6 giugno 2007

Omaggio ad alcuni eroi caduti


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Vatican rumors

Non e' bello scopiazzare dal vicino di banco...

(nella foto Padre Ragheed Ganni)

Cari amici, prima di leggere la rassegna stampa odiena (molto nutrita grazie anche alle dichiarazioni del cardinale Bertone su Pio XII) e in attesa dell'udienza generale del Santo Padre, vorrei rendere omaggio ad un sacerdote ed a tre diaconi barbaramente assassinati in Iraq, a Mosul. Si tratta degli ultimi martiri di questa guerra impari contro i Cristiani.
Dispiace constatare che un omicidio tanto orribile non abbia guadagnato, ieri, le prime paginone dei giornaloni.
Evidentemente esistono vittime di serie A e vittime di serie B. Consiglierei al signor Santoro di dedicare la prossima puntata del suo programma ai martiri del nostro tempo o e' chiedere troppo? Certo!!! E' piu' facile e piu' comodo tentare, invano, di screditare il Papa...
Questo e' servizio pubblico? Bah
!
Raffaella


“Giustiziato” un altro prete a Mosul. Il suo corpo minato per compiere una strage

Giulio Meotti

Roma. In occasione della presentazione del nuovo ambasciatore pakistano presso la Santa Sede, Ayesha Riyaz, Benedetto XVI era tornato a parlare della vessazione dei cristiani nella umma islamica, tema già al centro della sua lectio all’università di Ratisbona.
Allora suor Leonella fu abbattuta in Somalia con tre colpi alla schiena, domenica è stato ucciso un prete caldeo
. “Una forte società democratica dipende dalla sua capacità di proteggere la libertà religiosa, diritto fondamentale che riguarda la dignità della persona umana” aveva detto il Papa.
“Ciò non solo si accorda con la dignità umana ma contribuisce anche al bene comune”.

Padre Ragheed Ganni e tre dei suoi aiutanti diaconi sono stati uccisi a colpi di pistola dopo aver celebrato messa nella chiesa di Mosul. I corpi dei quattro religiosi sono rimasti a lungo riversi per strada. Ragheed aveva subito diversi attentati, la chiesa del Santo Spirito era stata bombardata nel 2004 da al Qaida e i gruppi islamisti avevano portato via la croce dalla cima.
Negli ultimi giorni i tre diaconi accompagnavano il sacerdote per cercare di proteggerlo.
La loro macchina è stata fermata da uomini armati. Dopo averli “giustiziati” come al Qaida fa con gli agenti di polizia, i terroristi hanno minato i cadaveri, per fare strage di chi si fosse avvicinato a recuperarli.
Il modello è quello collaudato da Abu Mussab al Zarqawi. Nel 2005 uno dei suoi facchini sterminò una folla di manovali che si erano recati a cercar lavoro in piazza Uruba a Baghdad, nel quartiere di Kadhimiya.
Un uomo, alla guida di un minibus, fece cenno ai giovani di avvicinarsi per essere scelti. Appena si accostarono, il terrorista
si fece esplodere: 114 corpi straziati. Di “assassinio senza senso” parla Benedetto XVI in un telegramma al vescovo di Mosul, Paul Faraj Rahho. Il patriarca Emmanuel II Delly definisce “martiri” i quattro assassinati.
Nella città di Ganni, gli islamisti stanno imponendo la tassa sui “sudditi”, la jiza, l’imposta abolita ai tempi dell’Impero ottomano.
“I non musulmani devono pagare il tributo al jihad se vogliono avere il permesso di continuare a vivere e professare la fede in Iraq”. I cristiani sono costretti a lasciare le case dopo che lettere ne assegnano la proprietà a musulmani. La somma è di 250 mila dinari iracheni al mese per persona, il fabbisogno economico di un mese per una famiglia di sei persone nella capitale.
Quattro mesi fa su una pallottola era finito il nome di padre Munthir, sacerdote della chiesa presbiteriana di Mosul. “Uccideremo
i cristiani iniziando da lui” avevano detto i rapitori. La scia di uccisioni rituali dei preti si colloca nella campagna di pulizia religiosa promossa dall’insorgenza sunnita e da al Qaida. Il portavoce della conferenza dei vescovi americani, Thomas G. Wenski,
ha diffuso i dati dell’esilio cristiano: la popolazione cristiana che prima della guerra contava un milione e 200 mila persone, ora è scesa a 600 mila. Padre Ragheed credeva nell’Iraq liberato: “E’ caduto Saddam, abbiamo eletto un governo, abbiamo votato una Costituzione”.

“Genocidio assiro”

Nella sua ultima e-mail ad AsiaNews del 28 maggio, Ganni aveva scritto: “Stiamo per crollare. Attendiamo ogni giorno l’attacco decisivo ma non smetteremo di celebrare messa; lo faremo sotto terra, dove siamo più al sicuro. In questa decisione sono incoraggiato dalla forza dei miei parrocchiani. Si tratta di guerra, guerra vera, ma speriamo di portare questa Croce fino alla fine”. Pochi giorni prima era stato rapito un altro sacerdote caldeo, Nawzat Hanna. E prima di lui Samy Al Raiys, il rettore di quel Seminario maggiore del Patriarcato caldeo trasferito in Kurdistan per motivi di sicurezza.
A settembre Amer Iskander, sacerdote siroortodosso, fu ritrovato decapitato e con le braccia mutilate. Come per Munthir, anche nel caso di Iskander i terroristi avevano legato l’uccisione alla “vendetta per le parole del Papa” a Ratisbona. Nel caso del prete siriaco, pretesero trenta cartelle di scuse da affiggere sulle chiese a Mosul.
Il giorno della morte di Iskander, padre Joseph Petros veniva ucciso a Baghdad.
Nella capitale vige una fatwa che intima alle donne cristiane di indossare il velo. La firma è dell’Esercito del Mahdi, la milizia di
Moqtada al Sadr: “La Vergine Maria era forse senza velo, così da concedere che lo siano anche le donne cristiane?”. Ma la furia anticristiana accomuna sciiti e sunniti. I muri di Mosul sono stati per mesi tappezzati di volantini dei gruppi sunniti che intimano
i cristiani di “seguire le orme della nostra signora Maria che copriva il capo con un velo e non offendere i sentimenti dei musulmani.

Pena la morte”.

La scorsa settimana hanno dato fuoco a ciò che restava della chiesa di San Giorgio a Baghdad. L’Assyrian International News Agency intanto diffonde un rapporto sul “genocidio assiro” in Iraq. Il patriarca assiro Mar Addai II dice che in molti quartieri di Baghdad i cristiani possono rimanere solo se accettano di dare in moglie una figlia o una sorella a un musulmano, creando i presupposti di “una progressiva conversione dell’intero nucleo familiare all’islam”. Per la morte di Iskander, il predicatore della casa pontificia, Raniero Cantalamessa, ci disse che quel martirio preludeva a “un piano di smantellamento delle ultime vestigia del cristianesimo in terra islamica”. Al Congresso eucaristico di Bari, padre Ganni aveva usato parole sorgive che oggi ne esaltano la seminalità e la grandezza: “I terroristi cercano di toglierci la vita, l’Eucaristia ce la ridona”.

Il Foglio, 5 giugno 2007


L'ultima messa di padre Ragheed, martire della Chiesa caldea

L'hanno ucciso a Mosul, assieme a tre suoi suddiaconi. In un Iraq martoriato, era uomo e cristiano di fede limpida e coraggiosa. Ecco un suo ritratto, scritto da chi lo conosceva bene

di Sandro Magister

ROMA, 5 giugno 2007 – L'hanno ucciso la domenica dopo Pentecoste dopo che aveva celebrato messa nella chiesa della sua parrocchia dedicata allo Spirito Santo, a Mosul.

Hanno ucciso padre Ragheed Ganni, sacerdote cattolico caldeo, assieme ai tre suddiaconi che erano con lui, Basman Yousef Daud, Wahid Hanna Isho, Gassan Isam Bidawed. Gli assalitori hanno allontanato la moglie di quest'ultimo e hanno abbattuto i quattro a sangue freddo. Poi hanno collocato attorno ai loro corpi delle auto cariche d'esplosivo perché nessuno osasse avvicinarsi. Solo a tarda sera la polizia di Mosul è riuscita a disinnescare gli ordigni e a raccogliere i corpi.

La Chiesa caldea li ha subito pianti come martiri. Da Roma Benedetto XVI ha pregato. Padre Ragheed era uno dei testimoni di vita cristiana più limpidi e coraggiosi, in un paese dei più martoriati.

Era nato a Mosul 35 anni fa. Laureato in ingegneria all’università locale nel 1993, dal 1996 al 2003 ha studiato teologia a Roma all’Angelicum, l'Università Pontificia San Tommaso d'Aquino, conseguendo la licenza in teologia ecumenica. Oltre all'arabo, parlava correntemente italiano, francese e inglese. Era corrispondente dell'agenzia internazionale "Asia News", del Pontificio Istituto Missioni Estere.

Il giorno dopo il suo martirio "Asia News" ha pubblicato di lui questo ritratto:


"L’Eucaristia ci ridona la vita che i terroristi cercano di toglierci"


“Senza domenica, senza l’Eucaristia i cristiani in Iraq non possono vivere”: padre Ragheed raccontava così la speranza della sua comunità abituata ogni giorno a vedere in faccia la morte, quella stessa morte che ieri pomeriggio ha affrontato lui, di ritorno dalla messa.

Dopo aver nutrito i suoi fedeli con il corpo e il sangue di Cristo, ha donato anche il proprio sangue, la sua vita per l’unità dell’Iraq e per il futuro della sua Chiesa.

Con piena consapevolezza questo giovane sacerdote aveva scelto di rimanere a fianco dei suoi fedeli, nella sua parrocchia dedicata allo Spirito Santo, a Mosul, giudicata la città più pericolosa dell’Iraq, dopo Baghdad. Il motivo è semplice: senza di lui, senza il pastore, il gregge si sarebbe smarrito. Nella barbarie dei kamikaze e delle bombe almeno una cosa era certa e dava la forza di resistere: “Cristo – diceva Ragheed – con il suo amore senza fine sfida il male, ci tiene uniti, e attraverso l’Eucaristia ci ridona la vita che i terroristi cercano di toglierci”.

È morto ieri, massacrato da una violenza cieca. Ucciso di ritorno dalla chiesa, dove la gente, anche se sempre meno, sempre più disperata e impaurita, continuava però a riunirsi come poteva.

“I giovani – raccontava Ragheed alcuni giorni fa – organizzano la sorveglianza dopo i diversi attentati già subiti dalla parrocchia, i rapimenti e le minacce ininterrotte ai religiosi. I sacerdoti dicono messa tra le rovine causate dalle bombe. Le mamme, preoccupate, vedono i figli sfidare i pericoli e andare al catechismo con entusiasmo. I vecchi vengono ad affidare a Dio le famiglie in fuga dall'Iraq, il paese che loro invece non vogliono lasciare, saldamente radicati nelle case costruite con il sudore di anni. Impensabile abbandonarle”.

Ragheed era come loro, come un padre forte che vuole proteggere i suoi figli: “Quello di non disperare è un nostro dovere. Dio ascolterà le nostre suppliche per la pace in Iraq”.

Nel 2003 dopo gli studi a Roma decise di tornare nel suo paese, “perché lì è il mio posto”. Tornò anche per partecipare alla ricostruzione della sua patria, alla ricostruzione di una “società libera”. Parlava dell’Iraq pieno di speranza, con il suo sorriso accattivante: “È caduto Saddam, abbiamo eletto un governo, abbiamo votato una Costituzione!”. Organizzava corsi di teologia per i laici a Mosul; lavorava con i giovani; consolava le famiglie disagiate. In questo ultimo mese stava operando per far curare a Roma un bambino con gravi problemi alla vista.

La sua è la testimonianza di una fede vissuta con entusiasmo. Obiettivo di ripetute minacce e attentati fin dal 2004, ha visto soffrire parenti e scomparire amici, eppure ha continuato fino all’ultimo a ricordare che anche quel dolore, quella carneficina, quell’anarchia della violenza, aveva un senso: andava offerta.

Dopo un attacco alla sua parrocchia, la scorsa domenica delle Palme, 1° aprile, diceva: “Ci siamo sentiti simili a Gesù quando entra a Gerusalemme, sapendo che la conseguenza del Suo amore per gli uomini sarà la Croce. Così noi, mentre i proiettili trafiggevano i vetri della chiesa, abbiamo offerto la nostra sofferenza come segno d’amore a Gesù”.

Raccontava ancora poche settimane fa: “Attendiamo ogni giorno l’attacco decisivo ma non smetteremo di celebrare messa. Lo faremo anche sotto terra, dove siamo più al sicuro. In questa decisione sono incoraggiato dalla forza dei miei parrocchiani. Si tratta di guerra, guerra vera, ma speriamo di portare questa Croce fino alla fine con l’aiuto della Grazia divina”.

E tra le difficoltà quotidiane lui stesso si stupiva di riuscire così a comprendere in modo più profondo “il grande valore della domenica, giorno dell'incontro con Gesù Risorto, giorno dell'unità e dell'amore fra di noi, del sostegno e dell'aiuto”.

Poi le autobombe si sono moltiplicate; i rapimenti di sacerdoti a Baghdad e Mosul si sono fatti sempre più frequenti; i sunniti hanno iniziato a chiedere una tassa ai cristiani che vogliono rimanere nelle loro case, pena la loro confisca da parte dei miliziani. Continua a mancare elettricità, acqua, la comunicazione telefonica è difficile. Ragheed comincia ad essere stanco, il suo entusiasmo si indebolisce. Fino a che, nella sua ultima mail ad "AsiaNews", il 28 maggio scorso, ammette: “Stiamo per crollare”. E racconta dell’ultima bomba caduta nella chiesa del Santo Spirito, proprio dopo le celebrazioni del giorno di Pentecoste, il 27 maggio; della “guerra” scoppiata una settimana prima, con 7 autobombe e 10 ordigni in poche ore; del coprifuoco che per tre giorni “ci ha tenuti imprigionati nelle nostre case”, senza poter celebrare la festa dell’Ascensione, il 20 maggio.

Si chiedeva quale sentiero avesse imboccato il suo paese: “In un Iraq settario e confessionale, che posto sarà assegnato ai cristiani? Non abbiamo sostegno, nessun gruppo che si batta per la nostra causa, siamo soli in questo disastro. L’Iraq è già diviso e non sarà mai più lo stesso. Qual è il futuro della nostra Chiesa?”.

Ma poi a confermare la forza della sua fede, provata ma salda: “Posso sbagliarmi, ma una cosa, una sola cosa, ho la certezza che sia vera, sempre: che lo Spirito Santo continuerà ad illuminare alcune persone perché lavorino per il bene dell’umanità, in questo mondo così pieno di male”.

Caro Ragheed, con il cuore che grida di dolore, tu ci lasci questa tua speranza e certezza. Colpendo te hanno voluto annientare la speranza di tutti i cristiani in Iraq. Invece, con il tuo martirio, tu nutri e doni nuova vita alla tua comunità, alla Chiesa irachena e a quella universale. Grazie, Ragheed!

dal blog di Sandro Magister

Vedi anche:

Ultimo appello: salvate il cristiano d'Iraq


Baghdad, Esercito del Mahdi impone il velo alle donne cristiane

Dopo i radicali sunniti anche gli sciiti iniziano a perseguitare la comunità cristiana. Nella capitale circola una lettera a firma della milizia di al-Sadr, in cui si avverte dell’istituzione di comitati speciali per vigilare il comportamento islamico. La Russia garantisce “pressioni” su autorità irachene e partner internazionali per il rispetto dei cristiani. Oggi pomeriggio manifestazione della diaspora irachena a Stoccolma.

Baghdad (AsiaNews) – “Formazioni estremiste sunnite e sciite in Iraq sono in lotta su tutto, ma su un aspetto sembrano concordare: la persecuzione dei cristiani”. Così raccontano alcuni fedeli da Baghdad. Nella capitale circola una lettera, che intima alle donne cristiane di indossare il velo pena la segregazione domestica. La firma è dell’Esercito del Mahdi, la milizia di Moqtada al-Sadr, l'imam radicale sciita iracheno, che gli Usa considerano la più grande minaccia alla sicurezza del Paese. Finora era stato il gruppo sunnita dello “Stato islamico dell’Iraq” a siglare le azioni più violente contro la comunità cristiana: dall’imposizione della jizya - la tassa di “compensazione” chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani - agli espropri di case e possedimenti, alle conversioni forzate all’islam.

L’agenzia Aina riporta oggi la traduzione inglese della lettera. Nel testo si ricordano le parole del martire Mohammad Sadiq al-Sadr, che domandava “la Vergine Maria era forse senza velo, così da concedere che lo siano anche le donne cristiane? E Fatima al-Zahara? E le spose dei Califfi del primo Califfato e dei successivi? No e poi no…Allah lo vieta”. Si avverte poi che “in nome dell’Essere Supremo, la donna che non indossa il velo è un’adultera e sfida Allah e il suo Profeta e ignora e nega la religione”. Alla domanda “quale misure vanno prese contro le donne che non obbediscono al portare il velo?” la risposta è che mariti e padri le “educhino e guidino in modo religioso così che si convincano; qualora fallissero devono segregarle a casa e fare in modo che non abbiano contatti, proibiti, con gli uomini”. Alla fine si avverte che sono stati istituiti “comitati speciali”per seguire la questione. La firma è della “Fondazione popolare per l’Esercito del Mahdi”.

Nel frattempo dichiarazioni di solidarietà ai cristiani in Iraq iniziano ad arrivare anche da grandi potenze mondiali, come la Russia. Da poco è stata resa pubblica una lettera del ministero russo degli Esteri indirizzata al Comitato degli assiri russi, in cui si garantisce che nei contatti di Mosca “con i rappresentanti delle autorità irachene e i partner internazionali si farà presente la necessità di garantire le condizioni necessarie per preservare la cultura originaria dei cristiani in Iraq, la loro adeguata rappresentanza nelle strutture statali, la tutela dei diritti civili e legali di tutte le confessioni, senza ammettere discriminazioni verso le minoranze etnico-religiose”.

Per portare all’attenzione dell’opinione pubblica occidentale il dramma di questa comunità, ormai in via di estinzione in patria, il sito Ankawa.com - con sede in Svezia - ha indetto per oggi pomeriggio una grande manifestazione a Stoccolma cui aderiranno cristiani iracheni dell’emigrazione come pure membri delle altre minoranze religiose fuggiti dall’Iraq. (MA)

Asianews

Forza Santoro!!!! Non ha nulla di dire?
Raffaella


Gruppo islamico a Baghdad: “Via le croci o bruciamo le vostre chiese”

Nel quartiere di Dora continuano le minacce ai cristiani. Già da due mesi alcune parrocchie hanno dovuto cedere alle pressioni degli estremisti, mentre resiste la chiesa di San Pietro e Paolo. Una fatwa vieta di compiere gesti rituali legati alla religione cristiana. L’esercito Usa occupa il Babel College, di proprietà del Patriarcato caldeo.

Baghdad (AsiaNews) – “Togliete la croce dalla chiesa o la daremo alle fiamme”. Questa è la minaccia che hanno ricevuto alla chiesa caldea di San Pietro e Paolo nel quartiere storico dei cristiani di Baghdad, Dora. Si tratta, secondo fonti locali, di un ignoto gruppo islamico armato, che sta mietendo il terrore nella capitale. Il sito arabo Ankawa.com e l’agenzia Aina parlano di una vera e propria campagna di persecuzione nella stessa zona. Anche a Mosul, roccaforte sunnita, la presenza cristiana è sempre più minacciata.

Mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare dei caldei di Baghdad, racconta ad AsiaNews che intanto “già da 2 mesi altre chiese non hanno più croci sulle loro cupole”. Alla chiesa di San Giorgio, assira, hanno provveduto alcuni musulmani estremisti: sono saliti sul tetto e hanno staccato la croce. Per la chiesa caldea di San Giovanni, sempre a Dora, da mesi ormai senza cura pastorale, gli stessi fedeli hanno scelto di riporre la croce in un posto sicuro, dopo le ripetute minacce ricevute.

Stesse intimidazioni hanno colpito la chiesa caldea di San Pietro e Paolo, che però non ha ceduto: la croce non è stata tolta, ma sono già ricominciate le minacce, dicono da Baghdad. “Gli iracheni sono stanchi - dice Warduni - soffriamo da troppo tempo, la situazione è insostenibile; chiediamo al Signore che ci doni la grazia della pace. I cristiani come i musulmani vogliono ricostruire l’Iraq, non vogliono fuggire perché è qui che siamo nati e cresciuti”.

Il gruppo islamico attivo a Dora, inoltre, avrebbe dato un ultimatum ai cristiani: convertirsi all’islam o essere uccisi; avrebbe emesso anche una fatwa che vieta di portare la croce al collo o di compiere gesti rituali legati alla religione cristiana, e che permette la confisca dei beni delle famiglie cristiane costrette a lasciare di fretta la propria casa in cerca di salvezza.

La preoccupazione dei cristiani a Baghdad cresce anche in seguito all’iniziativa delle truppe Usa di occupare l’edificio del Babel College, proprietà della Chiesa caldea. Il Babel, unica facoltà teologica del Paese, contiene al suo interno una ricca biblioteca contiene preziosi manoscritti antichi. A causa dell'insicurezza della città e dei continui rapimenti di personale ecclesiastico, la facoltà si è trasferita a Ankawa, nel Kurdistan lo scorso gennaio, lasciando vuoto l'edificio. L’esercito statunitense utilizza la struttura come base militare e di osservazione. La costruzione si trova in un punto strategico: all’interno di una zona sunnita e di fronte ad un distretto sciita. I responsabili della Chiesa locale stanno discutendo con i vertici militari Usa su come risolvere la situazione. Sembra che i militari abbiano promesso di lasciare la struttura entro le prossime due settimane.

Asianews

Santoro? Non ha nulla da dichiarare?

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