9 giugno 2008

Benedetto XVI: "Non è la scienza, ma l'amore a redimere l'uomo". "La preghiera è l’opposto di una fuga dalle nostre responsabilità" (Sir)


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BENEDETTO XVI: "NON E' LA SCIENZA, MA L'AMORE A REDIMERE L'UOMO"

"Oggi non è facile vivere nel segno della speranza cristiana", ha detto questa sera il Papa aprendo il Convegno pastorale della diocesi di Roma: "Prevalgono spesso - ha proseguito - atteggiamenti di sfiducia, di delusione e di rassegnazione che contraddicono non solo la grande speranza, ma anche quelle piccole speranze che ci sostengono nella nostra vita quotidiana".
In particolare, per Benedetto XVI "è diffusa la sensazione che per l'Italia, come per l'Europa, gli anni migliori siano ormai alle nostre spalle" e che incomba "un destino di precarietà e di incertezza sulle nuove generazioni".
Di contro, le nostre "aspettative migliori si concentrano nella scienze e nelle tecnologie, come se solo da esse potesse venire la soluzione dei problemi". Di qui l'affermazione centrale del Santo Padre: "Sarebbe insensato negare o minimizzare il contributo della scienza e delle tecnologie alla trasformazione del mondo e delle concrete condizioni di vita. Altrettanto miope sarebbe ignorare", tuttavia, la possibilità di "mettere nelle mani dell'uomo anche le abissali potenzialità di male" insite in esse", e "comunque" ignorare che "non sono la scienza e le tecnologie a dare un senso alla nostra vita, ad insegnarci a distinguere il bene dal male".
"Non è la scienza, ma l'amore a redimere l'uomo", ha ammonito infatti il Pontefice, denunciando "la debolezza della speranza nel mondo in cui viviamo".
"La nostra civiltà e la nostra cultura, che pure hanno incontrato Cristo da duemila ani - il grido d'allarme di Benedetto XVI - tendono troppo spesso a mettere Dio tra parentesi, ad organizzare senza di Lui la vita personale e sociale, e anche a ritenere che di Dio non si possa conoscere nulla, arrivando perfino a negare la sua esistenza".
Ma "quando Dio viene messo da parte - la convinzione di fondo del Santo Padre - nessuna cosa che ci preme può trovare una stabile collocazione: tutte le grandi e le piccole speranze poggiano nel vuoto". Di qui "la necessità di aprire a Dio il nostro cuore, il nostro intelletto e la nostra vita, per essere in mezzo ai nostri fratelli suoi credibili testimoni".
Questa è la quarta volta che il Papa apre il Convegno pastorale annuale della diocesi di Roma: a ricordarlo è statolo stesso Benedetto XVI, in apertura del suo discorso, nel quale ha rimandato alla sua recente Lettera indirizzata alla diocesi di Roma sull'"emergenza educativa".
Come obiettivo del prossimo anno pastorale, il Papa ha consegnato alla sua diocesi quello di riflettere su "come educare concretamente alla speranza", identificando "alcuni luoghi del suo pratico apprendimento ed effettivo esercizio".

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BENEDETTO XVI: LA PREGHIERA “E’ L’OPPOSTO DA UNA FUGA DALLE NOSTRE RESPONSABILITA’”

“Esporci allo sguardo di Dio”, così “cadono le menzogne” e entriamo in una “purificazione che ci rinnova”. Con questa riflessione il Papa ha continuato il suo discorso ieri sera aprendo il convegno diocesano di Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano.
“La preghiera – ha aggiunto – ci apre a Dio e ai fratelli” ed “è l’opposto di una fuga dalle nostre responsabilità verso il prossimo”, anzi porta a diventare “ministri delle speranza per gli altri”.
“Educare all’arte della preghiera”, ha ricordato Benedetto XVI, é “un compito essenziale” e per questo le nostre comunità devono diventare autentiche scuole di preghiera”, una preghiera che arriva ad essere “invaghimento del cuore” nella consapevolezza che “ogni agire serio dell’uomo è speranza in atto”.
Nell’esperienza cristiana, ha sottolineato il Papa, l’educazione e la formazione pongono la persona davanti ai “problemi concreti” della città, stimolandola a operare per “una cultura e un’organizzazione sociale più favorevole alla famiglia, all’accoglienza della vita, alla valorizzazione delle persone anziane”. Così è indispensabile porre grande attenzione a “bisogni primari” quali sono “il lavoro e la casa” nonché “una città più sicura e vivibile per tutti a partire dai più poveri” e nella quale “non sia escluso l’immigrato” che la abita “nel rispetto delle nostre leggi”.

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