12 agosto 2008

L'appello di pace del Papa: "Non si spezzi la tavola dei popoli fratelli" (Vaccari)


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L’APPELLO DI PACE DEL PAPA

NON SI SPEZZI LA TAVOLA DEI POPOLI FRATELLI

FRANCO VACCARI

Sono i georgiani che hanno insegna­to ai russi la tradizione del brindisi: un rito accurato e lungo, affidato all’an­ziano
tamadà, che si intreccia nei signi­ficati con l’adagio italiano che ferma il tempo a tavola, luogo dove non si in­vecchia. Ma la tavola dei fratelli russi e georgiani oggi si è quasi spezzata e la lunga storia, fatta certamente di conflit­ti, ma anche di intensi scambi e di co­muni interessi, sembra affievolirsi e per­dersi. Anzi i legami e le connesse spe­ranze che lentamente stavano crescen­do dietro la vetrina mediatica si dissol­vono nuovamente, lasciando desola­zione e morte in Ossezia, Abkhazia, Georgia, Russia, ma l’elenco potrebbe continuare, snodandosi tra le aspre montagne caucasiche, dove restano in­castonati dolori e odii, tracciando un i­tinerario che dal Mar Nero giunge al Ca­spio, collegando decine di popoli e di lingue.
Sotto una cappa di umiliazione cocen­te, un’altra generazione, quella che ave­va solo nei ricordi d’infanzia gli ultimi carri armati passati sotto casa, rischia nuovamente di lasciare gli studi e il fu­turo per indossare una divisa e sparare contro un nemico che interessi diversi costruiscono o addirittura inventano. Ma i popoli non hanno nemici. E il fu­turo di pace può venire dalle giovani ge­nerazioni che lo vogliono sopra ogni co­sa. Molto più di qualche metro di terra o di qualche barile di petrolio.
Su questa nuova frattura in atto, che ci riguarda molto più di quanto l’opinione pubblica non creda, si è levata la voce del Papa.

Ancor più forte, per contrasto con gli interventi imbarazzati di tanti e i di­sorientati silenzi di troppi altri. Lo sguar­do di Benedetto XVI dovrebbe essere un po’ lo sguardo di tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’umanità e special­mente di questa parte di Europa che in una manciata di chilometri diventa Asia. Uno sguardo che vede e indica la «co­mune eredità cristiana» dei popoli coin­volti, come sostanza su cui fondare una convivenza rispettosa e pacifica.

I monasteri germogliano da secoli sulle montagne caucasiche come nella step­pa russa e le fioriture d’arte sacra si ri­chiamano con un linguaggio unico, so­pravvissuto alla stagione della persecu­zione sovietica, come il pane che sta sot­to la neve. Comune eredità cristiana, ap­punto, che aveva raccolto eredità più an­tiche. La cultura greco-romana, infatti, è fierezza per entrambi i popoli. Mosca non dimentica mai di chiamarsi la 'ter­za Roma' e i georgiani custodiscono con orgoglio la stele che indica il confine del­l’impero di Traiano. Le case che si affac­ciano su quel simbolo hanno addirittu­ra un valore commerciale aggiunto. Co­mune eredità che sembra d’improvviso polverizzarsi pur affondando le radici addirittura nell’antica cultura classica. Cultura che pur sapeva deporre le armi quando il tedoforo accendeva ad Olim­pia il fuoco dei giochi. Sembra che il se­me della barbarie prenda forza e anni­chilisca la faticosa crescita culturale che traversa i secoli, togliendo peraltro l’il­lusione che il progresso sia automatico. La coscienza, se non vigila, si assuefà, ri­tenendo normale la convivenza del tem­po della pace e della guerra. Il mondo sembra diventato un immenso centro commerciale dove, entrando, si può tro­vare di tutto. E quell’abbraccio sul podio olimpico tra l’atleta russa e quella geor­giana, che balenava sullo sfondo già o­paco dei diritti umani calpestati, sembra sbiadirsi tra i fuochi del conflitto. Ades­so, alla conta dei morti, rischia di di­ventare un simbolo svuotato, un simu­lacro insopportabile per la coscienza. Il volo del tedoforo si schianta sull’imma­gine che adesso ruba la prima pagine: il dolore di un uomo col proprio caro mor­to tra le braccia.
Su questa scena di pietà, l’Olimpiade è un fondale lacerato. Nel­lo squarcio aperto dall’ennesima ferita di guerra, molti dubbi ci assalgono men­tre si rafforza una certezza: non c’è fu­turo senza una cultura fondata sui dirit­ti dell’uomo.

© Copyright Avvenire, 12 agosto 2008

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