9 luglio 2008

La tradizione giudaico-cristiana negli "Oracoli sibillini". Quei testi che profetizzavano il passato (Osservatore)


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La tradizione giudaico-cristiana negli "Oracoli sibillini"

Quei testi che profetizzavano il passato

di Mario Spinelli

Quando si parla di oracoli sibillini la persona mediamente colta o anche l'intellettuale che non abbia approfondito la letteratura cristiana antica, a tutto pensa tranne che a un contenuto, a un messaggio giudaico-cristiano. La Sibilla, o meglio le Sibille - perché erano tante, in tutto il Vicino Oriente e il mondo mediterraneo, ma c'era pure una Sibilla Eritrea - erano le più famose, consultate e venerate profetesse dell'antichità pagana, sacerdotesse di Apollo e rivelatrici di oracoli e di responsi da un lato sibillini - l'aggettivo viene da lì, a indicare i contenuti ambigui, ermetici, aperti dei vaticini delle Sibille, specie di quella Cumana, celeberrima in Italia - dall'altro inquietanti, negativi e spesso catastrofici.
Eppure una figura così centrale ed emblematica del paganesimo greco-romano e anche vicino-orientale è entrata a vele spiegate nella tradizione prima giudaica e poi cristiana, come ci dimostra la prima traduzione italiana degli Oracoli sibillini (questa volta è un titolo): la più complessa e composita raccolta poetica dell'antica letteratura cristiana - ma specialmente giudaica, in verità, e quindi giudaico-cristiana - dei primi secoli. Gli Oracoli sono apparsi di recente nei "Testi Patristici" di Città Nuova, introdotti, tradotti e annotati da Mariangela Monaca, (Roma, 2008, pagine 254, euro 18).
Nelle pagine introduttive (corredate da ampia e aggiornata bibliografia) la curatrice presenta sistematicamente l'argomento, illustrando l'opera delle Sibille antiche, in particolare di quella romana, e mettendo in luce tutta una sorprendente tradizione di stima, di ascolto e di ricezione del messaggio sibillino da parte delle due culture del Libro Sacro. Da Clemente Alessandrino a Lattanzio, da Origene a Tertulliano, da Eusebio ad Agostino gli autori cristiani, sulla scia della similare tradizione giudaica, vedono nella Sibilla una figura positiva del paganesimo, e nelle sue profezie un riflesso della rivelazione divina e del messaggio biblico: non già come scritti canonici e propriamente ispirati, s'intende, ma come espressioni comunque fedeli del piano divino, e a volte quindi coerenti con le profezie e gli insegnamenti della Bibbia.
Molti Padri hanno dialogato a lungo con il paganesimo, si sa, non limitandosi a condannarlo ma cercando di isolarne gli elementi validi. Gli Oracoli sibillini sono una testimonianza concreta e clamorosa, anche se tutto sommato ancora poco nota, della giudaizzazione-cristianizzazione di un certo paganesimo, più nobile e condivisibile, spiccatamente religioso e profetico, come quello difeso da Cecilio nell'Octavius di Minucio Felice, per intenderci. Come tali, gli Oracoli si pongono all'incrocio di diverse credenze, entrando con una loro forza e unicità nel novero della letteratura apocrifa, pseudoepigrafa, esoterica e sincretistica antica e tardoantica. Qui risiede, crediamo, la ragione principale del loro valore, della loro originalità e dei motivi di interesse che anche il pubblico odierno - cristiano e non - può trovare in un'opera poetica così insolita e per certi versi astrusa com'è quella di cui parliamo. La figura e il ruolo della Sibilla, d'altronde, non raggiungono il XXI secolo direttamente dall'antichità, ma sono passate attraverso una mediazione ultramillenaria, e anche illustre. Basti pensare all'influenza che questa figura sacra e profetica, severa e misteriosa del mondo antico ha esercitato su opere, autori e artisti di primo piano come i medievali Dies irae e Dante, come Giotto e Calderon de la Barca, come Raffaello e soprattutto come il Michelangelo degli affreschi della Sistina.
Negli Oracoli il lettore si imbatte pure in una sorta di biblioteca della letteratura di rivelazione, formatasi nell'arco di ben nove secoli, dal secondo avanti Cristo al settimo dopo Cristo. Dodici libri - mancano il IX e il X, sicché gli ultimi secondo la tradizione manoscritta vanno dall'XI al XVI - dove l'insistenza sui temi principali, l'omogeneità dello stile e la coerenza degli accenti e dei toni appaiono impressionanti se confrontati con il carattere estremamente composito, frammentario e con la durata quasi millenaria della loro gestazione. Sono tutti scritti in esametri greci, il verso dei responsi sibillini pagani e in genere di tutta la letteratura profetica.
Quali sono, dunque, i temi più ricorrenti, i motivi più replicati e insistiti negli Oracoli sibillini? Uno degli argomenti che colpiscono di più è rappresentato senz'altro dalla polemica antiromana, eco della nota, lunga, indomabile insofferenza giudaica al dominio imperiale di Roma. L'Urbe è presente in quasi tutti i libri, ne viene di volta in volta condannata la corruzione, la violenza e la prepotenza, e soprattutto ricorre di frequente il preannuncio della sua fine, della sua distruzione storica e materiale. Motivo, questo, che si inquadra e si salda con l'altro aspetto fondamentale degli Oracoli, e cioè lo spazio dato alle profezie apocalittiche e all'evocazione delle prospettive escatologiche. Antiromanismo, apocalittismo ed escatologismo sono in definitiva i filoni portanti di questi antichi, controversi ma fortunati libri profetici, dove a volte però la profezia è solo apparente, in quanto artatamente riferita a eventi già accaduti e lontani. Per esempio, l'ultima redazione del libro XVI è del VII secolo, eppure ai versi 208-209 si legge: "Ahi, tu, città consumata dal fuoco, vigorosa Roma, quanto dovrai soffrire quando tutto ciò accadrà!". L'Impero romano d'occidente era già caduto da quasi due secoli!
Significativi, inconfondibili i contributi e le interpolazioni cristiane. Su dodici libri due sono considerati dalla critica interamente cristiani (VI e VII), tre giudaici e cristiani (I, II e VIII), mentre in uno, il V, si sono individuate interpolazioni cristiane. Su varie direttrici i contenuti giudaici e cristiani concordano, come nella visione antiromana, anche se il cristianesimo antico non era contrario in toto a Roma. Originali sono invece, ovviamente, i motivi squisitamente cristologici e neotestamentari (Cristo, la redenzione, il battesimo, la croce, la predicazione apostolica, la risurrezione, il giudizio e così via). Spicca in tal senso il celebre acrostico del libro VIII, dove le lettere iniziali di trentaquattro versi (216-250) compongono la frase "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore", seguita dalla parola "Croce". Tuttavia gli esametri in questione riecheggiano anch'essi il tono e gli spunti apocalittici e catastrofici che dominano in generale tutti i libri.

(©L'Osservatore Romano - 9 luglio 2008)

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