni riga della rivista è sottoposta nella segreteria di stato vaticana.

Nelle prime righe della nota, nel riportare la versione italiana della preghiera in vigore nel messale “antico” del 1962, “La Civiltà Cattolica” riporta in realtà il testo “antichissimo” in uso prima del 1959, quando ancora si parlava di “judaica perfidia” (parola latina che propriamente significa incredulità) invece che, semplicemente, di “giudei”.

In latino, fino al 1959 questo era l’invito alla preghiera:

“Oremus et pro perfidis Judaeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum”.

E questa la preghiera propriamente detta:

“Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur”.

Ma nel 1959, regnante Giovanni XXIII, la sacra congregazione dei riti modificò così i due testi, assunti poi nella edizione del messale del 1962 liberalizzato nel 2007 dal motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI:

“Oremus et pro Iudaeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum”.

“Omnipotens sempiterne Deus, qui Iudaeos etiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur”.

In ogni caso, dallo scorso 4 febbraio questi due testi sono stati sostituiti, per l’appunto, dalle nuove formule volute da Benedetto XVI:

“Oremus et pro Iudaeis. Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum”.

“Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat”.

L’errore fatto dalla “Civiltà Cattolica” ha tratto in inganno, per qualche ora, anche il servizio di www.chiesa dedicato alla questione, messo in rete il 7 marzo e prontamente corretto nello stesso giorno grazie alle segnalazioni di alcuni attenti lettori: “Un vescovo e un rabbino difendono la preghiera per la salvezza degli ebrei“.

Settimo Cielo, il blog di Sandro Magister

1 commento:

mariateresa ha detto...

Questo articolo è molto ben fatto e informa, quello che poi dovrebbe fare ogni giornale.
Mi mangio il cappello se articoli simili appariranno sui giornaloni.
Si dà notizia del caso, quando si solleva, ma poi ci si dimentica di aggiornare la notizia. Sono quegli arcani delle redazioni che vorrei tanto qualcuno mi spiegasse.
Io credo invece che se il rabbimo Neusner fosse intervenuto,dicendo che il papa si è rimbambito lo avrebbero pubblicato a caratteri cubitali.
Si può essere più prevedibili di così?