3 giugno 2008

Riso e comicità nel cristianesimo antico. Scherzi e parodie nei Padri ma attenti a non ridere troppo (Osservatore)


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Riso e comicità nel cristianesimo antico

Scherzi e parodie nei Padri
Ma attenti a non ridere troppo


di Manlio Simonetti

È vero e proprio luogo comune che la religione cristiana sia intrinsecamente ostile al riso e alla comicità e, quanto al cristianesimo antico che qui direttamente c'interessa, è a portata di mano una documentazione quanto mai varia ed estesa, che ha trovato e tuttora trova il suo puntello nella constatazione che i vangeli non presentano mai Gesù che ride.
Per Efrem il riso contribuisce a rovinare l'uomo perché contrasta l'impegno ascetico, Basilio afferma che per il credente non è mai tempo di ridere, Gregorio Magno racconta che la Vergine Maria, apparsa alla giovane Musa, "le impose di non comportarsi più con leggerezza giovanile, di astenersi dal riso e dal gioco" (Dialoghi, 4, 18, 1); nella stessa opera, poche pagine prima (3, 14, 10), dopo aver esaltato le virtù di un sant'uomo Gregorio continua: "L'unica cosa che in lui appariva biasimevole, era la grande gioia che talora dava a vedere"; il tempo monastico non è "di letizia per ridere, ma di penitenza per piangere i peccati" (Regola del maestro, 11, 76). Il riso pare apprezzato positivamente solo in proiezione escatologica: leggiamo infatti nel Vangelo di Luca le dure parole di Gesù: "Guai a voi che ora ridete, perché piangerete; beati voi che ora piangete, perché riderete" (6, 25. 21).
Ma i concetti di riso e comicità si concretano in un largo ventaglio di significati, e a più di uno di essi svariati antichi testi cristiani non sembrano estranei: s'imponeva perciò, come per altri luoghi comuni relativi all'antica letteratura cristiana, un'attenta revisione critica che, al di là delle affermazioni comunemente addotte per supportare l'ostilità di quella letteratura nei confronti del riso, spaziasse più vastamente nei testi, mirando a conclusioni più articolate e puntuali. Proprio questo scopo si è prefisso un convegno tenuto a Torino, dal 14 al 16 febbraio 2005, i cui atti sono stati pubblicati, con il titolo Riso e comicità nel cristianesimo antico, a cura di Clementina Mazzucco, per le Edizioni dell'Orso di Alessandria.
In un volume di ben 854 pagine sono raccolti 34 contributi, alcuni dei quali non presentati al convegno e consegnati in un secondo tempo, che spaziano sull'antica letteratura cristiana sia d'oriente sia d'occidente, a cominciare dal Nuovo Testamento fino alle soglie del medioevo, con ampie aperture sul mondo classico ed ebraico.
Le conclusioni, dovute al grecista Guido Paduano, rilevano quanta varietà di temi e di atteggiamenti spingano, se non a respingere in toto il luogo comune dell'estraneità del cristianesimo al riso, a sfumarlo e sfaccettarlo con una serie di precisazioni che danno a vedere in materia di riso e comicità, nell'antica letteratura cristiana, un panorama ben più vario e variegato di quanto il rifarsi a quel luogo comune non facesse prevedere. In primo luogo va comunque rilevato che, variando il senso del comico da età a età e da ambiente ad ambiente, alcuni tratti di antichi testi cristiani, soprattutto d'argomento agiografico, che oggi a noi appaiono francamente comici, non lo erano affatto nell'intenzione dei loro scrittori.
Per esempio, quanto leggiamo nei Dialoghi di Gregorio Magno (3, 7) riguardo alla rassegna dei diavoli, alla nostra sensibilità risulta oggi racconto quanto mai umoristico, ma per certo tale non era per Gregorio. Cominciamo col constatare che, se il riso non trovava molta accoglienza nel mondo cristiano, nel mondo classico, almeno a livello di precettistica, nonostante le commedie di Aristofane e di Plauto non era tutto rose e fiori. Alcune correnti filosofiche condannavano il riso come manifestazione priva di serietà: pitagorici e stoici erano definiti aghèlastoi ("coloro che non ridono"). In ambito latino Cicerone osserva che l'oratore fa uso del motto di spirito per conseguire un preciso scopo, non per essere soltanto divertente (De oratore, 2, 247), e Quintiliano constata che raccontare in modo spiritoso richiede finezza e capacità oratoria, perché l'oratore non deve ricercare l'effetto comico in modo rozzo e forzato. Il riso, autorizzato, anzi imposto, in particolari contingenze, soprattutto teatrali, era in complesso sottoposto ad appositi controlli.
In ambito antico ebraico non stiamo molto meglio, anche se ora si tende a respingere come eccessiva l'affermazione che la Bibbia sia priva di effetti comici: ma a conferma si adducono solo giochi di parole ed espressioni ironiche e parodiche, cioè un comico inteso in senso piuttosto lato. In effetti il riso di Sara all'annuncio della prossima maternità è valutato negativamente in Genesi 18, 12-15 e, tra i testi di Qumran, secondo la Regola della comunità, chi ride stupidamente viene punito per trenta giorni (1QS, 7, 16-17). In ambito cristiano rileviamo subito la presenza di almeno un'opera volta apertamente a suscitare il riso, la cosiddetta Coena Cypriani, un breve scritto che descrive una cena fittizia, ispirata, non tanto alla lontana, dalla Cena di Trimalchione di Petronio, alla quale partecipano, in un susseguirsi di vicende tragicomiche, a volte blasfeme, numerosi personaggi biblici, tra cui anche Gesù, insieme con altri inventati, tra i quali la petroniana Trifena.
Ma la cronologia dell'opera è incerta, e io ritengo che i suoi caratteri aberranti si spieghino meglio in età medievale che non patristica. Siamo in terreno ben più solido con Clemente di Alessandria, un autore che più di altri ha avvertito, nel contesto di un'etica ispirata al Vangelo, l'influsso della paidèia greca, che gli ha ispirato sotto vari aspetti atteggiamenti originali. In materia di riso, se da una parte ne biasima le manifestazioni esagerate, dall'altra considera il riso, il gioco, la gioia come espressioni di un'anima semplice e ingenua nella manifestazione della propria fede.
Anche Basilio mette in guardia contro il riso smodato e incontinente, mentre considera non indecoroso mostrare con un sorriso l'allegrezza dell'anima. Di contro altri è meno permissivo: Ambrogio (I doveri, 1, 103), correggendo Cicerone il quale aveva affermato che il genere faceto di espressione non deve essere eccessivo e sguaiato ma garbato e spiritoso, afferma che debbono essere evitati non solo i motti di spirito smodati ma tutti tout court. Anche Ambrogio, per altro, non disdegna il divertire senza cadere nel riso volgare e smodato, ed è questa in sostanza la concezione che appare prevalente negli antichi scrittori cristiani, ai quali perciò appare del tutto inaccettabile il riso come espressione di ciò che è comico nel senso stretto del termine. Pare superfluo aggiungere che il riso è del tutto proscritto dall'orizzonte della vita femminile: per Gregorio Nazianzeno, se è sconveniente il riso maschile, lo è ancora di più il riso femminile.
Se passiamo dalla teoria alla pratica, troviamo conferma di questo atteggiamento, nel senso che, con l'eccezione della Coena Cypriani, manca nelle antiche lettere cristiane l'espressione effettivamente comica, quella che vuole muovere il riso, non il sorriso, mentre vi riscontriamo più volte l'espressione genericamente umoristica, mirante soprattutto a irridere, in contesto in prevalenza polemico.
Per soffermarci ancora sul Nazianzeno, egli non esita a servirsi del riso di scherno, di dileggio, a spese sia dei suoi avversari, sia anche dei vescovi che così amaramente avevano eluso le sue aspettative nel concilio costantinopolitano del 381 (carme 2, 1, 12). Un ingenium per sua natura polemico come quello di Girolamo era portato, in modo direi esemplare, all'irrisione dei suoi tanti avversari. Così la celebre Melania senior, il cui nome significava "nera", in quanto fautrice del suo nemico Rufino di Aquileia fu da lui definita nera di nome e di fatto, e quanto a Rufino, fu da lui costantemente bollato, forse a causa di un certo prognatismo della faccia, come grunnius, cioè "porco che grugnisce".
Una particolare forma di irrisione consisteva nell'alterazione del nome della persona che si intendeva colpire. Per esempio, nel iv secolo un importante eretico fu Fotino, vescovo, poi deposto, di Sirmio, il cui nome significa "luminoso" (photeinoòs): di qui la contraffazione del nome in Scotino, cioè "tenebroso" (skoteinòs). Lucifero di Cagliari definisce più volte l'importante capoparte ariano, che fu anche vescovo di Costantinopoli, Eudossio, il cui nome significa "glorioso", come Adossio (Adoxius), cioè "inglorioso, spregevole".
In ambito monastico un tema specifico fu quello dell'applicazione del riso al diavolo, nel senso che il riso sottolinea l'influsso malefico del diavolo il quale spinge il monaco al peccato, come leggiamo in un racconto di Rufino (Storia dei monaci, 1, 4, 1-6): un monaco, insuperbito per le sue virtù, è indotto al peccato dal diavolo, che gli si presenta in allettante figura muliebre e rende più efficaci le sue blandizie col riso e lo scherzo (iocus risusque miscentur).
Per concludere, il volume che abbiamo cursoriamente presentato rappresenta un contributo fondamentale per approfondire, al di là dei soliti apprezzamenti generici, che cosa effettivamente l'antico mondo cristiano abbia pensato del riso e della comicità, intesi nel senso più ampio. Letto il volume, l'impressione complessiva conferma l'abituale giudizio secondo cui gli antichi cristiani erano, o almeno affermavano di essere, più amici del pianto che del riso, ma una serie di "distinguo" attutisce il drastico impatto di questa categorica affermazione. È fuor di dubbio che fu loro del tutto estranea la comicità forte, quella che si esprime soprattutto nel teatro, e lo stesso si può dire del riso sguaiato e incontrollato. Ma intendendo il concetto del comico in senso più lato, in modo da comprendervi la derisione, il dileggio dell'avversario, fino alla parodia, non è di poco conto quel che si raccoglie dagli scritti patristici.
Ed è soprattutto evidente l'apprezzamento per il sorriso, espressione di uno stato di letizia che caratterizza il fedele in pace con la sua coscienza.

(©L'Osservatore Romano - 2-3 giugno 2008)

1 commento:

Anonimo ha detto...

ridere fa bene e non penso ci sia qlc di male ad ironizzare un po' sulle cose... senza esagerare però