12 aprile 2008

Fede e modernità, la via americana. Alla vigilia del viaggio del Papa parla lo studioso George Weigel


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Fede e modernità, la via americana

«Credo che all’Onu inviterà i popoli a fare delle verità morali una grammatica

DA NEW YORK ELENA MOLINARI

Gli Stati Uniti non sono una società «post cristiana», al contrario della maggior parte delle società europee. Pur con tutti i limiti che comporta l’espressione estremamente pluralistica della fede in America, questo semplice presupposto va tenuto in mente nell’interpretare le parole che Benedetto XVI pronuncerà durante il suo viaggio apostolico. Così come l’accoglienza che riceverà dai credenti americani.

La premessa è di George Weigel, teologo, autore della biografia bestseller di Giovanni Paolo II Testimone della speranza, nonché studioso dell’Ethics and Public Policy Center (Centro per l’etica e la politica pubblica). Le sue ricerche sul cristianesimo visto nel contesto della democrazia liberale e del capitalismo sono sfociati in numerose pubblicazioni, a partire da Cattolicesimo e rinnovamento della democrazia americana, fino al più recente La scelta di Dio: Benedetto XVI e il futuro della Chiesa cattolica.
In questa chiave, Weigel ha parlato dell’incontro fra il Pontefice e la società americana al Pew Forum on religion an public life di Washington.

Professor Weigel, che tipo di religiosità troverà Papa Benedetto in America?

«Una religiosità vitale. Al contrario di quelle dell’Europa occidentale, che sono chiuse in una 'depressione' post-cristiana, quella americana presenta qualcosa di diverso, pur nella sua confusione, e nella pluralità quasi selvaggia che la presenta come un mercato di proposte religiose. Il Papa sa che questa vitalità ha un forte impatto sia sulla società che sulla politica di un Paese».

Nella politica americana è però sempre in primo piano la necessità di tenere separati Stato e Chiesa…

«Se si leggono gli scritti di Ratzinger, in particolare degli ultimi 10 o 15 anni, si nota una crescente preoccupazione per l’impatto corrosivo del secolarismo aggressivo che si respira in Europa. E colpisce che in più di un’occasione egli abbia sottolineato che fu negli Stati Uniti prima che altrove che il problema di Stato e Chiesa venne risolto.
Problema non inteso semplicemente come rapporto istituzionale o legale.
Ma come rapporto fra religione e modernità, come convivenza di un mondo moderno e allo stesso tempo ricco di convinzioni e ricerche profondamente religiose. Che questo problema sia stato, in parte almeno, risolto negli Usa, credo che appaia al Papa come una differenza fondamentale fra l’America e il contesto culturale in cui il suo pensiero si è sviluppato, vale a dire quello europeo».

Crede che la religiosità americana abbia davvero un impatto decisivo sul dibattito culturale e politico americano?

«Le comunità religiose statunitensi hanno la capacità di dare forma alla nostra vita sociale e politica in un modo che non è immaginabile praticamente in tutta l’Europa occidentale, con l’eccezione, forse e parzialmente, dell’Italia».

Quale pensa che sarà dunque il messaggio più forte del Papa a quest’America religiosa?

«Ai vescovi cattolici penso che ricorderà l’importanza di essere educatori prima che manager.

Se c’è un elemento mancante nella tradizione del cattolicesimo americano è infatti quella dell’essere maestri. Per il popolo americano invece credo che avrà parole di ringraziamento. Come ha fatto quando si è rivolto a Mary Ann Glendon, il nuovo ambasciatore americano alla Santa Sede, mostrerà il suo apprezzamento per la generosità degli americani: la maggior parte del sostegno per i progetti di salute pubblica, istruzione e assistenza allo sviluppo nel Terzo mondo viene dalla generosità volontaria dei privati cittadini, il cui contributo supera in larga misura quello del governo.
Credo che il Papa vi legga un elemento positivo di una società in cui è vivo il senso di dover condividere la propria prosperità con gli altri, in particolare con donne e bambini del Terzo mondo».

E come pensa che gli americani risponderanno ai suoi messaggi?

«Sono convinto che, non appena lo conosceranno meglio, si affezioneranno al Papa in modo sorprendente».

Cosa aspettarsi invece dallo storico incontro del Papa all’Onu?

«Credo che Benedetto XVI all’Onu riprenderà i temi del discorso di Ratisbona, vale a dire il rapporto fra fede e ragione nel mondo del XXI secolo. E poi il fatto che la fede sganciata dalla ragione rappresenta un pericolo, sia per le persone di fede che per il mondo, e che la perdita di fede nella ragione, la convinzione che non sia possibile identificare razionalmente la verità, è ugualmente pericolosa. Credo dunque che sfiderà il mondo a vedere che le verità morali possono essere riconosciute dalla ragione, e che tutte le genti, indipendentemente dalla loro fede o dalla mancanza di fede, possono riconoscere quelle verità morali e farne una grammatica di vita che permetta di trasformare il rumore di fondo in conversazione, la cacofonia delle differenze in dialogo autentico».

© Copyright Avvenire, 12 aprile 2008

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