10 aprile 2008

"Spe salvi", Walter Abbondanti: "Dopo Marx, Ratzinger" (Tempi)


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di Walter Abbondanti

Nell'ultima enciclica del Papa dal titolo Spe salvi sono bastate poche citazioni e qualche giudizio su: ateismo, Marx, Lenin, Lutero per scatenare un dibattito molto serrato intorno alle tematiche della fede e del suo significato in un mondo moderno.

La speranza secondo il papa

Molti si sono interessati a questa lettera pastorale proprio in virtù di queste citazioni. L'enciclica intende riaffermare che «la Redenzione è, secondo la fede cristiana, l'unica vera salvezza, nel senso che ci è stata donata la speranza». Una speranza affidabile in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente, anche se faticoso e, magari, attraversato da dure prove. Questa speranza ci mette in cammino.
Più che una speranza, la Promessa di Dio è una certezza che tutti possiamo accogliere, sperimentare abbracciare, perché la Promessa si fa toccare con mano se solo accettiamo di darle spazio nella nostra vita. La vita di ogni cristiano riposa nella Promessa del Signore. Ecco l'elemento distintivo dei cristiani
«è il fatto che essi hanno un futuro. (...) Il loro futuro, la loro vita - scrive il Pontefice - non finisce nel vuoto (...) senza Dio il mondo è buio, davanti ha un futuro oscuro».
In tal senso conoscere Dio, il vero Dio, questo, significa avere speranza. Il Pontefice ci dice anche che Gesù non è la figura di un combattente politico o di un agitatore e ci ricorda che Gesù non ha portato nessun messaggio sociale rivoluzionario, come Spartaco ma qualcosa di totalmente diverso: «l'incontro con il Signore di tutti i signori». Direi che un'attenta lettura dei Vangeli ci fa affermare che Gesù non ha mai chiamato i poveri alla rivolta contro i ricchi, ma i ricchi alla solidarietà nei confronti dei poveri.

"Caro Marx, sei stato un disastro"

Il Pontefice ci dice anche che l'ateismo dell'era moderna ha provocato: «le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia». Il marxismo, in particolare, ha lasciato dietro di sé «una distruzione desolante». Di fronte a questi giudizi così perentori un ex marxista, ed oggi cattolico (non adulto), come io sono, non può fare a meno di riflettere ulteriormente intorno a queste tematiche nella convinzione che tutti coloro che hanno teorizzato «paradisi terreni» hanno prodotto solo gravi danni all'umanità. Marx quando definisce la religione come «oppio dei popoli» dice una vera sciocchezza: basta pensare al significato profondo della vigilanza e del discernimento ai quali ogni cristiano è chiamato, per comprendere quanti errori siano stati commessi dal filosofo tedesco. Mi sono infatti convinto che nel terzo millennio non è più pensabile potersi definire un seguace delle dottrine marxiste o dei suoi epigoni, che non hanno mai tolto tutte le ragnatele da un pensiero vecchio come il cucco, pieno di errori e di giudizi sbagliati! Sarebbe troppo facile citare il 1989, l'anno della caduta del muro di Berlino quando, caro Marx, non è stata usata nessuna violenza per arrivare allo scopo. La violenza come «levatrice della storia» è un paradigma ideologico che non è accettabile: basti pensare come il grande impero sovietico, nato e cresciuto sulla base delle tue sgangherate teorie, si sia squagliato come neve al sole, per aver perso la battaglia con il capitalismo che non ha mai pensato di mettere l'uomo sotto la campana di vetro dello stato, o peggio, della «dittatura del proletariato», negando la libertà e la fiducia agli uomini giudicati incapaci, da soli, di agire per il bene. Scrive Ratzinger: «L'errore fondamentale di Marx è stato questo: ha dimenticato l'uomo, la sua libertà. Credeva che una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo. Diciamolo in modo molto semplice - scrive il Papa - l'uomo ha bisogno di Dio altrimenti resta privo di speranza».

Dall'economicismo" di Marx alla conoscenza

Il "vecchio" concetto di capitale ha bisogno di aggiornarsi. Ha un'altra linea d'ombra da oltrepassare e, probabilmente, ha ancora un grande futuro davanti a sé. Il nuovo capitale è la conoscenza, la nuova ricchezza è in ciò che si sa e non in ciò che si ha. L'accumulazione si gioca con gli strumenti dell'informazione e della formazione. Al taylorismo si va sostituendo il tempo della creatività e la libertà dell'innovazione. Queste prime brevi considerazioni sono fondamentali per smontare i meccanismi di base della marxiana critica all'economia capitalistica. Tanto più che oggi si sta attuando un processo economico che non consiglia la proprietà di alcun bene atto a produrre, ma il loro affitto, quindi, si sta attuando il passaggio dalla proprietà dei beni alla loro disponibilità. Questo determina la fine di un altro dei capisaldi ideologici del marxismo cioè: la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
È la conoscenza che si concentra.
Lester Thurow, tra gli economisti più attenti a delineare i trend del prossimo futuro, rileva quanto il panorama economico sia segnato dalle contraddizioni dei processi di globalizzazione già in corso da tempo e, adesso, radicalizzati dalle nuove tensioni dopo la tragedia delle Twin Towers. La terza rivoluzione industriale passa dalla "concentrazione della conoscenza". Lega la conoscenza stessa alla sfida dell'esperienza.
Il capitale umano intellettuale i problemi in Europa, ma soprattutto in Italia.
Marx era convinto che i nuovi schiavi fossero i lavoratori salariati. Oggi, questo, proprio non possiamo affermarlo. Infatti noi sappiamo quanti privilegi essi godono nel nostro paese grazie alle conquiste sindacali. Privilegi soprattutto rispetto agli altri lavoratori, magari senza posto fisso e stipendio garantito dai contratti a tempo indeterminato.

Cosa significa oggi "capitale"

Gary S. Becker, premio Nobel per l'economia, rilancia il tema del capitale umano. Lo sviluppo delle imprese dipenderà da quanto sapranno investire nei loro collaboratori, nella loro formazione, nella loro salute, nell'ambiente di lavoro. Devono sentirsi felici di cosa fanno e di come lo fanno. Altro che padroni e padronato!
Nella lezione di Becker c'è un riferimento (molto americano) ai diritti fondamentali e alla ricerca della felicità. E infatti, nella seconda parte del Novecento, gli investimenti in education e in formazione post scolastica, hanno contribuito a rafforzare il primato economico americano.
Mentre Francia e Gran Bretagna, con le loro università d'eccellenza, si muovono su questa strada, promuovono i loro network dando prova di una sinergia tra sistema pubblico e strutture private, in Italia, nonostante esistano scuole di qualità e centri di alto livello formativo, l'attenzione delle strutture pubbliche alla ricerca è carente e il rapporto tra pubblico e privato è limitato. La capacità italiana di trattenere talenti e di attrarne di nuovi da altre parti del mondo è inferiore alle necessità, e questo origina la famosa "fuga dei cervelli" (che sono capitale!)

Chi sono i progressisti?

In Italia abbiamo un buon capitale umano, ma non sappiamo metterlo adeguatamente a frutto. Ancora una volta manca una strategia di sistema-paese, manca la promozione della politica. Tutta la frustrazione degli epigoni del marxismo si è riversata in una sorta di ideologia statalista. Il circuito di relazioni fa prevalere gli aspetti negativi :
La chiusura
Il protezionismo provinciale
Il localismo
Le clientele
Gli intrecci sociali più tradizionalisti, chiusi, ostili alla innovazione.
Si vogliono far chiamare progressisti coloro che rimpiangono un mondo ormai scomparso, si pensi solo al concetto marxiano di "divisione del lavoro" o ai concetti di "plusvalenza assoluta e plusvalenza relativa". Tutto, dall'orario di lavoro ai ritmi di produzione, sono oggetto di contrattazione collettiva se non di vere e proprie leggi dello stato.
Proprio sull' innovazione si gioca la partita dello sviluppo, sulle sintesi emergenti tra new e old economy, sull'equilibrio della crescita tra vari settori e varie parti del mondo, sull'incrocio virtuoso tra regole e libertà.
Dopo l'11 settembre i giornali americani sostenevano con grande evidenza:"Rethinking the economy."

Il capitale finanziario

Oggi Il capitale finanziario è troppo veloce. Gira 24 ore su 24, nevrotico, avido, globalizzato, ansioso di crescere, smanioso di successi e intollerante del tempo e della persona.
L'economia ha bisogno di un capitale "paziente", più attento all'uomo e alle sue esigenze, che nasce dagli uomini per gli uomini come quella del quarto settore (quello della sussidiarietà). Necessita quindi di un maggiore equilibrio tra le esigenze della finanziarizzazione ed i bisogni di investimenti che rendano nel tempo e che producano, un' economia capace di esaltare il tema cristiano della sussidiarietà che riformi il concetto stesso di welfare state (dove lo stato fa tutto), in quello di welfare society ovvero quello di una società che si organizza in strutture economiche atte al servizio della persona.
Si apre l'era della finanziarizzazione di massa, della democratizzazione della finanza. Ma in Italia è ancora troppo presto per parlarne. Il nostro Paese rimane la provincia finanziaria dell'Europa.

L'errore peggiore nel mondo globale

Le evoluzioni del capitale finanziario hanno però bisogno anche di una nuova consapevolezza culturale diffusa, per evitare i deliri finanziari della seconda metà degli anni novanta come,ad esempio, la bolla di Wall Street sulla spinta della euforia per internet. Oggi sono necessari: intelligenza, cultura e attenzione al cambiamento. Comprensione che è l'intreccio tra capitale umano, capitale sociale, capitale tecnologico e capitale culturale che arricchisce quello finanziario ed evita scivoloni e illusioni o veri e propri disastri. L'errore peggiore nel mondo globale è la parzialità che pretende di essere generale, l'arroganza dell'uomo a una dimensione che, senza crescere ambisca, illudendosi, di governare la complessità.

La rivoluzione del market rethinking

Da quando si afferma che è necessario passare dal marketing al societying significa che non è proponibile occuparsi delle dinamiche di mercato se non inserite in un più ampio contesto sociale.
Il sistema delle imprese deve compiere un viaggio alla ricerca di nuove regole non solo per sopravvivere, ma anche per esprimere i propri valori, le proprie competenze, la propria dignità umana oltre che professionale. Il sistema azienda deve avere voglia di misurarsi oltre che di misurare! Di fatto il confronto quotidiano con la realtà aziendale fornisce indicazioni non molto confortanti. La forte tensione ed il sempre più pressante orientamento ai risultati a breve termine, collegato ad un più vasto fenomeno di visibilità personale, rendono l'ambiente aziendale non certamente ideale per la valorizzazione del capitale umano nel suo significato più profondo.
Si va sempre più perdendo il senso di appartenenza, cresce sempre di più il bisogno di identificazione, ma anche e soprattutto, la speranza di poter incidere con il proprio comportamento, caratterizzato da coraggio, coerenza e costante orientamento alla critica propositiva, sull'impatto delle strategie aziendali rivolte al mondo esterno.

L'appiattimento prodotto dal "pensiero Capanna"

Il vero problema è che l'appiattimento prodotto dal pensiero unico degli anni settanta ha provocato un vuoto impressionante di pensiero tanto che non ci sono più idee e non se ne producono più. La passività e l'inerzia sembrano caratterizzare l'atmosfera del nostro tempo dove l'impressione è che nessuno abbia una storia da scrivere nè passata nè futura, ma solo energia da liberare in una sorta di spontaneità selvaggia, dove non circola alcun senso, ma tutto si esaurisce nella fascinazione dello spettacolare.
La risposta va cercata nel fatto che, bombardati come siamo da stimoli, da messaggi, da test, e da sondaggi, le nostre teste sono diventate luoghi dove circolano idee che non abbiamo mai prodotto, ma semplicemente acquisito. Teste quindi che non si esprimono, ma si sondano, non per conoscere, ma per verificare il grado di efficacia dei media nell'inculcare in loro una idea e poi appurarne l'indice di gradimento.

Ricominciare a pensare, cioè a domandare

Per sottrarsi a questa condizione dobbiamo tutti ricominciare a pensare, cioé a farci domande e ravvivare le idee invece di lasciarle languire come se altro non fossero che un obsoleto reperto della nostra storia trascorsa. Nell'era dei non bisogni vince chi è guidato dalle idee. Ora, una domanda mi sorge spontanea: con tutto quello che è successo, che sta succedendo e che presumibilmente succederà, a breve, a livello economico, che significato hanno ancora linguaggi che utilizzano l'uso di concetti come "classi sociali", "masse popolari", "proletariato", con la sua "rivoluzione" e la sua "dittatura"? Ma se non abbiamo neanche un palazzo d'Inverno e, forse, nemmeno più il Palazzo (ci siamo venduti pure quello)?!

Breve Nota biografica di Walter abbondanti:

Ha svolto attività politica tra gli anni '60 e'70 nel movimento studentesco della università statale di Milano. Studioso ed esperto di economia dei servizi è membro del gruppo di lavoro per il turismo del Consiglio Nazionale dell'economia e del lavoro CNEL. Cultore e saggista di Storia delle dottrine politiche. Ha operato in ambito universitario presso la Facoltà di Scienze politiche della Università Statale di Milano.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi è piaciuta questa analisi. A proposito della caduta del comunismo, mi pare però che esso, più che aver perso una guerra "non violenta" con il capitalismo, è "imploso", anche e soprattutto a causa delle sue stesse caratteristiche di "sistema chiuso".