10 gennaio 2008

La tutela della vita è questione mondiale (Rodari per "Il Riformista")


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La tutela della vita è questione mondiale

di Paolo Rodari

Ieri mattina la sala regia del palazzo apostolico vaticano era “addobbata” a dovere.
In scena c’era una tra le udienze più importanti dell’anno, quella che, nei giorni immediatamente successivi all’Epifania, il Pontefice concede al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Oltre il portone di bronzo, in cima alla scala regia, i diplomatici in rappresentanza di 176 Stati hanno accolto Benedetto XVI vestito con l’abito corale proprio del Romano Pontefice: rocchetto sulla talare bianca, mozzetta rossa bordata d’ermellino, croce pettorale, zucchetto bianco e stola.
Le parole del Papa, come consuetudine in questa occasione, avevano il respiro del mondo.

In questo senso, anche l’importante accenno circa la necessità che l’istituzione della moratoria sulla pena di morte «stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana», più che come un intervento nel dibattito italiano, suonava come un richiamo di carattere universale alla salvaguardia della sacralità della vita umana, sacralità che ogni paese non dovrebbe disattendere.

Beninteso, le iniziative italiane circa una moratoria dell’interruzione volontaria della gravidanza non sono certo sconosciute al Pontefice: semplicemente non era questa la "mission" specifica delle sue parole di ieri.

Al centro del discorso papale c’erano piuttosto le tante situazioni di crisi nel mondo e le attese del Vaticano in merito alla situazione internazionale: crisi e attese a cui l’arte diplomatica dovrebbe guardare con speranza in quanto é la stessa diplomazia a vivere di speranza e deve quindi cercare di «discernerne persino i segni più tenui».

Affinché le crisi nel mondo si risolvano e le attese trovino compimento occorre «non escludere Dio dall’orizzonte dell’uomo e della storia». Dio, infatti, «è un nome di giustizia» che «rappresenta un appello pressante alla pace».
Una delle parti più propriamente ratzingeriana del discorso si ravvisa laddove il Papa, dopo aver espresso la propria preoccupazione per le difficili situazioni che si vivono in tanti paesi, ha richiamato la necessità di favorire le iniziative di dialogo interculturale e interreligioso. Ma queste devono essere orientate: il dialogo insomma «deve essere chiaro» e, quindi, deve evitare «relativismi e sincretismi».

È con questo auspicio che Benedetto XVI ha incaricato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, alcuni esponenti del Pisai (Pontificio Istituto di Studi Arabi) e altri esponenti della Gregoriana, di incontrare nella prossima primavera una delegazione dei 138 musulmani autori della lettera aperta “Una parola comune tra noi e voi” indirizzata recentemente allo stesso Pontefice e ad altri capi cristiani.

Tauran, come ha detto qualche settimana fa in un’intervista al Riformista, è consapevole che non vi può essere dialogo vero se non si tiene conto delle “gocce di veleno” che albergano in ogni uomo e, insieme, se non si tiene conto delle differenze proprie di ogni religione e dunque di ogni teologia.
Il 19 novembre scorso il cardinale Bertone, segretario di Stato vaticano, aveva indicato a nome del Papa i quattro possibili temi da mettere all’ordine del giorno dell’incontro: l’effettivo rispetto per la dignità di ogni persona umana, l’oggettiva conoscenza della religione dell’altro, la partecipazione alla esperienza religiosa e, infine, il comune impegno a promuovere reciproco rispetto e accettazione tra le giovani generazioni.
Il 12 dicembre, in risposta alla lettera di Bertone, il principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal aveva invece auspicato che il dialogo avesse come oggetto più che aspetti estrinseci - come i comandamenti della legge naturale, la libertà religiosa e la parità tra uomo e donna - tematiche più teologiche come l’unicità di Dio e il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.
Due auspici, quelli del Papa e del Principe di Giordania, diversi e dai quali emergono due visioni differenti di cosa si debba intendere per dialogo interreligioso. La volontà di Ghazi bin Muhammad bin Talal di puntare tutto sull’aspetto teologico nei rapporti cristianesimo-islam è una cosa. Quella del Papa di concentrarsi su tematiche meno teologiche e più etiche che sappiano scuotere anche quei paesi a maggioranza islamica dove certi “diritti” non sono tutelati o neppure ammessi, è altra cosa. E non si tratta solo dei paesi islamici, ma anche dell’Europa. Che, sostiene Benedetto XVI, sarà «per tutti gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni e se essa non rinnegherà le proprie radici cristiane».

© Copyright Il Riformista, 8 gennaio 2008

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