30 giugno 2008

NASCE WYDCROSSMEDIA, SITO CON NEWS E VIDEO DA SYDNEY


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GMG/ NASCE WYDCROSSMEDIA, SITO CON NEWS E VIDEO DA SYDNEY

Nuovo portale con informazioni da Australia per visita Papa

Città del Vaticano, 30 giu. (Apcom)

"Tutto in uno, tutti per Uno": è questo lo slogan che riunisce insieme Afriradio (Comboniani), Centro Televisivo Vaticano, emittente del Vaticano, DonBoscoLand (Movimento Giovanile Salesiano Triveneto), H20news (agenzia video-web di informazione religiosa), Korazym (quotidiano on line di informazione religiosa), Lamorfalab, Lemiedomande (sito di domande e risposte sulla religione), MISNA, Movimento dei Focolari, One o Five live, Pj Online (pastorale vocazionale San Paolo), Radio Vaticana, Telepace e ZENIT in un singolare progetto di condivisione di risorse per offrire, attraverso internet, un servizio di comunicazione unificato sulla Giornata mondiale dei giovani di Sydney, in programma dal 15 al 20 luglio e che vedrà la partecipazione anche del Papa, disponibile all'indirizzo www.wydcrossmedia.org.

Il sito accoglie notizie e contenuti multimediali all'interno di un'unica pagina e permette di scaricare uno strumento unico (player), inglobabile in qualsiasi sito o utilizzabile come programma a se stante, che permette di accedere in pochi secondi a contenuti video, audio e news riguardanti l'evento australiano.

Per scaricare gratuitamente il player, o inserirlo all'interno del proprio sito, è necessario registrarsi ed accettare il regolamento che ne garantisce un uso non commerciale. Alcuni contenuti, raccolti grazie alla collaborazione di Qumran2, verranno resi disponibili liberamente per supportare chi organizza veglie o incontri in Italia.

Il progetto ha carattere internazionale ed ha coinvolto una decina di media cattolici di altri stati ed aree linguistiche per la produzione di files multimediali. Attualmente i contributi sono disponibili in inglese, francese, spagnolo e portoghese, oltre che in italiano.

In Australia sarà presente una piccola 'task force' di giovani che utilizzerà le più moderne tecniche per favorire la partecipazione da casa: dalle dirette video inviate direttamente dai cellulari alle riprese video a 360 gradi che consentiranno una visione dell'evento unica nel suo genere.

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Il compito della Chiesa di Roma

Da tempi lontanissimi la Chiesa di Roma celebra i santi Pietro e Paolo, suoi fondatori nella fede di Cristo e patroni. A ricordare l'antichità e il significato di questa festa è stato ancora una volta il suo vescovo Benedetto XVI nelle due importanti omelie che ha pronunciato; e alla vigilia della solennità il Romano Pontefice ha aperto l'anno dedicato all'apostolo che incontrò Gesù sulla via di Damasco nel bimillenario della sua nascita. Alla presenza, molto significativa, di Bartolomeo, Patriarca della Chiesa sorella di Costantinopoli, e di alcuni delegati di altre Chiese e confessioni cristiane.
L'iniziativa non è soltanto celebrativa: Paolo - ha infatti spiegato il Papa - non è per i cristiani una figura del passato, ma un maestro che parla ogni giorno attraverso le sue lettere. Come intuì anche Pier Paolo Pasolini che, progettando un film sull'apostolo, pensava di ambientarlo ai nostri giorni, perché egli "è qui, oggi, tra noi", è a noi che si rivolge ed "è la nostra società che egli piange e ama, minaccia e perdona, aggredisce e teneramente abbraccia".
E la presenza di Paolo anche oggi è quella di un uomo la cui fede non è "una teoria, un'opinione su Dio e sul mondo", ma "l'impatto dell'amore di Dio sul suo cuore": come sempre fa nel commento dei testi e delle ricorrenze liturgiche, Benedetto XVI va all'essenziale e sa spiegarlo con parole semplici e profonde. Così è proprio l'esperienza di Paolo a mostrare ai cristiani la via dell'unità, che si trova nel servizio alla verità; anche se questo "si paga con la sofferenza" in un mondo pervaso dal potere della menzogna.
Alla presenza di Paolo la tradizione della Chiesa di Roma ha sempre unito quella di Pietro, "diventato cittadino romano per sempre". E non per una devozione lontana, ma perché i due apostoli sono "fondatori di un nuovo genere di città, che deve formarsi sempre di nuovo in mezzo alla vecchia città umana" minacciata dal peccato.
La missione dei due apostoli, in modo diverso, fu quella di aprire la Chiesa all'ecumene, cioè all'intero mondo allora conosciuto, senza alcuna barriera. Così "Roma deve rendere visibile la fede a tutto il mondo", mentre la "missione permanente di Pietro" è quella di fare sì che la Chiesa - che non si identifica mai "con una sola nazione, con una sola cultura o con un solo Stato" - davvero, sollecita dell'umanità intera e al di là di ogni divisione, "sia sempre la Chiesa di tutti". Nella continuità della tradizione apostolica, è questo il compito della Chiesa di Roma.

g. m. v.

(©L'Osservatore Romano - 30 giugno 1 luglio 2008)

Un anno fa la pubblicazione della “Lettera del Santo Padre alla Chiesa cinese”: nota dell'Agenzia Fides


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Il Papa apre l'Anno Paolino: "In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza"

ASIA/CINA - Un anno fa la pubblicazione della “Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese”

Città del Vaticano (Agenzia Fides)

Ad un anno dalla pubblicazione della Lettera del Santo Padre ai Cattolici cinesi (30 giugno 2007), sembra impossibile fare un bilancio per elencarne i risultati.

Per un documento definito, da più parti, “storico”, occorre un arco di tempo maggiore per poter valutare la sua incidenza nella vita della comunità cattolica cinese. Inoltre i migliori frutti che la Lettera si attende sono di ordine spirituale, e quindi non facilmente registrabili dalla cronaca.

Dopo un primo periodo di entusiasmo, di gratitudine al Santo Padre ed anche di apprensione, specie a livello politico, durante il quale gli elogi alla Lettera sono stati davvero lusinghieri (bella, chiara, equilibrata, affettuosa, paterna...) sembra ora aumentare l’interesse per cercare di ascoltare il messaggio pontificio. Che cosa dice il Santo Padre, Benedetto XVI ? Cosa chiede ai cattolici cinesi e, rivolgendosi ad essi, anche alla Chiesa universale?
Un primo messaggio, che sembra da tutti percepito, è che le cose sono cambiate, non possiamo continuare come prima
. Ossia, la presa d’atto di una situazione radicalmente cambiata, sia all’interno della comunità cattolica, sia nei confronti del Governo, come nei confronti della società civile cinese ed internazionale.
Dopo la chiara affermazione del Santo Padre che la Chiesa in Cina è una, e che le divergenze all’interno erano, e sono, frutto di pressioni esterne, i cattolici cinesi si stanno riscoprendo fratelli. La Chiesa in Cina è una, perché quasi tutti i Vescovi sono in comunione con il Papa. Una sola Chiesa dunque, anche se la sua struttura è ancora, per così dire, anomala. Non siamo ancora in presenza di una unità perfetta e realizzata, ma la direzione indicata da Benedetto XVI è chiara. Anche se una unificazione non si verifica dall’oggi al domani.
Sarebbe troppo lungo elencare i passi avvenuti a vario livello, di cui abbiamo avuto notizia, che assicurano come stia crescendo un movimento verso la riconciliazione e l’unità. La Lettera del Papa ha avuto chiaramente i suoi effetti nelle relazioni fra i fedeli della comunità riconosciuta dal governo e quelli della comunità non riconosciuta, anche in quelle zone dove le divergenze interne erano molto forti. Tra questi avvenimenti citiamo gli auguri e i doni natalizi che si sono scambiati i fedeli della comunità riconosciuta con quelli della comunità non riconosciuta; l’aumento, a volte significativo, del numero dei fedeli appartenenti ad una comunità alle celebrazioni eucaristiche dell’altro gruppo; ancora i ritiri spirituali fatti insieme; corsi di catechismo per i neofiti non riconosciuti sono stati affidati ai fedeli della Chiesa riconosciuta; in più parti della nazione si sono tenute sessioni congiunte di studio e di approfondimento, esercizi spirituali sulla stessa Lettera del Papa, per coglierne - in un clima di preghiera - l’esatto significato.
Anche i funerali sono diventati occasione di riconciliazione. Fedeli non riconosciuti sono andati a confessarsi e hanno partecipato all’Eucarestia presieduta da sacerdoti riconosciuti dal governo. In un caso più di 500 fedeli hanno concluso un Convegno di studio sulla formazione dei cristiani per l'Evangelizzazione, con una processione e la celebrazione dell'Eucarestia.
Non sono mancati contatti regolari fra sacerdoti e Vescovi delle due comunità per la programmazione della celebrazione della Pasqua: simili contatti o iniziative non esistevano prima della pubblicazione della Lettera.
Sacerdoti o suore di un gruppo che hanno guidato ritiri spirituali per i fedeli dell’altro gruppo. Sono sparite, per la maggior parte, le accuse che i Sacramenti di un gruppo non fossero validi ed addirittura inutili, si sono registrati casi di fedeli delle due comunità riuniti insieme per le preghiere del mattino e della sera.
In alcune diocesi il tema della riconciliazione è diventato il motivo base per tutta la pastorale. In cinque villaggi della Mongolia le suore non riconosciute dal governo sono state invitate a guidare e ad animare le celebrazioni liturgiche della comunità riconosciuta dal governo.
Insieme a tutti questi aspetti positivi, non sono mancate resistenze e difficoltà verso la Lettera del Papa, come dimostrano le tante domande di chiarimento che sono giunte a Roma. Ma si può dire che comunque la Lettera del Santo Padre abbia segnato una svolta storica nella vita della comunità cattolica.
Anche i due grandi eventi, quello del terremoto e quello della Giornata di Preghiera per la Chiesa in Cina del 24 maggio, con tutte le difficoltà create dalle autorità, hanno unito i cristiani in tante forme, sia di preghiera sia di iniziative pastorali.
A Roma, per la prima volta, più di 500 fedeli cinesi, del Continente, di Taiwan e di Hong Kong, provenienti dai due gruppi, hanno partecipato alla solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta dal Card. Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.
Registrando questi fatti, e rileggendo la Lettera del Santo Padre, vengono alla mente le parole con le quali Sant’Agostino commentava il salmo 126 (Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori): ”Noi parliamo all’esterno, Dio costruisce interiormente. Mi rendo conto che mi udite: che cosa poi pensate lui solo lo conosce, egli che vede i vostri pensieri. Lui edifica, lui ammonisce, lui incute timore, lui apre la mente, lui vi rende sensibili alla fede”.

© Copyright Agenzia Fides 30/6/2008

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La missione del pastore nasce dall’amore per Cristo: così, il Papa nell’udienza ai nuovi arcivescovi metropoliti e ai fedeli delle loro diocesi, all’indomani dell’imposizione del Pallio

In un clima di comunione familiare, Benedetto XVI ha incontrato stamani i 40 nuovi arcivescovi metropoliti ai quali, ieri, ha imposto il Sacro Pallio nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Nell’udienza, in Aula Paolo VI, il Papa - che ha pronunciato il discorso in più lingue - si è soffermato sull’amore per Cristo vera sorgente del ministero episcopale. Quindi, ha ribadito l’importanza dell’Anno Paolino, inaugurato sabato sera. Il servizio di Alessandro Gisotti:

L’Anno Paolino appena iniziato rafforzi la fede dei cristiani e il loro legame con la Chiesa e i suoi pastori: è l’esortazione di Benedetto XVI ai pellegrini che si sono raccolti in Aula Paolo VI assieme ai loro arcivescovi metropoliti, all’indomani dell’imposizione della stola del Pallio da parte del Santo Padre:

“L’Apostolo delle genti vi aiuti a far crescere le comunità a voi affidate unite e missionarie, concordi e coordinate nell’azione pastorale animate da costante slancio apostolico”.

Sottolineando il clima di comunione che sempre caratterizza l’incontro con i nuovi arcivescovi metropoliti, il Papa ha ricordato che “l’immagine del corpo organico applicata alla Chiesa è uno degli elementi forti e caratteristici della dottrina di San Paolo”. Quindi, ha ricordato come la missione del pastore, che pasce le sue pecorelle, nasca dall’amore per Cristo:
“Ricordiamo sempre che per ogni Pastore la condizione del suo servizio è l’amore per Cristo, a cui nulla deve essere anteposto. 'Simone di Giovanni, mi ami?'. La domanda di Gesù a Pietro risuoni sempre nel nostro cuore, cari Fratelli, e susciti, ogni volta nuova e commossa, la nostra risposta: 'Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo'”.

“Sia questa la nostra gioia - ha detto il Papa - mentre è certamente la nostra croce: soave e leggera, perché croce d’amore”. Benedetto XVI ha salutato i metropoliti e i pellegrini in diverse lingue, dal tedesco al francese, dal russo al croato, ancora dallo spagnolo al portoghese e al polacco, a dimostrazione dell’universalità della Chiesa espressa dai 40 nuovi arcivescovi metropoliti presenti in Aula Paolo VI. Il primo saluto è andato a mons. Fouad Twal, nuovo patriarca di Gerusalemme dei Latini. Rivolgendosi agli arcivescovi e pellegrini di lingua francese, il Papa ha messo l’accento sul significato del Pallio:

“Le pallium symbolise la profonde union…”

“Il Pallio - ha spiegato - simbolizza l’unione dei Pastori con il Successore di Pietro, come anche la sollecitudine pastorale che l’arcivescovo ha per il suo popolo”. Pensiero sviluppato anche nei saluti in lingua inglese:

“As a symbol of the burden of the episcopal office…”

“Come simbolo del peso dell’ufficio episcopale - ha detto - il Pallio ricorda anche ai fedeli il loro dovere di sostenere i Pastori della Chiesa con le preghiere e cooperando generosamente con loro per la diffusione del Vangelo e la crescita della Chiesa in santità, unità e amore”.

“Ein frohes „Grüß Gott“ sage ich allen, die aus meiner Heimatdiözese München und Freising...“ (applausi)

Un fragoroso applauso ha accolto il saluto a mons. Reihnard Marx, nuovo arcivescovo di Monaco e Frisinga, diocesi d’origine del Papa. Agli arcivescovi di lingua spagnola, in particolare, il Papa ha ribadito l’importanza della comunione tra i presuli e degli stessi con il Vescovo di Roma. E ancora, li ha esortati a svolgere il proprio ministero con amore ardente, affinché Cristo sia sempre più conosciuto, amato e imitato.

© Copyright Radio Vaticana

Segnalazione bel sito con file video ed audio degli interventi del Santo Padre

Riceviamo e con grande piacere segnaliamo:

http://www.benedictxvi.tv/

Grazie ancora :-)

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BENEDETTO XVI E BARTOLOMEO I - L’abbraccio e la parola

La passione per l’unità dei cristiani nel segno di Paolo

Fabio Zavattaro

L’immagine dei due apostoli, Pietro e Paolo, che si abbracciano è immagine stessa della Chiesa unita in un abbraccio fraterno. E le celebrazioni di sabato sera, i primi Vespri nella basilica di San Paolo fuori le mura, e di domenica in San Pietro, con la consegna del Pallio a 40 arcivescovi metropoliti, sono diventate occasione per Papa Benedetto di ribadire quella tensione verso l’unità delle Chiese che è impegno urgente.
Così il pregare assieme, Benedetto XVI e il patriarca Bartolomeo I, davanti la tomba di Paolo, e poi davanti a quella di Pietro, sono nuove occasioni per sottolineare il bisogno di unità: il martirio di Pietro e Paolo, dice il Papa, “nel più profondo, è la realizzazione di un abbraccio fraterno. Essi muoiono per l’unico Cristo e, nella testimonianza per la quale danno la vita, sono una cosa sola”. Il sangue dei martiri “non invoca vendetta, ma riconcilia. Non si presenta come accusa, ma come «luce aurea», secondo le parole dell’inno dei primi Vespri: si presenta come forza dell’amore che supera l’odio e la violenza, fondando così una nuova città, una nuova comunità”.
Per Papa Benedetto l’uomo di oggi ha bisogno di una “unità interiore” perché quella esterna “basata sulle cose materiali” fa “esplodere anche nuovi contrasti”. Lo dice il Papa rivolgendosi a migliaia di fedeli, riuniti nella basilica di San Pietro per la solenne celebrazione. “Grazie alla tecnica dappertutto uguale, grazie alla rete mondiale di informazioni, come anche grazie al collegamento di interessi comuni esistono oggi nel mondo modi nuovi di unità, che però fanno esplodere anche nuovi contrasti e danno nuovo impeto a quelli vecchi. In mezzo a questa unità esterna, basata sulle cose materiali, abbiamo tanto più bisogno dell’unità interiore, che proviene dalla pace di Dio, unità di tutti coloro che mediante Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle. È questa la missione permanente di Pietro e anche il compito particolare affidato alla Chiesa di Roma”. Missione che si esplicita nel far sì che la Chiesa “non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura, con un solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca l’umanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore”.
Unità, dunque, che il Papa sottolinea anche con alcuni gesti. Oltre quelli già menzionati, di grande valore è l’aver ceduto la parola, nella basilica vaticana, al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, che nel mondo ortodosso ha una primazia d’onore. Benedetto XVI gli ha chiesto di tenere l’omelia “per la grande festa dei Santi Pietro e Paolo, patroni di questa Chiesa di Roma e posti a fondamento, insieme agli altri apostoli, della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”. E poi la recita, insieme, della professione di fede, il credo, secondo il Simbolo niceno costantinopolitano nella lingua originale greca, secondo l’uso liturgico delle Chiese bizantine. “Al di là delle notevoli difficoltà che sussistono sulle note problematiche, desideriamo veramente e preghiamo assai per questo, che – ha affermato il Patriarca nell’omelia – queste difficoltà siano superate e che i problemi vengano meno, il più velocemente possibile, per raggiungere l’oggetto del desiderio finale a gloria di Dio”. Bartolomeo ricorda che le due Chiese onorano e venerano sia Pietro, “che ha dato una confessione salvifica alla Divinità di Cristo”, sia Paolo, “che ha proclamato questa confessione e fede fino ai confini dell’universo, in mezzo alle più inimmaginabili difficoltà e pericoli.
Bella poi l’immagine che il Patriarca ortodosso usa per ricordare i due apostoli: l’Oriente, dice, “li onora abitualmente anche attraverso un’icona comune, nella quale o tengono nelle loro sante mani un piccolo veliero, che simboleggia la Chiesa, o si abbracciano l’un l’altro e si scambiano il bacio in Cristo. Proprio questo bacio – ha concluso Bartolomeo I, rivolgendosi al Papa – siamo venuti a scambiare con Voi”.
Infine la benedizione impartita l’uno dopo l’altro, il Papa nella lingua della Chiesa di Roma, il latino, il Patriarca ortodosso nella lingua greca della chiesa d’Oriente.
Alla mente tornano i giorni del viaggio in Turchia e l’incontro nella sede del Fanar, novembre 2006, con quella benedizione insieme dalla loggia della sede del patriarcato ecumenico; quel tenersi per mano, quasi inizio di un nuovo cammino, che domenica, in San Pietro, ha avuto un altro momento forte. C’è ancora strada da compiere, e ci sono differenze da colmare, ma gesti come quelli che abbiamo raccontati, vogliono dire molto e fanno ben sperare nel processo di unità della Chiesa.

© Copyright Sir

Il Papa agli arcivescovi che hanno ricevuto il pallio: "La comunione fra Papa e vescovi è gerarchica e al tempo stesso familiare"

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Studiosi internazionali a confronto sulla formazione e la personalità dell’Apostolo delle genti. E sulla sua eredità

DI EGIDIO PICUCCI

Undici volumi, 143 interventi, 3.120 pagine. A tanto ammonta il contributo dato agli studiosi dai Simposi che l’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma organizza da 19 anni con l’associazione culturale Eteria sull’apostolo Paolo a Tarso (Turchia), dov’egli nacque con molta probabilità tra il 7 e il 10. L’ultimo si è tenuto dal 22 al 25 giugno ed è stato promosso insieme al Centro di dialogo interculturale e interreligioso « Don Andrea Santoro » . Tema della dodicesima edizione del Simposio: « Paolo di Tarso: storia, archeologia, ricezione » .
L’appuntamento è stato animato da studiosi provenienti dall’Italia, dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Turchia, dalla Grecia e dalla Spagna. La scelta del luogo è stata ritenuta fondamentale fin dagli inizi per capire meglio la formazione e la personalità di Paolo, che a Tarso ha respirato – secondo quanto Strabone dice a proposito dei suoi abitanti – « lo zelo per la filosofia e per ogni altra cultura generale in maniera superiore a quella che si aveva in Alessandria, Atene e qualsiasi altro luogo in cui sorgono scuole di filosofia » . Se l’ambiente non spiega fino in fondo il genio di Paolo, aiuta tuttavia a capire la sua padronanza del greco ( che dovette essere la sua lingua madre), il suo ministero svolto principalmente nelle città e non nelle campagne, tra ceti socialmente elevati a cui si rivolgeva adattando il messaggio cristiano alla loro preparazione culturale. Di ambiente si doveva parlare, perciò, anche nel Simposio di quest’anno perché la vera Tarso, come tutte le città antiche, sta riemergendo lentamente dai dieci metri di profondità in cui tempo e uomini l’hanno sepolta. Da lì sono venuti gradatamente alla luce tratti di una via che andava verso la catena del Tauro e un ponte che, proprio in mezzo alla città, attraversava il Kidnos. Paolo potrebbe avervi camminato più volte e con passo frettoloso, se è vero che nella « sua » Asia percorse, tra persecuzioni e rischi, ma con fiato agevole, gran parte dei 16 mila chilometri coperti per muoversi tra Lidia, Panfilia, Licaonia e Galazia. Dalle relazioni sull’archeologia si è passati a quelle sulla storia « sostando » nei porti asiatici da cui l’apostolo salpò o sbarcò nei tre viaggi che ne fecero un viandante tra due mondi. L’Anno Paolino, comunque, imponeva che ci si fermasse di più sugli scritti e sulla loro ricezione nei secoli. Ci si è voluto chiedere, insomma, se quel certo numero di Lettere che Paolo ha dettato o scritto, visto che la perdita di velocità di una missiva comporta anche una diminuzione di interesse, possono avere come destinatari gli uomini di oggi. Se il mittente è scomparso da secoli; se le notizie, la lingua, i modi di esprimersi e di pensare sono inevitabilmente datati; se le condizioni sociali e culturali non sono più quelle di allora; se il terzo millennio ci sta travolgendo sotto tsunami di inquinamenti mortali, come quelle Lettere possono resistere e parlare? Certo che lo possono – si è detto durante le relazioni e le discussioni – perché Paolo ha ancorato il suo pensiero non a un’idea, ma a un Uomo ucciso e risorto di cui fece esperienza nella propria carne innamorandosene.
Partendo da questa realtà, è stato facile per gli oratori parlare dell’attualità di Paolo fondata su alcune sue esperienze mistiche, come il « viaggio celeste » ; sulla validità delle sue chiese domestiche; sulle geniali esegesi che i Padri hanno fatto dei suoi scritti e alle quali i biblisti ricorrono ancora; sull’esemplare ricezione che ne hanno fatto alcuni studiosi di rilievo ( Tommaso Moro, Erasmo, Balthasar), e perfino sul tentativo di integrare, ai tempi di Manuele Comneno, cristianesimo e islam.
Negli Atti si legge che l’avvocato ebreo Tertullo, in veste di pubblico ministero, nell’anno 58 disse: « Abbiamo scoperto che quest’uomo è una peste » , dando di Paolo una delle definizioni meno convenzionali. Il Simposio di quest’anno era stato inaugurato domenica scorsa dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani che, di fatto, aveva aperto in Turchia ( con una settimana di anticipo rispetto a Roma) l’Anno Paolino nella terra
Ha ancorato il suo pensiero non a un’idea ma a un Uomo ucciso e risorto. Di cui fece esperienza nella sua carne innamorandosene dell’Apostolo delle genti.
Il saluto di benvenuto era stato affidato a monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico d’Anatolia. Da sottolineare che i Simposi che si organizzano in Turchia e che si chiudono sempre ad Antiochia, dov’è viva la memoria di Pietro ( più di una volta egli invitò i cristiani a leggere le missive scritte da Paolo « secondo la sapienza che gli è stata data » ), pur non avendo risonanze planetarie, intendono far conoscere anche ai laici la grandezza, la sapienza di un uomo che disse parole su cui meditare, come si legge nella seconda Lettera ai Corinzi: « Noi siamo davanti a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e quelli che si perdono; per gli uni odore per la morte, e per gli altri odore di vita per la vita » . Vita risorta, naturalmente.

© Copyright Avvenire, 29 giugno 2008

DA MERCOLEDI' BENEDETTO XVI SI TRASFERISCE A CASTEL GANDOLFO

Città del Vaticano, 30 giu. (Apcom) - Il Papa si trasferisce mercoledì prossimo, 2 luglio, nella residenza estiva di Castel Gandolfo. Benedetto XVI raggiungerà il palazzo apostolico sulle pendici del lago albano a conclusione della consueta udienza generale in piazza San Pietro e vi rimarrà fino al 12 luglio, quando partirà alla volta di Sidney (Australia) per partecipare alla Giornata mondiale della gioventù. Il 21 luglio tornerà a Castel Gandolfo per qualche giorno di riposo, prima di partire a Bressanone, dove, dal 28 luglio all'11 agosto, trascorrerà le sue vacanze.

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«Tra noi una significativa sintonia»

In Vaticano l’incontro con Bartolomeo I: «Aumenta la speranza di unità»

DA ROMA GIANNI SANTAMARIA

Cresce «la conoscenza personale», si «ar­monizzano le iniziative» e così «au­menta la speranza, che tutti ci anima, di poter giungere presto alla piena unità, in ob­bedienza al mandato del Signore». Queste tre dimensioni del cammino ecumenico, che è al centro dell’Anno Paolino, sono state sotto­lineate ieri da Benedetto XVI poche ore prima della solenne inaugurazione nella Basilica de­dicata all’Apostolo delle genti.
Lo ha fatto ricevendo in udienza il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, in Vaticano per il consueto scambio di visite in occasione delle ricorrenze liturgiche degli apostoli Andrea, da un lato, Pietro e Paolo per la Chiesa di Roma. E se i rapporti di amicizia tra le comunità cattolica e costantinopolita­na sono sempre ottimi, quest’anno c’è in più una particolare consonanza di iniziative. Pa­pa Ratzinger, infatti, ha ringraziato l’ospite per aver organizzato anche lui un Anno Paolino, l’annuncio del quale è stato dato dal patriar­ca ortodosso lo scorso Natale con una di­chiarazione dal Fanar: «Il grande araldo del­l’amore divino è colui che ha identificato Dio e amore, cioè san Giovanni evangelista e teo­logo, il quale ha enunciato il supremo con­cetto che 'Dio è amore'. Dopo di lui, il gran­de araldo è colui che ha amato Dio fino alla fi­ne e che ha posto l’ardente domanda: 'Chi ci potrà separare dall’amore di Cristo?'. Né la tribolazione, né la spada, né la morte, né al­cun altro amore potrà essere più forte di quel­lo che abbiamo per Cristo», scriveva in quel­l’occasione.
«Questa felice coincidenza – ha sottolineato papa Benedetto XVI – pone in evidenza le ra­dici della nostra comune vocazione cristiana e la significativa sintonia, che stiamo vivendo, di sentimenti e di impegni pastorali». I passi verso l’obiettivo dell’unità, insomma, si sus­seguono. Per questo, sulla scorta dell’aposto­lo, il vescovo di Roma ha proseguito con l’au­spicio che tre pilastri del cammino intercon­fessionale – fede comune, unico Battesimo e obbedienza al Signore – possano «quanto pri­ma esprimersi appieno nella dimensione co­munitaria ed ecclesiale». Da san Paolo, ha in­sistito il Papa, arriva anche un’indicazione di metodo, ripresa dal decreto sull’ecumenismo del Vaticano II (la Unitatis redintegratio) e con­tenuta nella lettera agli Efesini: «Vi esorto dun­que io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amo­re, cercando di conservare l’unità dello Spiri­to per mezzo del vincolo della pace».
Un vero e proprio programma «ecumenico» in anticipo sui tempi. Stilato da un uomo di Dio che di divisioni interne alle comunità cri­stiane ne ha conosciute parecchie ai suoi giorni, si pensi alle inquietudini dei cristiani di Corinto. Anche oggi, avverte il Papa, in un mondo che è globalizzato, ma ancora pieno di divisioni e conflitti, «l’uomo avverte un cre­scente bisogno di certezze e di pace». Con­temporaneamente è «smarrito» di fronte a una cultura «edonistica e relativistica», che «pone in dubbio l’esistenza stessa della ve­rità ». Anche qui è il convertito Saulo a soc­correre i cristiani di ogni confessione nel lo­ro impegno comune. Con Bartolomeo sono a Roma, tra gli altri, il metropolita Gennadios, arcivescovo orto­dosso d’Italia e Malta e l’arcivescovo di Per­gamo, Ioannis Zizoulas, eminente teologo e rappresentate ortodosso nella Commissione internazionale per il dialogo tra le due con­fessioni. Il patriarca partecipa oggi alla Mes­sa in San Pietro, durante la quale sarà confe­rito il pallio agli arcivescovi metropoliti no­minati nell’ultimo anno e in seguito si recherà nella chiesa di San Teodoro Megalomartire per incontrare la comunità ortodossa e cele­brare i Vespri. Dal Papa la constatazione che cresce «la conoscenza personale e si armonizzano le iniziative». E l’indicazione di Paolo come modello di dialogo in un mondo smarrito che vede l’uomo «sempre più bisognoso di certezze e di pace»

© Copyright Avvenire, 29 giugno 2008

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«Superare le difficoltà per giungere all'abbraccio tra le Chiese»

Alberto Bobbio

CITTÀ DEL VATICANO

Scendono insieme al sepolcro di Pietro, cuore della basilica vaticana, alla fine della Messa così come sabato, insieme, avevano pregato sulla tomba di San Paolo nella basilica fuori le Mura, dedicata al Santo «Apostolo delle genti». La giornata di ieri di Benedetto XVI e Bartolomeo I è stata un contrappunto di gesti e di attenzione reciproca, che sono andati al di là della semplice e formale cortesia ecumenica. Papa Ratzinger ha celebrato la Messa, nel corso della quale ha imposto il pallio, simbolo della successione apostolica, a 40 tra vescovi a arcivescovi, ma l'omelia è stata tenuta sia dal Papa sia dal Patriarca di Costantinopoli, così come il Credo pronunciato insieme e la benedizione finale impartita da entrambi.
Si tratta di segni che avvicinano Chiesa cattolica e ortodossa, anche se molte difficoltà teologiche e dottrinali sono ben presenti ai due. Ma si tratta anche di segni possibili tra Roma e Costantinopoli, a causa dell'amicizia tra il Papa e il Patriarca. E non significano certo che l'unità è dietro l'angolo, poiché non tutte le Chiese ortodosse sono d'accordo con la strada di cammino spedito verso la piena unità scelta dal Bartolomeo I. La grande Chiesa ortodossa russa, la più diffusa nell'«ortodossia», non è mistero per nessuno che freni le iniziative ecumeniche del Patriarca di Costantinopoli con la Chiesa di Roma. In realtà tra il Papa e il Patriarca di Costantinopoli, almeno dei tempi di Atenagora e di Paolo VI, vi sono stati sempre rapporti migliori che tra la Santa Sede e le altre Chiese ortodosse. Il Papa ha accolto Bartolomeo sul sagrato della basilica di San Pietro e poi insieme, preceduti rispettivamente dal diacono latino e dal diacono ortodosso, che portavano il libro dei Vangeli si sono diretti all'altare. Benedetto XVI ha fatto una premessa all'omelia di Bartolomeo I, ricordando che Pietro e Paolo, patroni della Chiesa di Roma, sono «posti a fondamento, insieme agli altri Apostoli, della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Bartolomeo ha affrontato subito il tema del dialogo teologico, che va avanti «al di là delle notevoli difficoltà che sussistono e alle note problematiche». Ma ha ribadito il desiderio che «queste difficoltà siano superate e che i problemi vengano meno il più velocemente possibile». Quindi il Patriarca ha confermato la sua certezza che questo è anche il desiderio del Papa, il quale «non tralascerà nulla», è la convinzione di Bartolomeo, «lavorando di persona», per arrivare a un «perfetto appianamento della via» del dialogo.
Poi tocca a Benedetto XVI, che con un lungo ragionamento, ripercorre la vita di Pietro e Paolo e i fondamenti teologici della loro predicazione circa la Chiesa. Essi, spiega il Papa, sono i fondatori di «un nuovo genere di città», perché mediante il martirio «indicano dove sta la vera speranza». Ma quella «nuova città» resta sempre minacciata «dalle forze contrarie del peccato e dell'egoismo umano». Questa analisi del Papa è sicuramente condivisa anche dal Patriarca ecumenico. Il Papa va avanti e aggiunge che questa Chiesa, di Pietro e di Paolo, è cattolica, cioè universale, cioè «di tutti i popoli». Papa Ratzinger sottolinea che la «missione permanente» di Pietro è di «far sì che la Chiesa non si identifichi mai con una nazione, con una sola cultura o con un solo Stato».
«Che sia sempre Chiesa di tutti», esclama il Papa nella basilica gremita, «che riunisca l'umanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni del mondo, renda presente la pace di Dio e la forza riconciliatrice del suo amore». A questo punto Benedetto XVI rileva che oggi, anche grazie alla diffusione delle informazioni, a internet, vi sono «nuovi modi» per costruire «l'unità». Eppure quelle stesse tecnologie possono anche provocare «nuovi contrasti» e diffondere ancor di più «quelli vecchi». Il Papa non fa riferimenti a situazioni particolari, ma, probabilmente, si riferisce allo scisma lefebvriano, che si è diffuso negli ultimi anni, più con internet che con la predicazione dei seguaci del vescovo ribelle. Per il Credo si sceglie la formula del simbolo «Niceno Costantinopolitano» prunciato in greco, secondo l'uso liturgico delle Chiese bizantine, sia di rito cattolico, che ortodosso, perché esso non contiene il riferimento al «filioque», riguardo allo Spirito Santo (procede dal Padre e dal Figlio), condannato come eretico dalle Chiese ortodosse, una delle ragioni dello Scisma e sul quale continuano a discutere le commissioni teologiche miste cattoliche-ortodosse. Anche all'Angelus il Papa torna sul valore ecumenico della giornata: «I cristiani non possono dare valida testimonianza a Cristo, se non sono uniti tra di loro».

© Copyright Eco di Bergamo, 30 giugno 2008

Certamente lo scisma lefebvriano si e' diffuso in modo esponenziale grazie ad internet, ma non possiamo condannare il mezzo, anzi!
La rete e' una grande risorsa potenzialmente accessibile a tutti.
In questo i Lefebvriani (ma non solo: anche i fedeli cattolici legati alla tradizione!) sono molto attivi anche perche' i responsabili dei vari siti sono per lo piu' giovani.
E anche questo dovrebbe fare riflettere, ma evidentemente e' piu' comodo fingere che il problema non esista...
La Chiesa Cattolica, in campo mediatico, e' ancora molto indietro.
Sacerdoti, cardinali e vescovi utilizzano i mezzi tradizionali (stampa e tv), che pero' sono piu' interessati a creare la polemica che a fornire informazioni ai fedeli.
I giornali, in particolare, spesso e volentieri ospitano interviste a vescovi e cardinali quando possono metterle in contrasto con il Magistero del Papa.
Il risultato? Dall'esterno la Chiesa da' l'impressione di non essere unita e di essere preda di correnti interne.
In qualche caso cio' puo' essere vero, ma e' necessario andare oltre e utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione per evangelizzare.
Forza, dunque!
Gia' che ci siamo, inviterei chi di dovere a riflettere sul fatto che in rete proliferano blog, siti e forum dedicati a Papa Benedetto XVI, spesso pesantemente osteggiato sui media tradizionali.
Ci si e' mai chiesti il motivo di una simile discrepanza?

R.

Il nuovo arcivescovo di Mosca: "Grandi passi nel dialogo con gli Ortodossi" (Ingrao)


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Il nuovo arcivescovo di Mosca: grandi passi nel dialogo con gli ortodossi

Ignazio Ingrao

Fantasia italiana e prudenza bizantina. Sono le armi vincenti di monsignor Paolo Pezzi e Antonio Mennini, i due ecclesiastici italiani ai quali Benedetto XVI ha affidato il futuro del dialogo con il mondo ortodosso, cui il pontefice tiene moltissimo. Monsignor Mennini, 60 anni è noto alle cronache per aver fatto da tramite tra le Br e la famiglia di Aldo Moro durante i tragici giorni del sequestro: secondo Francesco Cossiga il sacerdote, allora viceparroco, avrebbe addirittura incontrato Moro durante la prigionia. Ora Mennini è rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa. Diplomatico di grande esperienza è molto apprezzato tanto dalle autorità di Mosca, quanto dalla Chiesa ortodossa.

Un deciso cambio di passo nel dialogo con gli ortodossi è avvenuto a partire dallo scorso mese di ottobre, quando il Papa ha nominato arcivescovo di Mosca un altro italiano, monsignor Pezzi, 46 anni, sacerdote della Fraternità di san Carlo Borromeo al posto del polacco Tadeusz Kondrusiewicz, divenuto arcivescovo di Minsk in Bielorussia. Il nuovo “tandem italiano” sembra aver portato fuori dalle secche il dialogo tra cattolici e ortodossi e fa avvicinare sempre di più la data di un possibile incontro tra Benedetto XVI e il Patriarca ortodosso di Mosca, Alessio II. A fine maggio, di ritorno dalla Russia dopo aver consegnato al Patriarca un messaggio del Papa, il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha parlato senza mezzi termini di una nuova “stagione di dialogo tra cattolici e ortodossi”. Nel frattempo, lo scorso 24 maggio, monsignor Pezzi ha ordinato il suo primo sacerdote cattolico, Nikolaj Vojtechoviã, segno di una Chiesa viva e in crescita. Il 29 giugno Pezzi riceverà in San Pietro, dalle mani di Benedetto XVI, il pallio, una stola di lana bianca ricamata con sei croci nere, riservata agli arcivescovi metropoliti, segno di speciale unione con il Papa. In vista di questo appuntamento, Panorama.it ha intervistato il giovane arcivescovo.

Monsignor Pezzi, il dialogo con il mondo ortodosso è una delle priorità di questo pontificato. Come viene accolta dal Patriarcato di Mosca questa apertura?

Molto positivamente. Mi sembra che la Chiesa ortodossa russa abbia compreso come il tendere alla piena unità tra i cristiani non è un semplice auspicio ma un desiderio profondo e un’autentica tensione spirituale di questo pontificato. Da questo punto di vista sono stati essenziali gli incontri che Benedetto XVI ha avuto con diversi esponenti del Patriarcato di Mosca, a cominciare dal metropolita Kirill.

La presenza di diocesi cattoliche sul territorio russo è ancora fonte di scontro con il Patriarcato di Mosca?

Occorre tener presente che la creazione delle diocesi cattoliche nel territorio della Federazione Russa, avvenuta nel 2002, è stato un momento di passaggio volto a garantire una maggiore stabilità e una struttura organica alla Chiesa cattolica. Questa decisione a suo tempo ha sollevato delle polemiche legate al diverso modo di concepire la propria presenza sul territorio da parte delle due Chiese. A poco a poco mi sembra che anche il Patriarcato di Mosca comprenda come la creazione delle diocesi cattoliche non è stata fatta contro qualcuno ma solo per poter meglio venire incontro alle necessità dei cristiani presenti in un territorio molto vasto e molto variegato dal punto di vista della composizione religiosa.

Le questioni sociali sono la frontiera più promettente del dialogo tra cattolici e ortodossi?

La pubblicazione del documento sui Fondamenti della dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa, approvato dal Sinodo dei vescovi ortodossi nel 2000, ha rappresentato un grande passo in avanti per la Chiesa di Mosca. Su molti punti vengono espresse posizioni assolutamente condivisibili anche dai cattolici. In particolare sul riconoscimento del valore della famiglia e sulla difesa della vita. In Russia si discute di una modifica della legge sull’aborto, puntando a ridurne i margini di applicazione per garantire maggior attenzione al nascituro, alla madre e alla sua famiglia. Su questi temi possiamo fare fronte comune. Così come sul tema del lavoro: siamo chiamati a definire insieme cosa significhi nella Russia di oggi essere cristiani nel mondo del lavoro e portare la propria testimonianza.

Il dialogo ecumenico dal basso, al livello dei fedeli, è più avanti di quello che si svolge fra teologi e tra le diverse gerarchie ecclesiali?

Il dialogo procede sempre su entrambi i binari: il livello sociale e quello dottrinale. Naturalmente l’ecumenismo dal basso, quello che chiamiamo il dialogo della vita, procede più spedito perché è chiamato ad affrontare questioni molto concrete. Allo stesso tempo però la carità vissuta aiuta a superare insieme le differenze dottrinali e ideologiche che si sono sedimentate in mille anni di divisioni tra le due Chiese.

La Chiesa cattolica è accusata dal Patriarcato di Mosca di fare proselitismo. In passato questa accusa ha rappresentato un grave ostacolo al dialogo. Ora il giudizio della gerarchia ortodossa sta cambiando?

Penso che molto sia stato dovuto, in passato, ad un’ignoranza reciproca e ad una scarsa volontà di comprendersi, al di là dei casi concreti che pure possono esserci stati. Ai miei sacerdoti ripeto sempre che il proselitismo comincia là dove finisce la missione. Un’autentica azione missionaria della Chiesa non ha mai come scopo quello di andare contro qualcuno per distruggere le sue convinzioni e indurlo con ogni mezzo ad ingrossare le fila del proprio gruppo. Al contrario la missione è la proposta di qualcosa di bello, di grande e di vero che noi abbiamo incontrato nella nostra vita. Nella vera missione si è sempre rispettosi dell’altro. La missione è una forma di carità, il proselitismo invece è l’opposto della carità.

L’ultima domanda è d’obbligo: quando ci sarà finalmente l’incontro tra il Papa e Alessio II?

Non lo sappiamo ancora. Tuttavia vedo un’accelerazione, una crescita del dialogo che rende questo incontro sempre più realizzabile. Ci sono stati, anche in questi ultimi mesi, molti gesti e molti passi significativi tra le due Chiese. Nessuno di questi può ritenersi decisivo ma ciascuno rappresenta una tappa importante che ci avvicina ad un possibile incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca.

© Copyright Panorama, 29 giugno 2008 consultabile online anche qui.

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di Andrea Tornielli

Hanno recitato insieme il Credo niceno, nella formula condivisa dalle due Chiese. Hanno predicato dall’altare della confessione, prima l’uno, dopo l’altro, parlando entrambi dell’anelito all’unità, hanno entrambi benedetto i fedeli e alla fine sono scesi a pregare davanti alla tomba del principe degli apostoli: la solenne celebrazione della festa dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, ha visto ieri mattina nella basilica vaticana il Papa Benedetto XVI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I compiere un nuovo gesto di amicizia.
Durante la messa, Ratzinger ha consegnato il pallio – la piccola stola di lana ornata con croci nere che simboleggia la pecora portata sulle spalle dal Buon Pastore – a quaranta arcivescovi metropoliti nominati nell’ultimo anno.
Al momento dell’omelia, Benedetto XVI ha passato la parola a Bartolomeo, successore dell’apostolo Andrea, il «primo chiamato», il quale ha ricordato come il dialogo teologico vada avanti e ha auspicato che «i problemi vengano meno, il più velocemente possibile», per raggiungere l’unità. Poi il Papa ha tenuto la sua omelia, ricordando che la «missione permanente di Pietro» è far sì che «la Chiesa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura, con un solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca l’umanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore». È questo il ruolo di unione, universale, del primato del Papa. Un primato che fin dal 1995, con l’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II, la Chiesa di Roma si è resa disponibile a discutere non nella sua sostanza, ma nelle forme del suo esercizio per favorire la piena comunione con le Chiese ortodosse.

© Copyright Il Giornale, 30 giugno 2008 consultabile online anche qui.

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FOLLA DI FEDELI SALUTA IL PAPA SULLA VIA OSTIENSE: LO STUPORE DI BENEDETTO (Agi)

Il Papa apre l'Anno Paolino: "In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza"

Cristiani, l'unità ora è più vicina

Lucio Brunelli

È una di quelle date che tutti, chi più chi meno, abbiamo imparato a memorizzare da ragazzi nei libri di storia. Anno 1054, Scisma d'Oriente. Con scambio di scomuniche e anatemi si consuma la grande frattura fra Roma e Costantinopoli, occidente ed oriente cristiano, cattolici e ortodossi. Una divisione religiosa che sancisce e accresce una spaccatura anche culturale e politica. Persino la spartizione di Yalta, dopo la Seconda Guerra mondiale, risente di quel lontano scisma. E ancora oggi, di fronte alla solitudine del gigante americano, avvertiamo quanto una Europa divisa sia una Europa più debole. Anche per questo motivo la visita del patriarca di Costantinopoli al Papa, in occasione della festività dei santi Pietro e Paolo, merita un'attenzione che eccede gli interessi «chiesastici». Non è stata annunciata la fine storica dello Scisma d'Oriente. Ma quel che si è visto e sentito, in questi due giorni, trasmette l'impressione che l'unità sia davvero vicina, e possibile.
Papa Benedetto e Bartolomeo I hanno indetto insieme uno straordinario Anno paolino, per celebrare i duemila anni dalla nascita di san Paolo. Insieme hanno pregato davanti ai sepolcri di Paolo e di Pietro.
Insieme hanno tenuto l'omelia, ieri, nella basilica vaticana, recitato il Credo e benedetto i fedeli. Si sono scambiati il bacio della pace, anche se ancora non hanno potuto ricevere l'uno dall'altro l'ostia consacrata.
Alcuni osservatori temevano che l'elezione pontificia del cardinale Joseph Ratzinger – noto per la nettezza delle sue posizioni dottrinali – mettesse il freno al cammino ecumenico. I rapporti con gli ortodossi sono invece sensibilmente migliorati.
Dopo la visita di Benedetto XVI a Istanbul nel 2006 fra il Papa e Bartolomeo è cresciuta una familiarità che già, nella percezione dei fedeli, li fa sentire pienamente uniti nella sostanza, al di là degli aspetti formali e giuridici. E d'altra parte il teologo di punta di Costantinopoli, Ziziuolas, ammette tranquillamente ormai un «primato» della Chiesa di Roma (quindi del Papa) nella comunione fra le Chiese particolari.

Agli esperti è ben noto che meno duttile di Bartolomeo è il patriarca di Mosca Alessio II, capo di una Chiesa ben più influente ed ora anche in aperta lotta con Costantinopoli per la leadership del mondo ortodosso. Alessio non volle mai incontrare papa Wojtyla al quale imputava una sorta di «invasione» cattolica della Santa Russia.
Ma anche con Mosca ora i rapporti sono più distesi. Ratzinger ha destinato ad altro incarico il precedente vescovo polacco di Mosca e lo ha sostituito con un italiano accolto decisamente meglio dagli ortodossi.
Il papa tedesco poi, a differenza di quello polacco, non insiste più sul viaggio a Mosca: non gli interessa piantare bandierine cattoliche in ex territorio nemico, ed è disposto a incontrare Alessio anche in «zona neutra».

A Ratzinger interessa cercare l'unità sull'essenziale. È convinto che solo riandando al cuore antico (e sempre nuovo) del cristianesimo si possa fare l'unità, anzi sia possibile riconoscersi già uniti.

Ma qual è questo cuore? È la fede degli apostoli, la fede di Paolo: «La sua fede non è una teoria, un'opinione su Dio e sul mondo. La sua fede è l'impatto dell'amore di Dio sul suo cuore».
Altro che Chiesa di attivisti, organizzazione preoccupata di promuovere cause di ogni genere: «Cristo non si è ritirato nel cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci che mandano avanti "la sua causa". La Chiesa non è un'associazione che vuole promuovere una certa causa. In essa non si tratta di una causa. In essa si tratta della persona di Gesù Cristo».

Ritorno all'essenziale cristiano, cioè a Cristo: l'anima migliore, l'anima vera di questo pontificato.

© Copyright Eco di Bergamo, 30 giugno 2008

Bella questa analisi!
R.