10 maggio 2008

Lucetta Scaraffia: "Se oggi torna l'eugenetica" (Osservatore Romano)


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E se oggi torna l'eugenetica

di Lucetta Scaraffia

L'eugenetica costituisce oggi un vero pericolo per le nostre società, un pericolo spesso misconosciuto e travisato. Negli ultimi decenni, infatti, è tornata a essere praticata e accettata questa ideologia che ha radici ottocentesche ed è strettamente intrecciata alle nuove acquisizioni tecnoscientifiche. Da una parte, le nuove possibilità di individuare malattie in fasi precocissime della formazione di un essere umano - fino ad arrivare alla mappatura genetica attraverso la quale definire perfino le eventuali possibilità di malattia - hanno come risultato l'aborto "terapeutico", che può anche prendere la forma di selezione degli embrioni impiantabili. Dall'altra, lo sviluppo delle nanotecnologie promettono un miglioramento delle capacità fisiche, intellettive ed emotive degli esseri umani tale da far pensare all'avvento di una nuova era, trans-umana.
Si profila quindi una manipolazione del genere umano - o per eliminazione, o per intervento migliorativo - che ha come primo risultato, senza dubbio, quello di marginalizzare ogni forma di fragilità e di imperfezione, trasformando la stessa nozione di normalità. Si tratta in sostanza di trasformare la definizione di umanità, che fino a ora comprendeva tutti gli esseri umani, dividendoli in individui di serie A, che hanno diritto a vivere, e individui di serie B, imperfetti, e quindi "anormali", che non hanno diritto a vivere. Dopo quasi duemila anni, cioè dopo la nascita del cristianesimo, l'uguale dignità non viene più riconosciuta a tutti in quanto figli di Dio: ritorna una forma di selezione fra completamente umani e non del tutto umani molto vicina al concetto di schiavitù, cioè della proprietà dell'uomo su un altro uomo, con poteri di vita e di morte. Come ha scritto il filosofo Jean-Luc Marion, "se dispongo di una stretta e forte definizione dell'uomo, non è omicidio l'uccisione di quanto non risponde a quella definizione"; e per questo "le ideologie sono così potenti".
Oggi, non solo sono messe in atto, o sono proposte con forza, pratiche eugenetiche del tipo di quelle accennate, ma è in corso una vera e propria offensiva ideologica per negare che esse appartengano all'ambito dell'eugenetica, o per sostenere che esiste una eugenetica cattiva e una eugenetica buona. Alcuni sostengono che l'aborto "terapeutico" di feti malformati o malati non è pratica eugenetica, ma piuttosto "atto compassionevole" perché finalizzato a eliminare il dolore. Altri che c'è eugenetica cattiva solo quando il protagonista della scelta è lo Stato e la finalità la creazione di una razza superiore. Se invece chi sceglie è la madre, per evitare una sofferenza a sé e al futuro bambino, si tratterebbe appunto di compassione. Non conta l'atto selettivo in sé, non conta l'eliminazione di un potenziale essere umano, ma solo la libertà del soggetto e la finalità dichiarata. In questo modo, pratiche come la selezione dell'embrione sano e l'aborto del feto malformato o malato - entrambe decise dalla madre o da entrambi i genitori, con la consulenza indispensabile dei medici - non sarebbero da considerarsi eugenetiche, o se non altro appartenenti a una concezione positiva, compassionevole, dell'eugenetica.
Si tratta con evidenza di una questione di tipo morale - se conti la natura dell'atto in sé o piuttosto la finalità e il soggetto che lo compie - ma anche di tipo storico: questa riabilitazione dell'eugenetica, infatti, vuole tracciare un solco insormontabile fra la pratica attuale e l'eugenetica della prima parte del Novecento, condannata unanimemente (e anche esplicitamente dal processo di Norimberga) come crimine nazista. Peter Singer - docente di bioetica a Princeton, e uno dei più ferventi sostenitori di questa nuova bioetica, tanto da giustificare anche l'uccisione dei neonati malformati - è ebreo e ha perso tre nonni nella Shoah, e tiene a sottolineare la differenza con la bioetica nazista: "L'eutanasia nazista era razzista, diretta a modificare il Volk, il popolo, mentre io propongo l'alleviazione delle sofferenze, non da parte dello stato, ma dei genitori". Di conseguenza, Singer pensa che si debba "guardare criticamente alla tradizione cristiana della santità della vita umana, non è universale. (...) I cristiani hanno stabilito che basta essere un membro della specie homo sapiens per avere rispetto assoluto. Io penso che non sia difendibile come teoria. Dobbiamo ripensare quando accordare protezione alla vita umana".
Per rispondere a questa interpretazione, per capire cioè se c'è veramente una differenza fra l'eugenetica pre-nazista e quella di oggi, risulta di particolare interesse il pamphlet Eugenetica e altri malanni. Ragionamenti contro l'organizzazione scientifica della società di Gilbert K. Chesterton, scritto nel 1922, e ristampato oggi da Cantagalli nella nuova serie de "I Classici Cristiani" (a cura di Michael Wiley Perry, Siena 2008, pagine 342, euro 22) per iniziativa di Luca Volonté, che vi ha premesso una lunga introduzione.
L'eugenetica di cui parla Chesterton, e di cui lo scrittore inglese intuisce e denuncia pericoli e limiti, non è sostanzialmente diversa dalla nostra e anche per noi, come lui insegna, è importante avere il coraggio di "gridare prima del danno". Anche allora l'eugenetica aveva "significati diversi per persone diverse, ma questo perché il male trae sempre vantaggio dall'ambiguità". L'eugenetica infatti, scrive, "esiste per coloro che hanno tanto senno da capire che le idee esistono" ed è "come il veleno, una cosa con cui non si può venire a patti".
I sostenitori dell'eugenetica - nota Chesterton - si contavano fra "coloro che prendevano l'evoluzione sul serio e ne traevano conclusioni su come la società dovesse essere strutturata", ed erano persone "per lo più incapaci di comprendere le forze che vanno scatenando". Gli eugenetici, infatti, sostengono che il loro progetto non raggiungerà mai le più temibili conseguenze, perché ci sono loro a controllare: e questa rassicurazione, letta prima degli orrori nazisti, e non solo nazisti, fa veramente tremare, ricordando come sia vicina alle rassicurazioni che sentiamo ripetere oggi da coloro che sono favorevoli alla selezione degli embrioni o all'aborto terapeutico: e cioè che, naturalmente, queste misure estreme saranno adottate solo in casi estremamente gravi. L'aborto terapeutico viene però praticato anche in caso di sindromi non gravi, per esempio su bambini che con un po' di cure potrebbero poi vivere normalmente. Ma non sono perfetti alla nascita, quindi non sono giudicati degni di nascere. Si prova a fabbricarne un altro, sperando che venga meglio, come se il primo non fosse un essere umano: "Il genere umano è appunto un genere, non un grado" scrive Chesterton. Ribadendo che nessun medico "ha diritto a somministrare la morte come rimedio ai malanni", sempre rivolgendosi ai medici che decidono quale vita sia "indegna di essere vissuta" e ricordando che "la malattia e la salute del tisico può essere una cosa chiara e calcolabile. La felicità o infelicità di un tisico è tutt'altra cosa, e non è calcolabile affatto".
Di conseguenza lo scrittore mette in luce l'approssimazione di questa scienza sperimentale, l'eugenetica, che si vuole presentare come fonte di certezze: "Gli eugenisti non sanno quello che vogliono, salvo che vogliono l'anima e il corpo vostri e miei per scoprirlo" e quindi sono "la prima religione sperimentale invece che dottrinale".
Chesterton analizza la cultura che costituisce l'humus per l'eugenetica, e ne definisce due caratteristiche essenziali: "un'anarchia silenziosa che consuma la nostra società" e che è "la condizione d'animo e di comportamento di chi non si può fermare", e l'"idea che non si può tornare indietro, un'idea radicata nel materialismo e nella negazione del libero arbitrio".
Tutte queste affermazioni di Chesterton sono ampiamente applicabili alla condizione contemporanea, e questo fatto prova che la differenza fra le due eugenetiche non c'è, e che ci troviamo di fronte allo stesso tipo di male che è sfociato nella catastrofe nazista. Bisogna dunque aprire bene gli occhi, e farli aprire a tutti, per evitare una nuova e drammatica ondata di disprezzo e di distruzione della vita umana in nome di un bene più alto, in questo caso la fine della sofferenza. Come sempre, l'utopia si presenta ammantata da buone intenzioni, da compassione per le sofferenze dell'umanità: Singer dice che il suo obiettivo è, sul piano teorico, "portare rigore e consistenza all'etica. Sul piano pratico, dirigere l'attenzione sulla sofferenza e la sua riduzione. Per questo mi sono concentrato sull'obbligo dei ricchi di fare di più per assistere i più poveri del mondo, quel miliardo di persone che vivono con un dollaro al giorno. Mi sono anche concentrato sulla sofferenza indifendibile che infliggiamo agli animali". È necessario quindi smascherare il carattere distruttivo di queste parole di apparente bontà, proprio come magistralmente ha fatto Chesterton nel 1922, quando ancora non si era arrivati alla barbarie eugenetica nazista. Oggi noi sappiamo con chiarezza dove possono portare queste ideologie, e dobbiamo denunciare il male in tempo, per fermarlo.

(©L'Osservatore Romano - 10 maggio 2008)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Concetti da far tremare: Jean-Luc Marion, "se dispongo di una stretta e forte definizione dell'uomo, non è omicidio l'uccisione di quanto non risponde a quella definizione"; inaccettabile il ragionamento ipocrita Peter Singer (proprio lui, i cui genitori sono stati vittima dell'Olocausto naziasta!)nel dire che l'eugenetica naziata era nell'interesse dello Stato, e quella attuale, nell'interesse dll'indviduo "compassionevole". Ma per favore! Dietro l'eugenetica c.d. "moderna" c'è, eccome, l'interesse dello Stato, che non si vuole sobbarcare i costi sociali delle cure alle persone disabili. Insomma, perfetta coincidenza di egoismi individuali e collettivi. Comunque, se Singer si affanna tanto ad "autoassolversi", segno che nel profondo avverte il senso del male, del peccato...Ed è qualcosa....