31 ottobre 2007
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Saraiva Martins: «Non è il Vaticano a scegliere. I beati li propongono le diocesi»
di Paolo Rodari
«Il Vaticano non decide chi beatificare. E, a parte gravi motivi di opportunità, non guarda le possibili ripercussioni politiche che possono seguire ai processi di beatificazione o di canonizzazione. Il Vaticano, semplicemente, prende atto della validità o meno delle varie cause di beatificazione o canonizzazione cominciate anni prima, a volte anche secoli prima, nelle diocesi di provenienza dei candidati. E, anche nel caso dei 498 martiri spagnoli, la Santa Sede non ha fatto altro che certificare la validità delle cause di beatificazione cominciate nelle rispettive diocesi di origine. Preso atto della validità delle prove riguardanti la vita cristiana eroicamente vissuta dai martiri, l’esistenza e la consistenza di una vera vita cristiana - tecnicamente il documento che dalle diocesi arriva a Roma si chiama Transunto, ndr -, la Santa Sede tramite la nostra congregazione ha dato avvio alla fase romana del processo di beatificazione. Un processo che è durato un po’ di tempo non tanto per la difficoltà della materia - trattandosi di martiri non c’è bisogno, per la beatificazione, del riconoscimento di un miracolo compiuto, ndr - quanto per la necessità di aspettare l’effettivo compimento di tutti i 498 processi. E alla fine si è arrivati alla beatificazione con la quale non si è voluto consacrare alcuna eventuale linea politica abbracciata dagli stessi martiri, ma piuttosto la religiosità delle loro esistenze. Si è trattato, insomma, di un discorso prettamente ecclesiale, non politico ideologico».
È molto prammatico, il cardinale portoghese José Saraiva Martins, prefetto delle Cause dei Santi, quando spiega al Riformista i motivi che hanno portato - due giorni fa - alla beatificazione in piazza San Pietro dei 498 martiri uccisi "in odium fidei" in Spagna nel ’34, nel ’36 e nel ’37.
E quando gli si ricorda che molti hanno giudicato inopportuna la beatificazione per la posizione pro Franco che avrebbero assunta questi stessi martiri, lui risponde così: «Le accuse che ci hanno rivolto di aver beatificato dei fascisti non ci riguardano - spiega Saraiva Martins -, nel senso che sono fuori luogo. Noi abbiamo semplicemente portato avanti dei processi di beatificazione iniziati nelle diocesi spagnole e riguardanti persone uccise a causa della loro fede. La Chiesa non beatifica né consacra la politica ma soltanto quelle persone che ne sono degne per motivi religiosi».
Già, eppure, mai sono stati beatificati uomini di Chiesa baschi uccisi dal regime franchista. Perché? «Bisognerebbe chiederlo alle diocesi basche - dice il cardinale -. Spetta a loro iniziare eventuali cause di beatificazione o canonizzazione. Roma non decide per quali persone debba avere inizio il processo verso la santità. Roma prende atto della volontà popolare, della volontà dei vescovi, e agisce di conseguenza. L’incipit del processo, infatti, è sempre diocesano».
Non ha molta voglia di andare oltre, il cardinale Saraiva Martins. Ieri ha letto sui giornali delle proteste organizzate a Roma davanti alla basilica di Sant’Eugenio dai collettivi “Militant” e “Facciamo breccia”, ma in merito non ha molto altro da aggiungere se non che «il compito della mia congregazione altro non è che quello di valutare la legittimità delle richieste di santità che il popolo dei fedeli avanza attraverso le varie diocesi del mondo». E ancora: «Nel nostro lavoro non siamo mai mossi da problematiche politiche. Piuttosto valutiamo l’eroicità di tanti uomini comuni, chiamati in modo misterioso al martirio o alla santità. Dei martiri spagnoli occorre ammirare il grande coraggio avuto in un periodo storico di particolare avversione contro la Chiesa. Questo mi hanno insegnato i 498 nuovi beati. Questo insegnano alla Chiesa. Per questo sono diventati beati».
© Copyright Il Riformista, 30 ottobre 2007
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CONSIGLIO DI LETTURA: IL SITO DI FRANCESCO
Su segnalazione della nostra Paola, leggiamo:
L'obiezione in farmacia? L'ha inventata Pannella
di LUIGI SANTAMBROGIO
Cvd: si scriveva una volta per risparmiare tempo e inchiostro. La sigla serviva ad abbreviare l'espressione: come volevasi dimostrare. Ci tocca rispolverarla per descrivere la prevedibilità e scontatezza della se-dicente sinistra italiana nei confronti del Papa e dei cattolici.
Qui non c'è nulla da provare, semmai solo desolate e scorate conferme. Son passati neppure dieci giorni da quando i compagni si genuflettevano a baciare la pantofola di Benedetto XVI. Diventato per l'occasione il "Compagno Papa" alla crociata contro il lavoro precario.
È bastato un amen, perché scattassero, come per i cani di Pavlov, i riflessi condizionati. L'appello alle coscienze dei farmacisti, ha rispedito Ratzinger ancora all'inferno. Con la benedizione, stavolta, di Federfarma, la confindustria dei produttori di medicine. Anche loro un tantino incazzati: forse perché la Santa Sede ha avuto da ridire anche sul vergognoso ricatto dei prezzi che i signori del farmaco impongono ai povericristi del Terzo Mondo.
Strane alleanze, ma non è la prima volta che capita ai compagni. Che ieri, sui loro giornali preferiti, si sono davvero sbizzarriti.
A nonna Lidia viene da bestemmiare
L'oscar della comicità se lo piglia Lidia Menapace, senatrice rifondarola che ha l'età del dattero. A lei il Papa fa venire voglia di buttarsi su battute «anticlericali e blasfeme, che servono a poco, ma», dice, «almeno fanno bene alla salute e al fegato». Come l'acqua diuretica. Prosit. Su "Li berazione", la pasionaria del museo delle cere comuniste ci fa sapere di fiutare aria pesante, aria da «oscurantismo medioevale». E già che c'è, Menapace ci spiega cosa pensa della religione: per meglio farcelo capire ricorda la storiella che le raccontò lo zio di un suo amico, «pio ma irriverente». Il satanasso riuscì a far recitare alle beghine del paese, durante il rosario, la seguente litania: «Un pater per l'osso sacro che l'è sora 'l bus del cu». Pensiero stupendo, marxianamente corretto. Ecco il livello della vegliarda Lidia, una di noi. Anche se è un po' andata come il Bologna, il suo articolo viene tuttavia messo in prima pagina sotto una foto di Benedetto XVI e il titolo: San Fa(rma)scista. Capito la sottile ironia? E pensare che solo la scorsa settimana, il Papa era il Compagno Benedetto. Cvd e lunga vita alla nonna dei corsari rossi. Ancora più ridicoli, sono quelli del "Manifesto". Farmacisti a parte, ci offrono un articolo che vale una gag, davvero imperdibile. Riguarda la cagnara scatenata domenica dai centri sociali durante il rito di beatificazione dei martiri spagnoli. Il pezzo, con raro sprezzo del ridicolo, è titolato: «Gli antifascisti aggrediti dall'Opus Dei». Neanche Cuore era arrivato a questi abissi di satira. Ma citrulli si diventa. Con pazienza e tenacia, loro ce l'han fatta. Ma il meglio del peggio tocca, come al solito, al quotidiano della sinistra perbene, "La Repubblica". Che affida alla firma puntuta di Michele Serra il compito di somministrare abbondanti dosi di olio di ricino al Pontefice monello.
Certo, Michele non è come Lidia: lui ha la scrittura leggera, equa e anche solidale. Però, le carte in tavola le trucca subito, così gli è più facile barare. E poi, possiede innata la giusta dose di puzza sotto il naso e l'arroganza, un tantino fascistoide, del so-tutto-io.
La classe è già nell'incipit: «Prima di entrare in farmacia, per evitare discussioni indesiderate sul senso della vita, ci toccherà informarci sugli orientamenti religiosi e morali del gestore?». Già, Serra non è mica il tipo che perde tempo ad informarsi. Sa già che Ratzinger è un usurpatore di campi altrui, pastore di «idee illiberali», che vuole imporre una «morale religiosa per egemonizzare un intero consenso sociale». Per sobillare «ribellioni etiche come l'obiezione anti-aborto», ma condannare poi altre «ribellioni etiche come il diritto alla buona morte». Insomma, o tutto o niente: Michele è per le occasioni in saldo.
Poi il Grande Domandone finale, urbi et orbi: «Ma davvero per la Chiesa la sola possibilità di salvezza (dell'uomo) è sperare di imbattersi in un farmacista con la verità in tasca, che gli neghi i farmaci immorali e gli suggerisca di raccomandarsi a un Dio nel quale magari non crede?». Che intenditore, il signor Michele: tutta la Chiesa universale, il Vaticano, la Cei e i cattolici in colonna appesi a un farmacista, e pure ateo. Quando non cazzeggia, Serra fa piangere.
L'estrema resistenza laica e non violenta
Resta comunque il problema aperto da Benedetto XVI, sul quale si possono fare almeno tre considerazioni. Senza offendere la sensibilità di nessuno o invadere campi proibiti.
1) Il ricorso all'obiezione di coscienza è l'estrema forma di resistenza e dissenso nei confronti di una legge dello Stato. Si fa obiezione quando si ritengono esauriti tutti gli altri strumenti di impegno politico e collaborazione con le istituzioni. È pacifica e non violenta perché si appella solo alla coscienza personale, chiede un gesto di testimonianza e coerenza del singolo cittadino. Che ne pagherà tutte le conseguenze. Questo è il punto, il resto è solo questione tecnica.
Per salvaguardare l'obiezione sull'aborto e garantire nel contempo il rispetto della 194, negli ospedali si sono trovate opportune soluzioni. Se ne potrebbero studiare di analoghe per le farmacie. Dunque, non si neghi la legittimità del principio e si discuta piuttosto sulla sua applicazione.
2) Sui temi dell'aborto, l'eutanasia, l'embrione, il Papa e i cattolici ritengono di affermare non una visione confessionale della vita, ma valori autenticamente laici, cioè di tutti. Perché sono dell'uomo, della sua struttura di ragione e senso. Battersi per questi valori significa contribuire alla costruzione del bene comune e di leggi ragionevoli.
3) Lo strumento dell'obiezione come forma di lotta politica pacifica non è stato inventato dal Papa né dai cattolici. Fa parte di una lunga tradizione di impegno politico, sociale e civile. Oltre che sull'aborto, l'obiezione di coscienza venne esercitata sulla corsa agli armamenti, le spese militari, l'arruolamento obbligatorio, la pena di morte, il Fisco. E perfino sulle trasfusioni di sangue e il canone tv. Se ce ne fosse motivo, siam certi che Pannella non esiterebbe a proporla anche ai farmacisti. Michele Serra stia sereno. Nessun farmacista lo importunerà sul senso della vita o gli negherà lo sciroppo per la tosse. Però il divertente Michele qualche domandina dovrebbe pur farsela ogni tanto. Mica le filosofiche, bastano quelle banali del tipo: perché pagare tutte le tasse fino all'ultimo cent? La risposta il pio Serra l'avrà sicuramente già avuta dal suo commercialista. L'unico papa che certi guru di sinistra prendono ancora sul serio.
© Copyright Libero, 31 ottobre 2007
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(nella foto la senatrice Livia Menapace)
Cari amici, prepariamoci a ridere di gusto perche' l'intervento della senatrice Menapace sfiora il grottesco (per essere gentili) eheheheheheh
Leggiamo e commentiamo:
I DIRITTI E L'ETICA
LA RICHIESTA DEL VATICANO
Farmacisti, Menapace contesta Ratzinger
La senatrice: obiezione, intollerabile ingerenza. Peterlini: il Pontefice difende la vita
Enrico Barone
BOLZANO — Bufera sull'appello rivolto da Benedetto XVI al congresso della federazione dei farmacisti cattolici sull'obiezione di coscienza, diritto questo che oggi la legge non riconosce ai farmacisti. Il Papa spezza in questo modo una lancia in favore del diritto a non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di medicinali «finalizzati a scelte chiaramente immorali, come ad esempio, aborto ed eutanasia ».
Un invito che accende il dibattito politico provocando un vero e proprio vespaio di polemiche.
Ad attaccare il Papa è Lidia Menapace, senatrice di Rifondazione comunista, che definisce le parole di Benedetto XVI come un invasione di campo arrivando ad auspicare una riapertura della cosiddetta «questione romana».
«È un attacco in piena regola dal quale bisogna difendersi», tuona Menapace, che sulle colonne del quotidiano Liberazione
ha accusato il Vaticano di voler rispolverare un'aria da medioevo: «Le mie non sono dichiarazioni polemiche ma solo una difesa perché il riferimento sull'obiezione di coscienza ha ben poco a che fare con la fede.
È intollerabile che Benedetto XVI intervenga su questi temi invadendo un campo di pertinenza dello stato». Parole pesanti quelle della senatrice bolzanina di Rifondazione comunista che ripropongono il delicato e difficile dilemma dei rapporti tra il governo italiano e lo stato Vaticano: «Ci sono gli estremi per ricorrere alla commissione paritetica e ridiscutere i comportamenti — incalza — . Gli interventi del Papa sono scandalosi perché alla fine favoriscono una politica di destra. Una linea iniziata da Giovanni Paolo II. Paolo VI e Giovanni XXIII, invece, si erano sempre tenuti fuori da queste diatribe cercando di non invadere il campo altrui».
Secondo Menapace, infatti, il Papa dovrebbe rivolgere soltanto ai credenti, alle persone che vanno a messa: « In questo modo non si fa altro che perseguire un progetto neo temporalista . E questo è un atteggiamento sbagliato». Tesi queste che Oskar Peterlini, rifiuta aprioristicamente.
Il rappresentante della Stella Alpina a palazzo Madama non ha difficoltà a riconoscere a Benedetto XVI il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero garantito ad ogni istituzione:«La Chiesa è un'istituzione importante sia per quello che rappresenta e sia per il fatto che gran parte dei cittadini e degli elettori sono cattolici. Di conseguenza il Papa può e deve manifestare liberamente il proprio pensiero».
Peterlini, dal suo canto, non accetta la teoria dell'invasione di campo: «Fa parte della concezione laicistica di divisione dei poteri garantita invece da un concordato». Nessuna ingerenza nelle parole del Papa, dunque, ma solo la difesa della vita che il senatore della Bassa Atesina condivide in pieno.
«Il merito delle parole di Benedetto XVI non può che essere condiviso — aggiunge Peterlini —. La difesa del diritto alla vita è sacro soprattutto in un momento in cui si assiste ad una serie di casi scandalosi che annullano il confine tra la vita e la morte. Ed è proprio in quest'ottica che il diritto all'obiezione, oggi non garantito, andrebbe approfondito. È una materia delicata ed al tempo stesso importante.L'intervento in questo senso del Papa deve essere rispettato e lasciato al di fuori dalle polemiche politiche ».
© Copyright Corriere Alto Adige, 31 ottobre 2007
Cara senatrice Menapace, posso rispettosamente ricordarLe che l'interruzione volontaria della gravidanza è prevista dalla legge 22 maggio 1978, n. 194? Si', ha capito bene! Fu approvata subito dopo la morte di Aldo Moro e Paolo VI stava gia' molto male. Chi, dunque, ha avuto il compito di illuminare le coscienze circa la gravita' dell'aborto se non Giovanni Paolo II? Ovviamente Benedetto XVI percorre la stessa strada, sulla linea mirabilmente tracciata dal suo predecessore.
Non si scaldalizzi, quindi, per le parole del Santo Padre che Lei, certamente, teme visto che salta come una molla quando colui che, cara senatriche, Lei chiama semplicemente Ratzinger per non dargli troppa confidenza :-)
Sa che cosa io trovo scandaloso? Lei cerca di inculcare nei lettori del Suo giornale l'idea bislacca che Benedetto XVI sia un Papa oscurantista e medievale (cosi' come Giovanni Paolo II, a leggere l'articolo di cui sopra) mentre Giovanni XXIII e Paolo VI sarebbero i "Papi illuminati" che mai si sono occupati di obiezione di coscienza nei confronti dell'aborto. Ma e' ovvio! Quando i due Papi regnavano LA LEGGE SULL'ABORTO NON ESISTEVA! Essi non interferivano? Che scoperta! Abortire era un reato. Credo pero' di poter affermare con assoluta certezza che, se fossero ancora vivi, agirebbero esattamente come Benedetto XVI.
Cara Menapace, questa mattina Le ho consigliato di STUDIARE l'enciclica "Evangelium Vitae" di Giovanni Paolo II, ora Le suggerisco l'enciclica "Humanae Vitae" di Paolo VI e l'enciclica "Mater et Magistra" di Giovanni XXIII: restera' sorpresa da cio' che leggera'!
Il Papa dovrebbe rivolgersi solo ai cattolici? E che cosa ha fatto? Aveva di fronte a se' i farmacisti cattolici! Ah, capisco! Forse il Papa non dovrebbe far sapere all'esterno cio' che dice nelle sue quattro mura...eh...si'...questa e' democrazia!
Vuole ridiscutere il Concordato e le relazioni Italia-Vaticano? Si accomodi...attenzione alle maggioranze ballerine.
Raffaella.
Il black out del blog mi ha permesso di andare a "spulciare" fra le encicliche di Papa Montini e Papa Roncalli :-)
Dall'enciclica "Mater et Magistra" di Giovanni XXIII:
Rispetto delle leggi della vita
180. Dobbiamo proclamare solennemente che la vita umana va trasmessa attraverso la famiglia, fondata sul matrimonio uno e indissolubile, elevato, per i cristiani, alla dignità di sacramento. La trasmissione della vita umana è affidata dalla natura a un atto personale e cosciente e, come tale, soggetto alle sapientissime leggi di Dio: leggi inviolabili e immutabili che vanno riconosciute e osservate. Perciò non si possono usare mezzi e seguire metodi che possono essere leciti nella trasmissione della vita delle piante e degli animali.
181. La vita umana è sacra: fin dal suo affiorare impegna direttamente l’azione creatrice di Dio. Violando le sue leggi, si offende la sua divina maestà, si degrada se stessi e l’umanità e si svigorisce altresì la stessa comunità di cui si è membri.
Che ne dice, senatrice? A scrivere era Giovanni XXIII!
R.
Dall'enciclica "Humanae Vitae" di Paolo VI:
Vie illecite per la regolazione della natalità
14. In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare, come valide ragioni: che bisogna scegliere quel male che sembri meno grave o il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale. In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda.
La chiesa garante degli autentici valori umani
18. Si può prevedere che questo insegnamento non sarà forse da tutti facilmente accolto: troppe sono le voci, amplificate dai moderni mezzi di propaganda, che contrastano con quella della chiesa. A dir vero, questa non si meraviglia di essere fatta, a somiglianza del suo divin fondatore, " segno di contraddizione ", ma non lascia per questo di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica. Di essa la chiesa non è stata autrice, né può, quindi, esserne arbitra; ne è soltanto depositaria e interprete, senza mai poter dichiarare lecito quel che non lo è, per la sua intima e immutabile opposizione al vero bene dell’uomo. Nel difendere la morale coniugale nella sua integralità, la chiesa sa di contribuire all’instaurazione di una civiltà veramente umana; essa impegna l’uomo a non abdicare alla propria responsabilità per rimettersi ai mezzi tecnici; difende con ciò stesso la dignità dei coniugi. Fedele all’insegnamento come all’esempio del Salvatore, essa si dimostra amica sincera e disinteressata degli uomini che vuole aiutare, fin dal loro itinerario terrestre, " a partecipare come figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini ".
Appello ai pubblici poteri
23. Ai governanti, che sono i principali responsabili del bene comune e tanto possono per la salvaguardia del costume orale, noi diciamo: non lascino che si degradi la moralità dei loro popoli; non accettino che si introducano in modo legale in quella cellula fondamentale dello stato, che è la famiglia, pratiche contrarie alla legge naturale e divina. Altra è la via mediante la quale i pubblici poteri possono e devono contribuire alla soluzione del problema demografico: è la via di una provvida politica familiare, di una saggia educazione dei popoli, rispettosa della legge morale e della libertà dei cittadini. Siamo ben consapevoli delle gravi difficoltà in cui versano i pubblici poteri a questo riguardo, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Alle loro legittime preoccupazioni abbiamo consacrato la nostra enciclica Populorum progressio. Ma, con il nostro predecessore Giovanni XXIII, ripetiamo: " Queste difficoltà non vanno superate facendo ricorso a metodi e a mezzi che sono indegni dell’uomo e che trovano la loro spiegazione soltanto in una concezione prettamente materialistica dell’uomo stesso e della sua vita. La vera soluzione si trova soltanto nello sviluppo economico e nel progresso sociale, che rispettano e promuovono i veri valori umani individuali e sociali ". Né si potrebbe senza grave ingiustizia rendere la divina Provvidenza responsabile di ciò che dipendesse invece da minore saggezza di governo, da un senso insufficiente della giustizia sociale, da egoistico accaparramento o ancora da biasimevole indolenza nell’affrontare gli sforzi e i sacrifici necessari per assicurare la elevazione del livello di vita di un popolo e di tutti i suoi figli. Che tutti i poteri responsabili - come certuni già fanno così lodevolmente - ravvivino generosamente i loro sforzi. E non cessi di estendersi l’aiuto vicendevole tra tutti i membri della grande famiglia umana: è un campo quasi illimitato che si apre così all’attività delle grandi organizzazioni internazionali.
Ha letto, senatrice? Questa volta a scrivere e' Paolo VI e si rivolge direttamente ai governanti.
R.
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IL 23/11 PRE-CONCISTORO CON TUTTI CARDINALI SU ECUMENISMO
Città del Vaticano, 31 ott. (Apcom) - La questione dell'ecumenismo sarà al centro dei lavori del concistoro straordinario che si terrà il 23 novembre, per il quale il Papa ha convocato tutti i cardinali del mondo. E' quanto riferisce l'agenzia francofona I-Media.
Al pre-concistoro, che si tiene alla vigilia della creazione di 23 nuovi principi della Chiesa sabato 24 novembre, la mattina, i porporati potranno prendere liberamente la parola.
Sarà un incontro a porte chiuse - riferisce ancora I.Media - anche se al momento l'incontro non è stato ufficialmente confermato dalla Santa Sede, ma da una lettera firmata dal cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio.
Il 23 novembre, dunque, ci saranno due riunioni: alla prima, la mattina - dalle 9 al 12 - è previsto un intervento di Papa Ratzinger e successivamente a prendere la parola sarà il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei Cristiani, che dovrà fare un intervento sulla questione dell'ecumenismo.
Successivamente agli interventi del Papa e del cardinale Kasper sarà la volta degli altri cardinali a prendere la parola. Nella seconda sessione di lavoro, prevista invece nel pomeriggio, i porporati potranno affrontare liberamente le materie a loro scelte.
Papa Ratzinger ha posto l'ecumenismo tra le priorità del proprio pontificato. Inoltre, il 10 luglio scorso, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa", nel quale si afferma che solamente la Chiesa cattolica può definirsi Chiesa. Il documento ha provocato la reazione degli ortodossi, ma soprattutto dei protestanti.
Sul tavolo delle discussioni nel pre-concistoro finirà anche la questione del rapporto con gli ortodossi, in seguito ai lavori della Commissione mista che si è svolta a Ravenna dall'8 al 15 ottobre e che ha visto la delegazione del Patriarcato ortodosso di Mosca lasciare i lavori per una querelle con il Patriarcato di Costantinopoli sul ruolo degli ortodossi in Estonia.
Leggo:
"la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa", nel quale si afferma che solamente la Chiesa cattolica può definirsi Chiesa"
Un po' riduttivo e semplicistico, cari giornalisti!
R.
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UDIENZA GENERALE, “AGIRE DA BUONI CRISTIANI E ONESTI CITTADINI”
I fedeli cristiani sono chiamati a portare avanti con fede i loro doveri di cittadini, lavorando per riempire la società dello spirito del Vangelo, cercando di attuare quella relazione vitale tra cittadini della città dell’uomo e della città di Dio. È in sintesi quanto richiamato oggi da Benedetto XVI nel corso dell’udienza generale dedicata alla figura di San Massimo, vescovo di Torino (IV sec. D.C.), che nelle sue omelie ribadiva la responsabilità dei cristiani nel promuovere un giusto ordine sociale basato sulla solidarietà con il povero.
Leggendo dei passaggi dei sermoni 17 e 18 di San Massimo, ha detto Benedetto XVI, “molti cristiani non solo non distribuiscono le cose proprie, ma rapinano anche quelle degli altri”.
Massimo stigmatizzava,inoltre, “forme ricorrenti di sciacallaggio sulle altrui sciagure” esortando, soprattutto le persone agiate della sua comunità cristiana, a non introdurre “in casa un guadagno sbranato” ma ad “agire da cristiani e buoni cittadini che comprano per restituire”. Così facendo, ha detto il Papa, “Massimo giunge a predicare una relazione profonda tra i doveri del cristiano e quelli del cittadino”.
Nel difficile contesto storico del tempo, ha proseguito il Pontefice, la figura episcopale di Massimo si ergeva “come sentinella sulla rocca più alta della città”.
Davanti al crollo delle autorità civili dell’Impero romano, “Massimo non solo si adopera per rinfocolare nei fedeli l'amore tradizionale verso la patria cittadina, ma proclama anche il preciso dovere di far fronte agli oneri fiscali, per quanto gravosi e sgraditi essi possano apparire”.
“E' evidente – ha concluso Benedetto XVI - che il contesto storico, culturale e sociale è oggi profondamente diverso” ma “restano sempre validi i doveri del credente verso la sua città e la sua patria. L’intreccio degli impegni dell’onesto cittadino con quelli del buon cristiano non è affatto tramontato”.
© Copyright Sir
PAPA/ A SAN PIETRO 35MILA FEDELI PER UDIENZA NONOSTANTE PIOGGIA
Giro fra i pellegrini a bordo della papamobile
Città del Vaticano, 31 ott. (Apcom) - Una distesa di ombrelli variopinti: piazza San Pietro si presenta così oggi, ma i fedeli non si sono scoraggiati nonostante la pioggia e circa 35mila pellegrini stanno assistendo all'udienza generale di Papa Benedetto XVI.
Papa Ratzinger ha comunque fatto il giro tra i fedeli, a bordo della papamobile, coperto da un grande ombrello bianco.
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CONSIGLIO DI LETTURA: IL SITO DI FRANCESCO
Continua il dibattito sull'intervento del Papa sul diritto dei farmacisti all'obiezione di coscienza: il commento di Pietro Uroda, presidente dei Farmacisti cattolici
Continua a far discutere il recente intervento del Papa sul diritto dei farmacisti all'obiezione di coscienza per “non collaborare, direttamente o indirettamente, alla fornitura di prodotti aventi per scopo scelte chiaramente immorali, come ad esempio l’aborto e l’eutanasia”. Il presidente del Movimento per la Vita in Italia, Carlo Casini, ha affermato che la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, interpretata in modo corretto, prevede il diritto all’obiezione, per esempio, nel caso della pillola abortiva. Manuela Campanile ha sentito in proposito Pietro Uròda, presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti Italiani:
R. – La faccenda presenta due aspetti. Non c’è nessuna legge precisa che ci consenta l’obiezione di coscienza, però, il combinato disposto, come si dice, di alcune leggi e di alcune sentenze, ci consente di poter affrontare l’eventuale giudizio con delle coperture. Per esempio, secondo l’art. 54 del codice penale, se uno compie un’infrazione ad una legge per salvare qualcuno è esentato dalla punizione, se spinto da cause maggiori. Quindi, noi per salvare l’embrione ci rifiutiamo di dare la pillola del giorno dopo. Ci sono delle sentenze della Corte di Cassazione sul diritto dell’embrione, c'è la legge 40. Per cui noi riteniamo di poterci difendere a livello giudiziario. Altrimenti, rimane il fatto di principio. Noi non vogliamo accettare di dare la morte a qualcuno. Siccome l’embrione - è un fatto scientificamente dimostrato - è una vita umana, noi riteniamo che vada sostenuto e difeso.
D. – Quindi lei è obiettore...
R. – Sì, io non ho mai venduto la pillola abortiva.
D. – Ci può raccontare un’esperienza nata dal suo essere obiettore di coscienza?
R. – Io ho avuto un caso – mi ricordo benissimo – di una signora che mi aveva chiesto un prodotto per abortire e gliel’ho negato. Abbiamo avuto modo di parlarne e questa persona, dopo qualche anno, mi ha fatto vedere un bellissimo bambino, dicendomi che era stato merito del mio discorso se lei aveva rinunciato a sopprimerlo.
D. – A chi le rinfacciasse che prima di tutto bisogna essere deontologicamente corretti cosa rispondere?
R. – Che io sono deontologicamente corretto. Il nostro codice deontologico dice che noi siamo al servizio della vita. Noi non riteniamo questo prodotto un farmaco, perchè non cura niente. E’ un prodotto farmaceutico, non è un farmaco. E’ un prodotto farmaceutico, che serve ad uccidere un embrione eventuale. Se non uccide un embrione eventuale fa altri danni. A Perugia hanno denunciato che i casi di gravidanza extrauterina sono significativamente molto più alti in persone che hanno usato la pillola del giorno dopo, perché viene somministrata, gettata nell’organismo, una bomba ormonale. E’ un fatto molto grave che non viene documentato: la parte tossicologica di questo prodotto viene minimizzata o addirittura coperta.
© Copyright Radio Vaticana
«Obiezione per i farmacisti? Lo esige la 194»
Casini (MpV) risponde al ministro Turco e Federfarma Santolini (Udc): «La pillola del giorno dopo è un abortivo»
ROMA. Una corretta interpretazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza esige che i farmacisti abbiano la facoltà di dichiarare la loro obiezione di coscienza rifiutando la collaborazione ad un possibile aborto. Lo mette in chiaro il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini, rispondendo al ministro Livia Turco e a Federfarma, che invocano la legge per negare la possibilità dell’obiezione. Che la pillola del giorno dopo provochi l’aborto, precisa Casini, è dimostrato anche dalla sentenza del Tar del Lazio che ha imposto di «specificare tale possibilità nel foglio illustrativo». Il problema non si pone per la Ru486 perché avrà uso esclusivamente ospedaliero.
«L’obiezione di coscienza – afferma l’azzurra Isabella Bertolini – riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico a favore di molte categorie professionali, permette, ai farmacisti che lo vogliano, di rispettare l’invito di Benedetto XVI in difesa della vita umana, nel pieno rispetto della normativa vigente». La Turco, insiste la udc Luisa Capitanio Santolini, «ignora che l’obiezione è prevista dalla legge in campo militare e sanitario, e che i farmacisti fanno parte del personale sanitario, come previsto dall’articolo 9 della Legge 194/78 e come testimoniano le disposizioni normative fondamentali ripetutesi dal 1934 ad oggi». A guidare il fronte avverso all’obiezione, il radicale Marco Cappato che rovescia le carte in tavola invitando a «denunciare i farmacisti che attuano 'l’imposizione di coscienza'». Ma replica Riccardo Pedrizzi di An: i farmacisti possono legittimamente rifiutarsi di vendere una pillola abortiva ed «è giusto che per loro sia prevista una tutela giuridica». Dire che il monito del Papa non deve essere preso in considerazione, avverte Maurizio Lupi di Fi, è un giudizio che dimostra «una totale chiusura ideologica». «La Turco – ammonisce Olimpia Tarzia, vicepresidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana, – anziché impedire ai farmacisti il diritto all’obiezione di coscienza, si dovrebbe maggiormente preoccupare della vendita sempre più frequente della pillola del giorno dopo alle minorenni, con conseguenti rischi per la salute ed inevitabile spinta diseducativa».
© Copyright Avvenire, 31 ottobre 2007
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SULLA RU486 TROPPI FANNO I PESCI IN BARILE
C’è una pillola killer che non viene spiegata
EUGENIA ROCCELLA
Sono in maggioranza italiane, e più istruite delle media, le donne che scelgono la Ru486.
Lo sottolinea con soddisfazione l’assessorato alla Sanità dell’Emilia Romagna, presentando la relazione annuale sull’aborto. Come a dire: chi sceglie la pillola abortiva non è una poveretta qualsiasi, magari straniera, magari munita di una semplice licenza elementare, ma una persona informata, che vuole per sé il meglio che c’è sul mercato.
Bisognerebbe però aggiungere che questa convinzione è frutto di una intensa e spregiudicata campagna propagandistica a favore dell’aborto chimico. Sul «Corriere» e su «Repubblica» nessuno ha mai raccontato di Holly Patterson, la diciottenne californiana uccisa dalla 'kill pill' (è da allora che negli Usa la pillola viene definita così), né della straordinaria e tenace battaglia condotta del padre, che ha permesso la scoperta di altre morti, e ha squarciato il velo di silenzio sull’orrore dell’aborto con la Ru486.
Nessuna trasmissione televisiva ha spiegato che l’aborto chimico è una procedura che richiede almeno 15 giorni, il cui esito è incerto fino alla fine, che avviene in solitudine, tra nausee e crampi dolorosi (è, in sostanza, un piccolo parto), che costringe la donna a controllare continuamente il flusso emorragico e quindi a vedere, nella maggioranza dei casi, l’embrione abortito.
Chi crede che la Ru486 sia un metodo sicuro e indolore dovrebbe leggere la stampa straniera: scoprirebbe così che il «New York Times» ha ampiamente informato sulle morti e gli eventi avversi provocati dal farmaco, mentre l’inglese «Times», solo 15 giorni fa, ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: «La brutale verità sull’aborto chimico», in cui ha definito la Ru486 «horror-pill».
Il motivo di tante censure e bugie, qui da noi, è chiarissimo: l’obiettivo non è offrire alle donne una scelta in più, come molti sostengono. Se così fosse, dovremmo vedere schiere di assessori, governatori regionali, parlamentari che si battono strenuamente per il parto naturale e la difesa della maternità, con lo stesso accanimento e le stesse dichiarazioni infuocate spese per promuovere la pillola abortiva. Introdurre in Italia la Ru486 – l’abbiamo detto e ripetuto – serve in realtà a taluni come strumento per smontare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, seguendo il percorso che è già stato sperimentato con successo in Francia. Abolire le garanzie offerte dall’assistenza sanitaria pubblica, riportare l’aborto tra le mura domestiche, in una forma legale di clandestinità, lavarsene finalmente le mani, evitando qualunque intervento di prevenzione: è questo che davvero si vuole.
Una volta diffusa l’abitudine all’aborto fai-da-te si potrà modificare la legge, come hanno fatto i francesi, e come forse faranno gli inglesi. Del resto, perché il sistema sanitario pubblico dovrebbe occuparsi delle donne che abortiscono? Perché lo Stato dovrebbe impegnare risorse per aiutare le donne che il figlio vorrebbero tenerlo, ma hanno bisogno di un minimo di sostegno economico e morale?
La Exelgyn, che produce la Ru486, ha comunicato che a novembre chiederà la registrazione del prodotto in Italia.
Ci auguriamo che il compito dell’Aifa, l’ente di controllo dei farmaci, non si limiti a un burocratico passaggio di carte, ma a un vero esame della documentazione scientifica e dei dati offerti dall’azienda. Ma soprattutto ci auguriamo che il ministro della Salute Livia Turco voglia applicare integralmente, come ha sempre affermato, la 194 e le garanzie che essa pure contiene, evitando ulteriori distorsioni e peggioramenti. La Ru486 annichilisce infatti ogni forma di prevenzione. Dopo tante accuse ai cattolici, adesso si vedrà con chiarezza chi davvero attacca la 194, infischiandosene della salute delle donne.
© Copyright Avvenire, 31 ottobre 2007
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CRUCIALE TEMA PER LA GIORNATA 2008
I media si parlano addosso Il Papa vuole salvarli
UMBERTO FOLENA
« La verità si scopre quando gli uomini sono liberi di cercarla». Queste parole di un grande presidente americano, Franklin D. Roosevelt, furono dette 71 anni fa.
Eppure funzionano benissimo anche oggi, per commentare il tema della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del prossimo 4 maggio: «I mass media tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla». Roosevelt condusse in guerra la sua nazione anche per garantire a tutti, non solo agli americani, il diritto e la libertà di cercare la verità. Come noi stiamo usando questo diritto e questa libertà dovrebbe essere oggetto di un dibattito di alto profilo e sicuro profitto (di tipo morale; l’invadenza del denaro è un problema, non la soluzione).
Sperando di essere smentiti, temiamo invece che non se ne farà niente, perché nell’occasione il Papa non evoca nessuna esse fatale: né sesso, né soldi, né sangue.
Quindi è assai probabile che sarà ignorato.
La verità va cercata, sapendo che abbiamo mappe incerte e strumenti inadeguati e che nessuno può dirsi geneticamente immune da pregiudizi e passioni. E va cercata non per il gusto narcisistico di possederla o per piegarla ai propri interessi, ma per condividerla, affinché tutti possano essere un poco più liberi. Un esempio – piccolo, di ieri – non guasterà. Su Radio 3, a Primapagina, la rassegna stampa del mattino, si evoca il Papa che parla di «diritto all’obiezione» per i farmacisti. Vengono citati, da Repubblica e Corriere, il commento di Michele Serra, l’intervista alla ministra Livia Turco e il parere di Umberto Veronesi.
Un ascoltatore 'offeso' telefona, lamentando che «il Papa non si esprima mai a livello europeo». La conduttrice replica: «Sono d’accordo con lei». Bella ricerca della verità e bel servizio agli ascoltatori. Opinioni tutte contrarie e una notizia falsa, perché il Papa si rivolgeva al congresso internazionale dei farmacisti, quindi a livello mondiale.
Per cercare la verità con qualche speranza di coglierne almeno qualche pezzo, bisogna tenere aperti gli occhi, le orecchie e il cuore. I mass media, oggi, svolgono spesso un cattivo servizio perché sono pigri, ascoltano solo se stessi e si parlano addosso.
Quanto al cuore, quello se ne sta ben chiuso nel portafoglio.
I cittadini, poi, non sono trattati da persone detentrici di diritti, tra cui quello di cercare liberamente la verità anche con il fondamentale contributo dei mass media, ma sono il gentile pubblico da lusingare, il luogo di ogni retorica. La frase 'i miei lettori' non è intesa nel senso nobile dei 'lettori dei quali sono a servizio', ma nel senso utilitaristico e commerciale dei 'lettori che vendo alle aziende per la pubblicità'; non cittadini, desiderosi di essere liberi di cercare la verità, ma carne da cannone nella battaglia quotidiana dell’audience.
Per questo la vera grande sfida, nella quale i cattolici si sentono in prima linea, è per la democrazia e la libertà. Chiediamo che tutti possano esprimersi, senza intimidazioni, senza elenchi degli argomenti proibiti.
Chiediamo varietà e pari dignità di voci.
Mark Twain, maestro in ironia, celiava: «La verità è la cosa più preziosa che abbiamo. Economizziamola». Prendiamolo sul serio: la ricerca della verità costa? Nessun prezzo è troppo alto quando è in gioco la libertà.
La verità va cercata, sapendo che abbiamo mappe incerte e strumenti inadeguati e che nessuno può dirsi immune da pregiudizi e passioni.
© Copyright Avvenire, 31 ottobre 2007
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L’OBIEZIONE DI COSCIENZA
ALTRO CHE BALCANIZZARE LA SANITÀ
FRANCESCO D’AGOSTINO
Il discorso che Benedetto XVI ha rivolto ai partecipanti al XXV Congresso internazionale dei farmacisti cattolici, stigmatizzando la commercializzazione di farmaci abortivi ed eutanasici, è importante sotto diversi profili, su almeno due dei quali mi sembra opportuno elaborare in questa sede alcune riflessioni.
In primo luogo, il discorso del Papa è rilevante sotto l’aspetto propriamente bioetico. Egli torna ad insistere sul dovere di lottare contro la progressiva «anestetizzazione » delle coscienze che caratterizza il nostro tempo e che induce così tante donne a pensare all’aborto non più come ad un’eventualità estrema, eccezionale e tragica, ma come ad una banale possibilità, gestibile attraverso altrettanto banali sussidi farmacologici (o meglio pseudo-farmacologici).
Ma c’è anche un altro punto da sottolineare e che per me possiede un rilievo ancora maggiore, per la sua forte carica di novità: il Papa delinea, in poche, ma perfette espressioni, l’essenza della deontologia del farmacista, che, se non vuole relegarsi al rango, indubbiamente onesto, ma riduttivo, del mero commerciante, deve percepire se stesso come intermediario tra medico e paziente ed esercitare nei confronti di quest’ultimo una funzione di fondamentale informazione, che – data la delicatezza delle questioni sanitarie – diviene inevitabilmente una funzione 'educativa'.
Non è una mera e neutrale informazione lo spiegare a una donna che quella pillola che essa sta per comprare non si limita a rendere impossibile il concepimento, ma può produrre la morte di un figlio già concepito: quando è in questione né più né meno che la vita stessa ogni informazione o è 'educativa' oppure, se il valore della vita non viene adeguatamente ricordato e promosso, è per forza di cose 'diseducativa'.
In secondo luogo, il discorso del Papa ha una forte e legittima valenza politica.
Sappiamo che già molti laicisti sono tornati a reiterare le loro logore proteste contro le 'invadenze' vaticane. Si tratta di proteste indebite, per una ragione formale e per una ragione sostanziale. Formalmente, perché l’eutanasia in Italia è illegale e lo è anche l’aborto, se non viene praticato nel rispetto di una procedura difficilmente compatibile con la vendita in farmacia di pillole abortive (e qui penso non solo alla RU 486, ma anche alla 'pillola del giorno dopo', che può di fatto produrre effetti abortivi): quindi, auspicare l’obiezione di coscienza alla vendita di prodotti abortivi ed eutanasici è paradossalmente un ammonimento perché non si violino, surrettiziamente, i principi normativi vigenti.
Ma il cuore della questione, ovviamente, non è formale, ma sostanziale. Nella sostanza, l’appello del Papa per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza per i farmacisti va molto al di là del caso, pur delicatissimo, che lo ha provocato: è un appello perché non si perda la consapevolezza che quando sono in gioco temi etici fondamentali (e quelli della vita e della morte sono – se così si può dire – i più fondamentali di tutti), temi che suscitano gravissime questioni di coscienza, è dovere di tutti fermarsi e attivare una riflessione ampia ed articolata, per evitare che simili questioni vengano degradate a mere dispute di carattere ideologico o meno che mai confessionale.
Fa impressione la superficialità con cui Repubblica del 30 ottobre (pag. 2) afferma che accogliere l’appello del Papa (definito riduttivamente «una parola d’ordine») equivarrebbe ad una «balcanizzazione » del nostro sistema sanitario, con una evidente allusione ai conflitti insensati, ciechi ed ottusi, pregiudiziali e violenti, che hanno insanguinato i Balcani.
Tutto, tranne questo, si può dire a carico di chi promuove la difesa della vita, affidandola all’obiezione di coscienza: dovrebbero ricordarselo soprattutto quei laicisti, che in altre occasioni hanno giustamente e laicamente lottato perché l’obiezione ottenesse un doveroso riconoscimento nel nostro ordinamento.
© Copyright Avvenire, 31 ottobre 2007
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