10 maggio 2007

Intervista a Clodovis Boff (fratello di Leonardo)


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Intervista a Clodovis Boff (10 maggio 2007)

«Così è cambiata la teologia della liberazione»»

Luigi Geninazzi

Insieme con il fratello Leonardo è uno dei più noti esponenti della teologia della liberazione. Padre Clodovis Boff è stato missionario in Amazzonia, ha insegnato in varie città del Brasile e attualmente fa la spola tra l’Università cattolica di Curitiba e l’istituto Marianum di Roma dove tiene un corso su «Maria nella dimensione sociale». Alla vigilia della Quinta Conferenza del Celam ha scritto un interessante articolo per la Reb, la Revista ecclesiastica brasileira, dove afferma che la Chiesa latino-americana deve partire dall’esperienza di fede e non dall’analisi sociale. È lo spunto per un dialogo pieno di sorprese.

Padre Clodovis, quel che lei ha scritto non è forse un cambiamento radicale rispetto alla teologia della liberazione?

«Sì, è un cambiamento ma non così radicale. Voglio ricordare che le comunità di base in America Latina sono partite dall’esperienza di fede ma poi, durante il cammino, avendo incontrato la drammaticità della situazione sociale, hanno un po’ dimenticato il loro punto di partenza. Ecco, bisogna tornare all’origine, alla fonte dell’impegno sociale».

Lei si definisce ancora come un teologo della liberazione?

«Non m’interessano le etichette. Io intendo la teologia della liberazione non come una realtà a sé stante ma come una corrente di pensiero all’interno della tradizione della Chiesa che ha avuto il merito di riproporre un aspetto fondamentale, quello dell’impegno sociale che nasce dalla fede. Più che di teologia della liberazione, io preferisco parlare della teologia cristiana che assume e svolge coerentemente la dimensione liberatrice dell’uomo che è intrinseca al messaggio evangelico. Questa dimensione è stata pienamente riconosciuta dal magistero pontificio. Né Giovanni Paolo II né il suo prefetto per la Congregazione della fede l’hanno mai condannata».

Mi permetta: ci sono state due Istruzioni dell’allora cardinale Ratzinger contro la teologia della liberazione...

«Le Istruzioni del 1984 e del 1986 segnalavano due punti critici della teologia della liberazione: la politicizzazione della fede e l’assunzione, con il metodo marxista, di una concezione materialista della storia. Ma il progetto di fondo non è stato condannato».

Cosa s’aspetta dalla prossima visita di Benedetto XVI in Brasile?

«Mi aspetto il rafforzamento dell’identità cattolica del popolo brasiliano, sempre più sottoposto alle sfide della secolarizzazione e dell’avanzata delle sette pentecostali».

Il fenomeno delle sette mostra che i poveri sui quali puntava la teologia della liberazione hanno scelto invece la teologia del successo e della prosperità. Non è paradossale?

«Lo è, purtroppo. A furia di parlare del cambiamento delle strutture in una prospettiva di lungo periodo abbiamo tralasciato di rispondere ai bisogni immediati della gente. Ha ragione Papa Ratzinger quando nell’enciclica Deus caritas est invita a riscoprire il valore della carità sociale».

Suo fratello Leonardo dice che questo Papa è difficile da amare. È così che la pensano i brasiliani?

«Ma no, il Papa rappresenta un’identità fortissima in cui si riconosce la stragrande maggioranza dei brasiliani. È un rapporto affettivo, quasi viscerale. Poi, è vero – ride padre Clodovis –, c’è qualcuno che lo critica, come mio fratello Leonardo. Ma si tratta di una piccola minoranza».

E lei cosa pensa di questo Papa?

«Penso che sia arrivato al momento giusto. C’era bisogno del suo richiamo, semplice e forte, a riscoprire l’identità cattolica e la centralità della persona di Cristo. Viviamo un momento di smarrimento, anche dentro la Chiesa messa a dura prova dalla sfida della modernità. Benedetto XVI mette le cose in chiaro».

Padre Clodovis, perché il suo nome non compare tra i teologi della liberazione che hanno firmato un documento di solidarietà con Jon Sobrino, oggetto di una Notifica della Congregazione per la dottrina della fede?

«Ci sono problemi che vanno affrontati a livello dottrinale e non possono essere risolti con proclami di solidarietà. Qui non è in discussione la persona di Sobrino, che io stimo, ma il contenuto di alcune sue affermazioni teologiche che vanno chiarite e rettificate».

Avvenire, 10 maggio 2007

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