30 aprile 2008

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Simboli e umanità nell'iconografia di san Giuseppe lavoratore

Vita quotidiana e familiare di un buon falegname (e ottimo papà)

di Stefania Colafranceschi

I Vangeli non fanno riferimento all'attività di Giuseppe: se ne parla solo in occasione della discussione sulla provenienza del Cristo: "Non è costui il falegname, il figlio di Maria ?".
Il termine usato dagli evangelisti - tèkton - tradotto con "falegname", può assumere il significato di "carpentiere" e "fabbro". L'apologista Giustino nel Dialogo con l'ebreo Trifone, composto intorno al 155, riferisce che Gesù faceva aratri di legno e gioghi. E nell'apocrifo dello Pseudo-Matteo e nella Storia di Giuseppe falegname si dice espressamente che Giuseppe "era ben istruito nella saggezza e nell'arte della falegnameria".

L'iconografia trasmette sporadicamente questo aspetto di san Giuseppe faber lignarius: si segnalano due miniature del dodicesimo e tredicesimo secolo relative alla scena del ritorno di Giuseppe dai cantieri, in cui si evidenzia l'uso di strumenti da lavoro: nella prima una sega e nell'altra un'ascia.

Queste figurazioni, attribuite a maestranze del nord-Italia, non erano frutto del caso; una corrente dottrinale, infatti, ha inteso vedere nel santo che lavora per fabbricare oggetti utili, l'immagine del Padre celeste, artefice di tutte le cose, o anche lo Spirito santo, santificatore.
E Massimo il confessore (+ 662): "Esercitava il mestiere di carpentiere, esperto nell'arte più di tutti gli altri carpentieri: infatti doveva essere al servizio del vero architetto, il creatore e carpentiere di tutte le creature". Si trattava, in definitiva, di un discorso esegetico che presentava in chiave simbologica - tipo/anti-tipo - il personaggio e il suo mestiere, ponendolo in stretta relazione con la divinità e la sua opera salvifica: Adamo-Eva = Giuseppe-Maria = Cristo-Chiesa; Dio artefice del creato = Giuseppe artigiano di manufatti.
Sul piano testuale, le fonti d'ispirazione nel medioevo furono principalmente due: la Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze, enciclopedica raccolta di vite dei santi a uso dei predicatori, a cui attinsero ampiamente anche gli artisti, e le Meditationes dello Pseudo-Bonaventura, opera mistica di ambito francescano, in cui nel capitolo sulla permanenza in Egitto si legge: "Trovano una casetta e vi restano per sette anni(...) Ho letto da qualche parte che la Signora procurava il necessario alla vita per sé e per suo figlio tessendo e cucendo(...) In più, c'era quel santo vecchietto di Giuseppe che, come falegname, si dava da fare".

Nell'arte paleocristiana, la figura di san Giuseppe venne rappresentata con intenti narrativi e didascalici, quale elemento provvidenziale della Redenzione. E per connotarlo visivamente, una sega al suo fianco, come vediamo ad esempio nell'Evangeliario di Milano, del quinto secolo; una figurazione affine compare nel riquadro di seta sargia, appartenente al tesoro del Sancta Sanctorum al Laterano in Roma, risalente al sesto secolo. Si andava affermando la rappresentazione del faber lignarius, "un tipo carico di realismo, e perciò coerente con lo spirito della società occidentale: la quale, come ad esempio preferì vedere il martire non nella ieratica trascendenza dell'arte orientale, ma nella realtà della sua sofferenza e conseguentemente lo raffigurò con gli strumenti della sua passione, allo stesso modo volle vedere Giuseppe in una dimensione tutta umana: uomo dunque tra gli uomini, non diverso dagli altri solo perché eletto a rendere testimonianza del grande avvenimento dell'incarnazione".
Nel medioevo, con la fioritura delle sacre rappresentazioni, spettacolo di piazza edificante, Giuseppe presenta i tratti del padre operoso e accogliente: sistema la paglia, giaciglio di fortuna nella povera stalla, dove il Bambino giace come ostia di splendente candore, nell'oscurità della grotta. E porta fascine, accoglie i pastori offerenti, esprimendosi nel linguaggio umano dei sentimenti.
Il rinascimento, poi, vede affermarsi nuove figurazioni, ispirate alle Rivelazioni di santa Brigida: Giuseppe va in cerca di un lume, di fuoco, di cibo. La sua immagine si arricchisce di aspetti, gesti e motivi, tratti dalla quotidianità, assumendo sempre più un profilo realistico e attualizzato.
Mentre fino al rinascimento Giuseppe veniva raffigurato all'interno del ciclo dell'infanzia, e mai isolatamente, l'affermarsi del culto, nel corso del quindicesimo secolo, determinò tipologie innovative che ne accentuavano il ruolo di padre putativo, educatore, intercessore e patrono. Ciò si deve, innanzitutto, all'azione degli ordini mendicanti, promotori di una pietà più vicina alla sensibilità dei fedeli: in Italia san Bernardino da Feltre e san Bernardino da Siena contribuirono alla diffusione del culto, sollecitandone la raffigurazione in sembianze di età matura, e non senile come d'uso; il prestigioso teologo francese Giovanni Gerson ne promosse la devozione, da esprimersi concretamente nella festa dello Sposalizio di Maria e Giuseppe.
L'introduzione ufficiale del culto è legata alla figura di Sisto IV (1471-1484): il testo non ci è pervenuto, ma la sua promulgazione è sicura, poiché il Breviario romano, pubblicato a Venezia nel 1479, offre per la prima volta, al 19 marzo, la festa del santo.
Gregorio XV, nel 1621, ne decretò la festa, tra quelle comandate; a partire da questa data, si registra un impulso particolare della produzione artistica, dovuto soprattutto alla committenza di gruppi laicali, confraternite, compagnie d'arti e mestieri, istituti religiosi, che ne invocavano il patrocinio, e vollero dotarsi di opere d'arte rappresentative. È di questo periodo una molteplicità di realizzazioni: cicli pittorici, pale d'altare destinate alla decorazione di omonime cappelle, statue, incisioni, reliquiari, medaglie.
Per quanto riguarda, specificamente, l'attività artigianale, la prima scena di lavoro che vede Giuseppe intento al banco di falegname, è quella riferita al miracolo dell'asse allungata, di derivazione apocrifa. Si narra come il falegname, trovandosi alle prese con un'asse dalla lunghezza non corrispondente a quanto ordinatogli, trovasse aiuto nel bambino Gesù, che prodigiosamente intervenne dicendogli di tirare insieme l'asse, allungata come occorreva: la scena è narrata nell'Evangelica Historia, opera trecentesca di ambito lombardo: "Quando Gesù aveva otto anni, Giuseppe faceva il falegname e lavorava col legno. Un giorno un uomo ricco lo pregò dicendo: signor Giuseppe, vi prego che mi facciate un letto ottimo e bello, e gli fornì il legno per l'opera. Giuseppe preso il legno cominciò a misurarlo: non andava bene però per fare quel mobile, perché l'aveva tagliato (male).

Si angustiava Giuseppe, perché non riusciva a fare come voleva. Il fanciullo Gesù vedendo Giuseppe rattristarsi, gli disse: non angustiarti, ma prendi il legno da un capo e io lo prenderò dall'altro, e lo tirerò quanto possiamo. Fatto questo, Giuseppe si accinse di nuovo a misurare il legno e lo trovò ottimo per quel lavoro. Visto quello che aveva fatto Gesù, Giuseppe lo abbracciò dicendo: "Sono felice che Dio mi ha dato un tale fanciullo"". L'episodio venne a lungo tramandato, divenendo parte integrante della tradizione orale.

Ma la scena di lavoro più largamente rappresentata, fu la Sacra Famiglia nella bottega, i cui primi esemplari si ebbero all'inizio del sedicesimo secolo - Albrecht Durer (1471-1528), Luca Cambiaso (1527-1585), Federico Barocci (1535-1612), Bartolomeo Schedoni (1578ca-1615). Questa iconografia intendeva descrivere la vita quotidiana a Nazaret, secondo il gusto per il naturalismo e lo stile descrittivo invalso nell'arte sacra.
Lo schema figurativo presenta Maria, intenta a cucire o filare, Giuseppe falegname al suo banco da lavoro, alle prese con l'accetta, la sega, o la pialla, contornato dagli attrezzi e dalle travi - generalmente tre - e Gesù operoso, impegnato nell'apprendistato, o nelle piccole incombenze domestiche.
Nel periodo della riforma cattolica si dedicò particolare attenzione alle immagini, quale tramite per richiamare ideali di operosità; e soprattutto con l'istituzione della festa liturgica nel 1621, il tipo iconografico del santo falegname conobbe una speciale fioritura, e venne arricchito di elementi simbologici, funzionali agli intenti catechetici di cui l'arte doveva farsi interprete. All'interno del contesto narrativo della Sacra Famiglia, intessuto di aspetti leggendari e dottrinali, troveranno spazio elementi che esplicitano il presagio della Passione, innanzitutto nel motivo iconografico della croce, presente in modo figurato o in via di realizzazione; inoltre, il tema è richiamato dagli strumenti da lavoro, che alludono significativamente agli strumenti della Passione, e ancora, è rievocato dai simboli eucaristici.
Gli strumenti, la croce, i simboli, richiamano così alla mente dell'osservatore non solo il mestiere compiuto dal padre e dal figlio, ma soprattutto il progetto salvifico che quegli strumenti avrebbero portato a compimento. Assumevano, dunque, una valenza simbolica archetipica, tale da potersi riproporre in altre scene del ciclo santorale, al di fuori del proprio contesto narrativo: figurano infatti nelle scene del Sogno, come si vede nella maiolica settecentesca di Monticchio - sita nel chiostro del monastero del Santissimo Rosario di Monticchio a Massa Lubrense (Napoli) - o nella Natività della Chiesa di san Francesco a Camerano (Ancona), o in varie raffigurazioni del Transito.
L'iconografia della Sacra Famiglia nella bottega del falegname, dunque, si fa portatrice di temi e motivi profondi e significativi, a partire dal diciassettesimo secolo, improntando figurazioni nuove, pur attingendo al repertorio iconografico tradizionale. La spiritualità della riforma cattolica portò infatti all'innovazione dei moduli consueti, e altri ne determinò. Questo il processo riscontrabile nelle seguenti figurazioni.
In primo luogo si propone la raffigurazione dell'Oratorio del Binengo di Sergnano (Cremona): opera di fattura popolaresca, dall'impianto figurativo essenziale, mostra un originale motivo iconografico sullo sfondo, una torre, simbolo mariologico, da cui provengono gli angeli recanti le travi. Mentre Giuseppe pialla, Maria cuce, e Gesù adolescente spazza; si legge, nella Mistica Città di Dio di suor Maria de Agreda (1717), come nella vita familiare Maria e Gesù riordinano e riassettano l'ambiente di lavoro .
Più ricercata l'impostazione della Sacra Famiglia attribuita a Giulio Clovio (1498-1598), pergamena dipinta della Fondazione Querini-Stampalia (Venezia): un fitto pergolato sovrasta la scena, in cui campeggia il Bambino, in candida veste, che trattiene un fiore allusivo alla futura Passione. Giuseppe lavora al bancone, mentre gli angeli dispongono il legno, in piccoli pezzi. Nel cesto di Maria, la veste azzurra che richiama la divinità, la natura divina che Cristo assumerà.
Vari dettagli simbologici richiamano la nostra attenzione: i legni tra le mani dell'angelo chinato, dall'apparenza di canne spezzate, sono tre, come tre quelli nel cesto, di cui uno, ricurvo, descrive una croce sovrapponendosi all'ultimo legnetto. La canna raffigurata, sembra richiamare il momento delle battiture inflitte al Cristo nel Pretorio, così come l'uva del pergolato richiama il sangue versato per la Redenzione degli uomini. Ancora, i tre vasi di fiori si differenziano per il loro contenuto: quello accanto a Giuseppe è spoglio, mentre quello più prossimo al Bambino è fiorito e rigoglioso; in lontananza, il giardino circoscritto da mura rievoca il tema dell'Hortus Conclusus.
Ancora più esplicito il riferimento eucaristico nella Sacra Famiglia di Jan Soens (1547ca-1610-11), in cui campeggia una vite avviluppata al tronco centrale, il cui frutto maturo viene offerto da un angelo che si fa incontro all'osservatore; il Bambino prende per mano Giuseppe, per volgerlo verso Maria intenta a cucire la veste della Passione.
Una linea ideale congiunge il volto di Maria, lungo l'asse visivo della tettoia di paglia, alla figurazione dell'uccellino, che simbolizza il paradiso. E un'altra linea ideale sembra riconnettere lo sguardo della madre, dapprima al figlio, e successivamente alla mano operosa del falegname.
Il gioco di sguardi è emblematico nella seicentesca Sacra Famiglia del Maestro di Serrone, oggi nel museo diocesano di Foligno, in cui il Bambino, dall'espressione intensa, sta annodando due legnetti, in foggia di croce, con un filo proveniente dal gomitolo nel cesto, significativamente posato su un libro di piccole dimensioni, che allude alla Scrittura. E accanto, il drappo azzurro che simbolizza il divino.
Caratteristica la Sacra Famiglia di Cesare Mariani (1828-1901) - nella chiesa romana di san Giuseppe dei Falegnami - in cui la croce domina la scena, efficace richiamo visivo, insieme alla veste rossa di Gesù, che richiama la Passione.
Di particolare valore simbologico, l'opera del pistoiese Giuseppe Catani Chiti, che partecipò al concorso nazionale di Torino per una Sacra Famiglia, nel 1898. Il trittico in cui è inserita la rappresentazione, denota il gusto per la tradizione pittorica senese; il fulcro della composizione risiede nella particolarità del giogo sulle spalle di Gesù, iconografia di ispirazione francescana, presente nella vela dell'obbedienza nella basilica inferiore ad Assisi. L'iscrizione evangelica che appare sul giogo iugum meum suave est, richiama la mite sottomissione del Cristo, quale figlio nella Sacra Famiglia, e con accentuato simbolismo allude all'obbedienza evangelica; Giuseppe trattiene tra le mani una parte dell'aratro in costruzione, di cui l'elemento in primo piano è una componente. Molti i dettagli rivelatori di una profonda cultura scritturistica e simbologica: le lumeggiature radiali, l'arcobaleno, il colorismo delle figurazioni.
Il pittore contemporaneo Rodolfo Romano ha realizzato nel 1990 La Famiglia di Nazaret. Qui Giuseppe è il protagonista di primo piano, lavora una croce, dinanzi a una tavola su cui si nota una brocca, del pane, e frutti simbologici: una mela e dell'uva.
La stella davidica, distinguibile nella decorazione a parete, richiama la stirpe; il fuoco manifesta lo Spirito. Sul pavimento, la luce della finestra proietta un'ombra a forma di croce; è segno dell'estremo abbassamento. L'insieme dei temi e motivi che l'iconografia ha espresso, riguardo la figura di Giuseppe artigiano, si rispecchiò infine nelle immaginette sacre, in un processo di continuità che attesta, al di là dei limiti spazio-temporali, la persistenza di moduli figurativi di molto anteriori, e la cui lettura, e decifrazione, apre la via a cognizioni di sorprendente valenza culturale. Un santino, particolarmente rappresentativo della tipologia in esame, illustra la Sacra Famiglia nella bottega; qui anche Gesù ha l'abito da lavoro, conformandosi a Giuseppe, che presenta - specie a partire dall'istituzione della festa di Giuseppe patrono del lavoratori, decretata da Papa Leone XIII nel 1889 - l'abito da operaio, non più il saio o l'abito confraternale, di cui era precedentemente rivestito.

(©L'Osservatore Romano - 1 maggio 2008)

Il giornalista de "Le Figaro", Hervé Yannou, scrive a Tornielli per "spiegarsi" ma la toppa è più grande del buco...

Su segnalazione di Alessia veniamo a sapere che il giornalista de "Le Figaro" ha inviato una lettera ad Andrea Tornielli per "spiegare" il contenuto del suo articolo sulla salute (peraltro splendida) di Benedetto XVI.
La mail e' consultabile qui, sul blog di Tornielli.
A Hervé Yannou vorrei assicurare che non abbiamo frainteso il suo articolo perche' in francese, anzi...abbiamo ottimi traduttori :-)
Penso che abbiamo afferrato in pieno il senso di certe affermazioni. Per questo non abbiamo esitato a criticarlo
.
Raffaella

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Il Pontefice incontra una delegazione islamica iraniana

Il Papa ha ricevuto stamattina, mercoledì 30 aprile, in una sala dell'Aula Paolo VI, i partecipanti al colloquio congiunto promosso dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso con otto rappresentanti dell'"Islamic Culture and relations organization" di Teheran. L'incontro tra Benedetto XVI e la delegazione iraniana ha avuto luogo verso le ore tredici al termine dell'udienza generale, e ha concluso i colloqui iniziati lunedì 28 aprile sul tema "Fede e ragione nel cristianesimo e nell'Islam", sotto la presidenza congiunta del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero vaticano, e del dottor Mahadi Mostafavi, presidente dell'"Islamic Culture and Relations Organization".
Il Papa si è detto particolarmente soddisfatto per la scelta del tema e del luogo del colloquio congiunto. Il prossimo si svolgerà a Teheran entro due anni e sarà preceduto da un incontro preparatorio.
Quello tenutosi dal 28 al 30 aprile è il sesto colloquio di questo genere. La delegazione del Pontificio Consiglio era composta dall'arcivescovo Pier Luigi Celata, dall'arcivescovo Ramzi Garmou, da monsignor Khaled Akasheh, da monsignor Piero Coda, dal gesuita Michel Fédou, dal professor Vittorio Possenti e dalla dottoressa Ilaria Morali. La delegazione islamica era composta dagli Hojjat al-Islam Jafar Elmi e Mohammad Masjedjamei, dal dottor Abdolarhim Gavahi, dagli Hojjat al-Islam Seyyed Madhi Khamoushi e Hamid Parsania, dal dottor Rasoul Rasoulipour e dal signor Mohsen Daneshmand.
Con l'aiuto di sei documenti, presentati da tre studiosi di entrambe le parti, i convegnisti hanno analizzato il tema generale che è stato sviluppato mediante tre sottotemi dal punto di vista dei cattolici e dei musulmani sciiti: "Fede e ragione: quale relazione?"; "Teologia/Kalam come indagine sulla razionalità della fede"; "Fede e ragione di fronte al fenomeno della violenza".
Alla fine dei lavori i partecipanti hanno concordato su sette punti.

Primo: fede e ragione sono entrambi doni di Dio all'umanità.

Secondo: fede e ragione non si contraddicono; anche se in alcuni casi la fede può essere al di sopra della ragione, ma mai contraria ad essa.

Terzo: fede e ragione sono intrinsecamente non violente. Né la ragione né la fede si dovrebbero utilizzare per la violenza; purtroppo, a volte, entrambe sono state mal utilizzate per perpetrare la violenza. In ogni caso questi eventi non possono mettere in dubbio né la ragione né la fede.

Quarto: entrambe le parti hanno deliberato di cooperare ulteriormente per incoraggiare una religiosità autentica, in particolare la spiritualità per promuovere il rispetto dei simboli sacri e valori morali.

Quinto: cristiani e musulmani dovrebbero andare oltre la tolleranza, accettando le differenze, rimanendo consapevoli delle cose che hanno in comune e rendendo grazie a Dio per esse. Sono chiamati al rispetto reciproco, quindi a condannare la derisione dei credi religiosi.

Sesto: si dovrebbero evitare generalizzazioni quando si parla di religioni. Le differenze tra le confessioni in seno al cristianesimo e all'islam e la diversità dei contesti storici sono fattori importanti da prendere in considerazione.

Settimo: le tradizioni religiose non si possono giudicare sulla base di un singolo verso o passaggio presente nei rispettivi libri sacri. Sono necessari una visione olistica e un adeguato metodo ermeneutico per una loro corretta comprensione.

I partecipanti hanno espresso la propria soddisfazione per il livello degli interventi dei dibattiti e per l'atmosfera amichevole durante il colloquium.

(©L'Osservatore Romano - 1 maggio 2008)

Recitiamo il Santo Rosario...


Dal Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio:

Santo Rosario

Misteri della gioia

(da recitare lunedì e sabato)

L'annuncio dell' Angelo a Maria.

La visita di Maria a Elisabetta.

La nascita di Gesù a Betlemme.

La presentazione di Gesù al Tempio.

Il ritrovamento di Gesù nel Tempio.

Misteri della luce

(da recitare giovedì)

Il battesimo di Gesù al Giordano.

L'auto-rivelazione di Gesù alle nozze di Cana.

L'annuncio del Regno di Dio con l'invito alla conversione.

La trasfigurazione di Gesù sul Tabor.

L'istituzione dell'Eucaristia.

Misteri del dolore

(da recitare martedì e venerdì)

Gesù nell'orto degli ulivi.

Gesù flagellato alla colonna.

Gesù è coronato di spine.

Gesù sale al Calvario.

Gesù muore in Croce.

Misteri della gloria

(da recitare mercoledì e domenica)

Gesù risorge da morte.

Gesù ascende al cielo.

La discesa dello Spirito Santo.

L'assunzione di Maria al cielo.

Maria, Regina del cielo e della terra.

COME SI RECITA IL SANTO ROSARIO:

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

O Dio vieni a salvarmi.

Signore, vieni presto in mio aiuto.

Gloria...


Ad ogni Mistero si recita 1 Padre Nostro, 10 Ave Maria, 1 Gloria e la giaculatoria:

«Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell'inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia».

AL TERMINE DEL SANTO ROSARIO:

Salve Regina, Madre di misericordia...

Litanie Lauretane della Beata Vergine Maria. (facoltativo)

1 Padre nostro, 1 Ave Maria e un Gloria secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, per l'acquisto delle sante indulgenze.

Preghiera alla fine del S. Rosario

Prega per noi. santa Madre di Dio.

Affinché siamo fatti degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo.

O Dio, il tuo unico Figlio ci ha acquistato con la sua vita, morte e risurrezione i beni della salvezza eterna: concedi a noi che, venerando questi misteri del santo Rosario della Vergine Maria, imitiamo ciò che contengono e otteniamo ciò che promettono. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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FOTO DI REPUBBLICA.IT

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La Turco apre all’eugenetica

L’ormai ex ministro della Salute emana nuove linee guida sulla legge 40 e raggira la norma che vieta la diagnosi pre impianto. Intervista a Assuntina Morresi, membro del Cnb

di Chiara Sirianni

Il ministro della Salute Livia Turco ha emanato le nuove linee guida della legge 40 sulle indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita previste dall’articolo 7 della legge 40, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale di oggi. Le nuove linee guida eliminano il divieto alla diagnosi reimpianto degli embrioni.

Il decreto, che aggiorna le precedenti linee guida del 21 luglio 2004, è stato firmato dal Ministro della Salute Livia Turco lo scorso 11 aprile. Insomma, anche nell’ultimo giorno da ministro, la Turco ha voluto farsi riconoscere.

Chiediamo un commento ad Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale di bioetica.

Secondo lei è stato un colpo di mano da parte di Livia Turco il fare queste modifiche l’11 aprile, quindi a ridosso delle elezioni politiche?

Assolutamente sì. È chiaro che a questo punto non aveva più niente di perdere: apportare le modifiche in tempi non sospetti avrebbe senza dubbio suscitato delle grosse polemiche durante il governo Prodi. Si tratta di un colpo di coda, un atto non so quanto legittimo, e certamente di dubbio gusto, per lasciare una patata bollente nelle mani del nuovo governo.

Si aspettava questa mossa da parte del ministro?

No. Confidavo in una maggiore correttezza.

In che direzione sono state cambiate le linee guida della legge 40?

Non sono cambiate, o meglio si è trattato di un’operazione molto più sottile: è stata eliminata, di fatto, l’analisi osservazionale, ma senza introdurre in maniera diretta la diagnosi pre impianto, che rimane vietata dalla legge. Il ministro Turco non ha fatto altro che riportare nelle linee guida la sentenza del Tar del Lazio (ottobre 2007, ndr) sentenza che ha annullato i commi delle precedenti linee guida, che limitavano la possibilità di indagine a quella di tipo osservazionale. Ciò che lei ha fatto è stato introdurre un elemento di ambiguità.

A quali rischi può portare questa ambiguità?

Al rischio che si apra un varco a criteri eugenetici. La legge 40 dice che ogni intervento sull’embrione può essere effettuato solamente a scopo terapeutico, è pensata per sostenere le coppie sterili ed aiutarle ad avere figli, non per selezionare i figli. La diagnosi pre impianto è invece un test genetico, che serve per selezionare, e non è in alcun modo terapeutica per gli embrioni. Serve solo per individuare degli embrioni con difetti genetici, quindi apre immediatamente al criterio di scartare i peggiori e prendere i migliori, vale a dire a un criterio eugenetico per definizione.

© Copyright Tempi, 30 aprile 2008

UDIENZA GENERALE: I VIDEO

VIDEO RADIO VATICANA/CTV VIDEO SKYTG24

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Su segnalazione di Marco leggiamo questa bellissima notizia:

Visita del Papa origina "tsunami" vocacional en el seminario de Nueva York

martes, 29 de abril de 2008

El P. Luke Sweeney, Director Vocacional de la Arquidiócesis de Nueva York, explicó que tras la visita del Papa a Estados Unidos, se ha generado "un tsunami, un buen tsunami de interés" de parte de muchos jóvenes que desean ser sacerdotes.

NUEVA YORK, 29 de Abril de 2008 (ACI).- Según informa el New York Daily News, el Seminario de San José en Yonkers, Nueva York, ha recibido una avalancha de solicitudes de muchachos que quieren ordenarse sacerdotes. "Me he estado reuniendo toda la semana con jóvenes y tengo muchísimos e-mails que todavía no he podido responder. Ha sido increíble", explica el P. Sweeney.

Si bien esta es una buena noticia, el Director Vocacional no olvida la realidad. "Enfrentamos una severa escasez" de vocaciones. Por esta razón, el presbítero organizó una campaña con los lemas "el mundo necesita héroes" y "tienes que ser un verdadero hombre si quieres ser sacerdote".

"Estábamos esperando que el Papa convenciera a muchos que estaban considerando el sacerdocio como el siguiente paso. Parece que lo hizo", dice sorprendido el P. Sweeney.

Este sacerdote comenta el caso de un joven de los que ahora se han acercado al seminario: "Vino, vio a la multitud" el día 19 de abril cuando el Papa se reunió con 25 mil jóvenes y 5 mil seminaristas; y "escuchó lo que el Papa decía y luego nos exhortó. Me dijo que sus preguntas y preocupaciones fueron respondidas cuando lo oyó hablar".

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Il Papa riceve esponenti islamici e cattolici che hanno partecipato ad un Colloquio su fede e ragione

Subito dopo l'udienza generale in Piazza San Pietro il Papa ha ricevuto nell’Aula Paolo VI i partecipanti al sesto Colloquio (28-30 aprile) promosso a Roma dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e dall'Islamic Culture and Relations Organization di Teheran sul tema ''Fede e ragione nel Cristianesimo e nell'Islam''.

Al termine del Colloquio i partecipanti hanno pubblicato un comunicato in cui convergono sul fatto che fede e ragione sono entrambi doni di Dio all’umanità e che non si contraddicono: anche se la fede può in alcuni casi andare oltre la ragione non è mai contro di essa; il comunicato afferma inoltre che fede e ragione sono intrinsecamente non violente e quindi non possono essere usate per giustificare la violenza, anche se questo sfortunatamente avviene. Entrambe le parti hanno convenuto di collaborare ulteriormente al fine di promuovere un’autentica spiritualità, i valori morali e il rispetto dei simboli ritenuti sacri, condannando ogni derisione delle credenze religiose. Cristiani e musulmani– aggiunge il comunicato – sono chiamati al rispetto reciproco e devono andare oltre la tolleranza, accettando le differenze pur rimanendo consapevoli di ciò che è comune, ringraziando Dio per questo.

Si esorta poi ad evitare ogni generalizzazione quando si parla delle religioni: infatti le differenze di confessioni all'interno sia del cristianesimo che dell’Islam, nonché la diversità dei contesti storici, sono fattori importanti da considerare. Inoltre – afferma il comunicato – le tradizioni religiose non possono essere giudicate sulla base di un singolo versetto o brano presente nella Bibbia o nel Corano: una visione olistica e un adeguato metodo ermeneutico sono necessari per una vera comprensione di quei testi.

I partecipanti hanno espresso la loro soddisfazione per il livello del dibattito e per il fatto che si sia svolto in un clima aperto e cordiale. Si sono detti quindi onorati e felici di essere stati ricevuti dal Papa che a sua volta si è detto particolarmente soddisfatto per la scelta del tema del Colloquio. Il prossimo Colloquio si terrà a Teheran entro due anni. (A cura di Sergio Centofanti).

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VATICANO-ISLAM/ NOTA CONGIUNTA: MAI USARE FEDE PER VIOLENZA

Fede e ragione sono intrinsecamente non violente

Città del Vaticano, 30 apr. (Apcom)

"Fede e ragione sono entrambi doni di Dio all'umanità, non sono in contraddizione l'uno con l'altro, ma la fede dovrebbe essere, in alcuni casi, al di sopra della ragione, mai contro; fede e ragione sono intrinsicamente non violente. Nè la fede nè la ragione dovrebbero essere usate per la violenza; sfortunatamente entrambi sono alcune volte mal utilizzate per perpetrare violenza". E' quanto sottolineano esponenti del Vaticano e rappresentanti islamici di Teheran, in una dichiarazione congiunta a conclusione di un summit che si è svolto a Roma dal 28 aprile ad oggi, alla presenza del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e Mahdi Mostafavi, presidente dell'Islamic Culture and Relations Organisation.

"Entrambe le parti - si legge nella nota - sono d'accordo nel rafforzare la cooperazione allo scopo di promuovere una sana religiosità, in particolare spiritualità, per incoraggiare il rispetto dei simboli considerati sacri e per promuovere valori morali".

"I cristiani e i musulmani - prosegue la dichiarazione - dovrebbero seguire il valore della tolleranza, accettando le differenze. Sono chiamati al rispetto reciproco, e a condannare la derisione dei credi religiosi. Dovrebbero essere evitate le generalizzazioni, quando si parla di religione. Le differenze di confessioni tra cristianesimo e Islam, la diversità del contesto storico sono fattori importanti da considerare. Le tradizioni religiose - aggiunge la nota - non devono essere giudicate sulla base dei singoli versetti o passi dei Libri sacri".

Infine, "i partecipanti hanno espresso la propria soddisfazione per il dibattito e per l'atmosfera aperta e amichevole durante i colloqui", così come "sono stati onorati di essere ricevuti dal Papa", che "è stato particolarmente soddisfatto per la scelta dei temi del meeting". "Il prossimo colloquio - conclude la nota - si terrà a Teheran entro due anni, preceduto da un meeting preparatorio".

COMUNICATO CONGIUNTO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO (VATICANO) E DEL CENTRE FOR INTER-RELIGIOUS DIALOGUE OF THE ISLAMIC CULTURE AND RELATIONS ORGANISATION (TEHRAN, IRAN)

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Michael Novak sulla visita del Papa negli Stati Uniti

Intervista al teologo e scrittore

di Carrie Gress

WASHINGTON, D.C., martedì, 29 aprile 2008 (ZENIT.org).

Al suo arrivo negli Stati Uniti, Benedetto XVI ha ricevuto un caloroso benvenuto che, secondo Michael Novak, lo deve aver sorpreso un poco.

Novak è teologo, ex ambasciatore presso la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite e autore di quasi 30 libri, tra cui quello di prossima uscita dal titolo “No One Sees God”.

In questa prima parte dell’intervista rilasciata a ZENIT, Novak parla di come il Papa è stato accolto negli Stati Uniti, dello scandalo degli abusi sessuali e del suo discorso agli educatori cattolici.

Qual è la sua impressione generale sull’accoglienza del Papa negli Stati Uniti?

Novak: Il Papa e i suoi accompagnatori saranno rimasti colpiti del caloroso benvenuto che la gente di Washington e di New York gli hanno dimostrato.
La Chiesa negli Stati Uniti la si può conoscere in astratto, ma quando la si paragona con le altre nazioni industrializzate si vede che la gente qui è così religiosa che le chiese sono ancora piene e la fedeltà alla Santa Sede è molto, molto forte. In un sondaggio Pew condotto prima dell’arrivo del Papa, l’80% dei cattolici ha affermato di ritenere che Benedetto XVI sta facendo un buon lavoro. Il Papa riscuote approvazione e gradimento. Non credo che sia lo stesso nella maggior parte dei Paesi europei.
Ero presente alla cerimonia di accoglienza che si è svolta alla Casa Bianca. I sentimenti di benevolenza per il Papa erano tangibili e riflettevano anche quelli fra il Papa stesso e il Presidente Bush. Questa sensazione era molto forte. Sia il Presidente che il Papa erano manifestamente contenti. Ho pensato che il Papa probabilmente non aveva mai conosciuto un protestante evangelico del Texas prima d’ora e credo che questo lo incuriosisse: l’impulsività, la franchezza e i suoi modi diretti.
Da parte sua, nel Presidente Bush era palese e palpabile l’atteggiamento di rispetto e di stima nei confronti del Papa.
Bush è grato del sostegno delle preghiere dei cattolici. Ha fatto del suo meglio per attingere alla saggezza cattolica e alla mentalità cattolica. Non credo che avremo mai un Presidente, di fatto, più cattolico di lui. Anche il “Washington Post”, l’altro giorno ha detto che secondo alcuni può essere considerato come il “primo Presidente cattolico”.

A me è sembrato - anche se non lo vedo tutti i giorni - che il Papa fosse molto contento di come era stato accolto dalla gente. Mi domando se gli europei si aspettavano questa manifestazione di grande sentimento di affetto da parte del popolo americano. L’opinione comune sugli americani è che essi sono laici, distaccati, moderni e decadenti. Nella mente di molti europei “moderno” è sinonimo di “laico”. Ma in America non è così. Qui moderno significa credente, non laico.

Cosa pensa del fatto che il Papa abbia citato più volte la questione degli abusi sessuali che ha afflitto la Chiesa in America?

Novak: Il Washington Times del 21 aprile intitolava “Pope visit soothes abuse crisis” (La visita del Papa placa la crisi sugli abusi). I giornalisti hanno molto apprezzato il modo abile e autorevole con cui Benedetto XVI ha manifestato il suo senso di vergogna, pentimento e amore sulla questione.
Inizialmente, come molti altri, sono rimasto sorpreso che Benedetto XVI, durante il volo di arrivo, abbia voluto tirare fuori il tema dello scandalo sessuale. Poi lo ha ripetuto praticamente in ogni incontro della sua visita.

Il titolo del pellegrinaggio del Papa era “Cristo nostra speranza” ed egli ci ha esortato a rinnovarci. E perché questo rinnovamento possa avvenire, occorre iniziare con la confessione dei peccati. Credo che tutti noi ci siamo vergognati. Non riesco a pensare a nulla che nella mia vita mi abbia vergognato di più del comportamento dei preti, quasi sempre con giovani maschi.

Il Santo Padre, nella sua qualità di docente, si è rivolto ai Rettori dei college e delle università cattoliche. Cosa pensa del suo discorso?

Novak: Un Rettore di un college cattolico ha detto che il discorso del Papa ha rappresentato un'ottima combinazione tra incoraggiamento (“state facendo molto bene”) e una tacita e indiretta accusa (“guarda che la fede va presa sul serio”). È come se il Papa stesse dicendo: se è una scuola cattolica, allora il primo compito è quello di consentire a tutti coloro che ci vivono e studiano di fare un’esperienza del Dio vivente; occorre essere all’altezza di ciò che significa realmente essere cattolici.

Il Papa ha un meraviglioso metodo pedagogico: ti presenta la cruda verità e poi di indirizza verso la speranza. E questo è in realtà l’intero senso del Cristianesimo: prendere il male e trasformarlo in bene.
Il Papa ha usato questo metodo con i Rettori delle università dicendo grosso modo: “Ci sono alcune cose che non vanno su cui occorre richiamare l’attenzione e che devono essere migliorate. Intanto vorrei incoraggiarvi e rafforzarvi perché ciò che state facendo, nelle più di 200 università cattoliche, non ha eguali nel mondo. State operando molto bene. Abbiate coraggio, abbiate speranza”.

WASHINGTON, D.C., mercoledì, 30 aprile 2008 (ZENIT.org).- Con l'elezione di Benedetto XVI come successore di Papa Giovanni Paolo II, ci troviamo a godere del meglio di entrambi i mondi, afferma Michael Novak.

In questa seconda parte dell'intervista rilasciata a ZENIT, il teologo, ex ambasciatore presso la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite e autore di quasi 30 libri - tra cui quello di prossima uscita dal titolo "No one sees God" -, commenta il discorso del Papa alle Nazioni Unite e parla del suo rapporto con la gioventù.
La prima parte dell'intervista è stata pubblicata martedì 29 aprile.

Cosa pensa dell'intervento del Papa alle Nazioni Unite?

Novak: In parte è stato un discorso standard, in cui ha ripreso dichiarazioni precedenti, ma un'altra parte del suo intervento è stata molto originale e incisiva. Il Papa ha voluto sottolineare che è essenziale, per le Nazioni Unite e per il mondo del futuro, tutelare la libertà religiosa. La libertà di religione è la più fondamentale delle libertà perché tutela la coscienza, che è un bene prezioso di ogni persona. Egli ha anche parlato della necessità di proteggere le minoranze religiose e, implicitamente, ha difeso il concetto di eguaglianza dinanzi alla legge e forse anche della democrazia pluralista, a difesa dei diritti umani.

Ma non si è limitato alla libertà religiosa. Le Nazioni Unite, secondo il Papa, devono lavorare per creare spazio perché la comunità dei credenti possa esprimere la propria fede e sostenerla nell'ambito pubblico. La dimensione pubblica non appartiene soltanto ai non credenti.

Questi passaggi richiamano alla mente quello scambio epistolare con il Presidente del Senato italiano, Marcello Pera, raccolto in un volume dal titolo "Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam". In questo testo, il Papa sottolinea che negli Stati Uniti la separazione fra Chiesa e Stato non è negativo, ma positivo. Lo Stato, infatti, non cerca di controllare la sfera pubblica, ma consente che in essa vi sia spazio perché i credenti possano esprimere pienamente la propria fede religiosa. Mentre Chiesa e Stato sono separati in quanto alle loro funzioni, nella vita concreta non può esservi separazione fra la dimensione religiosa e quella politica della vita. Ogni persona umana è allo stesso tempo essere religioso ed essere politico.
In quel libro, egli distingue anche fra la concezione americana della separazione fra Chiesa e Stato e quella europea, che è molto negativa. La tendenza in Europa è quella di dare allo Stato tutto il potere, tendendo ad estromettere la religione e a confinarla alla dimensione della coscienza privata. Gli europei colgono raramente in modo nitido la loro differenza rispetto agli Stati Uniti e tantomeno pensano di poterne trarre spunti utili. Questo è lo spirito che sembra aver animato molte delle sue osservazioni durante la visita negli Stati Uniti.

Nell'incontro presso la Casa Bianca, il Presidente ha citato Sant'Agostino e lo stesso Papa Benedetto XVI. E, da parte sua, il Santo Padre ha citato George Washington. È stato un momento piuttosto bello. Non ricordo che un Papa abbia mai analizzato un testo americano in modo così accademico e altrettanto comprensibile. Non è frequente sentire il Vaticano fare questo tipo di distinzioni.
Giovanni Paolo II era molto pro-americano. Amava gli americani. Non esitava a castigarci quanto riteneva che avessimo torto, ma apprezzava davvero "la fenomenologia dell'America". Apprezzava veramente il nostro senso d'insieme, così come quello del dettaglio. Ma Benedetto XVI, con la sua nota capacità analitica da tedesco, ha chiesto più precisamente: "Cosa rende questo Paese diverso? Cos'è che rende la libertà più vivibile qui? Cos'è che consente alla sfera pubblica di far convivere pienamente la religione accanto alla politica e di mantenere così fervente la fede di miliardi di persone?".

Di fronte ai giornalisti alla Casa Bianca e in molte altre occasioni, Benedetto XVI deve aver notato la presenza di numerosi cattolici nelle istituzioni e nell'ambito pubblico. Deve aver anche notato la vitalità di certe idee cattoliche come quelle della "cultura della vita", della "sussidiarietà", del "bene comune", la consapevolezza della "debolezza umana e del peccato" e l'opposizione all'aborto. Due volte, durante la Messa presso lo Yankee Stadium di New York, quando il Papa ha parlato espressamente contro l'aborto, la folla è esplosa in un fragoroso applauso. L'istanza pro-vita è particolarmente forte in America.
Alle Nazioni Unite, Papa Benedetto XVI ha sottolineato che non è sufficiente intendere la libertà religiosa come il diritto degli individui di rendere liberamente culto o di seguire la propria coscienza. La libertà religiosa significa anche che deve essere riservato uno spazio pubblico all'attività religiosa.
In altri incontri il Papa ha lodato l'operato dei cattolici in favore del bene comune negli Stati Uniti. In questo Paese vi sono circa 220 università cattoliche pubbliche, per non parlare dell'immenso sistema ospedaliero cattolico e del notevole lavoro missionario dei cattolici in favore dei poveri dell'America Latina e dell'Africa. Tutte opere pubbliche. Un buon governo deve consentire libertà di azione ai credenti, perché questi possano alimentare questo tipo di opere.

I giovani, chiamati anche i "Papa boys", avevano dimostrato grande entusiasmo per Giovanni Paolo II. Come hanno accolto Benedetto XVI, secondo lei?

Novak: Peggy Noonan, scrivendo sul Wall Street Journal poco tempo fa, ha detto che Papa Giovanni Paolo II era il Papa ideale per l'era della televisione, perché era molto espressivo e brillante; il suo volto, i suoi gesti ti conquistavano. Irradiava affetto come dovrebbe essere per ogni vero attore.

Ma, secondo l'autrice, Benedetto XVI è il miglior Papa per l'era di Internet. Si moltiplicano i blog in cui si discute su cosa intendeva dire con questa o quest'altra frase, e la discussione va avanti per mesi.

Per esempio, la discussione sul suo intervento di Ratisbona non è ancora esaurita. È ancora oggetto di analisi e di confronto.

Credo che il Santo Padre si sia conquistato la "generazione di Giovanni Paolo II", senza soluzione di continuità con il suo predecessore.
L'allora Cardinale Ratzinger era solito incontrarsi con Giovanni Paolo II ogni venerdì per un colloquio di un paio d'ore. Erano sulla stessa linea dal punto di vista filosofico e teologico, e si rafforzavano reciprocamente. Si potrebbe dire che questo sia il 29° anno del pontificato di Giovanni Paolo II.

Benedetto XVI è diverso umanamente, ha uno stile diverso, diverse priorità e un modo diverso di porsi. Ma tutto ciò, in lui, è perfettamente appropriato. Molti commentatori in America hanno lodato la sua sincerità e autenticità. Sembra essere soddisfatto di com'è e non cerca di essere diverso. Persino un noto cinico giornalista avrebbe commentato, rivolgendosi a Peggy Noonan: "È una brava persona!".

Gli americani ammirano l'autenticità. Benedetto XVI ha il diritto di essere diverso rispetto a Giovanni Paolo II, pur proseguendo sulla stessa linea di rinnovamento e di rievangelizzazione. Credo che ci troviamo a godere del meglio di entrambi i mondi: due in uno.

Su Internet: "No One Sees God", http://michaelnovak.net/Module/Article/ArticleView.aspx?id=264

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Il recente viaggio apostolico negli Stati Uniti ha costituito il fulcro dell’udienza generale di questa mattina, in Piazza San Pietro. Di fronte a circa 40 mila persone, Benedetto XVI ha ripercorso le singole tappe della sua visita ricordando come, nella patria per eccellenza del pluralismo culturale e della libertà religiosa, abbia potuto annunciare la speranza di Cristo, al di là delle dolorose esperienze vissute dalla Chiesa locale. Prima dell’udienza, il Papa ha anche benedetto la statua di San Giovanni Leonardi, fondatore dei Chierici della Madre di Dio e patrono dei farmacisti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

L’ONU e la Casa Bianca. L’entusiasmo della gente e il silenzio di Ground Zero. La condanna senza appelli della pedofilia e l’invito a sperare in Cristo nelle sfide dlela vita. Sedimentate le sensazioni a caldo, ciò che rimane è la consapevolezza di un Paese nel quale la fede cristiana, e cattolica in particolare, costituisce un oceano di valori al quale attingere, più forte delle tempeste che ne hanno spazzato la superficie. Fede che il Papa ha contribuito a rafforzare con la sua presenza e le sue parole, ricevendo in cambio attenzione globale, dedizione, calore. Si è percepito questo dalle parole di Benedetto XVI, che ha portato in Piazza San Pietro il ricordo del suo contatto “con l’amato popolo degli Stati Uniti d’America” e l’eredità di conferme e di nuovi orizzonti che la visita pastorale ha portato con sé. A più riprese, come accaduto nel soggiorno americano, Benedetto XVI ha subito mostrato di ammirare degli Stati Uniti quella che ha definito una “felice coniugazione tra principi religiosi, etici e politici”, che costituisce “un valido esempio di sana laicità”, in cui la religione “non è solo tollerata, ma valorizzata come ‘anima’ della nazione”:

“In tale contesto la Chiesa può svolgere con libertà ed impegno la sua missione di evangelizzazione e promozione umana, e anche di “coscienza critica”, contribuendo alla costruzione di una società degna della persona umana e, al tempo stesso, stimolando un Paese come gli Stati Uniti, a cui tutti guardano quale ad uno dei principali attori della scena internazionale, verso la solidarietà globale, sempre più necessaria ed urgente, e verso l’esercizio paziente del dialogo nelle relazioni internazionali”.

Ripensando alle due tappe di Washington e di New York - rivissute nei singoli momenti - Benedetto XVI ha ringraziato anzitutto il presidente Bush e poi gli americani e la Chiesa del Paese per la festa riservata alla sua persona, anche per via del genetliaco e del terzo anniversario di Pontificato celebrati in quei giorni. Quindi, ha ricordato l’incoraggiamento dato ai vescovi statunitensi perché facciano sentire la loro voce sulle “attuali questioni morali e sociali”, sulla difesa della vita, del matrimonio e della famiglia, come un “buon lievito” in seno a una società che non manca di “contraddizioni” e la cui fede ha dovuto patire una dura prova:

“Pensando alla dolorosa vicenda degli abusi sessuali su minori commessi da ministri ordinati, ho voluto esprimere ai Vescovi la mia vicinanza, incoraggiandoli nell’impegno di fasciare le ferite e di rafforzare i rapporti con i loro sacerdoti. Nel rispondere ad alcuni interrogativi posti dai Vescovi, mi è stato dato di sottolineare alcuni aspetti importanti: il rapporto intrinseco tra il Vangelo e la 'legge naturale'; la sana concezione della libertà, che si comprende e si realizza nell’amore; la dimensione ecclesiale dell’esperienza cristiana; l’esigenza di annunciare in modo nuovo, specialmente ai giovani, la 'salvezza' come pienezza di vita, e di educare alla preghiera, dalla quale germogliano le risposte generose alla chiamata del Signore".

Uno dei motivi centrali che hanno portato due settimane fa il Papa al di là dell’Atlantico è stato l’invito a parlare alle Nazioni Unite, nel 60.mo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo:

“La Provvidenza mi ha dato l’opportunità di confermare, nel più ampio e autorevole consesso sovranazionale, il valore di tale Carta, richiamandone il fondamento universale, cioè la dignità della persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza per cooperare nel mondo al suo grande disegno di vita e di pace”.

Parlando di pace, Benedetto XVI non ha mancato di sottolineare la cordialità degli incontri avuti con i rappresentanti di altre fedi e la possibilità di aver potuto evidenziare la “grande responsabilità” che i leader religiosi hanno sia, ha affermato, “nell’insegnare il rispetto e la nonviolenza, sia nel tener vive le domande più profonde della coscienza umana. Domande che esigono risposte soprattutto per i giovani, ai quali il Papa ha dedicato un ultimo pensiero:

“Guardando in faccia le tenebre di oggi, che minacciano la vita dei giovani, i giovani possono trovare nei santi la luce che disperde queste tenebre: la luce di Cristo, speranza per ogni uomo! Questa speranza, più forte del peccato e della morte, ha animato il momento carico di emozione che ho trascorso in silenzio nella voragine di Ground Zero, dove ho acceso un cero pregando per tutte le vittime di quella terribile tragedia”.

Sia durante il giro inziale di saluto del Papa ai pellegrini, sia dopo la catechesi, una banda messicana ha intonato le note di alcuni brani caratteristiche del Paese, facendo da sfondo ai saluti di Benedetto XVI dedicati, tra gli altri, alle religiose partecipanti all’incontro dell’Unione superiore maggiori d’Italia (USMI). Prima di arrivare in Piazza San Pietro, il Papa aveva benedetto la monumentale statua raffigurante San Giovanni Leonardi, iniziatore della Congregazione dei Chierici regolari della Madre di Dio e proclamato, nel 2006, patrono dei farmacisti. La scultura, alta 5 metri e 40 e pesante 27 tonnellate, è opera dell’artista spezzino, Paolo Cavallo.

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