9 gennaio 2008
Lo scienziato Bersanelli ed il filosofo Esposito si confrontano sulla "Spe salvi"
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dialoghi
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DI ALBERTO SAVORANA
Uno scienziato, Marco Bersanelli, e un filosofo, Costantino Esposito, che per consuetudine dialogano tra loro da tempo, e in questo sono un esempio di partecipazione comune a un’impresa culturale, hanno accettato di cimentarsi con la nuova enciclica di Benedetto XVI, la Spe salvi. Cominciamo a identificare alcuni indizi che emergono dall’enciclica.
Che cosa ha suscitato in voi la prima lettura del testo?
Esposito: «Un sussulto della coscienza. Lo dico vedendo anche la reazione inedita di alcuni miei colleghi universitari, che non sono neanche cristiani. Benedetto XVI ha ridestato la nostalgia potente di un significato nella vita. Di fronte ai miti individuali e collettivi, culturali e sociali che ciclicamente nascono e muoiono, l’enciclica indica qual è la 'carne' dell’esperienza umana, il suo desiderio più radicale: un uomo può vivere solo se c’è una ragione per cui valga la pena. Che cosa mi aspetto dalla vita, che cosa mi fa andare avanti? Con queste domande il Papa riapre il gioco del presente. Isidoro di Siviglia diceva che la parola spes viene da pes, piede, perché è ciò permette il passo, ogni mattina. È ciò che il cuore desidera».
Bersanelli: «E questo ridestarsi di una speranza è dentro la drammaticità storica in cui stiamo vivendo. Il Papa constata – quasi a malincuore, mai come giudizio cattivo – il fallimento di tutte le speranze riposte in qualcosa di finito. La domanda di totalità che è l’uomo, infatti, non può essere rinchiusa dentro una risposta limitata. E qui la sua critica all’ideologia del progresso e della scienza è acuta. Senza mai misconoscere il valore della scienza in sé (che, come dice a un certo punto, 'può contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità'), ne sottolinea l’inadeguatezza a quel livello dell’esperienza umana che può trovare una risposta solo in qualcosa d’infinito».
Scrive il Papa: «L’inesorabile potere degli elementi materiali non è più l’ultima istanza; allora non siamo schiavi dell’universo e delle sue leggi, allora siamo liberi ».
Bersanelli: «E continua: 'Una tale consapevolezza ha determinato nell’antichità gli spiriti schietti in ricerca'. La ricerca scientifica e filosofica del vero nasce da questa libertà dall’universo, dal percepire che non siamo schiavi della natura. Dice, infatti: 'La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c’è una volontà personale'. Questo non toglie nulla al dinamismo della natura e all’umanità dell’uomo; ed è soltanto questo che 'risuona' col desiderio di compimento di un essere umano. In quanto uomo, uno scienziato non è veramente appagato dall’avere scoperto un meccanismo, ma quando fa esperienza che quel meccanismo è dentro un ordine, un disegno universale voluto… »
«Anche i capelli del capo sono contati », dice il Vangelo.
Bersanelli: «È l’aspetto di profondità post-moderna che indica il Papa: dal di dentro del cammino delle scienze naturali sorge il bisogno di guardare al di là di esse; questo è un punto che nessuno può misconoscere; e l’enciclica lo fa con una delicatezza e una profondità che lasceranno il segno».
Esposito: «Nell’esperienza della persona questa 'vera presenza', come la chiama il Papa, non è solo una risposta ultraterrena, ma è ciò che salva il mio desiderio qui e ora, che per- mette di desiderare e godere della vita. Mi ha colpito la coincidenza quasi letterale con un giudizio di don Giussani ne La coscienza religiosa nell’uomo moderno: se l’umanità ha abbandonato la Chiesa, anche la Chiesa ha abbandonato l’umanità. Rispetto alla pretesa che l’unica speranza sia data dalla scienza e dalla politica (passando da Bacone alla Rivoluzione francese, a Marx e fino al post-marxismo), il Papa sostiene che la Chiesa moderna, assecondando una tendenza luterana, ha cominciato a dire che la speranza cristiana è individuale o privata – perché riguarda il destino ultraterreno dell’anima – e che il mondo ha le sue speranze che si basano su ciò che l’uomo è capace di fare con le sue sole forze. Per cui la fede non è negata, ma non è più incidente… »
Irrilevante, dice il Papa...
Esposito: «Il Papa invita tutti, fuori e dentro la Chiesa, a ripensare la questione decisiva, perché tutti hanno creduto che si potesse costruire il mondo mettendo da parte il problema del significato. Con la conseguenza che si è perso il significato – reso sempre più astratto o sentimentale –, ma si è perso anche il mondo e l’interesse per esso. Senza significato, infatti, per che cosa saremmo liberi? Come qualcuno ha ipotizzato, saremmo liberi solo per il nulla».
Bersanelli: «Il decadimento dell’uomo nasce da quella che lui chiama 'correlazione tra scienza e prassi'. Quasi che il meccanismo naturale, posseduto attraverso la scoperta scientifica, pretendesse di diventare il principio che muove l’uomo nel rapporto con la realtà, cosicché 'il dominio sulla creazione che è dato all’uomo da Dio e perso nel peccato originale verrebbe ristabilito'. Qui sta la faccia deludente di una mentalità che presume che la ragione scientifica possa rispondere al bisogno di redenzione, di salvezza. Lo vediamo molto bene a livello educativo: il giovane, lo studente, i nostri figli e noi stessi siamo inconsapevolmente legati a un’idea di bene e di realizzazione di noi stessi che parte da un meccanismo e non da una presenza che abbraccia la domanda infinita del cuore.
Da questa posizione è difficile uscire, perciò il Papa invita ad allagare ragione e desiderio, secondo tutta l’ampiezza della loro natura».
Esposito: «Agostino dice che quando speriamo desideriamo la felicità, ma se ci chiedessero che cosa sia, dovremmo ammettere che ci è ignota, perché ogni volta che cerchiamo di afferrarla ci sfugge. Nella cultura contemporanea questo significa che nel tempo si inaridisce la domanda: se cade sempre nel buio una possibile corrispondenza, dopo un po’ si atrofizza il domandare. E infatti all’uomo è impossibile mantenere tutta l’ampiezza del suo desiderio, a meno che incontri uno sguardo, qualcuno che cominci a segnare la traccia di una risposta. Per questo i passi a mio avviso filosoficamente più importanti della Spe salvi sono i racconti della schiava africana Bakhita e del martire vietnamita Le-BaoThin, perché dicono che un uomo può continuare a ricercare e a domandare, cioè a desiderare la felicità, solo se intuisce che è possibile una risposta, anzi se essa comincia a rendersi presente. Sono tutt’altro che racconti edificanti per suscitare emozioni ».
Avete accennato alla riduzione della speranza, umana e cristiana, a un fenomeno individuale. Possiamo ritornare sul tema?
Esposito: «Tema apparentemente intraecclesiale, in realtà molto esistenziale. La speranza cristiana è comunionale: io non posso concepire il bene solo per me, ma anche per le persone che amo, e poi per il popolo cui appartengo, sino al mondo intero. Il Papa scrive che 'il nostro agire non è indifferente davanti a Dio e quindi non è neppure indifferente per lo svolgimento della storia'. La speranza è solamente in un infinito che si dà a noi e si gioca tutta in una nostra responsabilità. Nella filosofia contemporanea alla posizione di Bloch aveva risposto un altro filosofo, Hans Jonas, sostenendo che il problema non è tanto la speranza, bensì la responsabilità, contrapponendo però l’una all’altra. Questo dualismo nel cristianesimo è superato, perché nella misura in cui la speranza è un futuro che ti tocca ora, essa ti fa vibrare per l’ingiustizia e per il male, in un abbraccio commosso e realista fino al dettaglio, come quello che Cristo ha per il mondo».
Bersanelli: «Il Papa porta lo sguardo anche sull’esperienza cristiana: 'Il cristianesimo moderno di fronte ai successi della scienza… si era in gran parte concentrato soltanto sull’individuo e la sua salvezza. Con ciò ha ristretto… il suo compito'. Al contrario, il compito è dentro tutto quello che facciamo: non è solo fare un discorso sulla salvezza degli uomini, ma percepire la salvezza come fatto presente, nella materialità della nostra vita, del nostro lavoro, dell’insegnamento e della ricerca, è portare verso il suo ultimo orizzonte tutta la mia umanità e tutta l’umanità che ho intorno; altro che fatto privato».
© Copyright Avvenire, 9 gennaio 2008
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