10 marzo 2008

Il Papa: difendere l'embrione e il malato in stato di coma Senza temere la morte: «La vita non è nelle nostre mani»


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Il Papa: difendere l'embrione e il malato in stato di coma Senza temere la morte: «La vita non è nelle nostre mani»

nostro servizio
Alberto Bobbio

Città del Vaticano

Parla a braccio e chiede: «Che cosa è la vita, che cosa è la morte?». Benedetto XVI ha davanti la pagina del Vangelo di Lazzaro, nella piccola e suggestiva chiesa romanica di Lorenzo «in piscibus». È poco più di una cappella, difficile da trovare, perché praticamente inglobata nel Palazzo delle Congregazioni vaticane costruito negli anni '50. Eppure è un gioiello straordinario. Faceva parte di una corona di luoghi di culto attorno alla basilica di San Pietro costruite per accogliere i pellegrini nel Medioevo.
Ventincinque anni fa, quando Giovanni Paolo II inventò le Giornate mondiali della gioventù, decise che questa piccola chiesa fosse dedicata all'accoglienza dei giovani che arrivano a San Pietro da tutto il mondo e vogliono trovare un posto per pregare, in silenzio. Qui è custodita la croce delle Gmg, l'originale, che non lascia mai la chiesetta se non per le celebrazioni mondiali. Quella «pellegrina» che sta girando per l'Australia è una copia. C'è una parola dunque che intreccia e abbraccia la storia antica e recente di san Lorenzo «in piscibus»: accoglienza.

E Ratzinger ieri, prestando attenzione anche alla potenza evocativa del luogo e celebrando lì la Messa per i 25 anni del Centro giovanile San Lorenzo, ha lanciato un appello potente per l'accoglienza della vita: «L'uomo rimane uomo con tutta la sua dignità, anche quando è un embrione o in stato di coma». Ha messo da parte il testo dell'omelia già scritto, ragionando sul Vangelo di Lazzaro, sulla vita e sulla morte. Parla del cosmo e spiega che «l'uomo appartiene, come tutto il resto del creato, alla biosfera».

Eppure «pur facendo parte del biocosmo – osserva – l'uomo lo trascende», cioè resta uomo anche se il suo corpo non è ancora del tutto compiuto, come accade all'embrione, oppure se è menomato dalla malattia, come nel caso del coma.

Indirettamente torna a denunciare l'onnipotenza della scienza, soprattutto nelle discipline biomediche, e critica le ricerche sulla clonazione e quelle che, manipolando la vita, cercano di allungarne la fine.
E sicuramente l'analisi del Papa vale anche per l'accanimento terapeutico: «L'uomo ha sete di conoscenza dell'infinito, vuole arrivare – osserva Ratzinger – alla fonte della vita, vuole trovare la vita stessa.

Potremmo dire che tutta la scienza è una grande lotta per la vita, tutta la medicina è una lotta della vita contro la morte, per trovare la medicina dell'immortalità». Ma se anche accadesse, aggiunge, se la medicina trovasse la «pillola dell'immortalità» essa sarebbe solo un farmaco per il mondo sensibile, per la «biosfera».

Avrebbe tuttavia un effetto spaventoso e aprirebbe un scenario inquietante: «Il mondo si riempirebbe di vecchi, non ci sarebbe più spazio per i giovani». Dunque è un esercizio inutile cercare di manipolare la vita per allungarla a piacimento dell'uomo, perché la vita non è nelle mani dell'uomo.
Il riferimento del Papa va a molte ricerche mondiali, quasi ossessive, sulla manipolazione perfino del Dna, molto problematiche dal punto di vista etico, sulle quali la Santa Sede è tornata più volte in questi ultimi mesi.

Nell'omelia del Papa c'è anche l'invito a non aver paura della morte, perché «l'uomo deve aspirare all'eternità e seguendo Gesù ha già attraversato con lui la soglia della morte». Ha usato un'immagine molto bella. «L'eucarestia è il farmaco dell'eternità». Ma credere al «Vangelo dell'Eucarestia e della abbondanza di vita non significa fare vita in abbondanza, consumare e avere tutto, perché in quel caso, vivremmo per le cose morte». Invece «vita in abbondanza è essere vicini all'Amore infinito».

Ratzinger ha concluso facendo un esempio dell'amore che mai delude, ricordando i prigionieri di guerra, molti tedeschi, rimasti in Russia dopo la fine delle Seconda guerra mondiale per altri 10 anni prima di tornare nelle loro case: «Essi hanno raccontato di essere sopravvissuti perché certi di essere attesi con amore. L'amore era la medicina della loro vita». L'esempio serve a Benedetto XVI per confermare che «tutti noi siamo aspettati dall'Amore di Dio». Poi all'Angelus è tornato a tratteggiare l'immagine di un Dio che è «amore, misericordia, tenerezza paterna e materna».

Nelle parole dopo la preghiera mariana ha accennato al Medio Oriente e ha chiesto a israeliani e palestinesi di costruire, «attraverso il negoziato, un futuro pacifico e giusto per i loro popoli», lasciando «le vie tortuose dell'odio e della vendetta».

La stessa strada ha indicato per l'Iraq, mentre «trepidiamo ancora per la sorte di monsignor Rahho e di tanti iracheni che continuano a subire una violenza cieca ed assurda, certamente contraria ai voleri di Dio». Rahho è il vescovo cattolico caldeo di Mossul, rapito da due settimane e di cui non si sa più nulla.

© Copyright Eco di Bergamo, 10 marzo 2008

3 commenti:

euge ha detto...

Già " La vita non è nelle nostre mani" peccato che tanti di noi sistematicamente, dimenticano o rifiutano per eccessivo orgoglio questa verità innegabile. Anch'io ho dovuto imparare a mie spese, che ciò è vero dalle cose più piccole agli eventi che possono segnare la tua esistenza. Molti sono convinti di poter conoscere con metodi divinatori ciò che riserva loro il futuro altri, confidano nel fatto che l'uomo abbia in se le capacità di stravolgere ciò che Dio ha già tracciato nella vita di ognuno di noi. Quanta prepotenza, quanta superbia e quanta miserabile superficialità in queste convinzioni. Se solo ci rendessimo conto che la nostra vita senza Dio non ha senso perchè per quanto possiamo avere compagnie, amici e quant'altro, la nostra sarà sempre una vita vuota e priva di senso. Quante volte in tempi passati ho riflettuto su questo accorgendomi che la mia vita era incompleta senza la fede e senza la speranza che l'Amore di Dio mette nei nostri cuori se noi siamo disposti ad aprirli incondizionatamente e senza vergogna.
In questa frase profonda e bellissima pronunciata dal nostro Papa, occorrerebbe una profonda riflessione da parte di ognuno di noi; per capire il vero senso dell'esistenza e del valore della vita umana; ma, ahimè purtroppo, molti non capiranno l'aspetto più profondo ma, vedranno soltanto a causa della loro aridità spirituale e mancanza di sensibilità, soltanto una frase da manipolare a dovere secondo le necessità del momento.
Eugenia

Anonimo ha detto...

E' giusto difendere la vita,io sono una mamma e la mia vita non avrebbe avuto la pienezza di adesso se non avessi avuto due splendidi bambini , vivaci, affettuosi, il dono più bello che il Signore potesse farmi. Ma è anche vero che non tutte le mamme in Italia sono messe nelle condizioni di poter allevare dignitosamente i propri figli poichè le Istituzioni statali non offrono i servizi adeguati. In Germania le famiglie sono molto aiutate sia nella fase della maternità , sia nella fase della primissima infanzia del bambino, con sussidi, detrazioni fiscali notevoli, contributi per le ragazze madri disoccupate...in Italia queste cose non esistono, le mamme sono spesso costrette ad interrompere una gravidanza per non perdere il lavoro o per non avere modo di allevare questo figlio...e a una madre deve essere data lA POSSIBILITA' di allevare il proprio figlio, non deve essere costretta a darlo via, cosa fra l'altro terribile , forse anche più dell'aborto...le donne in questo non sono ascoltate dalle istituzioni politiche, io sono certa che il Santo Padre potrebbe esserlo.

euge ha detto...

Cara Francesca sul fatto che lo stato non fornisca assistenza adeguata alla neo mamme hai perfettamente ragione; il problema secondo me e che non esiste più il valore della famiglia come non esiste più la capacità di prendersi responsabilità che oggi fanno paura e si trasformano in impedimenti alla nostra libertà. Permettimi però cara Francesca, che non è giusto che un essere umano frutto dell'amore di due persone, debba pagare con la vita l'incompetenza e l'assoluto menefreghismo di chi dovrebbe occuparsi seriamente e fattivamente di quanto tu hai detto nota dolente della nostra società; non si può parlare di sacralità della vita umana e poi disfarsene alla prima occasione e non parlo certo del caso specifico di mancata assistenza da parte dello Stato o almeno non solo di quello. Non si può accettare tutto questo il discorso è molto più complesso di quanto possa sembrare in apparenza. Quando si è parlato di rivedere la 194 e tutti si sono sentiti in dovere di scandalizzarsi, forse si chiedeva proprio questo di incentivare l'assistenza non solo morale ma, soprattutto pratica, propio verso la madre per evitare di concludere con un aborto. Invece la parte più caldamente difesa proprio dalle donne ( non tutte mi auguro ), è proprio l'altra quella peggiore; perchè chissà perchè pensare di avere il diritto di vita o di morte su un essere umano a tutti gli effetti e per giunta indifeso, ci fa sentire onnipotenti.