5 giugno 2008

Una lettura della «Spe salvi» dal continente della speranza (Osservatore Romano)


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Una lettura della «Spe salvi» dal continente della speranza

Per costruire il presente
bisogna guardare alle realtà ultime


di Lina Boff
Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro

La Spe salvi evoca immediatamente i concetti fondamentali di fede e speranza che sono disseminati e permeano tutti i documenti del Concilio Vaticano ii. La riflessione contenuta nell'enciclica dà infatti continuità al magistero conciliare e ravviva in tutti i cristiani, e nei cattolici in particolare, concetti ormai assimilati dalla teologia cattolica. Essi - ci ricorda Benedetto xvi - devono tuttavia essere tradotti abitualmente nella vita quotidiana dei cristiani per rendere credibile il vangelo davanti a una umanità alla ricerca di senso.
Non intendo naturalmente forzare il proposito dell'insegnamento della Spe salvi e neanche lo spirito con cui è stata concepita. La lettura che segue è quella di una donna consacrata, teologa in un continente specifico quale è l'America Latina, considerato continente della speranza e, in un certo modo, in sintonia con quello europeo per le sue radici cristiane, poiché facciamo parte della migrazione storica a cui tanti popoli hanno partecipato portando contributi propri su questioni vitali.
È la lettura di una docente di teologia sistematica, che ha vissuto da giovane nell'Amazzonia e che ha seguito da vicino il processo del concilio Vaticano ii, attraverso il vescovo della prelatura di Acre e Purus (oggi diocesi di Rio Branco). Il contesto e il vivere concretamente in mezzo a un popolo ospitale e aperto all'accoglienza di tutte le razze e culture con le loro credenze e religioni - a partire dalle radici cristiane della colonizzazione, nel senso ampio e obiettivo - parlano del profondo sentimento di comunione e di unità con il Papa, per quello che rappresenta non solo per la fede della Chiesa, ma anche per il mondo in generale. Lo dimostra la sua visita in occasione della quinta Conferenza dell'episcopato latinoamericano. Il rispetto e l'ammirazione per il Papa visto quale fratello di cammino e padre nella fede, portano questo popolo a entrare in dialogo con lui. Benedetto xvi è venuto infatti fra noi per parlare di verità esistenziali importanti di cui nessuno parla.
In primo luogo si deve riconoscere che l'insegnamento dell'enciclica ha reso l'escatologia più vicina a tutte le persone che professano la fede cristiana e cattolica. Perché? Anzitutto perché le ultime realtà proposte dalla dogmatica cattolica sono presentate e enfatizzate nella Spe salvi come realtà vissute nel presente. Poi perché queste realtà sono considerate nella loro dimensione comunitaria e sociale. In terzo luogo perché la portata teologica dei "novissimi" ci spingono all'impegno di vivere la vita eterna a partire dalla chiamata alla santità che Dio Padre ci ha fatto in Cristo Gesù, attraverso la Chiesa. È da questa chiamata che nasce l'impegno per la costruzione di un mondo e di una società nel momento presente nella speranza del Signore della vita piena.
La Spe salvi inizia sottolineando e approfondendo i concetti di fede e di speranza nei fondamenti biblici dei capitoli 10 e 11 della Lettera agli Ebrei (cfr n. 7). Da qui l'espressione "la fede è speranza". Appaiono qui gli elementi escatologici dell'unica speranza nel senso che le realtà considerate ultime della fede cristiana devono essere vissute già nel presente e quindi anticipate. "Se la Lettera agli Ebrei dice che i cristiani quaggiù non hanno una dimora stabile, ma cercano quella futura (cfr Ebrei, 11, 13-16; Filippesi, 3, 20), ciò è tutt'altro che un semplice rimandare a una prospettiva futura: la società presente viene riconosciuta dai cristiani come una società impropria; essi appartengono a una società nuova, verso la quale si trovano in cammino e che, nel loro pellegrinaggio, viene anticipata" (n. 4).
Questa anticipazione concepita nel senso di "vera presenza" di Cristo, speranza in noi (cfr n. 8), ci schiude l'orizzonte della fede che è la speranza, poiché "la fede è hypòstasis delle cose che si sperano; prova delle cose che non si vedono (Ebrei, 11, 1). La fede che abbiamo "in germe" dentro di noi rende presenti in noi "le cose che si sperano: il tutto, la vita vera". La fede "attira dentro il presente il futuro, così che quest'ultimo non è più il puro "non-ancora""; ma per il fatto di avere "in germe" la vita eterna dentro di noi - realtà incoativa e dinamica - abbiamo di essa fin da ora una certa percezione (cfr n. 7).
I cristiani appartengono a una società nuova, e nel loro pellegrinaggio cercano la futura "speranza escatologica" che "non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi" (Gaudium et spes, n. 21). Questi motivi trovano il proprio fondamento in Dio e nell'esperienza della speranza nella vita eterna; sono motivi che danno dignità alla persona umana, rispondono agli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore, perché solo Dio dà una risposta piena e certa alle grandi domande che l'essere umano si pone e al suo destino (cfr n. 21).
Nell'insegnamento dell'enciclica risalta il linguaggio figurativo che Benedetto xvi utilizza per far capire chiaramente qual è la "nuova speranza" che tutti dobbiamo ricercare (n. 6).

Riassumendo, il Papa utilizza le immagini del filosofo e del pastore dei primordi della fede cristiana. Sono figure assorbite e assimilate nel loro contenuto più profondo: quello del vero pastore che ha assunto la nostra vita e la nostra morte, e che non ci lascia soli, né nella vita né nella morte. Questa nuova speranza è Cristo. Ne consegue che il nostro incontro con Cristo deve essere un incontro performativo, incontro che trasforma veramente la nostra vita, al punto da farci sentire redenti per mezzo della speranza che Egli è.

Considerata questa realtà quale fondamento della nostra speranza umana e cristiana, si può parlare della trasformazione di una società e di tutte le società, dall'interno. Tale esperienza ci apre alla vita eterna come "vita beata", la vita che è semplicemente vita, pura "felicità" (n. 11). La vita eterna mira a darci quella gioia che nessuno potrà toglierci (cfr Giovanni, 16, 22), il significato pieno della vita è l'immersione "nell'oceano dell'infinito amore" (n. 12). Chiediamo la vita eterna nel sacramento del Battesimo quando chiediamo la fede, "di cui è parte la corporeità della Chiesa e dei suoi sacramenti" (n. 10). Il concetto di vita eterna supera il dramma della morte e il suo significato per la nostra condizione di persone umane. La vita eterna è vissuta al di là della "temporaneità della quale siamo prigionieri"; può essere "il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità". La gioia sembra essere l'istante della vita eterna che è espressa da Gesù nel Vangelo di Giovanni: "Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia" (16, 22). In poche parole, l'esperienza della resurrezione in Cristo porta con sé questa gioia, la vita eterna, il cielo.
Questo concetto di vita eterna ricorda il settimo capitolo della costituzione Lumen gentium. In quell'insegnamento la vita eterna è il futuro definitivo, escatologico e allo stesso tempo è, in un certo senso, anticipata in immagini: la Chiesa come "popolo di Dio", come "famiglia", attende la redenzione di tutti i suoi figli e figlie nella resurrezione finale (cfr Romani, 8, 23-25). Mettendo questi due aspetti escatologici - la realizzazione futura delle speranza e la fase di anticipazione parziale - uno accanto all'altro, la costituzione conciliare dice che fin da ora siamo uniti a Cristo: sia visibilmente, mediante l'appartenenza fedele alla Chiesa, che è il suo Corpo, sia invisibilmente, in quanto segnati dallo Spirito Santo che è garanzia della nostra eredità futura. È bene notare l'enfasi posta sulla dimensione comunitaria nell'esperienza quotidiana delle realtà ultime della nostra vita, realtà che contraddistinguono l'identità cristiana nelle sue diverse espressioni.
Nel corso di tutta l'enciclica si possono cogliere espressioni di questo aspetto tanto importante della fede-speranza. Il Pontefice si ricollega alla teologia di Henri de Lubac: "Sulla base della teologia dei Padri in tutta la sua vastità, ha potuto mostrare che la salvezza è stata sempre considerata come una realtà comunitaria" (Spe salvi, n. 14).
La testimonianza che attira la nostra attenzione, fra le altre, è la parresìa evangelica di un Papa che pone domande dirette al mondo moderno e al fenomeno della cosiddetta post-modernità, in un momento storico come il nostro, in cui la modernità ha liberato la soggettività umana, al punto che stiamo vivendo un mutamento epocale fortemente segnato dall'assenza di principi basilari della convivenza umana e cristiana e di fondamenti per il sano esercizio della libertà come diritto inalienabile della persona umana.
L'enciclica rivolge una particolare attenzione alla spiegazione dei "novissimi" che parlano delle cose più sicure della nostra vita temporale. Con un linguaggio diretto, riscattando concetti ancora poco articolati con le nuove forme di evangelizzazione - un compito urgente per la teologia attuale - il Papa descrive, a mo' di riflessione, l'esperienza di testimoni che vissero la fede che è speranza, in diverse situazioni della vita temporale (n. 37), veri e propri ambiti di apprendimento e di esercizio della speranza.
Nel presentare in forma pastorale la sofferenza, il giudizio, l'inferno, il purgatorio, la resurrezione della carne, la giustizia che è speranza perché è anche grazia, in un linguaggio figurativo e persino metafisico, accogliamo l'insegnamento dell'enciclica con questa riflessione di vita: vivere i "novissimi", nelle condizioni e con i limiti del nostro tempo, implica il fondare la nostra fede che è speranza fondata sul mistero di Dio che, nella persona di Gesù Cristo, genera la vita passando per la morte e si fa fonte di vita, attraverso lo Spirito Santo, nella resurrezione.
Accogliere l'insegnamento di queste realtà significa lasciare che Dio ci parli attraverso il mistero pasquale di Cristo, nostra speranza, ma anche della sua presenza profetica nelle persone che, con la forza dello Spirito donato da Gesù Cristo, si sono impegnate nella costruzione di un mondo più umano e hanno vissuto un progetto di grande riconciliazione, per una società dove sia più facile essere fratelli gli uni degli altri e l'amore sia meno oneroso (cfr n. 8).

(©L'Osservatore Romano - 6 giugno 2008)

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