4 novembre 2008

Assemblea dei vescovi francesi, Card. Vingt-Trois: "Con il Papa una Chiesa giovane" (Sir)


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FRANCIA: ASSEMBLEA DEI VESCOVI; CARD. VINGT-TROIS, “CON IL PAPA UNA CHIESA GIOVANE”

Si è aperta questa mattina a Lourdes con la prolusione del cardinale presidente André Vingt-Trois, la 47ma Assemblea plenaria dei vescovi francesi. Partecipano ai lavori 112 vescovi diocesani, 17 vescovi emeriti, tre vescovi dei territori d’oltre mare e il nunzio apostolico.
All’Assemblea – che si concluderà domenica 9 novembre – i vescovi rifletteranno su tre principali argomenti, che sono stati al centro di altrettanti gruppi di lavoro: “L’indifferenza religiosa e la visibilità della Chiesa”, la bioetica e “Far vivere le nostre Chiese”.
In programma anche una riflessione sui “fondamenti del dialogo interreligioso”. Nella prolusione – pronunciata questa mattina – il card. Vingt-Trois ha evocato il viaggio apostolico di papa Benedetto XVI in Francia, che – ha detto l’arcivescovo – ha rappresentato “un grande momento della vita della nostra Chiesa”.
Ed ha aggiunto: ”Gli incontri di Parigi e Lourdes hanno dimostrato agli osservatori attenti ed imparziali che l’immagine data troppo spesso di una Chiesa in decadenza e priva di futuro, non corrisponde alla realtà.
Abbiamo visto una Chiesa dove hanno un posto centrale i giovani, gli adolescenti, gli studenti, i giovani professionisti e le giovani famiglie con i loro figli”. Bene pure “gli echi positivi” del viaggio apostolico registrati “ben oltre gli ambienti ecclesiali”.

© Copyright Sir

Radici Cristiane dell'Europa e Islam: "botta e risposta" fra Tariq Ramadan e Padre Samir (Il Riformista)

Clicca qui (sul blog di Paolo Rodari) per leggere l'articolo dello studioso musulmano Tariq Ramadan sul Riformista e l'intervista di risposta di Padre Samir Khalil Samir.

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COMUNICATO STAMPA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO , 04.11.2008

Inizia questa mattina, 4 novembre, e durerà fino a giovedì 6 novembre il 1° Seminario organizzato dal Forum Cattolico-Musulmano (Catholic-Muslim Forum), istituito dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e da esponenti musulmani a seguito della Lettera aperta indirizzata il 13 ottobre 2007 a Sua Santità Benedetto XVI e ad altri Capi di Chiese e Comunità ecclesiali da 138 personalità musulmane e della risposta data il 19 novembre 2007, a nome del Santo Padre, dall’Em.mo Cardinale Segretario di Stato.

Il Seminario ha per tema "Amore di Dio; amore del prossimo", che sarà sviluppato secondo due linee di approfondimento: il primo giorno sarà dedicato ai "fondamenti teologici e spirituali", mentre il secondo giorno sarà centrato su "dignità della persona umana e mutuo rispetto". Su ciascuno di questi due sotto-temi sarà presentata una relazione da parte cattolica ed una da parte musulmana, che saranno di base per i successivi dibattiti.

Per il terzo giorno è prevista l’Udienza del Santo Padre ai partecipanti al Seminario. Nel pomeriggio, alle ore16.30, presso la Pontificia Università Gregoriana, avrà luogo una sessione pubblica durante la quale sarà resa nota la Dichiarazione comune approvata al termine delle sessioni. Inoltre, interverranno sul Seminario un rappresentante musulmano ed uno cattolico, i quali potranno rispondere ad eventuali domande attinenti allo stesso Seminario.

Parteciperanno all’incontro, per ciascuna parte, 29 persone tra esperti, autorità religiose e consiglieri.

Bollettino Ufficiale Santa Sede

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Ernesto Galli Della Loggia: "Le spalle al Cristianesimo - Le uccisioni dimenticate" (Corriere)

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IDEE. Parla Samir Khalil: a giorni partecipa all’incontro con alcuni esponenti musulmani che firmarono la «lettera dei 138» al Papa

L’alfabeto della convivenza

DI GIORGIO PAOLUCCI

Un incontro per conoscersi di più. E per trovare forme di convivenza efficaci tra i seguaci delle due fedi religiose che insieme totalizzano più della metà della popolazione del pianeta. Dal 4 al 6 novembre una delegazione della Chiesa cattolica incontrerà a Roma alcuni tra i firmatari della lettera scritta un anno fa da 138 esponenti musulmani a Benedetto XVI e ai rappresentanti di altre confessioni cristiane.
Samir Khalil Samir, gesuita di origini egiziane e con passaporto italiano che vive e insegna all’università di Beirut, uno dei massimi conoscitori di cose islamiche, farà parte della delegazione vaticana.

Padre Samir, il tema principale dell’incontro è «amore di Dio, amore del prossimo». Quali implicazioni pratiche può avere la discussione su un tema così impegnativo?

«L’argomento rappresenta una vera sfida per entrambe le comunità. Mi sembra molto calzante la frase della lettera di San Giacomo: 'A che serve dire che ami Dio che non vedi, se non ami i tuoi fratelli che vedi?'. L’amore non è una teoria, si esprime in atti concreti. Nel dialogo che avremo nei prossimi giorni dovremo affrontare con coraggio le difficoltà che cristiani e musulmani incontrano nel testimoniare che la loro religione si esprime nell’amore».

Invece spesso si usa la religione per giustificare il ricorso alla violenza.

«Oppure si formulano generiche condanne della violenza, ma se ne ammette la liceità quando si pensa di difendere Dio e la verità. Dio si difende con la buona testimonianza della fede, con la ragione e con le parole, non con la sopraffazione. Parlare al cuore dell’altro, dove stanno le esigenze elementari che accomunano ogni uomo, suscitare in lui la parte migliore di sé: ecco il modo migliore per disarmarlo. Il ricorso alla violenza, invece, eccita nell’altro ciò che ha di peggiore, provoca una reazione istintiva, e l’altro risponderà alla violenza con la violenza. E così si innesca una dinamica che non serve a risolvere le ragioni del conflitto ma le rende più acute, allontana i contendenti anziché avvicinarli. Come dimostra tristemente quello che accade da decenni in Medio Oriente».

Una delle piste di lavoro previste negli incontri dei prossimi giorni riguarda la «dignità umana e il rispetto reciproco». Sarà inevitabile affrontare il nodo dei diritti umani e del loro rispetto, non crede?

«L’affermazione della dignità umana, per non restare qualcosa di teorico, implica il rispetto dei diritti umani. Che riguardano, ad esempio, il rapporto tra uomo e donna, tra i fedeli di differenti religioni, tra credenti e non credenti.
Alla radice di tutto c’è l’uso corretto della ragione naturale: grazie ad essa l’uomo può operare le sue scelte usando la libertà e facendola prevalere sull’istinto. E la libertà di coscienza è fondamento di tutte le altre libertà, è qualcosa che 'viene prima'».

Ma in molti Paesi islamici chi cambia religione rischia la morte o comunque gravi conseguenze.

«Col mondo musulmano c’è un problema derivante dal fatto che, partendo dal principio che l’islam è la migliore delle tre religioni rivelate e che le religioni rivelate sono migliori di qualunque altra scelta religiosa o filosofica, si afferma che chi ha già conosciuto il meglio non può 'tornare indietro': farebbe qualcosa che è contro natura. Da qui deriva la condanna di chi vuole abbandonare la fede islamica. È necessario approfondire tutti insieme che la libertà è un dono fatto da Dio all’uomo perché la eserciti, e questo esercizio può arrivare fino al punto di scegliere una strada diversa da quella in cui si è nati, o perfino di rifiutare Dio. Se non avesse la possibilità di scegliere, l’uomo sarebbe un animale. Dunque, se Dio accetta anche di essere rifiutato pur di non privare l’uomo della libertà, come può l’uomo pretendere di togliere a un suo simile l’uso della libertà che ha ricevuto in dono?
Sarebbe come sostituirsi a Dio».

C’è chi guarda con un po’ di scetticismo agli incontri di dialogo islamo­cristiano, temendo che si riducano ad appuntamenti per specialisti che non hanno riverberi concreti nei rapporti tra le due comunità. Che ne pensa?

«Bisogna chiarire preliminarmente che quello che si terrà tra pochi giorni non sarà un 'vertice' a livello specificamente teologico. Le differenze tra le due fedi sono evidenti e non possono essere cancellate. Il problema che vogliamo affrontare è piuttosto come poter vivere meglio insieme, sia nei Paesi islamici sia in Occidente, dove le comunità musulmane crescono numericamente e si sono radicate. Dobbiamo chiederci come trovare una base comune per costruire insieme una società dove ognuno possa praticare la propria fede nella libertà e nel rispetto dell’altro, e dove l’appartenenza religiosa non diventi un fattore discriminante per essere considerati cittadini a pieno titolo del Paese in cui si vive».

In che misura i 138 saggi musulmani firmatari della lettera-appello al Papa e ad altri leader cristiani sono realmente rappresentativi dell’islam?

«Tra loro ci sono sunniti, sciiti, ismailiti, sufi.
Provengono da 43 nazioni.
C’è una pluralità di voci, che di per sé è un dato significativo. Ma pretendere che parlino con una sola voce sarebbe come snaturare una delle caratteristiche dell’islam, che è appunto quella di non avere un’autorità unanimemente riconosciuta. Questo non preclude la possibilità di fare un pezzo di cammino insieme e di raggiungere un consenso almeno su alcuni aspetti che verranno messi sul tappeto.
L’obiettivo, migliorare le possibilità di convivenza, è troppo importante. Non solo per cristiani e musulmani, ma per l’umanità intera».

© Copyright Avvenire, 1° novembre 2008

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LA FIGURA DI EUGENIO PACELLI, PAPA PIO XII

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Il magistero di Pio XII e la comunicazione

Sulle onde della radio navigava la voce della Chiesa

Il 3 novembre presso il Braccio di Carlo Magno in Vaticano è stata presentata in anteprima la mostra "Pio XII. L'uomo e il pontificato" che sarà aperta dal 4 novembre al 6 gennaio. Ha introdotto l'incontro con i giornalisti monsignor Walter Brandmüller, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche che ha organizzato la mostra. A illustrare temi e contenuti dell'esposizione, moderati da don Cosimo Semeraro, segretario del comitato, sono intervenuti Giovanni Morello, Andrea Tornielli, Matteo Luigi Napolitano e Philippe Chenaux. Pubblichiamo stralci di uno degli articoli del catalogo (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2008, pagine 237, euro 24).

di Philippe Levillain

Il 12 febbraio 1931, il cardinale Pacelli, segretario di Stato da appena un anno, assistette all'invio del primo radiomessaggio di Pio xi. Poté costatare subito che il Sommo Pontefice si serviva sempre più di frequente di quello strumento, potendo contare sull'accresciuta regolare potenza della stazione emittente, munita a partire del 1938 di due antenne direzionali con dieci frequenze. Ciò avvenne a tre riprese, in occasione dei Congressi eucaristici internazionali e nazionali, e una volta per celebrare la festa di san Michele (radiomessaggio Mentre milioni diretto a tutti i cattolici e al mondo intero il 29 settembre 1938). Tutti questi interventi destinati a Budapest, a Québec o agli Stati Uniti erano fatti in italiano.
L'annuncio della scelta del conclave in favore del cardinale Pacelli del 2 marzo 1939 fu ritrasmesso in diretta dalla Radio Vaticana, e la prima benedizione apostolica di Pio XII fu commentata in nove lingue. Il giorno successivo alla sua elezione, il 3 marzo 1939, il Papa si servì per la prima volta della trasmissione radiofonica su onde corte. La Dum gravissimum comunicava a credenti e a non credenti la supplica che il Sommo Pontefice rivolgeva a Dio per la salvaguardia della pace. Pio XII ricordava che Pio xi aveva offerto la vita a sostegno della sua personale preghiera. Il tono del messaggio era segnato da una gravità iscritta nel generale clima di inquietudine. Ma il riferimento al suo predecessore consolidava l'ardente vigilanza del Santo Padre. È l'appello di un Papa che ci voleva.
Lungo l'intero arco della seconda guerra mondiale Pio XII si presentò, attraverso tutti i suoi radiomessaggi, come un padre sollecito delle famiglie (padri, madri, fanciulli, anziani), collocandosi al centro anche della vita sociale e economica annientata dalla guerra. La configurazione dei radiomessaggi si consolidò col tempo. Nel marzo del 1939, Pio XII è vigilante e riservato. Al riguardo la sua situazione è differente rispetto a quella di Benedetto xv, che nel suo Discorso concistoriale dell'8 settembre 1914, all'atto di manifestare anch'egli la sua supplica a Dio e di ricordare, inoltre, quella del suo predecessore Pio x, denunciava con vigore l'abisso in cui gli scontri, crescenti dopo il 18 luglio 1914, conducevano l'umanità e il mondo.
L'inflessione dei radiomessaggi verso l'angoscia e verso la speranza di un influsso morale e spirituale, collocando la croce al centro della supplica, si rivela bruscamente nel radiomessaggio del 24 agosto 1939, il giorno successivo alla firma del Patto tedesco-sovietico. Pio XII percepì senza illusione che esso apriva a Hitler il campo di battaglia europeo. "Un'ora grave, disse il Papa, suona nuovamente per la grande famiglia umana". L'appello insiste sulla paternità spirituale del Vicario di Cristo, che invoca la ragione in vista del trionfo della giustizia e una teologia morale dell'azione politica: "La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono". "Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo".
Il richiamo a un successo sempre possibile del negoziato è compiuto nel tentativo di introdursi nei cuori mediante l'evocazione di mali individuali e collettivi ineluttabili: "Noi li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella morte. E supplicandoli, sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia - tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. Abbiamo con Noi il cuore delle madri, che batte col Nostro; i padri, che dovrebbero abbandonare le loro famiglie; gli umili, che lavorano e non sanno; gli innocenti, su cui pesa la tremenda minaccia; i giovani, cavalieri generosi dei più puri e nobili ideali. Ed è con Noi l'anima di questa vecchia Europa, che fu opera della fede e del genio cristiano. Con Noi l'umanità intera, che aspetta giustizia, pane, libertà, non ferro che uccide e distrugge. Con Noi quel Cristo, che dell'amore fraterno ha fatto il Suo comandamento, fondamentale, solenne; la sostanza della sua Religione, la promessa della salute per gli individui e per le Nazioni".
Occorre ricordare che l'esercizio del magistero della parola non ha niente di incantatorio e che la Santa Sede segue una linea diplomatica attiva. I radiomessaggi, diffusi in quattro lingue (italiano, tedesco, francese e inglese) conferiscono alla sua attività una credibilità inimmaginabile sino ad allora: quella di un'opinione pubblica risvegliata dall'ascolto diretto della voce del Papa.
Molto presto, scoppiata la guerra, il regime nazista interviene per troncare gli interventi del Pontefice. Ma le stesse possibilità offerte alla voce del Papa di trovare ascolto in altri Paesi accrescono oltremodo l'influenza che la Santa Sede può giocare nel disordine politico e diplomatico generato dal furore espansionista di Hitler, dato che il Patto tedesco-sovietico prevedeva lo smembramento della Polonia. Nell'assillo della guerra segnata da devastazioni troppo prevedibili, la diplomazia vaticana esercitò delle pressioni sul governo polacco perché facesse delle concessioni territoriali. L'ambasciatore della Francia presso la Santa Sede, come riferisce Chenaux, espresse l'augurio "di una parola o di un gesto pubblico in favore della nazione cattolica minacciata". Gli venne risposto che il Papa aveva già parlato - il radiomessaggio del 24 agosto - e che nel Reich era in gioco la sorte di quaranta milioni di cattolici.
Si tocca qui uno dei paradossi dell'intervento della voce del Sommo Pontefice nella vita internazionale: il potere di amplificare il magistero mediante la parola generò progressivamente il dovere della parola, che colpisce più della lettura di un'enciclica e di un'esortazione apostolica. La grande difficoltà di Pio XII di fronte alle facoltà straordinarie che gli conferiva la radio consistette nell'equilibrare gli sforzi diplomatici della Santa Sede con il supporto circostanziato del messaggio della pace e dell'amore proprio della Chiesa cattolica e del ministero del Pontefice.
In termini di magistero, per l'immagine della Santa Sede durante la guerra, e più precisamente nell'evoluzione della seconda guerra mondiale, non fu tanto evidente come lo è oggi che esso non disponeva di alcuna arma prescrittiva e che il suo potere di giudizio era isolato perché distaccato dall'ordine del sapere. D'altra parte, l'azione della Santa Sede non era priva di campi in cui esprimersi.
Fu appunto il caso dei prigionieri di guerra (situazione cui Pio XII pensò dal 1939, preoccupandosi della famiglia), l'area degli aiuti materiali e della raccolta di certe informazioni. Se l'anno 1939 fu quello di una strana guerra con l'invasione della Polonia il settembre 1939, su cui la Santa Sede non si espresse, l'anno 1940 spinse Pio XII ad alzare la voce. Così si concateneranno i "radiomessaggi sovversivi", per riprendere l'espressione di Andrea Tornielli, diffusi regolarmente alla vigilia di Natale a partire dal 1940 e dei quali il più celebre è quello del 24 dicembre 1942. Essi svilupperanno gradualmente la teologia politica del Sommo Pontefice nel contesto di un conflitto, nel quale tutte le parti impegnate volevano che il loro sforzo aprisse un nuovo ordine. Pio XII disponeva di una saggia competenza giuridica che gli assicurava le prospettive pratiche della teologia morale, fondanti la giustizia e la carità. Sviluppò chiaramente questo punto di vista aperto al futuro attinente il necessario ricorso alla voce della Chiesa.
"Il 24 dicembre 1940 - scrive Tornielli - il Papa rivolge un importante discorso al collegio cardinalizio e alla Curia romana, chiedendo al mondo di ascoltare la voce della Chiesa. Solo così "l'intera umanità, come ciascuna Nazione in particolare, uscirà dall'odierna dolorosa e sanguinosa scuola più saggia, sperimentata e matura; saprà distinguere con limpidi occhi la verità dall'apparenza ingannatrice; e aprirà e tenderà l'orecchio alla voce della ragione, piacevole o meno, e lo chiuderà alla vuota retorica dell'errore; si formerà un convincimento della realtà, che prenderà sul serio l'attuazione del diritto e della giustizia, non solo quando si tratterà di esigere l'adempimento delle proprie ma anche quando si dovranno soddisfare le giuste richieste altrui"".
Nuovo ordine. Occorre rilevare che a differenza di Benedetto xv, nel sottolineare tale formula, Pio XII accetta implicitamente la guerra e malgrado i suoi sforzi più o meno costruttivi dei primi mesi, le assegna questo scopo politico e insieme spirituale. Denunciando la forza e l'uso della violenza per imbavagliare ogni concezione d'una verità diversa dalla propria sovranità, il Sommo Pontefice si colloca necessariamente dalla parte degli Stati guidati dalla libertà - leggiamo: i democratici - mentre domanda agli altri di sottoscriverla, di convertirsi, perché è l'unico esito della vittoria.
Il radiomessaggio del Natale 1942 è il più celebre inviato da Pio XII; lo lesse ai suoi stretti collaboratori prima di pronunciarlo. "Con sempre nuova freschezza indirizzato a tutti i popoli del mondo" - popoli e non nazioni - è il testo più lungo, più articolato, più biblico e più pragmatico di tutti quelli redatti e pronunciati da Pio XII in tale tragica sequenza della storia del mondo.
Le prime parole rimangono ancora oggi stupende: "Nuova freschezza di letizia e di pietà". Il ritorno al Natale come luce "in mezzo alle tenebre" è rapportato al Verbo e al suo messaggero. Il Sommo Pontefice contempla la storia sub specie Veritatis et Aeternitatis.
"Il motto Misereor super turbam è per Noi una consegna sacra, inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le situazioni umane, com'era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se stessa, cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e filiale, che tutte le classi dell'umanità fanno arrivare al suo orecchio. Essa non intende di prender partito per l'una o l'altra delle forme particolari e concrete, con le quali singoli popoli e Stati tendono a risolvere i problemi giganteschi dell'assetto interno e della collaborazione internazionale, quando esse rispettano la legge divina; ma d'altra parte, "colonna e base della verità" (1Timoteo, 3, 15) e custode, per volontà di Dio e per missione di Cristo, dell'ordine naturale e soprannaturale, la Chiesa non può rinunziare a proclamare davanti ai suoi figli e davanti all'universo intero le inconcusse fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine, inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro osservanza, e non semplicemente dallo sforzo di una volontà nobile e ardimentosa, dipende la fermezza finale di qualsiasi nuovo ordine nazionale e internazionale, invocato con cocente anelito da tutti i popoli. Popoli, di cui conosciamo le doti di valore e di sacrificio, ma anche le angustie e i dolori, e ai quali tutti, senza alcuna eccezione, in quest'ora d'indicibili prove e contrasti, Ci sentiamo legati da profondo e imparziale e imperturbabile amore e da immensa brama di portare loro ogni sollievo e soccorso che in qualsiasi modo sia in Nostro potere".
La costruzione del radiomessaggio è paragonabile a quella di una cattedrale, il cui centro (l'altare) e la cui guglia impongono una duplice visione, quella della Parola legata all'Eucaristia e quella dell'elevazione tramite la Parola legata alla Speranza. Con audacia Pio XII fa riferimento a "Iddio prima causa ed ultimo fondamento della vita individuale e sociale" prima di parlare di guerra, così come la considera la Santa Sede, e di descrivere "l'Ordinamento giuridico della società e i suoi scopi", nell'anno più nero della Seconda Guerra mondiale.
"Chi consideri con occhio limpido e penetrante la vitale connessione tra genuino ordine sociale e genuino ordinamento giuridico, e tenga presente che l'unità interna nella sua multiformità dipende dal predominio di forze spirituali, dal rispetto della dignità umana in sé e negli altri, dall'amore alla società e agli scopi da Dio ad essa segnati, non può meravigliarsi sui tristi effetti di concezioni giuridiche, le quali, allontanatesi dalla via regale della verità, procedono sul terreno labile di postulati materialistici; ma scorgerà subito la improrogabile necessità di un ritorno ad una concezione spirituale ed etica, seria e profonda, riscaldata dal calore di vera umanità e illuminata dallo splendore della fede cristiana, la quale fa mirare nell'ordinamento giuridico una rifrazione esterna dell'ordine sociale, voluto da Dio, luminoso frutto dello spirito umano, anch'esso immagine dello spirito di Dio. Su questa concezione organica, la sola vitale, in che la più nobile umanità e il più genuino spirito cristiano fioriscono in armonia, sta scolpita la sentenza della Scrittura, illustrata dal grande Aquinate: Opus iustitiae pax, che si applica così al lato interno, come al lato esterno della vita sociale. Essa non ammette né contrasto, né alternativa: amore o diritto, ma la sintesi feconda: amore e diritto".
Questo radiomessaggio è rimasto nella storia perché il suo assillo non ha raggiunto le considerazioni, ricostruite dopo la seconda guerra mondiale in virtù d'una strana storiografia della speranza delusa. Il rimprovero emerge nel contesto degli anni 1960 - nonostante il Vaticano ii e la dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane - denunciando nel messaggio di Pio XII troppi sottintesi quanto al suo commento di fronte alle atrocità sociali. L'espressione del voto si snoda come in un rosario. Nel film Amen realizzato da Costa Gavras nel 2002 - ispirato alla pièce teatrale Il Vicario di Hochhuth - don Fontana chiude la radio e non ascolta il radiomessaggio del 1942.

Per conoscere il pontefice e l'uomo

Lasciando la Germania nel 1929, il neocardinale Eugenio Pacelli tornò ad abitare a Roma nella casa costruita dal fratello in via Boezio. Qui rimase alcuni mesi anche dopo la nomina a segretario di Stato. Trasferitosi nel palazzo apostolico, Pacelli lasciò a casa tutte le carte personali che lo riguardavano: minute, lettere al fratello Francesco e ai familiari, fotografie ricordi. Alcuni di questi documenti, tratti dall'archivio privato della famiglia Pacelli, fanno parte della mostra allestita al Braccio di Carlo Magno.
Obiettivo degli organizzatori e dei curatori è stato infatti quello di restituire ai visitatori non solo il Pacelli ufficiale, ma il suo intero percorso di vita dall'infanzia alla morte, andando a scandagliare anche gli aspetti meno conosciuti del personaggio.
L'esposizione è articolata in nove sezioni. Inizia con una finestra aperta sull'ambiente familiare del piccolo Eugenio Pacelli, sulla sua casa e sulle scuole da lui frequentate. È uno sguardo gettato anche sulla Roma di Leone XIII e giunge fino all'ordinazione sacerdotale del 2 aprile 1899.
Da qui si dipana la carriera ecclesiastica di Pacelli con le sezioni dedicate alla sua attività diplomatica, alla Segreteria di Stato, ai suoi viaggi internazionali.
Gli anni del pontificato sono scanditi dai grandi temi che ancora oggi richiamano l'attenzione degli storici: la seconda guerra mondiale e la difesa della pace, l'attività in favore dei prigionieri di guerra, il sapiente e lungimirante uso dei radiomessaggi come mezzo di comunicazione del suo magistero. Attenzione speciale, naturalmente al Defensor civitatis e alla sua opera di aiuto agli ebrei perseguitati dal nazismo, ma anche a quanto Pio XII si adoperò per salvare le opere d'arte dalle distruzioni dei bombardamenti.
Le ultime sezioni sono dedicate al dopoguerra, agli anni della guerra fredda, alla Chiesa del silenzio, alla costruzione dell'Europa. Anni in cui il pontificato di Pio XII ha mostrato una lungimiranza troppo spesso ignorata.
Fotografie, oggetti personali, opere d'arte, documenti, scandiscono l'intero itinerario che porta fino alla morte il 9 ottobre 1958 e al ricordo riconoscente che di lui ebbe l'intera comunità internazionale.

Il vero volto di Papa Pacelli

Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha voluto dare la sua adesione con una lettera - pubblicata integralmente nel catalogo - della quale riportiamo i passi principali: "In occasione dei cinquant'anni dalla morte di Pio XII sono state promosse diverse iniziative tese a richiamare, sotto molteplici punti di vista, la memoria di questo grande Pontefice. Tra le tante manifestazioni assume particolare rilievo la mostra "Pio XII: l'uomo e il pontificato", organizzata dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche con l'intento di ricostruire, grazie al supporto di immagini, documenti e vari oggetti, il percorso umano e spirituale di Papa Pacelli. Dalla sua nascita nella Roma di Pio ix, alla sua formazione umana e religiosa che coincide con la fine del xix secolo; all'avvio del suo servizio nella Segreteria di Stato agli inizi del Novecento, con la rapida progressione di ruoli che ebbe ad assumere nella diplomazia pontificia, sino alla missione di Nunzio Apostolico a Monaco di Baviera, poi a Berlino. Quindi la nomina a segretario di Stato di Papa Pio xi e, infine, la sua elezione al Soglio Pontificio.
Nell'allestire l'esposizione si è cercato di far emergere i diversi aspetti che segnano la personalità di questo Papa. Non solo la sua ieratica immagine ufficiale, consegnata agli archivi della storia, ma qualcosa di più singolare e profondo, anzi, si potrebbe dire, qualcosa di più completo che ne evidenzi la vera personalità, e cioè quel suo vero volto che poterono apprezzare coloro che lo conobbero direttamente e con lui ebbero la fortuna di collaborare. Si tratta insomma di un percorso espositivo che mira a far luce appieno sul carattere, a percepire in profondità i suoi sentimenti e il modo con cui espletava gli alti incarichi che successivamente ricoprì nel corso della sua lunga esistenza. Tutto ciò grazie al contributo di immagini inedite o poco conosciute, come pure di suoi scritti di carattere sia personale che ufficiale. La mostra contribuisce così a far meglio conoscere un Pontefice che a giusto titolo va annoverato tra i più grandi personaggi del xx secolo. (...) Formulo l'auspicio che anche questa iniziativa serva a far apprezzare, specialmente alle nuove generazioni, la straordinaria figura di questo Papa, che seppe preparare, con profetica intuizione dei segni dei tempi, il cammino della Chiesa nell'epoca contemporanea".

Nessuna apologetica ma solo verità storica

"Attraverso la mostra commemorativa in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte vogliamo mettere in dovuta evidenza la persona e l'operato di Eugenio Pacelli-Pio XII su esplicita richiesta di Papa Benedetto XVI. Questa iniziativa ci è parsa tanto più opportuna in quanto a partire dall'anno 1963 - con la messa in scena del dramma teatrale Il Vicario di Rolf Hochhuth - venne scatenata una campagna diffamatoria ben orchestrata contro la memoria del pontefice". Con queste parole ha introdotto il suo intervento monsignor Walter Brandmüller, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, che ha aperto la presentazione in anteprima alla stampa della mostra al Braccio di Carlo Magno.
"Il cinquantesimo anniversario della morte di Pio XII - ha continuato Brandmüller - ha motivato il Pontificio Comitato a rendere giustizia a un grande Papa che già in vita godeva dell'ammirazione dei contemporanei indipendentemente dalle loro convinzioni religiose. Ciò non significa fare apologetica. Basta piuttosto far conoscere la verità storica, poiché le accuse lanciate contro Papa Pacelli non possono richiamarsi alla seria ricerca storica, la quale in modo sempre più convincente ne dimostra l'infondatezza. Dare il proprio contributo a quel ripensamento in corso per noi non significa soltanto rispondere alle richieste di una storiografia priva di pregiudizi, ma anche esprimere doverosa riconoscenza a Pio XII, che - lungimirante - nel 1954 creò il "suo" Comitato Storico".
Dopo aver ringraziato il curatore della mostra, Giovanni Morello, i curatori del catalogo, lo stesso Morello, Philippe Chenaux e Massimiliano Valente, e quanti hanno contribuito alla realizzazione della esposizione, monsignor Brandmüller ha annunciato che, significativamente, la mostra sarà allestita, nei primi mesi del 2009, anche a Berlino e Monaco, dove il nunzio Pacelli svolse la sua attività di diplomatico pontificio.
"È la nostra speranza - ha concluso - che la mostra "Pio XII. L'uomo e il pontificato" possa illustrare non soltanto la grande importanza storica di Papa Pacelli, ma in generale la dimensione spirituale, anzi soprannaturale del pontificato Romano".

(©L'Osservatore Romano - 3-4 novembre 2008)

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UNA NUOVA CURIA

TAGLIO DEI MINISTERI

Alcuni potrebbero essere accorpati, diminuendo gli uffici e le «aree di improduttività»

Nuova strategia contro i fannulloni

Cartellino segnatempo C’è malumore tra i prelati contrari a un rigido controllo dell’orario

Effetto Brunetta in Vaticano

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’ DEL VATICANO

Effetto Brunetta in Curia, negli uffici vaticani arriva il cartellino. Nei Sacri Palazzi si striscia la tessera magnetica in entrata e in uscita. Timbrano tutti con un «badge» elettronico blu: minutanti, capi ufficio, laici, ecclesiastici e religiose. Di tornelli, almeno per ora, non si parla. E dal primo gennaio saranno in funzione anche le schede di valutazione per misurare il rendimento e collegare le retribuzioni al merito.
In Vaticano, dunque, entra la meritocrazia e, in applicazione del nuovo regolamento, sono stati predisposti gli «orologi» e le schede di valutazione.
«Si è sparsa la voce, le cose buone viaggiano veloci - esulta il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta -. Il nostro sano riformismo è stato ripreso anche in Vaticano».
Le schede di valutazione, spiega il portavoce papale padre Federico Lombardi, «erano state richieste anche dall’Associazione dei dipendenti laici del Vaticano».
Il «segnatempo», invece, suscita malumori, specialmente tra le tonache. Il cartellino è un problema, infatti, per alcuni prelati che ritengono che un controllo troppo rigido dell’orario di lavoro, specialmente dei due ritorni pomeridiani a settimana, limiti la «necessaria flessibilità» e non si concili con le loro attività pastorali fuori del Vaticano. Alcuni monsignori obiettano che nel 1960 Giovanni XXIII abolì il «segnatempo» proprio perché non consono agli ecclesiastici.
Il cartellino versione 2008 è una scheda blu a banda magnetica voluta dai Servizi economici del Governatorato della Città del Vaticano che sostituisce tutte le tessere in uso nel piccolo Stato, da quelle per accedere ai distributori di benzina o allo spaccio, ai tesserini identificativi di alcuni uffici, tra i quali anche la Radio Vaticana. In un primo tempo si pensava di poterlo usare anche come documento di identità per quei dipendenti che sono anche cittadini vaticani, ma per ora si è dovuta abbandonare l’idea, per motivi tecnici. Sulla scheda di valutazione, in copertina, ci sono i dati identificativi del lavoratore, e all’interno quattro paragrafi (dedizione, professionalità, rendimento, correttezza). Per ognuna delle quattro voci si può barrare su «ottimo», «buono», «sufficiente» o «insufficiente». Le «classi di merito» aumenteranno le retribuzioni. Attualmente lo stipendio-base dei dipendenti vaticani va dai 1.300 euro del primo livello ai circa 2.300 euro del decimo livello, cui vanno aggiunti gli scatti di anzianità, le integrazioni e le indennità.

Ma sullo sfondo c’è una riforma più complessiva. Paolo VI, che ha creato cardinale Joseph Ratzinger, bollò la macchina d’Oltretevere come «una burocrazia pretenziosa e apatica, solo canonista e ritualista, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi».

E da tempo anche il segretario di Stato Tarcisio Bertone non fa mistero di voler riformare la Curia per renderla più snella e meno elefantiaca e ritiene che «a vent’anni dall’ultima riforma è opportuno valutare l’organizzazione dei dicasteri per riflettere su come rendere le strutture esistenti sempre più funzionali alla missione della Chiesa e poi decidere se tutto debba essere mantenuto». Altri dicasteri, come accaduto a quello dell’Immigrazione (finito in «Giustizia e Pace»), potrebbero essere accorpati, con la diminuzione di numero degli uffici curiali e delle «aree di improduttività».

Una volontà di sfrondamento, concretizzata nell’istruttoria anti-sprechi «top secret» consegnata a Benedetto XVI dal cardinale Attilio Nicora, giurista e amministratore del patrimonio vaticano.

E’ stato Benedetto XVI a dare mandato al cardinale Bertone di introdurre criteri di maggiore efficienza e premi alla produzione per i dipendenti, come già sperimentato all’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), il braccio economico della Curia. La nuova «tessera unica» grazie a un microchip assomma le funzioni di segnatempo e parcometro consentendo anche l’accesso al nuovo parcheggio «Santa Rosa» e l’uscita direttamente su piazza Risorgimento. E, democraticamente, unirà dipendenti laici e prelati. Ma in Segreteria di Stato, la «stanza dei bottoni» d’Oltretevere, niente cartellino.

© Copyright La Stampa, 4 novembre 2008 consultabile online anche qui.

Malumore fra i prelati? Ohoooh! :-)
Se veramente i monsignori hanno "esigenze pastorali" potranno farlo presente senza alcun problema.
Benedetto XVI si mostra sempre molto disponibile con i sacerdoti ligi al proprio dovere e impegnati nell'aiuto ai fedeli.
Dubito che si mostri altrettanto aperto verso chi si lamenta con i media esigendo, ovviamente, l'anonimato (sentito al Tg2 di ieri sera) e "bivacca" negli uffici.
Forza e coraggio, quindi
:-)
R.

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Clicca qui per leggere l'articolo de La Croix nella versione originale (francese)

Leggiamo ora la traduzione a cura di www.finesettimana.org

Le tappe di un cammino islamo-cristiano ancora da tracciare

di Martine De Sauto

in “La Croix” del 27 ottobre 2008 (traduzione www.finesettimana.org)

Dei pionieri avevano aperto la strada, ma il dialogo islamo cristiano è cominciato davvero dopo il Vaticano II, ed amplificato da Giovanni Paolo II. Benedetto XVI si iscrive in questa logica, ma con maggiore chiarezza e fermezza.

Nel settembre 2006, dopo il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, il dialogo tra islam e cristianesimo sembrava messo male.
I musulmani, compreso i più moderati, si erano interrogati su quella che percepivano come una rottura dopo le iniziative di dialogo prese da Giovanni Paolo II. E, tra i cattolici, c'era chi parlava di un cambiamento di rotta.
Da allora, ricorda però Maurice Borromans (1) “molte cose sono successe”. Tra due comunità di più di un miliardo di fedeli, le poste in gioco sono troppo importanti per lasciar cadere le possibilità d'incontro.
Per secoli, i rapporti tra cristiani e musulmani, segnati dalla storia, sono stati vissuti piuttosto come scontro. A partire dal XIX secolo, lo sguardo dei cristiani sull'islam comincia a modificarsi.
Missionari protestanti e cattolici instaurano delle relazioni di amicizia e di servizio con i musulmani. Parallelamente, l'emiro Abd El Kader, che diventa famoso per aver preso nel 1860 la difesa dei cristiani di Damasco, contribuisce a cambiare l'immagine dei musulmani. Alla fine del secolo, Charles de Foucauld incarna a sua volta il rispetto evangelico della fede dei musulmani.
Nello stesso periodo, le Chiese cercano di favorire una migliore conoscenza dell'islam. Fin dagli anni 20, vengono dispensati nelle università pontificie dei corsi di islamologia e, nel 1937, tre giovani domenicani – Georges Anawati, Jacques Jomier e Serge de Braurecueil – accettano, su richiesta del padre Marie-Dominique Chenu, di impegnarsi nello studio dell'islam e della cultura araba in paese musulmano. Inizieranno, in Egitto ed in Afghanistan, un dialogo teologico e spirituale con i musulmani e permetteranno la nascita, nel 1945, dell'Istituto domenicano di studi orientali del Cairo.
I Padri Bianchi creano fin dal 1926 in Tunisia una casa di studi e di ricerca che permetterà la nascita del PISAI, l'Istituto pontificio di studi arabi ed islamici, di cui padre Borrmans sarà fino a questi ultimi anni una figura essenziale. Sul campo, le cose sono in movimento. Dei religiosi in missione si impegnano per la difesa dei diritti del musulmani. In Algeria,la solidarietà si esprime attraverso monsignor Duval. Allo stesso tempo, in Francia, dei cristiani si preoccupano dei lavoratori immigrati maghrebini.
Un passo decisivo viene fatto alla fine del Concilio Vaticano II, con la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate) promulgata da Paolo VI, il 28 ottobre 1965, che afferma che “la Chiesa cattolica guarda con stima i musulmani che adorano il Dio uno.
(...) Se numerosi dissensi e inimicizie si sono manifestati tra cristiani e musulmani, il concilio li esorta a dimenticare il passato, (...) a promuovere insieme la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.” Vengono create delle istituzioni per organizzare il dialogo e facilitarne la prosecuzione. A cominciare dal segretariato pontificio per le relazioni con i non-cristiani, che nel 1987 diventerà il Consiglio per il dialogo interreligioso. In Francia l'episcopato istituisce nel 1973 un Segretariato per le relazioni con l'islam (SRI). Praticamente ogni conferenza episcopale d'Europa fa la stessa cosa. Il COE, che ha anch'esso gettato dei ponti verso l'islam, dispone di un ufficio specializzato a Ginevra. Le pubblicazioni seguono. La riflessione teologica si sviluppa con uomini come Robert Caspar. Nel 1967 viene tra l'altro creato in seno all'Istituto cattolico di Parigi un
Istituto di scienze e di teologia delle religioni (ISTR) che si interessa al dialogo islamo-cristiano.
Altri seguiranno. E numerose facoltà di teologia anglicane e protestanti faranno lo stesso. Le Chiese cristiane del Maghreb e del Medio Oriente elaborano dei testi per una spiritualità dell'incontro. Il Gruppo di ricerca islamo-cristiano (Gric), che riunisce professori universitari di diversi paesi, nasce
in Tunisia nel 1977. Diverse organizzazioni non clericali vedono anch'esse la luce, come il Gruppo di amicizia islamo-cristiana (Gaic), che organizza ogni anno in Europa una settimana di incontri islamo-cristiani.
Gli anni 1960-1970 sono contrassegnati da un clima irenico. Giovanni Paolo II si mostra più realista. Fin dal 1985 a Casablanca davanti ad 80 000 giovani marocchini, esprime l'augurio di una collaborazione in vista di un dialogo delle culture, delle spiritualità e di una lotta comune per lo sviluppo. Insiste sull'esigenza di una “reciprocità” a favore delle minoranze cristiane. La sua visita all'università di Al-Azhar del Cairo, la più prestigiosa dell'islam sunnita, poi alla moschea degli Omeyyadi a Damasco, i suoi discorsi in diversi paesi musulmani permettono di aprire la strada del dialogo, di arricchirne il contenuto teologico e pastorale. Parallelamente proseguono gli incontri ufficiali tra Chiese ed esperti musulmani. Certe istituzioni musulmane, come l'università di Tunisi o l'accademia reale di Giordania, prendono anch'esse delle iniziative.
“Benché il dialogo abbia acquisito una certa popolarità, constata tuttavia il gesuita Christian Van Nispen (2), da una ventina d'anni si sono manifestati dei fenomeni di fatica, se non di diffidenza.”
E, effettivamente, ben prima che l'11 settembre ravvivasse i pregiudizi reciproci e la mutua diffidenza, lo scetticismo domina le comunità cristiane.
L'aumento degli estremismi in Medio Oriente, l'assassinio di religiosi cristiani in Algeria, la persecuzione di minoranze non musulmane nel Sudan ed in Nigeria, l'esodo dei cristiani dalla Palestina e dall'Iraq sottolineano i limiti del dialogo ed il peso dei contesti sociopolitici.

Anche il dialogo teologico procede con fatica. Tenuto conto delle difficoltà, Benedetto XVI riprende il problema su basi nuove.

Pur restando fedele allo spirito di Nostra aetate, incoraggiando a proseguire l'opera, inscrive il dialogo in una prospettiva diversa, mettendo l'accento su due punti: il dialogo delle culture, indispensabile al bene dell'umanità, piuttosto che il dialogo teologico, e la libertà di coscienza e di pratica religiosa.

(1) Padre Bianco, autore in particolare di Dialogue islamo-chrétien à temps et contretemps, Éd.
Saint-Paul, p. 254, € 18,50.
(2) (2) Chrétiens et musulmans. Frères devant Dieu, Éd. de l'Atelier, p. 188, € 15.

Clicca qui per accedere all'indirizzo diretto della traduzione.

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Scienza e religione al di là degli stereotipi

Il big bang il gesuita e l'ebreo

Due astronomi a colloquio con Riccardo Chiaberge

di Lucetta Scaraffia

Il rapporto fra scienza e religione sembra farsi sempre più difficile, addirittura fonte di aperti conflitti che nascono più spesso da malintesi che da vere ragioni di contrapposizione, tanto che alcuni scienziati, in tutto il mondo, ne hanno fatto addirittura un genere letterario.
In un clima così teso arriva invece con intento distensivo il libro di Riccardo Chiaberge La variabile Dio (Milano, Longanesi, 2008, pagine 195, euro 14,60) che affronta questo tema da un punto di vista originale: un lungo colloquio con importanti scienziati, George Coyne, che è stato direttore della Specola Vaticana, e Arno Penzias, l'astronomo che ha captato il rumore del big bang. L'incontro si è svolto in distesa amicizia e stima reciproca, "tutto l'opposto di quel clima di crociata e di muro contro di muro che sembra dominare da qualche anno intorno a questi temi".
I due scienziati, entrambi settantacinquenni, hanno parlato del rapporto con la religione nel loro percorso biografico - Coyne gesuita, Penzias ebreo scampato alla Shoah - e nella loro passione scientifica. E se Penzias dice di guardare a un mondo in cui Dio non interviene, Coyne insegue Dio nella sua ricerca sull'universo: "Sto cercando di capire un universo creato da Dio che mi ama". Ma se non sono molti gli scienziati a dichiararsi religiosi - scrive Chiaberge - sono quasi la metà quanti pensano che avere una fede non impedisca affatto di essere un ottimo ricercatore, convinti cioè che si tratti di due campi esistenziali separati, che possono non interferire l'uno con l'altro.
Chiaberge passa poi ad affrontare i due nodi strategici della contrapposizione fra scienza e fede: il processo a Galileo e l'evoluzionismo. Mentre per il processo a Galileo sembra addirittura che l'ebreo Penzias sia più indulgente del gesuita Coyne nel suo giudizio sull'operato della Chiesa di Roma, vedendo nel processo allo scienziato non tanto una condanna delle sue teorie, quanto dell'uomo che ne aveva fatto un uso contrario alle disposizioni della gerarchia ecclesiastica - un processo quindi più politico che scientifico - per quanto riguarda l'evoluzionismo vediamo i due scienziati schierati entrambi, senza remore, su una posizione favorevole.
Posizione che si contrappone quindi nettamente a quelle dei creazionisti, ai quali Chiaberge dedica un interessante capitolo frutto di una visita al Creation Museum del Kentucky. Coyne sostiene che anche l'idea dell'Intelligent Design "sminuisce Dio, lo degrada ad un ingegnere", mentre invece - continua il gesuita - "la scienza moderna pone una sfida, una sfida stimolante, alle credenze tradizionali intorno a Dio. Dio nella sua infinita libertà crea continuamente un mondo che riflette questa libertà a tutti i livelli del processo evolutivo verso una complessità sempre più grande. Dio lascia che il mondo sia quello che sarà nella sua continua evoluzione. Non interviene, ma piuttosto asseconda, partecipa, ama".
Ma questo libro dai molti meriti, che tra l'altro - ed è un pregio non secondario - riesce a far capire in termini semplici complicate teorie astrofisiche sull'origine e la natura dell'universo, non arriva a individuare il punto su cui si fonda la vera differenza fra i cattolici e gli evoluzionisti radicali: cioè il posto dell'essere umano nella natura. I cattolici, e i credenti in generale, non accettano infatti una teoria che vuole l'uomo parte della natura a tal punto da negare la differenza, l'eccezione, della specificità umana. Da questa diversa concezione di essere umano, ovviamente, deriva una diversa valutazione etica dell'intervento scientifico nei momenti di inizio e di fine della vita.
Molto parziale è anche la lettura che Chiaberge fa del Vaticano ii, secondo lui molto aperto nei confronti della scienza e che nei decenni successivi sarebbe stato tradito da una nuova ostilità dimostrata dalla Chiesa: l'autore sembra non pensare che nei decenni che seguono il concilio è cambiato completamente il rapporto fra la scienza e la società, e si sono aperti nuovi e complessi problemi, ai quali, sicuramente, i padri conciliari non avrebbero potuto dare risposte diverse da quelle date dalla Chiesa di oggi. Ma nonostante queste incomprensioni il libro rimane un tentativo interessante di conciliazione fra mondi culturali che vengono spesso contrapposti. Un tentativo del quale bisognerà tenere conto.

(©L'Osservatore Romano - 3-4 novembre 2008)

Vergognosa omissione dei media: la delegazione ebraica ha espresso solidarietà per il massacro dei Cristiani in India ma nessuno ne ha parlato!


IL PAPA E L'EBRAISMO: LO SPECIALE DEL BLOG

Ennesimo esempio di mancanza di onesta' da parte dei media del nostro Paese.
Si e' parlato molto dell'incontro del Papa con la delegazione ebraica, guidata dal Rabbino Rosen, ricevuta in Vaticano giovedi' 30 ottobre. Si e' blaterato molto sulla richiesta di aprire gli Archivi vaticani affinche' si possa studiare la figura e l'attivita' di Pio XII.
Peccato che la delegazione ebraica abbia espresso solidarieta' al Papa per i massacri dei Cristiani in vari Paesi.
Nessun quotidiano e nessun telegiornale ha parlato di questo aspetto.
E' una vergogna quasi senza precedenti che dimostra quanto i nostri media ragionino "a senso unico".
Come ho appreso di questa solidarieta'? Per caso, leggendo un'intervista a Moishe Smith sulle elezioni americane.
Ringraziamo "Il Giornale" per avere riportato le parole di Smith.
L'intervista e' consultabile per intero qui.
A noi interessa pero' solo un passaggio, che riporto
:

Lei la scorsa settimana era nella delegazione ebraica che è stata ricevuta dal Papa. Com’è stato l’incontro?

«Molto positivo. I media enfatizzano la questione degli archivi di Pio XII. Quello è un problema, ma è sbagliato fissarsi sul punto. Al pontefice, invece, abbiamo assicurato aiuto e solidarietà davanti all’aggressione dei cristiani perseguitati in molti Paesi, a cominciare dall’India».

I media riflettano sulle loro visioni parziali.
R.

Padre Lombardi: "Il Papa andrà in Africa a portare un messaggio di speranza" (Radio Vaticana)


Vedi anche:

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE IN CAMERUN E ANGOLA (MARZO 2009)

Il primo incontro del forum cattolico-musulmano: "Una scelta per il futuro" (Osservatore Romano)

Cattolici ed Islam-L’esigenza della verità. Intervista all’imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini (Sir)

Pedofilia nella Chiesa: la svolta attesa e coraggiosa di Benedetto XVI (Cesare Fiumi)

Al via domani in Vaticano il forum cattolico-musulmano

Padre Samir: "Cristiani e Musulmani: riprende il dialogo grazie al Papa ed alla lectio di Ratisbona" (Asianews)

Benedetto il predicatore: 27 omelie di Papa Ratzinger raccolte in un unico volume a cura di Sandro Magister (Ravasi)

Card. Tauran su incontro islamo-cattolico in Vaticano: "Un capitolo nuovo" (La Croix e Sir)

Il Papa: "La morte prematura di una persona a noi cara diventa un invito a non attardarci a vivere in modo mediocre, ma a tendere al più presto alla pienezza della vita"

Una riflessione sulle parole del Papa all’Accademia delle scienze (Doldi)

Un nuovo altare alla Cattedra in San Pietro

Un esempio di come si crea confusione nella mente dei semplici: il Gesù del cardinale Martini

Ernesto Galli Della Loggia: "Le spalle al Cristianesimo - Le uccisioni dimenticate" (Corriere)

Tra il Papa e l’eretico la spunta Galileo (Maniaci)

Enzo Bianchi: "Il Libro al centro dell’ultimo sinodo: sale della pace, va diffuso anche fra le culture orali" (La Stampa)

Evoluzione e Creazione: in Vaticano piena libertà di discussione, voglia di capire senza vincoli (Politi)

In Africa per sperare: editoriale di padre Lombardi

Il conflitto in Congo è uno dei tanti drammi che affligge l’Africa: ci sono altre guerre, le pandemie, la povertà, la fame. Ma ci sono anche tante ricchezze della società africana che spesso non vengono messe in risalto dai mass media e che invece la comunità cristiana cerca di valorizzare. Un segno importante dell’attenzione costante della Chiesa per questo Continente sarà il viaggio che Benedetto XVI compirà nel marzo dell’anno prossimo in Camerun e Angola. La riflessione del nostro direttore padre Federico Lombardi.

L’annuncio dato dal Papa di un suo prossimo viaggio nel continente africano, nel marzo 2009, è una notizia importante. Giovanni Paolo II, che aveva dedicato all’Africa una grandissima e appassionata attenzione – tanto da essere definito dal cardinale Thiandoum: “Giovanni Paolo II l’Africano” – negli ultimi anni del pontificato non aveva potuto più recarsi nel Continente: gli ultimi brevi viaggi erano stati nel '98 in Nigeria e nel 2000 in Egitto e nel Sinai. Benedetto XVI ha già toccato vari Paesi d’Europa, le Americhe, l’Oceania e in certo senso anche l’Asia con il viaggio in Turchia, ma non aveva ancora visitato alcun Paese africano. Certamente, l’Africa con i suoi gravi problemi è stata spesso presente nelle sue parole e sempre nel suo cuore, ma un viaggio ha sempre un significato fortissimo di partecipazione, di presenza, di contatto diretto.
Inoltre, il prossimo anno 2009 sarà l’anno dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa e il viaggio del Papa avrà un ruolo fondamentale nella sua preparazione, cosicché l’intera Chiesa orienterà il suo sguardo verso l’Africa. La solidarietà spirituale e fattiva della comunità universale dei credenti accompagnerà il rinnovato impegno di crescita delle comunità cattoliche dell’Africa che - come quella dell’Angola - contano ormai cinque secoli di vita, hanno una loro storia e tradizione sulla cui base guardare al futuro.
Tutti abbiamo negli occhi immagini drammatiche di conflitti e di povertà, ma c’è anche una straordinaria vitalità positiva nel Continente che va liberata, incoraggiata, sostenuta e orientata, perché gli africani possano costruire l’Africa nella dignità e nella speranza. Un messaggio di speranza: è certamente questo che Papa Benedetto porterà alla terra africana.

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