28 febbraio 2007

Rassegna stampa del 28 febbraio 2007


Accusato anche "Inchiesta su Gesù"
Il Vaticano processa Dan Brown

"Sciocchezze, errori e falsità" così la Chiesa processa i best seller

Stasera a Roma la conferenza storico-religiosa voluta da Ruini
La "difesa" di Augias: "Ma Gesù è patrimonio dell´umanità"


ORAZIO LA ROCCA


CITTÀ DEL VATICANO - "Processo", questa sera, nelle sacre mura pontificie, ai due libri che negli ultimi tempi hanno «osato» mettere in dubbio la veridicità dei Vangeli e persino la divinità di Cristo: Il Codice da Vinci, best seller di Dan Brown, e Inchiesta su Gesù, di Corrado Augias e Mauro Pesce, da mesi ai primi posti delle classifiche dei testi più venduti. L´appuntamento è nell´aula della Conciliazione del Palazzo Lateranense, a Roma, alle 19,30, dove dei due libri si discuterà in una conferenza del Progetto Culturale, programma ideato dal cardinale vicario Camillo Ruini per rilanciare la cultura cristiana. «Daremo una risposta pacata, ma ferma, alle storture in materia di fede cristiana contenute nel Codice da Vinci e nell´Inchiesta su Gesù, due libri di grande successo commerciale ma pieni di errori storici», spiega monsignor Sergio Lanza, responsabile del Progetto Culturale della diocesi romana. Le tesi dei due volumi saranno controbattute da monsignor Romano Penna, biblista insigne, docente alla Pontificia Università lateranense, tra i massimi esperti del Cristianesimo Antico. «La conferenza non intende polemizzare - assicura il monsignore - ma vuole essere solo un momento di analisi che, partendo dai due libri, punta a rimettere al centro dell´attenzione culturale l´autenticità e la veridicità di Gesù, mettendo l´accento sulle posizioni tra ricerca storiografica da una parte e figura storica del Cristo, dall´altra. Facendo comunque notare anche le inesattezze scritte Dan Brown e dal duo Augias-Pesce». Tuttavia, sui due testi il giudizio del monsignore sarà severo. Specialmente sul Codice da Vinci, «un libro - si lascia andare il biblista, anticipando in parte la relazione - pieno di errori storici, di sciocchezze millantate come verità, pseudo rivelazioni ‘vendute´ come buone». «Ma come si fa - si chiede Penna -a confondere l´apostolo Giovanni nell´affresco dell´Ultima Cena di Leonardo con la Maddalena? Come si fa a sostenere la tesi del complotto dei discepoli ai danni della Maddalena, supposta moglie di Gesù, che scappò in Inghilterra? E poi: possibile che l´autore non si sia accorto che nell´Opus Dei, la Prelatura descritta come una cupola malavitosa, non ci sono monaci? Tutte sciocchezze che non meriterebbero nemmeno una risposta. Persino un personaggio come Vittorio Sgarbi lo ha stroncato». Più ragionato il giudizio sull´Inchiesta su Gesù: «C´è un tentativo di ricerca storica, ma - puntualizza Penna - fatta con intenti minimalisti e con argomenti capziosi che falsano le verità evangeliche». Ad esempio, spiega il biblista, «non si può capire Gesù a prescindere dalle fonti cristiane, come fanno Augias e Pesce. Il Gesù della storia non è separabile dalla fede di chi ci ha trasmesso la sua memoria. Chi lo fa ne falsa l´immagine e l´autenticità», ragiona Penna che critica «specialmente Corrado Augias, nelle cui pagine ci sono molti strafalcioni, come ad esempio quando fa dire a Gesù una frase che lui non ha mai detto nella parabola dei Talenti, o parla della resurrezione di Cristo come di una semplice suggestione degli apostoli. Disarmante, inoltre, quando avanza ipotesi di omosessualità tra i discepoli. Differenti e più ragionati - ammette Penna - sono gli interventi di Pesce, le cui analisi storiche sono però tutte minimaliste e, per questo, più pericolose». «Sono ovviamente convinto che tutti, compresa la Chiesa, hanno la libertà di criticare e di discutere su un argomento così delicato. Quello che non accetterei - risponde Corrado Augias - è che su Cristo ci fosse una sorta di monopolio, perché la figura storica di Gesù è patrimonio dell´umanità».

La Repubblica, 28 febbraio 2007


Credo che sia un bene che finalmente si discuta seriamente su argomenti cosi' importanti.
Non basta criticare un libro, occorrono valide argomentazioni contrarie in modo che nasca un contraddittorio. Sono convinta che il lavoro intrapreso smascherera' una volta per tutte le tesi fantasiose del "Codice" e le argomentazioni, spesso faziose, di Augias e Pesce.



ECCO GESÙ UOMO EBREO

Il cardinale Martini ne fa uso come traccia per le sue meditazioni e lo definisce un «ottimo aiuto» per gli esercizi spirituali, che tiene ogni estate al monte Tabor in Terrasanta. E´ il libro Questo Gesù (Edizioni Dehoniane, pagg. 272, euro 22) del padre gesuita Paolo Gamberini, che il porporato ha voluto espressamente tenere a battesimo all´università Lateranense - presente il rettore Fisichella - benchè per sua stessa ammissione non accetti mai di andare alla presentazione di libri.
Che cosa c´è allora di così stimolante in questo libro, che non vuole inserirsi nel trend (un po´ alla moda) della riscoperta di Cristo, ma intende mettersi seriamente a indagare sull´identità di Gesù per capire meglio e credere meglio? Il cardinal Martini mette l´accento sul punto cruciale di quella corrente di studi, che da qualche decennio ha dato vita alla «nuova ricerca» sul cristianesimo: il rapporto profondo, essenziale di Gesù con l´ebraismo. Gesù è veramente un uomo ebreo. Già papa Wojtyla definiva elemento centrale la consapevolezza che l´incarnazione sia avvenuta nel contesto del popolo ebraico. Chi pensasse trattarsi di un accidente (filosoficamente parlando), sarebbe fuori dal cristianesimo.
Pensare Cristo all´interno dell´ebraismo vuol dire prendere sul serio fino in fondo l´incarnazione. Entrare nel vivo del Gesù storico, che agiva nell´ambiente ebraico (e solo ebraico), il che permette di evitare, come sostiene Romano Penna ordinario di Sacra Scrittura alla Lateranense, che la figura di Cristo «evapori nel mito», abbandonata ad un devozionalismo disincarnato o imprigionata in teorizzazioni sempre più astratte. «Gesù - spiega Penna - ha vissuto proprio in quel lembo di terra lì, in Palestina, non è stato né ad Atene né a Roma né ad Alessandria o Antiochia, i grandi centri di potere e della cultura della sua epoca». Per capirlo bisogna vederlo in «quel paesaggio» della terra d´Israele.
Ha detto il cardinale Martini che un teologo non è certo fonte di Rivelazione, ma non deve essere d´altra parte un «pappagallo che ripete cose già note». Lo stesso cardinale Ratzinger, cui Gamberini si rivolse mentre lavorava sul libro, ha ricordato al gesuita che «un teologo deve sapere rischiare». E Gamberini certo si incammina su un terreno affascinante e non facile, quando esplora dimensioni cardinali dell´uomo-Gesù. Il suo modo di credere, la sua «fede», e al tempo stesso il maturare dell´autocoscienza della sua missione. L´essere tentato, il non sapere, l´esperienza dell´abbandono sono dunque vissuti reali e non begli esempi da fissare su pagine edificanti. In altre parole c´è un «divenire» nell´umanità di Gesù. Un´impostazione del genere suonerà provocazione per chi ha di Cristo una visione tradizionalmente beatifica, cioè di un essere praticamente iperuranio, e sarà invece uno stimolo per chi - seguendo le tracce della storia - vuole comprendere perché questo profeta e non un altro ha potuto essere percepito dai suoi seguaci come figlio di Dio. L´approccio del gesuita è d´altronde trasparente: c´è un piano della ricerca che è quello storico-critico ed un´altra dimensione che attiene al dogma. E ognuno di questi livelli ha le sue leggi.
Un altro spunto emerge dall´approfondimento della relazione fra Cristo e il Padre (e la Trinità al suo interno) e della sua relazione con gli uomini che lo circondano. Spiega Piero Coda (anch´egli presente alla tavola rotonda) che da questo punto di vista Cristo non va considerato come una Verità astratta, ma che la sua verità sta nel relazionarsi con l´Altro attraverso il perdono, unica premessa per far rinascere ogni volta una relazione autentica. Ne consegue che il rapporto del cristianesimo con il pluralismo contemporaneo non va «subito come una condanna», ma colto come una chance.
Per il cardinale Martini resta, in ultima analisi, importantissimo il tema dell´intercessione di Cristo. E´ quello che, d´altronde, lega tanto il porporato a Gerusalemme, dove si è ritirato.
«Pregare là dove Cristo ha sofferto per tutti e si presenta al Padre come riscatto di tutti - confessa Martini - dà veramente alla preghiera una dimensione universale».
Gli abbiamo chiesto cosa pensasse sulle rivelazioni a proposito della scoperta della «tomba « di Gesù. Poggiandosi sul suo bastone, ritto nel suo clergyman grigio, il cardinale ha riposto ironico: «Adesso torno a Gerusalemme e verifico...».

La Repubblica, 28 febbraio 2007


QUANDO RATZINGER SPIEGO':PER FAR TEOLOGIA BISOGNA RISCHIARE
Lo ha raccontato gesuita Gamberini a presentazione suo libro

Roma, 27 feb. (APCom) - Lo hanno rappresentato spesso come l'arcigno difensore dell'ortodossia cattolica, eppure, quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger spiegò ad un giovane teologo in odore di eterodossia che "la ricerca teologica deve saper rischiare". Lo ha raccontato il diretto interessato, il gesuita Paolo Gamberini, in occasione della presentazione del suo libro, "Questo Gesù", presso la Pontificia università lateranense.

Ospite d'eccezione alla presentazione, il cardinale Carlo Maria Martini, oltre a monsignor Piero Coda, presidente dell'Associazione teologica italiana, e al biblista Romano Penna. "Mi sono rivolto al cardinal Ratzinger perché era meglio parlare subito con il giudice", ha raccontato il teologo facendo riferimento al Vangelo di Luca. "Sono stato solo mezz'ora, ma mi sono sentito incoraggiato", ha raccontato dell'incontro. Si deve avere "l'umiltà di stare nella Chiesa", ha concluso padre Gamberini, "accettando anche le difficoltà, che ci sono e si subiscono, ma con il dono della perseveranza si va avanti", che ha anche sottolineato: "Ho dovuto misurare ogni singola parola del libro".


LE IDEE

La spiritualità degli atei

ENZO BIANCHI*

Ormai in Italia il confronto tra credenti cattolici e non cristiani, agnostici o atei è sempre più segnato da conflittualità e polemiche che a volte diventano derisione e disprezzo reciproco. Va detto con franchezza: siamo lontani dallo spirito espresso da Paolo VI con parole ormai dimenticate: "Noi dedichiamo uno sforzo pastorale di riflessione per cercare di cogliere negli atei nell´intimo del loro pensiero i motivi del loro dubbio e della loro negazione di Dio".
E´ vero che oggi l´ateismo militante non è più attestato come negli anni sessanta, ma l´orizzonte agnostico, oggi ancor più esteso di allora, richiede in realtà lo stesso sforzo da parte dei cristiani per tessere un dialogo che si nutra di ricerca comune, di ascolto, di dibattito tra vie diverse. Invece da una parte, quella dei credenti, le posizioni sono sovente difensive perché nutrite di paura e di vittimismo, mentre da parte di alcuni non cristiani si arriva a deridere la fede, ad affermare che proprio i cristiani sono incapaci di avere un´etica, che la fede è fomentatrice di integralismo, intolleranza e violenza. Veementi attacchi anticristiani da una parte, dall´altra mancanza di ascolto e persino demonizzazione del "non credente", giudicato "incapace di moralità".
E così, qua e là echeggia una parola di Dostoevskij: "Se Dio non esiste, tutto è permesso!", considerando chi non crede come persona priva di spiritualità e di morale. Ma allora, è praticabile un dialogo convinto, rispettoso, capace di essere anche fecondo? E´ possibile che i non credenti si confrontino con i cristiani sulle domande attorno al senso della vita? E´ possibile che il cammino di "umanizzazione", essenziale all´umanità per non cadere nella barbarie, sia percorso insieme? Ma affinché questo cammino si apra occorrono alcune urgenze che cerco di delineare.
Agnostici e atei non credono in Dio, non si sentono coinvolti da questa presenza perché non la sentono reale, ma sono consapevoli che invece le religioni che professano Dio fanno parte della storia umana, della società, del mondo. Come essi non trovano ragioni per credere, altri invece le trovano e sono felici: gli uni pensano che questo mondo basti loro, gli altri sono soddisfatti di avere la fede. Ma proprio questo fa dire che l´umanità è una, che di essa fanno parte religione e irreligione e che, comunque, in essa è possibile, per credenti e non credenti, la via della spiritualità. Spiritualità non intesa in stretto senso religioso, ma come vita interiore profonda, come fedeltà-impegno nelle vicende umane, come ricerca di un vero servizio agli altri, attenta alla dimensione estetica e alla creazione di bellezza nei rapporti umani. Spiritualità, soprattutto, come antidoto al nichilismo che è lo scivolo verso la barbarie: nichilismo che credenti e non credenti dovrebbero temere maggiormente nella sua forza di negazione di ogni progetto, di ogni principio etico, di ogni ideologia. Purtroppo questo nichilismo viene sovente definito relativismo, finendo per confondere il linguaggio del dialogo e del confronto e portando all´incomprensione reciproca. Ed è lo stesso nichilismo che, paradossalmente, può assumere la forma del fanatismo in cui ci sono certezze assolute, dogmatismi, intolleranza che accecano fino a rendere una persona disposta a morire e a far morire.
No al nichilismo, dunque, ma allora emerge l´urgenza di riconoscere la presenza di una spiritualità anche negli atei e negli agnostici, capaci di mostrare che, se anche Dio non esiste, non per questo ci si può permettere tutto: persone che sanno scegliere cosa fare in base a principi etici di cui l´uomo in quanto tale è capace. E la grande tradizione cattolica chiede ai cristiani di riconoscere che l´uomo, qualsiasi essere umano, proprio perché, secondo la nostra fede, è creato a immagine e somiglianza di Dio, è "capax boni", capace di discernere tra bene e male in virtù di un indistruttibile sigillo posto nel suo cuore e della ragione di cui è dotato. I non credenti sono capaci di combattere l´orrore, la violenza, l´ingiustizia; sono capaci di riconoscere "principi" e "valori", di formulare diritti umani, di perseguire un progresso sociale e politico attraverso un´autentica umanizzazione.
Si tratta, per tutti, di essere fedeli alla terra, fedeli all´uomo, vivendo e agendo umanamente, credendo all´amore, parola sì abusata oggi e sovente svuotata di significato, ma parola unica che resta nella grammatica umana universale per esprimere il "luogo" cui l´essere umano si sente chiamato. Credenti e non credenti non possono essere insensibili ad affermazioni che percorrono come un adagio i testi biblici e che sono stati ripresi dalla tradizione: "Solo l´amore è più forte della morte... Solo l´amore resterà per l´eternità...". Del resto la fede – questa adesione a Dio sentito come una presenza soprattutto a causa del coinvolgimento che il cristiano vive con Gesù Cristo – non sta nell´ordine del "sapere" e neppure in quello dell´acquisizione: si crede nella libertà, accogliendo un dono che non ci si può dare da sé. Analogamente gli atei, nell´ordine del sapere non possono dire "Dio non c´è": è, infatti, un´affermazione che possono fare solo nell´ambito della convinzione.
Vorrei che noi cristiani potessimo ascoltare atei e agnostici, potessimo confrontarci con loro, senza inimicizie, soprattutto attraverso un confronto delle nostre spiritualità, di ciò che in profondità ci muove nel nostro agire. Lo spirito dell´uomo è troppo importante perché lo si lasci nelle mani di fanatici e di intolleranti oppure di spiritualisti alla moda. Certo, ogni religione si nutre di spiritualità, ma c´è posto anche per una spiritualità senza religione, senza Dio.
Ma nella specifica situazione italiana dovremmo prestare attenzione anche ad un altro elemento, facendo tesoro di un aneddoto storico. Mussolini confidò un giorno al suo ministro degli Esteri: "Io sono cattolico e anticristiano!". Eredi di questa posizione se ne possono trovare tuttora in Italia: persone non credenti né in Cristo né nel suo vangelo, ma pronti a difendere valori culturali "cattolici". Non è questo che intendo quando parlo di spiritualità degli atei: penso invece a un sentire che rende possibile un confronto proprio sui valori del Vangelo, sul suo messaggio umanizzante a servizio dell´uomo.
Credo ci sia posto per una spiritualità degli agnostici e dei non credenti, di coloro che sono in cerca della verità perché non soddisfatti di risposte prefabbricate, di verità definite una volta per tutte. E´ una spiritualità che si nutre dell´esperienza dell´interiorità, della ricerca del senso e del senso dei sensi, del confronto con la realtà della morte come parola originaria e con l´esperienza del limite; una spiritualità che conosce l´importanza anche della solitudine, del silenzio, del pensare, del meditare. E´ una spiritualità che si alimenta dell´alterità: va incontro agli altri, all´altro e resta aperta all´Altro se mai si rivelasse. Ne La Peste, Camus scriveva: "Poter essere santi senza Dio è il solo problema concreto che io oggi conosco". Oggi potremmo parafrasare questa affermazione dicendo che il solo autentico problema è essere impegnati in una ricerca spirituale al fine di fare della vita umana un´opera d´arte, un cammino di piena umanizzazione. Sì, in Francia pensatori come Luc Ferry o André Comte-Sponville, non cristiani e non credenti, propongono nella lotta contro la barbarie incipiente una spiritualità anche per gli atei. Da noi in Italia, invece, alcuni paiono esercitarsi a offendere la fede dei credenti e a negarsi reciprocamente la capacità di etica universale, di umanesimo... Io resto testardamente convinto che, in quanto esseri umani, non siamo estranei gli uni agli altri e che siamo pertanto chiamati ad ascoltarci e a cercare insieme.
*L´autore è fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose

La Repubblica, 28 febbraio 2007

Francamente non capisco questo articolo di Enzo Bianchi. A me sembra che Papa Ratzinger sia il primo a riconoscere la necessita' di un dialogo continuo e costruttivo fra credenti e non credenti, agnostici e atei.
Benedetto XVI provoca i non credenti a vivere etsi deus daretur (come se Dio esistesse). Il Papa e' impegnato a dimostrare ed a spiegare la ragionevolezza della fede.
Mi pare, dunque, che l'articolo di Bianchi non tenga conto di tutti gli interventi del Papa in questo senso. Per citarne solo uno, proporrei il discorso di Verona.
In esso, come in altri testi, il Pontefice incita ad aprire il dialogo con i cosiddetti atei devoti per "non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia".

3 commenti:

Luisa ha detto...

Posso essere sostanzialmente d`accordo con Enzo Bianchi( e non è sempre così...). Trovo effettivamente strano che non abbia citato Benedetto XVI, e il suo discorso di Verona (per es. ma non solo). Il Papa, è e è sempre stato un uomo aperto al dialogo e dotato di una grande capacità di ascolto, già dai tempi in cui era alla guida della Congregazione per la dottrina della fede. Devo però dare atto a Bianchi che sovente egli cita Benedetto XVI a sostegno del suo discorso.
Forse si tratta solo di un oblio...

gemma ha detto...

non credo in nessun oblio. Bianchi è da sempre distante da Ratzinger..

Anonimo ha detto...

Buonasera :-))
Le distanze fra Bianchi e il Papa sono enormi, pero' mi piacerebbe che ci fosse piu' onesta' quando si scrivono certi articoli.
Anche se non si e' sempre d'accordo con il Ratzinger, mi sembra che citare i suoi discorsi sia il minimo soprattutto da parte di chi si professa cattolico...