27 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno (3)


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Rassegna stampa del 27 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno 2007 (1)

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno 2007 (2)

Ancora sulle regole dell'elezione a Pontefice

Le regole del Conclave, una riflessione (di Raffaella)

Il Motu proprio di Benedetto XVI pubblicato a "sorpresa"

IL PAPA RIFORMA IL CONCLAVE: IL PAPA ELETTO DAI DUE TERZI DEL SACRO COLLEGIO

Il testo del MOTU PROPRIO

IL DOCUMENTO

Con un «motu proprio» diffuso ieri, Benedetto XVI ha ripristinato la regola tradizionale circa la maggioranza richiesta nell'elezione del Pontefice Abrogando un punto della costituzione «Universi Dominici gregis», si ristabilisce: sempre necessari i voti di due terzi dei cardinali in Conclave

Elezione del Papa, torna la norma dei «due terzi»

Da Roma Benedetto Xvi

Per eleggere il Pontefice sarà sempre necessaria una maggioranza qualificata. Lo ha stabilito un motu proprio di Benedetto XVI, con il quale, in risposta a «richieste autorevoli» già presentate a Papa Wojtyla, si ripristina la norma tradizionale circa la maggioranza richiesta nell’elezione del Papa, che torna a essere in ogni circostanza quella dei due terzi dei cardinali presenti in Conclave. Ciò diversamente da quanto previsto al punto 75 dalla Costituzione apostolica Universi Dominici gregis, che dopo il 33° o 34° scrutinio stabiliva si potesse procedere anche a votazioni per le quali fosse sufficiente «la sola maggioranza assoluta». Secondo le nuove disposizioni, dopo la 33ª o 34ª votazione, si passa direttamente al ballottaggio fra i due cardinali che avranno ricevuto il maggior numero di voti nell’ultimo scrutinio, ma anche in questo caso sarà necessaria una maggioranza dei due terzi. Viene inoltre specificato che i due cardinali rimasti in lizza non potranno partecipare attivamente al voto.

© Copyright Avvenire, 27 giugno 2007


Dal giuramento alla fumata bianca: quando nella Sistina risuona l'«extra omnes»

Fabrizio Mastrofini

Dopo il solenne giuramento da parte degli elettori e la pronuncia della dichiarazione «extra omnes» (fuori tutti) i cardinali elettori entrano in Conclave da soli, senza avere possibilità alcuna di comunicare con il mondo esterno. Nella prima fase della votazione si distribuiscono le schede sulle quali è stampata la formula: «Eligo summum Pontificem». Poi si passa all'estrazione a sorte di tre scrutatori, tre revisori e tre «infirmari», ossia coloro che assumono il compito di raccogliere i voti dei cardinali infermi (se ci sono). Dopo avere scritto sulla scheda il nome del proprio candidato, il cardinale elettore si reca verso l'altare per depositarla dentro un'urna pronunciando in latino la formula: «Chiamo a testimone Cristo che mi giudicherà che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto». Per impedire che le schede scrutinate possano per sbaglio essere conteggiate due volte, queste vengono cucite tra di loro con ago e filo nel punto in cui si trova scritto la parola «eligo». Se su nessun nome è stato raggiunto un accordo le schede vengono bruciate in una stufa assieme a prodotti chimici per ottenere il fumo nero, o, in caso di elezione, quello bianco. Una volta eletto il nuovo Papa, l'ultimo dei cardinali dell'Ordine dei diaconi chiama nella Sistina il segretario del nuovo successore di Pietro, il maestro delle cerimonie liturgiche e i cerimonieri. Quindi il cardinale decano chiede formalmente all'eletto se intende accettare o meno l'incarico. Ad una sua risposta affermativa gli viene chiesto il nome scelto. L'accettazione si conclude con la redazione di un verbale e la vestizione del Papa per il rito d'obbedienza.

© Copyright Avvenire, 27 giugno 2007

Una piccola aggiunta: nel 2005 il cardinale decano era Joseph Ratzinger, quindi a porre la domanda se accettasse o meno l'elezione a Pontefice fu il cardinale sotto-decano, Angelo Sodano.
Raffaella


la stoira

Conclave, evoluzione millenaria

Il criterio dei due terzi risale al Medioevo. Nel variare delle legislazioni, la priorità resta garantire la libertà del voto

Di Gian Maria Vian

Il motu proprio di Benedetto XVI - datato 11 giugno 2007 e reso noto ieri - che modifica alcune norme per l'elezione dei vescovi di Roma riporta l'attenzione sulla storia delle successioni papali. In particolare, sulla storia del conclave, l'istituzione quasi millenaria che ha saputo assicurare per secoli e tuttora assicura le successioni papali. In questa storia lunghissima e non di rado turbolenta si può tuttavia rintracciare un chiaro filo conduttore, e cioè l'intento di favorire l'esercizio di una responsabilità altissima com'è quella di scegliere i successori dell'apostolo Pietro sulla sede romana. In età antica, la scelta dei vescovi di Roma avveniva come nelle altre comunità cristiane, coinvolgendo soprattutto il clero - presbiteri e diaconi -, in parte il popolo, e dal V secolo l'autorità imperiale, ormai cristiana e dai tempi di Costantino indiscussa anche nella Chiesa. Con una costante, comune alla sede romana come a buona parte delle altre Chiese cristiane: il rifiuto di successioni di tipo dinastico. Un canone del sinodo di Antiochia dell'anno 341 afferma infatti che non è «lecito a un vescovo designare il proprio successore», e papa Simmaco nel 499 proibisce accordi sulla successione mentre il vescovo di Roma sia ancora vivo.

Contro le ingerenze politiche

L'affermazione della sede romana sulle Chiese di Occidente passa nell'alto medioevo per l'affrancamento dall'imperatore bizantino, grazie a un incipiente potere temporale e al ricorso all'emergente potenza, presto divenuta imperiale, dei sovrani franchi. Per proteggersi da questa nuova ingerenza la Chiesa di Roma tende a rinchiudersi anche nelle successioni sulla sede di Pietro, che nel X secolo diviene preda della rapace aristocrazia romana. La riforma arriva allora dalla Germania. È infatti l'impero tedesco a cavalcare l'onda riformatrice e a imporla al papato. Anche per quanto riguarda l'elezione papale, ridisegnata nell'ambito di questo movimento riformatore da Niccolò II, che nel 1059 la riserva prioritariamente ai cardinali vescovi, finché nel 1179 Alessandro III la affida ai soli cardinali. Proprio allora - tra i secoli XI e XII - prende forma il conclave, che da quest'epoca è rimasto immutato, con i necessari adattamenti imposti dallo scorrere del tempo. Nel Duecento, quando il papa e la curia vivono una mobilità senza precedenti, si rafforza la clausura degli elettori, con il caso clamoroso dell'elezione di Viterbo, che dura dal 1268 al 1271 e provoca nel 1274 la normativa di Gregorio X, dove appare il termine «conclave». Le tempeste vissute dal papato nell'autunno del medioevo portano all'affinamento delle norme elettorali, sino alle legislazioni moderne e contempo-ranee (da quella di Pio X nel 1904 a quella di Giovanni Paolo II nel 1996 con la costituzione Universi Dominici gregis). Che hanno un denominatore comune: quello di favorire la libertà e la responsabilità degli elettori. L'attuale legislazione risale nella sostanza al cuore del medioevo. Ai cardinali s'inizia a riservare l'elezione papale fin dal 1059, mentre nel 1179, nel contesto del concilio Lateranense III, Alessandro III riserva soltanto a loro l'elezione, richiedendo che il prescelto raccolga almeno i due terzi dei voti. Da allora la norma dei due terzi è stata nella sostanza sempre mantenuta. Con una sola eccezione: nel 1378 Gregorio XI introduce la possibilità di un'elezione con la metà dei voti più uno per facilitare la scelta dei cardinali, ma proprio in quell'anno, anche se non solo per questo, si apre il drammatico scisma d'Occidente, durante il quale si fronteggeranno tre papi. Per sanarlo ci vorrà il concilio di Costanza, che reintroduce il criterio dei due terzi ed elegge nel 1417 un nuovo papa.

Le riforme più recenti

Nel 1975 Paolo VI - che nel 1970 esclude dall'elettorato attivo i cardinali ultraottantenni - introduce la possibilità, dopo due settimane di conclave, di abbandonare il criterio dei due terzi per la metà più uno. Ma purché questa decisione venga presa dai cardinali elettori all'unanimità. Dal 1996 (con la Universi Dominici gregis) invece era sufficiente la metà più uno dei votanti per decidere di eleggere il pontefice con la sola metà più uno dei voti dopo due settimane di conclave - eventualità peraltro mai verificatasi dal 1831 -. Da oggi, col motu proprio di Benedetto XVI, si torna al criterio, ben collaudato, dei due terzi.

© Copyright Avvenire, 27 giugno 2007


VATICANO. Torna sempre necessaria la maggioranza dei due terzi

Il Papa modifica le regole per l’elezione del successore

Città del Vaticano. Importante modifica nel regolamento per l’elezione in Conclave del papa. Per eleggere il Papa sarà sempre necessaria una maggioranza qualificata di due terzi degli elettori. È quanto ha stabilito da un Motu proprio, documento cioè di pugno dello stesso Pontefice, reso noto ieri. Benedetto XVI spiega che, dopo la promulgazione della Costituzione Universi Dominici Gregis del 1996, erano giunte a Giovanni Paolo II diverse «richieste autorevoli» che sollecitavano il ripristino della norma tradizionale.
Secondo queste disposizioni per l’elezione valida dovevano essere sempre necessari i due terzi dei suffragi dei cardinali elettori presenti. Invece nelle norme di Giovanni Paolo II dopo la 33ª votazione, cioè al tredicesimo giorno di Conclave, si poteva passare alla maggioranza assoluta.
Secondo le nuove disposizioni, dopo la 33ª o 34ª votazione, si passa direttamente al ballottaggio fra i due cardinali che avranno ricevuto il maggior numero di voti nell’ultimo scrutinio. Anche in questo caso, tuttavia, sarà necessaria una maggioranza dei due terzi. Con la precisazione che i due cardinali rimasti in lizza per l’elezione non potranno partecipare attivamente al voto.
Il Motu Proprio di Benedetto XVI stabilisce, infine, che la nuova norma entri in vigore in data odierna con la pubblicazione del documento pontificio su L’Osservatore Romano.
La norma sembra una questione tutta interna e non necessaria, e invece non è così
. Lo si ricava dall’osservazione del direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi. Spiegando il testo, ha infatti notato infatti che le norme servono «a garantire il più ampio consenso possibile per la nomina del nuovo pontefice».
Ristabilendo la norma dei due terzi dei voti, si rende più forte l’elezione papale: il futuro pontefice avrebbe garantita una maggioranza solida. Altrimenti, secondo la regola ora abolita, il conclave avrebbe potuto entrare in una fase di stallo tra due eventuali schieramenti, nessuno dei due in grado di raggiungere i due terzi, fino alla 33ª votazione con lo sblocco a maggioranza assoluta. Ma in questo modo l’eventuale papa eletto avrebbe risentito delle divisioni nel Conclave e soprattutto, dato l’impatto mediatico oggi dominante, anche all’esterno si sarebbe compreso il rapporto di forze esistente.
In qualche modo, papa Ratzinger fa comprendere che nel conclave del 2005 si è riprodotto lo stesso rapporto di forze, che poteva portare ad una situazione di effettiva stasi, superata con la modifica alla legislazione, giustificata dal riferimento alle diverse «richieste autorevoli» arrivate sul tavolo di Karol Wojtyla.
Non cambiano invece le altre regole per lo svolgimento del Conclave, vale a dire le diverse e precise prescrizioni fissate da Giovanni Paolo II nel 1996, che a loro volta riprendevano in gran parte le norme di Paolo VI del 1975. Resta confermato il limite di 120 cardinali elettori, anche se non è tassativo, e il divieto di ingresso in Conclave per i cardinali che hanno superato gli 80 anni e lo spostamento della residenza dei cardinali: alla più confortevole Casa Santa Marta, sempre dentro il Vaticano.

© Copyright Brescia Oggi, 27 giugno 2007

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