13 giugno 2007
Rassegna stampa del 13 giugno 2007
Vedi anche:
Il cardinale Scola: i Cattolici devono recuperare i "fondamentali"
I media vaticani che vorrei (di Raffaella)
Buongiorno cari amici :-)
Ecco la prima parte della rassegna stampa odierna.
Raffaella
Uccisioni, fughe, conversioni forzate: la fine della tolleranza religiosa nei Paesi islamici
La grande persecuzione dei cristiani nel mondo arabo
MAGDI ALLAM
Salviamo i cristiani del Medio Oriente. Stiamo assistendo in modo pavidamente e irresponsabilmente inaccettabile alla persecuzione e all'esodo massiccio di centinaia di migliaia di cristiani che sono i veri autoctoni della regione. Alla vigilia della conquista araba e islamica nel settimo secolo, i cristiani costituivano il 95% della popolazione della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo. Oggi, con 12 milioni di fedeli, sono precipitati a meno del 6% e si prevede che nel 2020 si dimezzeranno ancora.
Dalla prima guerra mondiale circa 10 milioni di cristiani sono stati costretti a emigrare. Una fuga simile alla cacciata degli ebrei sefarditi che, da un milione prima della nascita dello Stato di Israele, si sono assottigliati a 5 mila. Si tratta della prova più eloquente della tragedia umana e dell'imbarbarimento civile in cui è precipitato il mondo arabo-musulmano, in preda al fanatismo ideologico degli estremisti islamici e all'intolleranza religiosa delle dittature al potere.
Il caso più grave è quello che colpisce i cristiani in Iraq. Da circa un milione e mezzo prima dell'inizio della guerra scatenata da Bush il 20 marzo 2003, si sono ridotti a circa 25 mila. Un «accorato appello» per la «preoccupante situazione in Iraq» e per le «critiche condizioni in cui si trovano le comunità cristiane», era stato lanciato dal papa Benedetto XVI nel corso del suo incontro con Bush sabato scorso. Proprio ieri, in una dichiarazione raccolta da Avvenire, il vescovo ausiliare di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, ha alzato il tiro denunciando che anche «i cristiani non stanno facendo nulla mentre qui si muore, si viene rapiti, costretti a convertirsi all'islam o a pagare per ottenere protezione, a cedere le proprie figlie a dei delinquenti per evitare ritorsioni o a fuggire lasciando tutto il lavoro di una vita. Dagli Usa e dall'Europa solo silenzio». Dal canto suo il nunzio apostolico in Iraq e Giordania fino al 2006, monsignor Fernando Filoni da poco nominato sostituto Segretario di Stato del Vaticano, in un'intervista a
Tracce si era detto pessimista: «Fin quando durano la guerriglia e gli attentati c'è poco da fare. Solo la pace potrà riportare la speranza». Lo scorso maggio sul sito http://iraqichristians.ne/petitionir.php era stato lanciato un vibrante appello alla comunità internazionale per porre fine alla «più feroce campagna di assassinii, sequestri, esproprio di beni e case, cacciata e dispersione, liquidazione dei diritti religiosi e civili da parte di gruppi estremisti religiosi per il semplice fatto che non siamo musulmani».
Insieme all'Iraq l'altra grande tragedia dei cristiani orientali è nei territori palestinesi. All'inizio dello scorso secolo i cristiani rappresentavano un quarto della popolazione araba; nel 1948 erano il 20%; con l'avvento al potere dell'Autorità nazionale palestinese di Yasser Arafat nel 1994 si registra la fuga di tre quarti dei cristiani, vittime di persecuzioni e del drastico calo del tenore di vita. Ed è così che i cristiani, perfino nelle città sante cristiane, sono diventati minoranza. A Betlemme erano l'85% della popolazione nel 1948, oggi sono solo il 12%. A Gerusalemme dal 53% della popolazione nel 1922, sono precipitati al 2%.
Quanto al Sudan si tratta di un vero e proprio genocidio, con una sanguinosa guerra civile — scatenata dai regimi islamici di Khartum — che ha provocato l'eccidio di circa un milione e mezzo di cristiani e animisti, colpevoli di non sottomettersi alla sharia, la legge coranica. Così come fu genocidio il massacro di 1,5 milioni di cristiani armeni in Turchia, dove oggi non rimangono che circa 100 mila cristiani. Il Libano, che dal 1840 ha registrato quattro guerre intestine a sfondo confessionale, ha visto il numero dei cristiani crollare dal 55% della popolazione dall'indipendenza nel 1932, a circa il 27% odierni. Con il risultato che rispetto al milione e mezzo di cristiani residenti in Libano, ci sono circa 6 milioni di cristiani profughi dispersi nel mondo. La situazione è molto pesante anche in Egitto, dove i copti — che rappresentavano il 15-20 % della popolazione all'inizio dello scorso secolo, oggi sono soltanto circa il 6%. La repressione e le violenze contro i copti sono esplose nel decennio di Sadat quando, alleandosi con i Fratelli Musulmani, lasciò loro mano libera nel promuovere un nefasto processo di islamizzazione forzata della società. In Siria le comunità cristiane che rappresentavano circa un quarto della popolazione all'inizio dello scorso secolo, oggi sono calate a circa il 7%.
Più in generale, in quasi tutti i paesi musulmani, dall' Algeria al Pakistan, dall'Indonesia alla Nigeria, dall'Arabia Saudita alla Somalia, i cristiani sono vittime di vessazioni e discriminazioni. E si tratta di una catastrofe per tutti: certamente per le vittime cristiane, ma anche per i musulmani che si ritrovano a essere sottomessi all'arbitrio di spietati carnefici e di tiranni che si fanno beffe della libertà religiosa. Ebbene non possiamo più continuare ad assistere inermi a queste barbarie. Ecco perché propongo di indire una manifestazione nazionale a difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente e altrove nel mondo, da svolgersi a Roma e che potrebbe coincidere con il 30 giugno, la festa liturgica dei protomartiri romani. Una grande manifestazione per la vita, la dignità e la libertà dei cristiani e per il riscatto dell'insieme della nostra civiltà umana.
Corriere della sera, 13 giugno 2007
I magistrati dell'Aquila dopo le intimidazioni al presidente Cei: lei è la mandante. Perplessi gli investigatori genovesi
Minacce a Bagnasco, indagata la Lioce
Cella perquisita dopo il ritrovamento di una busta. Lettera della br: non c'entro
Flavio Haver
ROMA — La mandante delle intimidazioni al presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, è Nadia Desdemona Lioce. Ne sono convinti i magistrati dell'Aquila, che hanno iscritto il nome della brigatista rossa «irriducibile» sul registro degli indagati.
Un'accusa che nasce dal ritrovamento di una busta con un foglietto nella cella del penitenziario del capoluogo abruzzese dove è rinchiusa in isolamento l'estremista condannata a tre ergastoli per gli omicidi di Massimo D'Antona, Marco Biagi e del sovrintendente di polizia Emanuele Petri. Da Genova, gli investigatori hanno sottolineato che non è stato trovato alcun collegamento con le due missive di minaccia, accompagnate da un bossolo e da tre proiettili inesplosi, recapitate in Curia. Sono in corso verifiche per individuare le eventuali impronte digitali sulla busta. Perché un fatto è certo: non si conosce il testo del documento, né tantomeno la Lioce ha dato spiegazioni.
Nel decreto di convalida del sequestro il procuratore Alfredo Rossini le contesta «la partecipazione all'associazione denominata Br» per «organizzare attività, anche di attentati con finalità di terrorismo», grazie alla possibilità di «mantenere contatti con persone da identificare, che agiscono in stato di libertà, comunicando a mezzo di messaggi cifrati». E dal verbale della polizia penitenziaria che ha perquisito la cella della terrorista di estrema sinistra l'11 aprile emerge il motivo dell'allarme: «Si precisa — è stato scritto — che si tratta di busta bianca da lettera non utilizzata, senza timbri di censura né di arrivo né in partenza, recante sulla parte superiore, quella che si ripiega per la chiusura, una piccola striscia di carta sovrapposta alla busta stessa e in parte sollevata».
«La striscia ricopre un rettangolo annerito — hanno specificato ancora gli agenti — con un testo dattiloscritto di due righe in gran parte illeggibile. Le uniche lettere comprensibili sono quelle contenute nella parte centrale del testo, ovvero nella prima riga "... ne do... asco ne..." e nella seconda "religios..."».
La vicenda è finita al Tribunale del Riesame, che ha convalidato il sequestro. La Lioce, in una lettera ai giudici, dopo aver premesso di voler «fare chiarezza sul tentativo di strumentalizzazione», ha detto di «disconoscere qualunque attribuzione surrettizia, a me personalmente o all'organizzazione a cui appartengo, di contenuti più o meno politici estranei alla linea politica praticata e proposta dalle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente, che sostengo e nella quale mi sono più volte pubblicamente riconosciuta».
Le reazioni dal mondo politico non si sono fatte attendere. Riccardo Pedrizzi, Alleanza nazionale, ha chiesto al ministro dell'Interno Giuliano Amato «di riferire in Parlamento» mentre Silvana Mura (Italia dei valori) ha osservato che «se fossero confermate le accuse, ci troveremmo di fronte ad un fatto di una gravità inaudita».
Corriere della sera, 13 giugno 2007
Bagnasco, indagata la Lioce "Ordini in codice ai terroristi"
La br: non è vero. A Genova nuove scritte e minacce
Secondo pm dell´ Aquila era lei dal carcere a organizzare le minacce
Cautela degli inquirenti liguri: la Chiesa mai stata un obiettivo brigatista
La pista, una misteriosa scritta individuata sotto la fascetta di chiusura d´una sua lettera: "Ne do...asco ne...religios..."
GIUSEPPE CAPORALE
WANDA VALLI
L´AQUILA - Un codice segreto, per dare ordini, per organizzare le minacce contro monsignor Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, presidente della Cei. E la protagonista, la mandante, potrebbe essere lei, Nadia Desdemona Lioce, 45 anni, la brigatista in carcere all´Aquila dopo la condanna a tre ergastoli per aver ucciso Marco Biagi, Massimo D´ Antona e il sovrintendente della Polfer, Emanuele Petri. Su questo sta indagando, da due mesi, la procura dell´Aquila, mentre la Lioce smentisce, decide di rendere pubblico il nuovo reato per cui, nel frattempo, è stata indagata: associazione con finalità di terrorismo, e prende le distanze da tutto. A nome suo e delle nuove Br. Intanto a Genova, proprio ieri, sono ricomparse le scritte di minaccia "Bagnasco vergognati" seguite da una "Q", a Sestri ponente, quartiere industriale del ponente della città, pochi giorni dopo l´ultima lettera con tre proiettili da carabina. Ma se investigatori e magistrati del capoluogo ligure continuano a mostrare molta cautela sull´ipotesi delle nuove Br in azione contro la Chiesa, all´Aquila, il sostituto procuratore Alfredo Rossini con pazienza e riservatezza sta seguendo la sua pista. Tutto incomincia tra la fine di marzo e i primi di aprile. Dalla sua cella nel settore "giallo" del carcere dell´Aquila, riservato a chi è sottoposto al 41 bis, il regime che prevede il massimo isolamento, Nadia Desdemona Lioce scrive, da mesi, lettere a alcune detenute per lotta armata di Rebibbia a Roma, a altre "compagne di lotta" di Latina e, a quanto pare, anche a qualcuno all´esterno delle carceri. Sono due lettere al giorno, in entrata e in uscita, una corrispondenza fitta e regolare. Che deve passare per l´ufficio censura, come prevede il codice per chi è sottoposto al regime di isolamento. Tutto, comunque, sembra tranquillo. Ma il 2 aprile, a Genova, sulle porte della cattedrale di San Lorenzo, compare la prima scritta in vernice bianca, "Bagnasco vergogna", nei giorni successivi, altre vengono ritrovate sui muri della città, in diversi quartieri. Il tono è pesante: "Bagnasco boia", "Bagnasco attento, ancora fischia il vento". Accanto alle scritte, qualcuno disegna una stella cinque punte, qualcun altro una P38. Nel carcere dell´Aquila, si insospettiscono: tra le minacce al presidente della Cei e le lettere che la Lioce scrive e riceve, c´è un singolare collegamento nei tempi, le lettere anticipano di uno o due giorni gli insulti a monsignor Bagnasco. Informato della questione, il pm Rossini decide di far perquisire la cella della donna. E scopre una busta bianca, non utilizzata che nasconde, sotto la parte che va richiusa, alcuni spezzoni di una frase: "ne do...asco ne...religios...". E´ tutto scritto a mano, il pm chiede una perizia calligrafica, invia a Nadia Lioce il nuovo avviso di garanzia, informa la collega della procura di Genova, Anna Canepa titolare del fascicolo sul caso Bagnasco. Si lavora in silenzio finché la Lioce decide di dissociarsi pubblicamente: le nuove Br non c´entrano con la chiesa o con il presidente della Cei, né tanto meno c´entra lei. I suoi avvocati, Carla Serra e Caterina Calia, confermano: «É assurdo che da un pezzo di frase incomprensibile sia stata formulata una accusa», ma alla procura dell´Aquila la pensano diversamente. Ipotizzano che quelle parole monche, spezzettate, siano la chiave di lettura di un codice nascosto tra le frasi della corrispondenza della donna. Potrebbe, dunque, essere ancora lei, l´irriducibile capo delle nuove Br a dare ordini contro il presidente della Cei. Alla Digos di Genova, invece, ragionano, forti di un´ esperienza lunga come gli Anni di piombo: «Le Br non hanno mai preso la chiesa come obiettivo, si sono sempre rivolti al mondo del lavoro, dei sindacati, delle forze di polizia». E le minacce a monsignor Bagnasco? Solo atti di mitomani, è la prima ipotesi, ma l´attenzione è alta anche verso il mondo dell´anarchia e della sinistra antagonista più estrema.
Repubblica, 13 giugno 2007
IL RETROSCENA
Monsignor Betori: non chiari i contorni della vicenda. Il vice, Monari: spaventa il tentativo di fare di Bagnasco un simbolo nemico
Tensione alla Cei: speriamo nella polizia
Dai vescovi linea prudente. "Si rischia l´effetto moltiplicazione"
MARCO POLITI
ROMA - Nel palazzo della Cei, sulla circonvallazione Aurelia, nessuno si ferma nei corridoi, nessun chiacchiericcio, in ogni stanza laici e sacerdoti stanno tranquilli davanti al computer. Business as usual. Si lavora come in un giorno qualsiasi. Ma la mazzetta delle fotocopie delle agenzie sulle perquisizioni nella cella della brigatista Lioce sta sulla scrivania dei più stretti collaboratori di Bagnasco e testimonia di una tensione sotterranea. «Proprio adesso che speravamo di esserne usciti, ritornano le minacce. Psicologicamente è dura», ammette uno dei monsignori nel quartier generale dell´episcopato.
«Non voglio parlarne», ha detto mons. Bagnasco al suo segretario. Nessun commento. E dalla Cei non esce nemmeno un comunicato. «Ci affidiamo agli inquirenti», dichiara a Repubblica il segretario generale della Cei mons. Betori. «Non abbiamo idea dei contorni reali della vicenda, non abbiamo elementi di valutazione», aggiunge. «Abbiamo fiducia nelle indagini», conclude. Ma il veleno che inquina l´atmosfera nei palazzi della gerarchia ecclesiastica è proprio questo. L´incertezza, il continuo oscillare tra l´impressione che siano all´opera dei mitomani e il sospetto inespresso che tra i tanti pazzi ci sia nell´ombra un delinquente che alla fine può pensare di realizzare davvero un gesto tragicamente clamoroso. Sostiene un veterano della Curia vaticana che quanto più si sfrangia la società tanto più si diffonde il «fai da te» senza la minima regola. Il fai-da-te per arraffare benessere, il fai-da-te religioso e ora anche il fai-da-te terroristico o pesudoterroristico.
Mons. Luciano Monari, vice-presidente della Cei, ci confessa tutto il suo «stupore» per quanto sta accadendo in queste ore. «Spaventa questo tentativo di fare di monsignor Bagnasco un simbolo nemico. Perchè - spiega - è una persona assolutamente corretta, rispettosa, capace di ascolto e di accogliere chiunque. Non riesco proprio a capire. Almeno finora avevamo la speranza di trovarci di fronte a gesti esasperati frutto di individui non equilibrati...». All´ultima assemblea generale dell´episcopato delle minacce al presidente non si è volutamente discusso in pubblico. «Gliene ho parlato da amico, nell´ufficio di presidenza - racconta monsignor Monari - e l´ho trovato sereno, per nulla turbato». Adesso, però, qualcuno dei suoi collaboratori ammette che il protrarsi delle minacce può cominciare a logorare il presidente della Cei. Girare con la scorta giorno per giorno, lo stillicidio delle minacce, e poi gli alti e bassi di rivelazioni inquietanti alla fine incidono anche su un temperamento autocontrollato come quello di Bagnasco.
Di questo stato d´animo turbato si fa interprete l´Avvenire: «Far decantare l´errore dei violenti e accelerare il ritorno alla normalità», suggerisce il quotidiano dei vescovi. Va decisamente evitata, sottolinea un editoriale del giornale, l´ «incentivazione di questa perversa strategia, attraverso l´eccitamento indiretto di nuovi emuli». Per questo l´Avvenire - è scritto - si limita al linguaggio secco della cronaca. E solo per questo motivo, aggiunge l´organo dell´episcopato, tace anche la Segreteria generale della Cei, proprio per evitare effetti di moltiplicazione. Ma c´è un grido dell´Avvenire che rivela l´ansia da cui in queste ore è pervaso l´episcopato: «C´è un uomo, un sacerdote, un vescovo che ha il diritto di camminare per i carruggi ad incontrare i suoi genovesi e di colloquiare con gli italiani con quella serena libertà di cui tutti vogliamo godere».
Repubblica, 13 giugno 2007
E pensare che se i mass media fossero stati piu' attenti nel riportare parole mai pronunciate, tutto questo non sarebbe accaduto...
Raffaella
G8
L'INCONTRO IN VATICANO TRA IL PRESIDENTE AMERICANO E BENEDETTO XVI
Bush e il Papa
VICINI MA LONTANI
Un incontro cordiale, che ha evidenziato comunione d'intenti sul tema della famiglia. Ma in cui Benedetto XVI ha ribadito la posizione della Chiesa su Medio Oriente e guerra.
Alberto Bobbio
Ci sono tre parole che fanno la differenza, che mettono nero su bianco la disparità di vedute riguardo alla pace tra l’amministrazione Usa e la Santa Sede: «Ancora una volta».
Stanno a metà della nota ufficiale della sala stampa vaticana pubblicata al termine del colloquio tra George W. Bush e Benedetto XVI. Indicano posizioni distanti e autorizzano a credere che qualche tensione c’è stata nel colloquio tra il Papa e il capo della Casa Bianca, e in quello successivo con il segretario di Stato Tarcisio Bertone. Sono riferite al Medio Oriente e all’Irak, l’area geopolitica che è stata al centro dell’incontro: «Da parte della Santa Sede si è auspicata, ancora una volta, una soluzione regionale e negoziata dei conflitti e delle crisi che travagliano la regione».
La dottrina Bush, quella dell’intervento unilaterale, quella della guerra preventiva, quella che fa ritenere ogni conflitto giustificato perché parte della lotta globale al terrorismo, non piace alla Santa Sede. E non si tratta di una novità.
Lo ha ripetuto più volte Giovanni Paolo II, lo ha detto in questi due anni di pontificato Benedetto XVI. Ma evidentemente a Washington fanno fatica a capire che la crisi mediorientale è regionale e che le soluzioni devono essere trovate in un negoziato con tutte le parti coinvolte, Siria e Iran compresi.
L’occasione per ribadire le cose
Allora c’è bisogno di ripeterlo «ancora una volta» all’uomo più potente del pianeta. E lo fa il Papa, l’autorità morale più importante della terra, quella che più di ogni altra si è spesa nei tempi recenti per la pace globale. La Santa Sede non ha alcuna soggezione della Casa Bianca, né ha badato alle emozioni di un presidente che ha chiamato il Papa "Sir", signore, secondo l’uso in voga tra i militari, al posto del più protocollare His Holiness, Sua Santità, che ha accavallato le gambe come un cowboy texano, seduto sulla sedia cremisi nella Biblioteca apostolica. Non ha neppure stravolto la giornata ai pellegrini e ai turisti, come ha fatto l’Italia, evitando di chiudere piazza San Pietro e Basilica vaticana, per motivi di sicurezza.
Al Papa e agli uomini della Segreteria di Stato importava cogliere l’occasione diplomatica per ribadire le cose come stanno e per spiegare gli errori dell’approccio unilaterale a crisi e soluzioni dell’ammistrazione Bush. Il protocollo è stato ridotto al minimo. La visita era privata. Il Papa non ha perso tempo e ha cominciato subito con le domande sul G8, incurante dei giornalisti e delle telecamere che inquietavano Bush. Così abbiamo potuto ascoltare il Papa che in inglese domandava del vertice in Germania e Bush che assicurava essere stato «un successo».
E abbiamo potuto vedere la sorpresa di Benedetto XVI che incalzava: «Un successo?». Finché le porte della biblioteca non sono state chiuse. Al termine, la nota vaticana ha messo in fila le divergenze diplomatiche e le convergenze sui temi della vita e della famiglia. In cima alla lista delle preoccupazioni del Papa c’è il Medio Oriente, cioè la questione israelo-palestinese, il Libano, l’Irak e le «critiche condizioni in cui si trovano le comunità cristiane» di quell’area. Poi viene l’Africa, con un accenno particolare al Darfur, e infine l’America Latina. La libertà religiosa, i diritti umani e il problema di uno sviluppo sostenibile hanno completato il giro d’orizzonte mondiale di Bush in Vaticano con il Papa e il cardinale Bertone.
Poi Bush ha ascoltato la lezione di Sant’Egidio, nell’incontro con Andrea Riccardi e gli altri leader della Comunità, che molti chiamano l’Onu di Trastevere. Si è trattato di un vero e proprio summit all’ambasciata americana, nel quale gli esponenti di Sant’Egidio hanno raccontato al presidente americano lo stile della Comunità nella lotta all’Aids, con il progetto Dream, ma anche il modo di trovare vie di mediazione nei conflitti, forse un po’ corsare e lontane dai canoni della diplomazia internazionale, ma sicuramente efficaci.
Esercito internazionale dell’amore
A Bush è piaciuto lo stile poco burocratico di Sant’Egidio. Loro hanno approfittato dell’incontro per spiegare al presidente americano che «la guerra è la madre di tutte le povertà» e che il gran circo delle mediazioni internazionali, soprattutto in Africa, con missioni da ogni parte e con inviati speciali di ogni governo è poco utile a metter la parola fine ai conflitti. Bush li ha definiti «risolutori di problemi», li ha annoverati nell’«esercito internazionale dell’amore».
Ma non ha reagito quando loro hanno criticato l’idea della Casa Bianca di riunire, che poi significa deportare, tutti i cristiani iracheni in un’enclave nel Kurdistan iracheno, né è apparso molto d’accordo sulla efficacia della diplomazia corsara. Il Darfur è stato oggetto di analisi. I dirigenti di Sant’Egidio hanno fatto notare il fallimento di tutti i piani di pace, alcuni favoriti dagli Usa, e hanno annunciato a Bush di voler provare a riunire a Trastevere i capi dei ribelli per redigere una piattaforma comune, primo passo per avviare un negoziato globale con il governo di Khartum.
Famiglia Cristiana, n. 24
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
cara Raffaella, il commento su Repubblica di oggi merita l'oscar della faccia tosta.
Se c'è un giornale che ha soffiato sul fuoco delle dichiarazioni di Bagnasco a suo tempo, quello è Repubblica, sia su web che su carta. Hanno presentato scientemente la faccenda in modo che il lettore si indignasse e puntualmente sono arrivate le lettere dei lettori scandalizzati e i vari commenti dei laici illuminati che sanno sempre spiegarci come dovrebbe essere il cristianesimo. Quando Bagnasco ha fatto smentire, si è fatto quasi finta di niente. Chi naviga su web sa il danno che soprattutto sui giovani questo modo di trattare l'informazione ha fatto.
Adesso che il danno è visibile anche in termini drammatici, si ha la faccia come le chiappe di segnalare la preoccupazione della CEI e di spiare segni nervosismo, per esempio notando la "mazzetta delle fotocopie delle agenzie "sui tavoli.
E questo è avvenuto non solo su Monsignor Bagnasco. Su tutto quello che riguarda la Chiesa sono mesi e mesi che si stravolgono i discorsi, si mettono le virgolette dove non ci sono, si tolgono dove ci sono (Ratisbona) per alimentare un anticlericalismo d'accatto, stile Asino di Podrecca di infausta memoria. Inorriditi da quello che è la Chiesa oggi, questi signori non hanno risparmiato niente, compreso fare pubblicità all'8 per mille alla Chiesa valdese, e sostenere con articoli penosi la trasmissione Annozero, non dedicando una riga a spiegare come stavano veramente le cose .
Poi si fanno articoli pelosi come quello di oggi, paventando l'evento tragico.
Così, senza rancore, ma in assoluta calma ,mi sento di mandare la redazione di Repubblica ad andare a quel paese in blocco.
Buona giornata.
Ciao Mariateresa, non puoi immaginare quanto io sia d'accordo con te.
Guarda caso tutti gli "scandali" nascono sul sito di Repubblica e vengono nutriti sul giornale. Non posso dimenticare il quasi invito di qualcuno a dare l'otto per mille ai Valdesi...soccorrete questa persona! Sapendo che le donazioni sono aumentate potrebbe averne a male...
Raffaella
Posta un commento