29 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 29 giugno 2007 (3) [Messa tridentina]


Vedi anche:

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO

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Rassegna stampa del 29 giugno 2007 [Messa tridentina]

Aggiornamento della rassegna stampa del 29 giugno 2007 (1) [Messa tridentina]

Aggiornamento della rassegna stampa del 29 giugno 2007 (2)

Aggiornamento della rassegna stampa del 29 giugno 2007 (2) [Messa tridentina]

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Il Papa dà il via libera alla messa in latino

Presentato ai cardinali il documento presto in vigore

di FRANCA GIANSOLDATI

BASTERÀ attendere ancora qualche giorno e poi entreranno in vigore, in tutte le diocesi del mondo, le nuove disposizioni per la celebrazione della messa in latino secondo il rito di San Pio V. Benedetto XVI, con un Motu Proprio ad hoc, ha deciso di rendere più facile l’uso dell’antico messale preconciliare. Liturgia che non solo costituisce una ricchezza da riscoprire ma rappresenta anche un passaggio obbligato per fare rientrare lo scisma lefebvriano. La strategia messa a punto da Papa Ratzinger di ridare vigore alla tradizione liturgica finita nel dimenticatoio col Concilio Vaticano II si arricchisce così di un nuovo importante tassello.
Anche se il messale tridentino non fosse mai stato abolito o vietato dalla Santa Sede, di fatto ha sempre incontrato l'ostilità dei singoli vescovi che raramente concedevano il permesso di celebrare in latino secondo l'antico rito ai preti che ne facevano richiesta. Questione assai dibattuta e non di poco conto per gli equilibri interni della Chiesa, divisa com’è tra progressisti e conservatori.
In vista dell'imminente liberalizzazione alcuni episcopati non avevano esitato a far giungere al Papa il proprio dissenso. In particolare i francesi (ma anche gli americani) si erano espressi negativamente durante una assemblea plenaria alcuni mesi fa. Ai loro occhi la liberalizzazione della messa in latino darebbe troppo spazio ai gruppi ultra-tradizionalisti, inoltre la presenza di due riti liturgici potrebbe incrinare l'unità delle chiese nazionali. Così proprio per rassicurare gli episcopati scettici, due giorni fa, in Vaticano, è stata convocata una importante riunione per spiegare ai rappresentanti di alcune conferenze episcopali il significato del Motu Proprio. Tra i partecipanti c'erano i due maggiori esponenti dell'episcopato d'oltralpe, il cardinale Jean Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux ed il suo collega Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione. Per gli italiani: monsignor Angelo Bagnasco ed il cardinale Camillo Ruini. Il Papa che era presente all'incontro, ha evidenziato il significato delle nuove regole e lo spirito del provvedimento normativo, intrattenendosi con gli ospiti per una «approfondita conversazione». Il Motu Proprio uscirà prima della sua partenza per le vacanze in montagna, prevista per il 9 luglio, accompagnato da una «ampia lettera personale». Le indiscrezioni circolate mesi fa sulle novità in arrivo ipotizzavano che bastasse la richiesta di una trentina di fedeli per obbligare un sacerdote a celebrare la messa col rito tridentino. Dopo il Concilio Vaticano II non è stato più possibile celebrare la messa di San Pio V, dato che l'antico rito si considerava assorbito nel Novus ordo missae a regime dal 1969. Nel 1984 Giovanni Paolo II, per venire incontro al desiderio di fedeli di tutto il mondo legati a Roma, ma nostalgici del vecchio rito, emanò una specie di indultino. Per officiare in latino era necessario raccogliere firme, e con una trafila burocratica sottoporre la richiesta al vescovo della città, che poteva concederla oppure negarla. Il sistema ancora in vigore nel tempo ha suscitato non poche critiche. Il Motu Proprio di Benedetto XVI è stato pensato proprio per allargare la possibilità di celebrare il vecchio rito. La marcia d'avvicinamento coi lefebvriani con questo atto formale potrebbe subire una accelerazione. Da quando è salito sul soglio di Pietro, Papa Ratzinger ha riallacciato i rapporti con i seguaci di monsignor Marcel Lefebvre, l'arcivescovo francese protagonista negli anni Ottanta di una clamorosa rottura con il Vaticano in nome dei valori tradizionalisti e in contestazione delle riforme introdotte dal Vaticano II. Già l'anno scorso la Santa Sede ha reintegrato un gruppuscolo fuoriuscito dai lefebvriani, creando appositamente l'Istituto del Buon pastore.

© Copyright Il Messaggero, 29 giugno 2007

Ed ecco l'incredibile intervista di Melloni a cui faceva cenno Mariateresa a commento del post "Un esemplare articolo di Filippo Di Giacomo per "La Stampa" [Messa tridentina]":

Melloni: «Viene meno l’unità del rito e s’indebolisce l’autorità episcopale»

ROMA - «E’ un atto che nasce controverso e tale resterà».

Perché, professor Melloni?

«Vede la luce nonostante le resistenze episcopali. Non c’è episcopato al mondo che abbia chiesto il ritorno della messa in latino e abbia considerato questa un’urgenza di carattere pastorale», risponde lo storico della Chiesa Alberto Melloni. «Con il messale di Trento, inoltre, era stata raggiunta l’unità del rito. Il Concilio Vaticano II nel lavoro di riforma si era preoccupato che non venisse meno quell’unità introdotta col rito romano. Paradossalmente questo atto di concesione alla tradizione recente della Chiesa introduce un principio di varietà nel rito».

Servirà, questa concessione, a ricucire lo strappo con i lefebvriani?

«Assolutamente no, le ragioni dello scisma sono ben altre. Pensare che la messa in latino possa portare a una riconciliazione, significa sottovalutare i lefebvriani in modo clamoroso. Con questo atto, Ratzinger sbeffeggia il Concilio Vaticano II, dà uno schiaffo sia a Paolo VI, che per difendere il messale conciliare aveva accettato la rottura con i lefebvriani, che a Giovanni Paolo II.

E’ inusuale che un Papa non tenga conto dell’orientamento dei predecessori.

E soprattutto è singolare che in una diocesi, a dispetto dell’orientamento del vescovo, possa essere introdotto un ”fai da te” liturgico. Questo rappresenta una forma di erosione dell’autorità episcopale. Una piccola minoranza di fedeli potrà imporre la sua volontà alla parrocchia».
M.Lo.

© Copyright Il Messaggero, 29 giugno 2007

E dove mettiamo i fedeli che chiedono che la Messa tridentina sia liberalizzata, caro Melloni?
Che strano! Quando Le fa comodo, fa testo la parola dei Vescovi, ma quando essi prendono una posizione precisa (vedi nota pastorale sugli ex DICO), beh, allora Lei, semplice fedele, scrive lettere e petizioni contro questi stessi Vescovi...
Quindi, se comprendo bene, secondo Lei, caro Melloni, la Chiesa deve rimanere assolutamente immobile, perche' un Papa non puo' mai contraddire i suoi predecessori.
Peccato che Lei non la pensi allo stesso modo sui temi etici...li', a suo avviso, la Chiesa deve mutare, deve guardare alle nuove esigenze, deve essere tollerante (anche con le minoranze). Tutti "privilegi" che Lei, Melloni, non concede ai tradizionalisti. Ne prendo atto.
Tutto mi sarei aspettata da Melloni tranne una difesa cosi' appassionata dei Vescovi...evidentemente tutto fa brodo pur di attaccare il Papa
.
Raffaella


Zangrando: «Ora i vescovi saranno più tolleranti»

ROMA - «Non chiamateci tradizionalisti e nemmeno nostalgici. Vogliamo solo conservare un tesoro della cristianità. Un tesoro musicale, liturgico, artistico e devozionale». Alessandro Zangrando è il fondatore di ”Signum”, l’associazione che da anni si batte per la salvaguardia del rito romano antico. «Abbiamo nuotato per tanto tempo controcorrente, adesso la nostra si è rivelata una buona strada».

Perché preferite la messa in latino?

«E’ una messa che ha una struttura teologica diversa. E’ una messa verticale che guarda dal basso verso l’alto, dall’uomo a Dio, mentre la messa oggi ha una struttura orizzontale, dialogica, antropocentrica. Il rito romano antico ha lunghe pause di silenzio, lascia più spazio alla contemplazione, mette in contatto con il senso del mistero».

Era così difficile, finora, ottenere che fosse celebrata la messa in latino?

«Era molto difficile. Il caso della chiesa di San Simon, a Venezia, è unico in Italia. Qui si celebrano solo messe in latino, molte seguite tra l’altro, e di questo dobbiamo ringraziare il nostro patriarca, il cardinale Scola, che si è mostrato molto tollerante nei nostri confronti. Ma altrove non è così: sappiamo di vescovi che di fronte alle richieste accompagnate da centinaia di firme negavano questa possibilità, manifestavano intolleranza verso i fedeli affezionati al rito romano antico. Ora i vescovi dovranno limare questa intolleranza».

Il Motu Proprio del Papa riavvicinerà i lefebvriani a Roma?

«Probabile, ma non si può prevedere cosa accadrà prima di aver letto il documento».
M.Lo.

© Copyright Il Messaggero, 29 giugno 2007


Il rito tridentino venne accantonato nel ’69 da Paolo VI

di GIUSEPPE DE CARLI

«INTROIBO ad altare Dei». «Ad Deum qui laetificat juventutem meam». La messa tridentina è celebrata interamente in latino ed è inframmezzata da lunghi periodi di silenzio per consertire ai fedeli di poter adeguatamente meditare circa la grandezza del mistero eucaristico al quale sono chiamati ad assistere. I fedeli seguono la liturgia leggendo il «messalino» o un foglietto bilingue. Il sacerdote volge sempre le spalle all'assemblea in quanto celebra rivolto al tabernacolo ed all'altare che costituisce la rappresentazione del Calvario. L'immagine è quella di un celebrante non che «presiede» ma che guida il popolo. Il Vangelo viene letto sul lato destro dell'altare, l'Epistola sul lato sinistro. La comunione-solo l'ostia, per i fedeli - viene ricevuta in ginocchio, e in bocca. La messa, meglio conosciuta come «messa di san Pio V», è divisa in tre parti. Si assiste per lo più in ginocchio, perché è in ginocchio la postura dell'umile peccatore che implora la misericordia di Dio e che è ammesso a cogliere un frammento del mistero della sua presenza. Diversi anche gli arredi liturgici e i paramenti: si preferisce la «pianeta» alla moderna, ampia e avvolgente «casula». Il «Motu proprio» di Benedetto XVI, che verrà pubblicato la settimana prossima, non reintrodurrà il latino nella messa (che già c'è), bensì liberalizzerà il messale pre-conciliare secondo il rito di Pio V, aggiornato nel 1962 da Giovanni XXIII. Non vuole riportare le lancette della riforma liturgica a «prima» del Concilio Vaticano II, ma ha lo scopo di raggiungere tre obiettivi: ricomporre la frattura della riforma liturgica avvenuta con l'introduzione del «Messale romano» voluto nel 1967 da Paolo VI; recuperare alla Chiesa di Roma la galassia dei gruppi ultratradizionalisti lefevriani, purché questi si impegnino a riconoscere il Concilio; mettere a disposizione della Chiesa tutti i tesori della liturgia latina che per secoli hanno nutrito la vita spirituale di tante generazioni di fedeli cattolici. Per dirla in breve: il tesoro liturgico cattolico è sfaccettato ed è un ventaglio inimmaginabile di riti, specie in Oriente. In Occidente, ad esempio, c'è il «rito ambrosiano». Non si vede perché non possa risorgere anche il «rito tridentino». Come avverrà questa «resurrezione», lo leggeremo nel documento, voluto di «sua iniziativa», da Papa Bendetto XVI. Le modalita': basteranno trenta fedeli «tradizionalisti» per costringere un prete a celebrare la «messa tridentina»? In più c'è la questione della scansione dell'anno liturgico, della preparazione dei sacerdoti. Per questo, il Papa ha voluto confrontarsi con una ristretta rappresentanza dell'episcopato mondiale due giorni fa in Vaticano ed ha deciso di accompagnare il «Motu proprio» con una «ampia lettera personale ai singoli vescovi». È un crinale stretto quello che sta percorrendo Papa Ratzinger. Da teologo e Successore di Pietro modifica, nella pienezza della sua potestà apostolica, decisioni dei predecessori. La settimana scorsa ha reintrodotto la regola dei due terzi più uno per l'elezione di un Papa in Conclave, correggendo Giovanni Paolo II. Ora si appresta alla correzione piu' estesa: vuole sanare il «vulnus», la ferita che ha trasformato la liturgia da processo vitale a prodotto di erudizione specialistica e di competenza giuridica.
Nel libro autobiografico «La mia vita»; Joseph Ratzinger, oggi Papa, usa espressioni durissime: il divieto del messale tridentino da parte di Papa Montini «fece a pezzi l'edificio antico e se ne costruiì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l'edificio antico». Fu messo in crisi il «rinnovamento della coscienza liturgica» , si impedì «una riconciliazione liturgica che comprenda il Concilio Vaticano II non come rottura, bensì come momento evolutivo». Sono le stesse preoccupazioni manifestate nel dicembre 2005 alla Curia romana e che hanno trovato un'eco profonda nell'esortazione apostolica «Sacramentum Caritatis». Ora da Papa, Benedetto XVI passa dalle parole ai fatti. Non sarà un’operazione facile dal punto di vista ecclesiale, liturgico e pastorale, anche se il messale di San Pio V è stato rappresentativo per ben quattro secoli. Fu voluto, infatti, da Antonio Michele Ghislieri nato a Bosco Marengo in provincia di Alessandria il 17 gennaio 1504. Domenicano, insegnò per sedici anni a Pavia e fu nominato da Giulio II commissario generale dell’inquisizione romana, Il «messale romano» è del 1570. Fu Pio V a introdurre la congregazione dell'indice; a scomunicare e a «deporre» la regina Elisabetta I di Inghilterra.

© Copyright Il Tempo, 29 giugno 2007


La messa in latino ritorno al futuro

L'INVITO, o meglio la concessa possibilità, all'utilizzo del latino nelle cerimonie che ieri il Papa ha discusso coi Cardinali potrebbe far sorridere. E invece si tratta di un gesto al passo coi tempi, più radicalmente attuale di quanto pensano in molti, col sorriso beota sulle labbra. Nell'era della mutazione di ogni forma di comunicazione, riprendere l'eloquio antico potrebbe sembrare una vana idea da anziano principe della Chiesa, da nostalgico. Invece, a ben guardare in controluce i tempi che viviamo, non velati da pregiudizi, possiamo notare alcune cose. Innanzitutto, per stare vicino a noi, una «questione della lingua», come la chiamavano i dotti dei secoli passati, si pone con grande urgenza oggi nella stessa Ue. Sono di questi mesi polemiche, iniziative, sgarbi e lavori di commissione intorno a quali siano la lingua o le lingue della comunicazione ufficiale della Ue. L'Italia e altre nazioni stanno lottando perché venga loro riconosciuta adeguata considerazione oltre che alle più forti lingue inglese, francese e tedesca. Una gigantesca questione della lingua tocca poi da decenni gli Usa, dove ormai gli ispanoparlanti hanno raggiunto il numero di coloro che usa l'inglese. E in tutto il mondo, la salita alla ribalta di realtà del mondo arabo e cinese stanno sommuovendo la «politica» delle lingue. Anche Gramsci, sulla scia del dibattito che in Italia si teneva dai tempi di Dante fino a Bembo e a Manzoni, sottolineò come ogni volta che sorge una «questione della lingua» significa che si stanno agitando questioni generali per l'intera cultura e società. Che dunque la Chiesa sottolinei l'esistenza di una lingua propria, che sia la più adeguata per esprimere in sede ufficiale le proprie idee e il contenuto dei propri riti, non è per niente inattuale. Anzi, è segno di una coscienza chiara dei grandi mutamenti dell'epoca nostra. Che lo faccia ricorrendo al latino, cioè alla lingua che per secoli e con lunghi passaggi storici, dopo quella delle prime comunità, ha ospitato le maggiori riflessioni, le più grandi opere d'arte e pensiero, e le migliori espressioni liturgiche della sua storia può stupire solo gli ignoranti. In latino si sono trovati spesso a comunicare tra loro prelati di diversi luoghi del mondo, per gabbare le reti di spionaggio e ogni orecchio malevolo, Ma è una lingua morta, si obietta. E qui si tocca il punto focale del problema. Una lingua muore quando si esaurisce la civiltà che la parla. Non credo che Papa Benedetto immagini che il popolo si metta a studiare le declinazioni. Ma la vita della Chiesa comunica la tradizione della fede, è tuttaltro che esaurita, anzi è viva e originale. Assistendo alla messa in latino (e conoscendo in italiano le verità elementari del catechismo) le nostre nonne comprendevano e amavano quella cosa "unica" che accade sull'altare.

© Copyright Il Tempo, 29 giugno 2007

5 commenti:

Luisa ha detto...

Questa volta Melloni è andato oltre la decenza e la corretezza .
Osare dire che il Santo Padre ha dato uno schiaffo a Paolo VI e a Giovanni Paolo e sbeffeggiato il Concilio Vaticano II, mostra almeno che il fine intellettuale Melloni si rivela mediocre perdendo il senso della misura e perdendo il controllo della sua intelligenza e delle sue emozioni.
Tutto non è permesso e ancor meno offendere il Santo Padre con tali parole , anche quando si ha come nome Melloni ci sono imiti da non oltrepassare.
Dire poi che vi sarà un"fai da te liturgico" , che va contro l`orientamento del vescovo !!
Di che orientamento vuol parlare Melloni, quello dei vescovi progressisti post-sessantottini. che soli hanno capito lo spirito del CV II ?
Tutti gli abusi liturgici, tutte le liturgie svuotate del loro Mistero , tutte le invenzioni liturgiche post conciliari non sono forse "liturgie fai da te" ? Il semplice fatto che vadano nel senso dell`orientamento del vescovo le rende accettabili?
Quanta malafede e malevolenza, Melloni dovrebbe chiedere scusa a Papa Benedetto per i suoi propositi inaccettabili .

Anonimo ha detto...

Cara Luisa, nemmeno io capisco tutto questo livore da parte di Melloni. Mi sembra che a volte spari giudizi senza ponderare bene le conseguenze.
Ricordo, inoltre, che era Ratzinger il teologo presente al Concilio e non certo lo storico Melloni.

francesco ha detto...

non sono d'accordo sulla critica a melloni che mette in luce alcuni aspetti problematici dell'annunciata decisione... la varietà del rito (questione sottaciuta ma è una cosa inaudita nella chiesa che un rito abbia due liturgie così diverse), la questione dell'autorità episcopale ecc.
e poi la questione del rispetto delle minoranze; faccio una domanda provocatoria: perché se c'è una minoranza che chiede di celebrare secondo un rito passato si può concedere e se un gruppo di omosessuali vuole vivere una vita di fede non può? se il criterio è il rispetto delle minoranze siamo sullo stesso piano... il ragionamento chiaramente dev'essere altro...
ed è: fa bene alla chiesa questa concessione? o stiamo seguendo delle mode passeggere (perché tale mi pare questa voglia di tradizionalismo tridentino)?
francesco
PS e detto questo mi cheto sull'argomento... e mi rifugio nel no comment ad oltranza

Luisa ha detto...

Osare chiamare "moda passaggera " il rito tridentino, mi sembra far prova di una singolare visione del tesoro liturgico che mi senbra resistere da qualche secolo in qua!

E che un prete, mi sembra che Francesco abbia detto di esserlo, possa approvare i termini offensivi di Melloni verso il Papa mi lascia senza parole, dunque pure io , preferisco il no comment!

Cristiano ha detto...

Forse la risposta alla domanda di francesco e questa: la minoranza che chiede di celebrare secondo il "rito passato" lo fa per la maggior Gloria di Dio e perchè profitti alla Salute di tutti i Cristiani, e le sue richieste devono essere ascoltate. La minoranza di omosessuali è tale perchè rigetta la Temperanza come virtù cardinale ed incorre nel peccato di Lussuria, cose queste che rendono automaticamente impossibile una vita Cristiana, e non certo per colpa della gerarchia... semmai della dottrina! Libero chiunque di fondare una nuova pseudo-religione, se lo si ritiene opportuno...