3 gennaio 2008

In Kenya dilagano gli scontri. Migliaia di persone in fuga


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NATALE 2007: RACCOLTA DI COMMENTI

Cinquanta morti in una chiesa data alle fiamme

In Kenya dilagano gli scontri
Migliaia di persone in fuga


NAIROBI, 2.
Non meno di settantamila persone vengono segnalate in fuga da varie località del Kenya, dove si temono nuove carneficine dopo gli scontri che negli ultimi due giorni hanno provocato circa trecento vittime, comprese cinquanta persone, in gran parte donne e bambini, atrocemente arse vive in una chiesa protestante a Eldoret, nell'ovest del Paese.
Almeno per il momento, non hanno avuto effetto gli sforzi della diplomazia internazionale di arginare la violenza scoppiata dopo la contestata proclamazione della vittoria elettorale del presidente uscente Mwai Kibaki, che il leader dell'opposizione Raila Odinga accusa di brogli elettorali. Ad acuire le tensioni, nelle ultime ore, ha contribuito la dichiarazione del presidente della commissione elettorale, Samuel Kivuito, che ha parlato di formidabili pressioni effettuate su di lui dall'entourage del presidente, accrescendo i dubbi sulla regolarità dello scrutinio, già espressi nei giorni scorso non solo dall'opposizione kenyana, ma anche dagli osservatori dell'Unione Europea.
Lo scontro sta assumendo connotazioni anche etniche. Protagonisti delle violenze sono i gruppi armati di Kikuyo, l'etnia maggioritaria alla quale appartiene Kibaki, e di Luo, quella di Odinga. Tra l'altro, il portavoce governativo Alfred Mutua ha accusato Odinga di incoraggiare una pulizia etnica contro i Kikuyo. In nottata non ci sono state nuove violenze nelle baraccopoli alla periferia di Nairobi, dove i Luo sono maggioritari, ma la situazione resta estremamente tesa nell'ovest. Immagini filmate da un elicottero della Croce Rossa hanno mostrato decine di roghi e uomini armati di machete, pietre e bastoni nelle strade. Secondo la stampa locale, bande armate sono state viste marciare verso la Burnt Forest, nella fertile Rift Valley, dove vivono molti Kikuyu. "Abbiamo molte persone che si sono rifugiate per paura anche nelle nostre parrocchie", ha detto il Nunzio apostolico a Nairobi, l'arcivescovo Alain Paul Lebeaupin, che si tiene in contatto con il Eldoret, monsignor Cornelius Kipng'eno Arap Korir, il quale si è recato nei luoghi investiti dalle violenze. L'arcivescovo Lebeaupin ha aggiunto che sono piene di rifugiati, oltre che le chiese di Eldoret, anche quelle di Kakamega e di Kisumo, sempre nel Kenya occidentale.
La Gran Bretagna, di cui il Kenya è una ex colonia, ha fatto appello all'Unione africana e al Commonwealth per tentare una riconciliazione tra Kibaki e Odinga. Il presidente dell'Unione Africana John Kufuor ha accettato di dare avvio ad una trattativa che, secondo il primo ministro inglese Gordon Brown, potrebbe offrire una possibilità di mettere fine alle violenze. L'iniziativa diplomatica britannica viene sviluppata in queste ore insieme con gli Stati Uniti: un appello ai dirigenti del Kenya affinché "facciano prova di spirito di compromesso" è contenuto in un comunicato congiunto del ministro degli Esteri britannico David Miliband e del segretario di Stato statunitense Condoleezza Rice. "Abbiamo seguito da vicino gli eventi in Kenya nelle ultime 48 ore. Ci rallegriamo con il popolo kenyano per il suo attaccamento alla democrazia. Tuttavia, da fonti indipendenti abbiamo informazioni di serie irregolarità nel processo di riconteggio dei voti (...) Esortiamo tutti i leader politici a impegnarsi per un compromesso che metta gli interessi del Kenya al primo posto", si legge nel testo.
Al momento, peraltro, sembra improbabile un incontro tra Kibaki e Odinga. Quest'ultimo chiede che prima l'avversario si riconosca sconfitto nelle elezioni, mentre il Governo ha vietato la manifestazione indetta per domani da Odinga a Hururu Park, nel centro di Nairobi. Una possibile mediazione potrebbe essere tentata da Kalonzo Musyoka, terzo votato nelle elezioni del 27 dicembre, ex alleato sia di Kibaki sia di Odinga, che gode di grande stima da ambo le parti.

(©L'Osservatore Romano - 2-3 gennaio 2008)


Kenya, il presidente accusa: «Pulizia etnica»

Oggi a Nairobi la «marcia pacifica» dell'opposizione che sfida il divieto del governo

Crescono gli sforzi della diplomazia mondiale per evitare che il Paese si disintegri: tra i mediatori il vescovo Desmond Tutu

Massimo A. Alberizzi

DAL NOSTRO INVIATO
NAIROBI — Tesissima la situazione a Nairobi in attesa della manifestazione di protesta, vietata dalla polizia, organizzata nel parco centrale Uhuru, per stamattina. «Una marcia pacifica per la pace», l'ha definita Raila Amolo Odinga, il leader dell' opposizione, che ha aggiunto: «Saremo un milione». Odinga sta sfidando il presidente Emilio Mwai Kibaki, accusato di aver vinto le elezioni truccando i risultati.
Il centro della capitale, completamente deserto, è presidiato dalla polizia in assetto anti sommossa. Ieri mattina i pochi negozi e supermercati aperti e le rare bancarelle del mercato sono stati presi d'assalto dalla gente che ha fatto incetta di alimentari. Lunghe code si sono formate alle pompe di benzina. L'economia del Paese è praticamente bloccata. Il porto di Mombasa — che rifornisce di merci di prima necessità, compreso il carburante, anche Uganda, Sudan, Ruanda, Burundi, sud dell'Etiopia ed est del Congo — è fermo. Le baraccopoli di Nairobi, senza acqua e senza luce, sono sigillate da posti di blocco della polizia, che non fa uscire nessuno. Molti kikuyu, il gruppo etnico di Kibaki, hanno abbandonato le loro case e i loro beni e si sono rifugiati da amici e nei parchi della capitale sotto la protezione delle forse dell'ordine. A Jamhuri Park si sono accampate almeno 5 mila persone. In città e nelle sue periferie, comunque, non sembra ci siano stati gravi incidenti, mentre nel nord-ovest del Paese, nelle zone di Kisumu e Eldoret, le violenze continuano.
I kikuyu vengono attaccati dove sono minoranza, e si vendicano sulle altre etnie, i luo soprattutto, la tribù di Odinga, quando sono in maggioranza. Al telefono il vescovo di Eldoret, Cornelius Korir, ha raccontato che gruppi di dimostranti stanno ancora appiccando il fuoco alle case dei kikuyu. «Sono scene che non appartengono al Kenya. Qui non c'è mai stata pulizia etnica, invece ora sta accadendo ciò che abbiamo già visto in Ruanda». Lo spettro del genocidio che ha sconvolto l'ex protettorato belga incombe ora sull'ex colonia britannica, tanto più che esiste un inquietante parallelismo: i kikuyu sono bantu, come gli hutu, e i luo sono di origine nilotica, come i tutsi.
Per evitare che il Paese si disintegri, si è mobilitata la diplomazia internazionale. L'ex presidente della Sierra Leone, Ahmad Tejan Kabbah, è già da qualche giorno a Nairobi, e il vescovo anglicano Desmond Mpilo Tutu, giungerà dal Sudafrica in giornata. Inspiegabilmente il presidente Kibaki ha rifiutato l'intervento del presidente del Ghana e dell'Unione Africana, John Agyekum Kufour. Ciononostante Kufour avrebbe deciso di venire ugualmente a Nairobi. Doveva arrivare stanotte ma alle due non era ancora in albergo. Gli africani, assieme agli ambasciatori americano, britannico e ai loro collegi dell'Unione Europea, cercheranno di ricondurre i due antagonisti alla ragione. Per ora le posizioni sono opposte: «Non parlo con Kibaki, finché non riconosce la sconfitta», sostiene Odinga. «Incontro subito Odinga perché sono legittimo presidente », afferma deciso Kibaki.
Il primo ostacolo concreto da affrontare è quello della manifestazione di stamattina. Raila Odinga e gli altri leader del Orange Democratic Party, il partito d'opposizione, hanno annunciato una conferenza stampa per le 10 dentro il parco Uhuru (cioè della libertà). Se per bloccare la marcia la polizia farà uso delle armi, il Kenya verrà prepotentemente ricacciato indietro di 50 anni.

© Copyright Corriere della sera, 3 gennaio 2008


Kenya, in chiesa per sfuggire alle stragi

Allarme dei vescovi: "Migliaia a rischio". Oggi il corteo contro il presidente

Le due fazioni rivali si accusano reciprocamente di compiere "atti di genocidio"
La Nobel Maathai ha chiesto a Kibaki di "tendere la mano all´opposizione"


GIAMPAOLO CADALANU

DAL NOSTRO INVIATO
NAIROBI - Ormai l´unica protezione possibile dallo frenesia dei machete è quella del Signore. A migliaia i kenyani, soprattutto di etnia Kikuyu, si rifugiano sotto la benedizione dei crocefissi, dietro i portoni delle chiese e persino delle poche moschee. Ma a volte la casa del Signore non è un bastione capace di reggere alla rabbia degli uomini: il massacro nella chiesa dell´Assemblea di Dio, data alle fiamme due giorni fa assieme a una cinquantina di persone a Eldoret, rischia di ripetersi nella cattedrale e nella chiesa di Langas della stessa città. I vescovi lanciano l´allarme: non possiamo tenere qui migliaia di fuggiaschi senza cibo né medicine.
L´incubo ritorna. La fuga verso le chiese rievoca in maniera sconvolgente la strage nella Nyamata Mission Church, in Ruanda, l´apice del genocidio del 1994. Stavolta le cifre sono diverse, ma la terribile parola che 14 anni fa il mondo temeva è già stata pronunciata. Se la rinfacciano le due fazioni in lotta, come a sottolineare che per il momento non c´è nessuna disponibilità a fare un passo avanti verso un terreno comune.
Mwai Kibaki insiste a difendere il risultato ufficiale delle elezioni, che lo ricolloca alla presidenza. È chiaro che questi «atti di genocidio e di pulizia etnica da parte dell´Orange Movement erano stati pianificati», incalza il suo ministro Kivutha Kibwana. Unica modesta apertura: l´invito a tutti i deputati per una prima riunione plenaria. Ma il Parlamento di Nairobi è dominato dagli uomini dell´Orange Movement, e il leader Raila Odinga conferma che non cederà: «Non si va a dialogare con chi ha rubato le elezioni», taglia corto, insistendo che sono stati i brogli elettorali a scatenare la rabbia dei kenyani. E ribadisce la richiesta di un nuovo conteggio dei voti, con osservatori neutrali. Non c´è strada comune: il braccio di ferro arriverà oggi a una verifica decisiva, quando gli uomini dell´Orange Movement di Odinga sfideranno il divieto della polizia per un grande raduno nell´Uhuru park, il cuore di Nairobi.
In una situazione come questa, «verifica» vuol dire prova di forza, con entrambe le parti decise alla violenza. Molti sottolineano che i soldati, di diverse etnie, rifiuteranno di seguire il governo Kibaki contro i loro stessi consanguinei e potrebbero anzi schierarsi dall´altra parte. Nelle ultime ore, suggerisce la Bbc, accanto ai fedelissimi del presidente sembrano invece pronti a schierarsi i Mungiki, la setta para - mafiosa che nasconde dietro il nazionalismo kikuyu un sistema mafioso di tangenti e ricatti. I Mungiki controllano alcune zone degli slum e una loro eventuale «discesa in campo» sarebbe il tocco definitivo per garantire un esito violento.
Mentre dalle province arrivano notizie di nuove vittime - il bilancio complessivo ha superato i trecento morti, dice la Commissione kenyana per i diritti umani - di blocchi stradali e di «rastrellamenti etnici» basati sui documenti, la capitale è quasi paralizzata dalla tensione. L´infernale traffico di tutti i giorni è ridotto a meno di un quarto: ma solo in parte è dovuto alla scarsità del carburante. Il motivo fondamentale è la paura, che spinge chi può a rifugiarsi fuori città e costringe moltissime famiglie a barricarsi in casa. Anche le comunicazioni sono difficili: le linee telefoniche funzionano male, circola voce che la polizia abbia fatto sparire le schedine Celtel e Safaricom per le ricariche telefoniche, così da impedire all´opposizione anche l´abituale coordinamento a base di Sms. Per strada si vedono circolare agenti armati ma il centro appare abbastanza silenzioso, in attesa della sfida di oggi.
Prima dello scontro fisico, la diplomazia internazionale tenta tutto il possibile. Oggi è atteso a Nairobi il leader ghanese John Kufuor, che è anche presidente dell´Unione africana. Un´altra mano nella mediazione dovrebbe darla il premio Nobel Desmond Tutu, anch´egli arrivato nella capitale, mentre la Nobel kenyana Wangari Maathai ha chiesto a Kibaki di «tendere la mano» all´opposizione.
Intanto Condoleezza Rice ha chiamato ieri alla riconciliazione i due «uomini forti»: dopo una telefonata con Odinga, ha annunciato un colloquio con Kibaki. A tutti e due chiede di fare «tutto il possibile per diminuire la tensione che sfocia nelle violenze». Anche David Miliband, ministro degli Esteri di Sua Maestà britannica, si è unito all´appello del segretario di Stato. Nessuno dei due, però, prende partito: solo la Casa Bianca, col portavoce McCormack, sembra propensa ad accettare i risultati ufficiali. A complicare ancora la vicenda ci si è messo lo stesso presidente della commissione elettorale Samuel Kivuitu: a chi gli chiedeva se insomma Kibaki avesse vinto, ha risposto: «Non lo so».

© Copyright Repubblica, 3 gennaio 2008

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