18 maggio 2007

"Gesu' di Nazaret"...l'Apocalisse di Papa Ratzinger


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Rassegna stampa del 18 maggio 2007


IL CASO
Il recente volume del Papa cita più volte il testo di Giovanni, però lo interpreta sempre al futuro. Mentre la «nuova Gerusalemme» è già venuta in terra. La tesi dell’esperto Corsini

L'Apocalisse di Ratzinger

Non solo un annuncio della «parusìa», cioè della seconda venuta; anche l’allusione
alla morte di Cristo. Non solo la profezia di eventi escatologici; pure una descrizione delle persecuzioni contro la Chiesa primitiva e la condanna dell’antica legge ebraica


Di Eugenio Corsini

Nel dibattito sulla figura storica di Gesù, che ha occupato gli studi religiosi degli ultimi due secoli e oggi ha ripreso vigore anche in seguito all'uscita del saggio di Papa Ratzinger, l'Apocalisse di Giovanni è stata considerata documento inutilizzabile ai fini di una ricostruzione di carattere storico, dato che questo libro riguarderebbe non la prima venuta di Cristo ma la seconda, che coinciderà con la fine del mondo. Inoltre l'Apocalisse appare a qualche studioso come il frutto di una mente un po' esaltata («allegoria allucinata» la definiscono Augias e Pesce, mentre Odifreddi parla di «delirio… di pertinenza più della psichiatria che della teologia»). Salvo poi, come fanno Augias e Pesce, servirsi di questo libro per delineare con precisione quale fosse il pensiero di Gesù riguardo al futuro: «Gesù aspetta l'avvento del regno di Dio che avrà luogo in due modi diversi…: si avrà un giudizio universale, ma anche un periodo intermedio in cui il Messia regnerà e la terra sarà rinnovata" (Inchiesta su Gesù, p. 220). Il che è desunto, pari pari, dalla celebre descrizione del regno millenario (Ap 20,4 ss.), interpretato alla lettera, come evento escatologico che si svolgerà sulla terra e avrà, così sembra di capire, carattere materiale.

A differenza degli altri studiosi, nella sua ricerca su Gesù il Papa cita ripetutamente il libro di Giovanni, con spunti di interpretazione che meritano, a mio parere, qualche riflessione. Penso, ad esempio, alla citazione composita di Daniele (7,13) e Zaccaria (12,13.14) che si trova quasi alla conclusione del prologo dell'Apocalisse: «Ecco, egli viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero» (Ap 1,7). Il Papa cita due volte questo passo (pp. 279, 400) e aggiunge, la seconda volta, che «il contenuto di questa affermazione si realizzerà appieno alla fine della storia». Ora, la venuta con le nubi è quella di cui parla Daniele a proposito di «uno simile a Figlio d'uomo». Nell'i nterrogatorio davanti al sinedrio Gesù cita le parole di Daniele e le applica a se stesso. A Caifa che gli chiede se è il Messia, il Figlio di Dio, egli risponde: «Tu lo dici» (Mc 14, 62: «Io lo sono»), e aggiunge: «Da questo momento vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Virtù (Dio) e veniente sulle nubi del cielo» (Mt 26, 64). In queste parole c'è stato chi ha visto un annuncio della parusìa, cioè della seconda venuta. Ma il resoconto di Matteo rende inaccettabile questa interpretazione. Per conto mio, ci vedo un'allusione alla sua morte di croce seguita dalla risurrezione e ascensione al cielo. E pertanto nella citazione scritturale contenuta nel prologo dell'Apocalisse vedo semplicemente l'enunciazione del tema che sarà trattato nel corso del libro: la morte di Gesù, seguita dalla risurrezione, costituisce il punto culminante della sua rivelazione («apocalisse») e della storia della salvezza. Anche della «nuova Gerusalemme» il Papa ritiene che si tratti di «un'immagine brillante che aiuta il popolo di Dio in cammino a comprendere, partendo dal suo futuro, il suo presente e lo illumina con spirito di speranza» (p. 206). Se ben comprendo il senso di queste parole, quindi, la visione della «nuova Gerusalemme» che conclude il libro di Giovanni sarebbe un evento escatologico, che si realizza cioè alla «fine della storia», anche se ha inizio nella storia presente. Nel testo dell'Apocalisse tuttavia la discesa dal cielo sulla terra della «nuova Gerusalemme» è presentata come un evento già accaduto e di per sé concluso: essa infatti già si trova sul «monte grande e alto», su cui un angelo porta in spirito Giovanni a visitarla (Ap 21, 9 s.). Il fatto che essa discenda «dal cielo, da Dio» implica una «nuova» creazione che la fa essere altra da quella che era in precedenza. A questo punto occorre riflettere sul parallelismo, chiaramente intenzionale e rilevato da tutti i commentatori, che Giovanni stabilisce tra la visione relativa alla «nuova Ger usalemme» e quella in cui si descrive il giudizio sulla «prostituta, quella grande», poi precisata come «Babilonia, quella grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra», e raffigurata sotto l'aspetto di una «donna» sontuosamente abbigliata, «ubriaca del sangue dei santi e dei testimoni di Gesù» (Ap 17, 1 ss.).

Come è noto, la maggior parte dei commentatori ha visto qui un riferimento alla Roma imperiale, alle sue pretese di divinizzazione e alle sue persecuzioni contro i cristiani. D'accordo con alcuni interpreti del passato e contemporanei, ho creduto invece di ravvisare in questa figura la Gerusalemme infedele e violenta, contro la quale anche Gesù pronuncia parole di dura condanna. Se così è, la Gerusalemme che scende dal cielo è una realtà del tutto «nuova» che viene a sostituire l'antica, giudicata e condannata alla distruzione. Questa radicale trasformazione dell'antica nella «nuova» Gerusalemme è effetto della morte di Cristo. La vicenda pubblica di Gesù analizzata nel libro del Papa si conclude con l'episodio della trasfigurazione. Del racconto evangelico l'autore sottolinea, in particolare, le trasformazioni che avvengono nella persona di Gesù: il suo volto splende come il sole e le sue vesti diventano splendenti, bianchissime. Prendendo spunto dal colore bianco delle vesti di Gesù, egli afferma che «nella letteratura apocalittica le vesti bianche sono espressione della creatura celeste: le vesti degli angeli e degli eletti». E aggiunge: «Così, l'Apocalisse di Giovanni parla delle vesti candide che verranno indossate dai salvati» (p. 358). Il tempo futuro usato dall'autore sembrerebbe indicare che egli intende la celebre visione della «folla immensa» biancovestita (Ap 7, 9) come allusione al raduno escatologico degli eletti, anche se ammette che i cristiani, mediante il battesimo, hanno un'anticipazione del futuro, in quanto «hanno lavato le loro vesti e le hanno rese bianche nel sangue dell'Agnello» (Ap 7, 14). La citazione pa pale di questa visione trascura però circostanze e particolari su cui da sempre si discute e che sono indispensabili ai fini non soltanto dell'interpretazione della visione stessa ma di tutto il libro di Giovanni. Per intanto, la visione della «folla immensa» non compare in forma isolata: è preceduta dalla visione della segnatura in fronte «con il sigillo del Dio vivente», a opera degli angeli, dei «centoquarantaquattromila da ogni tribù dei figli d'Israele» (Ap 7, 14). Si tratta, anche in questo caso, di «salvati», che in nessun modo possono essere identificati con i componenti della «folla immensa».

Essi infatti compongono un «numero» ben preciso che viene comunicato al veggente (Ap 7, 4: «udii il numero»), mentre il numero degli altri «nessuno poteva calcolarlo» (Ap 7, 9). Essi provengono esclusivamente «da ogni tribù della casa di Israele», mentre gli altri da tutta l'umanità (Ap 7, 9: «da ogni nazione, razza, popolo e lingua»). La salvezza degli uni viene procacciata dagli angeli, quella degli altri è frutto diretto del sacrificio di Cristo (Ap 7, 14: «hanno lavato le loro vesti e le hanno rese bianche nel sangue dell'Agnello»). I centoquarantaquattromila sono i «salvati» dell'antica economia, ricompensati con il dono vita eterna prima della venuta storica di Cristo, perché con la loro missione profetica e con la loro morte violenta hanno reso testimonianza a Gesù Cristo prima della sua venuta, come Giovanni illustra nell'episodio dei «due testimoni» (Mosè e Elia: Ap 11, 3-12). Come sopra si è detto, in queste parole il Papa vede un'allusione al battesimo che unisce i cristiani alla passione di Gesù. È opinione condivisa dagli interpreti, i quali però intendono che questa unione spirituale diventerà reale alla fine dei tempi, in quanto essi saranno sottoposti alla «persecuzione, quella grande». Conferma di ciò trovano nelle parole del Vegliardo a proposito dei componenti della «folla immensa»: «Essi sono coloro che vengono dalla persecuzione, quella grande». Ciò che non riesco a capire è, in primo luogo, da quale elemento sia dedotta la collocazione nel futuro, addirittura escatologico, dell'evento di cui parla il Vegliardo: egli sembra riferirsi a una realtà già in atto. Inoltre non capisco la sicurezza con cui si afferma che la persecuzione riguarderà i componenti della «folla immensa». Il testo dice che «essi sono coloro che vengono dalla persecuzione, quella grande», non già «coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione», come si trova nella versione italiana della Traduction Oecuménique de la Bible, la quale in nota specifica che si tratta della «prova escatologica». È possibile, allora, pensare che la «persecuzione» dalla quale vengono (cioè provengono) sia quella che ha colpito Gesù Cristo, e che è «grande» non per il numero delle vittime ma perché ha colpito il Figlio di Dio.

Avvenire, 17 maggio 2007

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