9 maggio 2008

Un convegno alla Pontificia Università Lateranense per i quarant'anni dell' enciclica «Humanae vitae»: "Diritti umani imposti ma non rispettati"


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Un convegno alla Pontificia Università Lateranense per i quarant'anni dell' enciclica «Humanae vitae»

Diritti umani imposti ma non rispettati

di Janne Haaland Matlary

In Norvegia, l'11 giugno 2008, il Parlamento adotterà una nuova legge sul matrimonio di "genere neutrale", sostenuta da una larga maggioranza sia nell'opinione pubblica sia nello stesso Parlamento. È molto chiara la percezione per cui tutti hanno il diritto di sposarsi e di avere figli. La legge include il diritto ad adottare bambini nati da coppie omosessuali mediante tecniche di inseminazione. In Norvegia sono ancora proibite l'ovodonazione e la maternità surrogata, mentre la donazione di seme è legale.
Quando la legge sarà approvata, i bambini nati da coppie dello stesso sesso potranno essere adottati dal "genitore" non biologico della coppia stessa. Nel dibattito pubblico che ha preceduto questa legge la genitorialità biologica è stata considerata ininfluente, come qualcosa che non ha alcun rapporto con la genitorialità "reale", ora concepita come l'abilità di prendersi cura di un bambino. Gli unici a opporsi a questa legge sono stati i gruppi religiosi.
È evidente che nessuna nozione sulla natura umana, inclusi i suoi aspetti biologici, viene considerata costante e certa. Il fatto che un bambino abbia diritto ai propri genitori biologici e a essere cresciuto da loro non viene preso in considerazione. Inoltre madre e padre non sono considerati necessari per allevare un bambino perché il sesso è divenuto una questione sociale e non biologica.
Nella situazione attuale in cui secondo lo Zeitgeist ("spirito del tempo") tutto si può decostruire e ricostruire, è giunto il momento di esaminare i problemi più profondi delle attuali politiche occidentali, in particolare di quelle europee. Il grado di relativismo è talmente elevato che non esistono più comuni Grundwerte ("valori fondamentali") dal punto di vista antropologico. Oggi, nella politica europea, sembra impossibile discutere di cosa è un essere umano. (...)
La codificazione dei diritti umani è stata la risposta al relativismo politico e legislativo della Germania nazista e della seconda guerra mondiale. In breve si è posto il problema concreto di obbedire o meno a ordini provenienti da chi detiene il potere, in questo caso Hitler, quando essi erano contrari alla morale.
I processi di Norimberga hanno stabilito che è sbagliato ubbidire a tali ordini e che esiste, di fatto, una "legge superiore", una legge naturale se vogliamo, che non solo proibisce l'ottemperanza a quegli ordini, ma la considera anche un crimine. Sulla scia di questa conclusione rivoluzionaria negli affari internazionali, una decisione senza precedenti nella storia da parte di un tribunale, è sorto un movimento per specificare le implicazioni di tale "legge naturale" per l'essere umano. Solo tre anni più tardi, ciò ha prodotto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, un insieme sopranazionale di diritti innati e inalienabili per ogni essere umano. È evidente che la dichiarazione dei diritti dell'uomo ha costituito un "modello comune a tutti i membri della famiglia umana" come afferma il preambolo, e non qualcosa che può essere cambiato a piacimento dagli agenti politici. Tuttavia, oggi in Europa sta accadendo proprio questo. (...)
Charles Malik, uno dei redattori più importanti della Dichiarazione, ha affermato: "Quando dissentiamo sul significato dei diritti umani, dissentiamo sull'essenza della natura umana". Il concetto stesso di diritti umani è dunque significativo soltanto se concordiamo sul fatto che esiste una comune natura umana conoscibile mediante la scoperta della ragione.
Quest'ultima dichiarazione è tuttavia in grande contrasto con la mentalità contemporanea, relativistica e soggettivistica, disdegnando l'idea dell'esistenza della natura umana in quanto tale e della sua conoscibilità mediante la ragione. Tuttavia, negando ciò e considerando i diritti umani come qualcosa che meri processi politici possono modificare, in che modo si può sostenere che i diritti umani sono un modello per gli altri, se non lo sono per noi stessi?
Oggi, in Europa, non esiste una base chiara di diritti umani, ma una lotta intensa sulla loro interpretazione e spesso una grande discrepanza fra ciò che uno Stato proclama nelle conferenze internazionali ufficiali e la sua politica interna. (...)
La situazione è dunque bizzarra. (...) Il paradosso è ancor più lampante se consideriamo la tendenza a non definire affatto i valori che sottendono la democrazia europea, ossia la tendenza a un totale soggettivismo, perfino al nichilismo: tu hai la tua opinione, io ho la mia e quanti affermano che esistono definizioni normative oggettive, Grundbegriffe ("concetti fondamentali"), sono fondamentalisti e antidemocratici. Questa tendenza è estremamente pericolosa. Tale soggettivismo mina la democrazia e prepara il terreno al totalitarismo: se non c'è alcun modello a determinare ciò che è giusto, tutto può divenire giusto. Le vecchie differenze ideologiche sono scomparse per lo più dopo la Guerra Fredda e non sono state sostituite. Invece, le preferenze individuali dominano la politica.
La tendenza al nichilismo, cento anni dopo il libro di Friedrich Nietzsche Al di là del bene e del male, felicemente sottotitolato "Preludio di una filosofia dell'avvenire" si manifesta nella mancanza di fiducia nella capacità umana di pervenire, mediante il dibattito e il pensiero ponderati, alla verità oggettiva sulla natura umana e sui vizi e le virtù umane. Questa posizione è dominante e implicita nell'attuale politica europea. Il concetto stesso di verità non viene solo contestato, ma anche considerato, come è sempre stato del resto, fondamentalista, repressivo e antidemocratico.
Questa strana avversione al concetto di verità è legata intimamente al "politicamente corretto". Si tratta del concetto più potente che le nostre democrazie occidentali possiedono ed è del tutto immateriale. Il potere di ciò è che politicamente corretto o meno è percepito dalla maggior parte delle persone: si percepisce che qualcosa che era comme it faut, improvvisamente non lo è più. Senza dubbio i mezzi di comunicazione sociale svolgono un ruolo chiave in questo processo di "biasimo" e di "lode". Pensare di poter scoprire verità oggettivamente valide è certamente la posizione meno "politicamente corretta" possibile. Ciononostante è proprio quanto io sostengo.
Il potere del politicamente corretto, soggettivo e supportato dai mezzi di comunicazione sociale, è possibile solo perché non c'è ricerca della verità, che è considerata impossibile e forse anche fondamentalmente indesiderabile. Tuttavia, con questa premessa: i diritti umani non possono esistere perché non possono essere definiti. Il paradosso della moderna democrazia moderna è proprio questo: professiamo e imponiamo diritti umani in tutto il mondo, ma rifiutiamo di definire la loro sostanza nel nostro Paese. Vogliamo che significhino ciò che abbiamo deciso che debbano significare in un determinato momento. In tal modo facciamo del politicamente corretto la stella guida della politica. La maggior parte degli elettori non si pronuncia nei referendum su tali questioni, ma la cosiddetta "opinione pubblica" viene creata nelle campagne dei mezzi di comunicazione sociale, spesso mediante abili alleanze con gruppi di interesse. Parte di questa "imprenditorialità delle norme" consiste nel "biasimare" e intimidire le opinioni minoritarie e nel creare l'immagine di una opinione maggioritaria mediante l'abile uso dei mezzi di comunicazione sociale. Quindi, così facendo, la tolleranza tanto rivendicata diviene profondamente intollerante.
Il risultato finale è che ciò può diventare giusto. Si tratta dell'implicazione logica del soggettivismo estremo.

(©L'Osservatore Romano - 9 maggio 2008)

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