9 gennaio 2008

Tra storicità dei Vangeli canonici e contributo degli apocrifi (Intervista di Zenit a Padre Estrada, docente di Nuovo Testamento)


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Tra storicità dei Vangeli canonici e contributo degli apocrifi (Parte I)

Intervista a padre Bernardo Estrada, docente di Nuovo Testamento

Di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 7 gennaio 2008 (ZENIT.org).- La consistenza storica dei Vangeli canonici sta nella loro stessa genesi, cioè nella continuità tra la predicazione di Gesù, la predicazione apostolica e la loro redazione.

Ad affermarlo in questa intervista a ZENIT è padre Bernardo Estrada, Ordinario di Nuovo Testamento presso la Facoltà di Teologia dell'Università della Santa Croce (Roma), il quale cita anche alcune testimonianze extrabibliche che avvalorano il contenuto dei Vangeli.

Innanzitutto, ci spieghi il percorso che ha portato alla redazione dei Vangeli?

Padre Estrada: Possiamo dire che i Vangeli iniziano con la predicazione di Gesù, il quale non ha scritto di proprio pugno praticamente nulla se non quelle poche parole tracciate sulla sabbia quando gli venne presentata una donna colta in adulterio. Di Gesù Cristo si sa soprattutto che predicava. C’è da rilevare a questo riguardo che l’esigenza di predicare e insegnare a memoria era una abitudine costante del tempo, perché la scrittura era impraticabile in condizioni normali.
Tuttavia dopo la passione e morte di Gesù, la predicazione della Chiesa si è fondata proprio sull'evento pasquale.

E' questo il fondamento di tutta la nostra fede, non solo perché Paolo lo dice alla fine della Lettera ai Corinzi ma perché proprio il kerygma, l'annuncio fondamentale della Chiesa dopo la Pentecoste, è stato “Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Il Vangelo come tale era, come afferma San Paolo, proclamazione del “gioioso messaggio” che Dio ci ha salvati dalla morte eterna con la morte e risurrezione del suo Figlio Gesù.

Solo nella seconda metà del II sec. San Giustino nello scrivere nel 160 la sua Apologia afferma che le memorie degli Apostoli vengono chiamate Vangeli. E' la prima testimonianza in cui si passa dal Vangelo come annuncio predicato al Vangelo come testo.

Dopo questa dichiarazione apostolica possiamo dire che gli autori sacri, cioè gli evangelisti di cui almeno due erano apostoli sono giunti alla stesura dei libri. Per questo si può dire che i Vangeli hanno una consistenza storica, perché riflettono questi tre stadi nella loro formazione con una continuità che non ha mai smesso di esistere. Una continuità che lega insieme la predicazione di Gesù, la predicazione apostolica e la redazione del Vangelo.

I Vangeli “canonici”, cioè quei Vangeli accolti dalla Chiesa per la loro origine “apostolica” e per la loro “conformità con la norma della fede” delle primitive comunità cristiane e delle maggiori Chiese di origine apostolica, sono stati composti tra il 60 e il 100 d.C. Quali sono i criteri che ne testimoniano la storicità?

Padre Estrada: Gli esponenti più radicali della critica storica ritenevano che ci fosse una distanza tale tra la redazione dei Vangeli e la vita di Gesù che tutta una generazione di testimoni oculari era svanita. Ma questo non è vero. Infatti, il primo Vangelo, che si sa essere stato scritto da Marco, risale all'anno 64 d.C., ovvero 34 anni dopo la data probabile della morte di Gesù. In quegli anni cosa si è fatto? Essenzialmente si è predicato il Vangelo in diversi luoghi, si è ruminato su quell'annuncio, fornendo ad esso una sistemazione teologica, che è quello che fa Paolo. Infatti i Vangeli sono stati scritti dopo che Paolo ha elaborato praticamente tutta la sua teologia. Intorno al 64 d.C. tutte le Lettere erano state scritte, comprese quelle pastorali, se è vero che lui ne fu l'autore. Possiamo dire che in quegli anni i Vangeli hanno subito una evoluzione più teologica che non biografica, perché i fatti e i detti della vita di Gesù erano già accertati.

Allora, quali sono i criteri per poter separare con una certa sicurezza ciò che è storico da ciò che non lo è? Nella seconda metà del XX sec. sono stati sviluppati diversi criteri storici, tra cui quello della “discontinuità”, che si concentra su quelle parole o quei fatti di Gesù che non possono derivare né dal giudaismo del tempo di Gesù né dalla Chiesa primitiva dopo di lui. Ad esempio, nel Vangelo di Matteo Gesù si confronta criticamente con le Scritture e con Mosè, come nessun rabbino avrebbe mai fatto, rivelando la superiorità della nuova legge da lui proclamata che non ricalca lo stile esteriore dei farisei ma ha sede nell'intimità del cuore.
Un altro criterio è quello che viene chiamato dell' “imbarazzo”, secondo cui la Chiesa non avrebbe mai comunicato un fatto che avrebbe umiliato Gesù, a partire dalla croce che è il caso più emblematico e paradigmatico. Il battesimo ad opera di Giovanni se non fosse avvenuto realmente non sarebbe venuto in mente a nessun autore. Così come l'apparizione alle donne, perché a quel tempo le donne non erano testimoni qualificati a Israele.

Le notevoli affinità tra i testi di Matteo e Luca hanno portato diversi studiosi ad affermare l'esistenza di una fonte comune, tale da far pensare che si rifacessero in realtà a fonti indirette e non di prima mano. Lei che ne pensa?

Padre Estrada: Possiamo ammettere che i Vangeli di Matteo e di Luca abbiano avuto una fonte comune, perché esiste una serie di narrrazioni, soprattutto di detti, che non appaiono in Marco. Ma ciò che stupisce non è che Matteo e Luca abbiano avuto una fonte comune, quanto le loro differenze. Per esempio tutti e due raccontano dell'infanzia di Gesù, ma ciascuno lo fa attraverso degli eventi che l'altro nemmeno conosce. In Matteo il protagonista dell'infanzia di Gesù è Giuseppe, mentre in Luca è Maria. Se ci fossero state troppe affinità ciò avrebbe potuto far supporre che vi era stato un accordo fra i due. Evidentemente i due evangelisti avevano una fonte propria cui attingere e un'altra che hanno condiviso.

Esistono fonti storiche indipendenti dai Vangeli canonici che ne avvalorano il contenuto?

Padre Estrada: La storicità dei Vangeli viene avallata solo dai Vangeli stessi, mediante la loro formazione. Esistono tuttavia delle testimonianze extrabibliche che non sono da disprezzare.
La prima è quella di Plinio il Giovane, che fu proconsole della Bitinia negli anni 111-113 d.C., e che in una delle epistole inviate all’imperatore Traiano scrive che i cristiani erano “soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio”. Quindi, afferma che erano convinti della divinità del Cristo.
Svetonio, invece, nella sua opera “Vita dei dodici Cesari”, riferendo un fatto accaduto intorno al 50 d.C., afferma che Claudio “espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine” (Vita Claudii XXIII, 4). Svetonio scrisse “Chrestus” in luogo di “Christus”, non conoscendo la differenza tra giudei e cristiani, e per la somiglianza tra Chrestòs, che era un nome greco molto comune, e Christòs che voleva dire l' “unto”, il “Messia”. Qundi esistevano a Roma giudeo cristiani e – direi – ebrei non convertiti che disputavano fra di loro su Cristo e che potevano apparire agli occhi dell’autorità romana come causa di disordine pubblico.
E poi c'è la testimonianza dello storico romano Tacito che negli Annali narra dell'incendio scoppiato a Roma nel 64 d.C., di cui fu accusato l'imperatore Nerone, il quale fece di tutto “per far cessare tale diceria”, e per questo “si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani”. Tacito afferma inoltre che l'“origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso” (Ann. XV, 44).


Tra storicità dei Vangeli canonici e contributo degli apocrifi (Parte II)

Intervista a padre Bernardo Estrada, docente di Nuovo Testamento

Di Mirko Testa

ROMA, martedì, 8 gennaio 2008 (ZENIT.org).- I vangeli apocrifici non ci permettono di conoscere realmente Gesù, ma ci mostrano l'evoluzione del cristianesimo.

Ad affermarlo è padre Bernardo Estrada, il quale è convinto che gli apocrifi, pur non dicendo nulla di più rilevante a livello storico rispetto a quanto già affermato dai Vangeli canonici, ci permettano tuttavia di osservare la nascita di alcune tradizioni che hanno influito sulla religiosità popolare e sull'arte sacra cristiana.

L'elenco completo dei 27 libri del Nuovo Testamento viene fissato per la prima volta con Atanasio di Alessandria nel 367 d.C. Come si arriva a scegliere questi quattro Vangeli nel canone delle Scritture?

Padre Estrada: Già prima della fine del II secolo, sant'Ireneo Vescovo di Lione e martire afferma in un celebre passo che “poiché il mondo ha quattro regioni e quattro sono i venti principali [...] il Verbo creatore di ogni cosa [...] rivelandosi agli uomini, ci ha dato un Vangelo quadruplice, ma unificato da un unico Spirito” (Contro le eresie III 11, 8).

La Chiesa aveva già definito allora i quattro testi che venivano usati nella liturgia. Vent'anni prima di Ireneo anche Giustino parla dei quattro Vangeli o della memoria degli Apostoli che venivano menzionati o letti durante le celebrazioni eucaristiche. Allora come si è arrivati a questa selezione? In realtà si è arrivati attraverso un processo in cui lo Spirito Santo si è aperto un varco in modo naturale e spontaneo. Quando veniva diffuso un testo che affermava qualcosa di strano, gli stessi fedeli, uniti sotto il loro pastore, lo respingevano. Quindi non sono stati disposti da nessuno anche se nel II sec. vi era la coscienza che il Vangelo fosse quadruplice: ovvero uno solo, poiché una sola è la predicazione sulla vita, le opere e le parole di Gesù, ma con quattro immagini diverse, ognuna delle quali offre un tocco personale.

L'altra questione che si pone ora è come mai la tradizione apostolica sia giunta a inserire tra i Vangeli canonici anche il Vangelo di Giovanni, il più diverso rispetto agli altri in quanto a contenuto ed esposizione, intessuto spesso di riflessioni spirituali e teologiche. Inoltre alcuni studiosi attribuiscono la paternità di questo scritto a discepoli appartenenti a diverse “scuole giovannee”, come si può notare in questo passo: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Gv 21, 20)...

Padre Estrada: Non va a scapito della storicità dei Vangeli il fatto che i loro autori non fossero necessariamente i quattro che vengono menzionati nei titoli. Vorrei direi anche che nemmeno c'è motivo di dubitare se non ci sono delle ragioni serie. Per quanto riguarda il Vangelo di Giovanni è certo che un nucleo risalga all'apostolo, ma che ci sarebbero stati dei discepoli che avrebbero riflettuto su quelle parole di Gesù e avrebbero trovato altre fonti e redatto un Vangelo che un po' si discosta dagli altri. Infatti è il Vangelo più spirituale, dove non si parla mai della crocifissione e della sofferenza, perché per l'evangelista Giovanni, l'ora della passione si identifica con la glorificazione e la suprema "elevazione" di Gesù.

Giovanni presenta già la missione del Cristo a partire dalla Resurrezione. E' un Cristo che ha trionfato e vinto sulla morte. D'altra parte è impossibile spiegare il racconto così dettagliato e crudo della Passione, se non alla luce della piena convinzione degli evangelisti riguardo alla Resurrezione. Altrimenti sarebbe stato semplicemente masochismo! La sofferenza è servita per la nostra salvezza.
Giovanni riporta moltissimi dialoghi di Gesù con il Padre, come se non toccasse la terra, ma fosse costantemente immerso nella contemplazione del volto di Dio e già glorificato. Mentre negli altri Vangeli Gesù è un uomo con tutte le sue caratteristiche e i suoi limiti umani. Il fatto che il Vangelo di Giovanni sia stato ritoccato da una comunità di discepoli, che si trovava probabilmente a Efeso, e ampliato o forse assemblato in un altro modo trova riscontro nel passo che lei ha citato, e che viene rienuto una appendice, una aggiunta posteriore da parte di un discepolo che fa di Giovanni un testimone verace. Infatti se si legge il cap. 20 si capisce che siamo di fronte a una conclusione: “Queste cose sono state scritte affinché voi crediate che Gesú è il Cristo il Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (Gv 20, 31).

Luca nel suo Vangelo, composto intorno agli anni '80 del I sec., accenna ai “molti altri” che hanno scritto sulla vicende di Gesù, quasi a testimoniare l'esistenza di una moltiplicità di Vangeli, quegli stessi Vangeli in seguito ritenuti apocrifi...

Padre Estrada: In realtà, quando Luca inizia il prologo al Vangelo e dice “poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto sugli avvenimenti successi tra noi”, non si sta riferendo a dei libri ma alle testimonianze di tante persone che hanno ricevuto la predica apostolica e che hanno tentato di mettere per iscritto i fatti e le parole di Gesù.
Di certo quelle sono le fonti alle quali hanno attinto anche gli evangelisti. Ma da ciò non dobbiamo dedurre necessariamente che si trattasse di libri veri e propri. Forse Luca, che aveva davanti a sé il Vangelo di Marco, si era reso conto che altri tentarono di mettere per iscritto o in ordine i fatti legati alla vita di Gesù. Non è detto, però, che nel II sec. fossero diffusi i Vangeli apocrifi. Il più antico frammento del Vangelo di Tommaso risale alla fine del II sec., che probabilmente è la data di composizione di quel Vangelo. Non prima. Mentre noi sappiamo che molti Vangeli si fanno datare al I sec. anche dalle citazioni contenute nella Prima lettera di Clemente, un testo attribuito a Papa Clemente I (88-97) scritto in greco verso la fine del I sec.
Nella Didachè o Dottrina dei dodici Apostoli, che può essere considerata come il più antico catechismo cristiano, essendo stata scritta qualche decennio dopo la morte di Cristo, si cita il “Padre Nostro” , così come noi lo recitiamo oggi
Poi sappiamo che il più antico frammento del Nuovo Testamento è contenuto nel papiro Rylands (P. 52), che riporta parti del Vangelo di Giovanni e risale circa al 125 d.C., ed è quindi una copia scritta a meno di 30 anni dall’originale.

Sebbene scartati perché non contenenti verità divinamente rivelate, alcuni Vangeli apocrifi sono giunti fino a noi in lunghi frammenti come il Vangelo copto di Tommaso o il Vangelo di Pietro, trovando anche utilizzo tra i monaci cristiani della Siria e dell'Asia minore. Che valore hanno? Aggiungono informazioni di qualche utilità al racconto dei quattro evangelisti?

Padre Estrada: Innanzitutto, è necessario dire che tra i Vangeli apocrifi ce ne sono alcuni che nel presentare la figura di Gesù o nel riproporne l'insegnamento si ispirano allo gnosticismo, che è quella teoria filosofico-religiosa che nei primi secoli del cristianesimo (I-IV) si contrappose violentemente alla Chiesa cattolica. Nel 1945, nel villaggio di Nag Hammadi, nell'Alto Egitto, venne scoperta un'antica biblioteca copta che custodiva 13 codici, tutti scritti nel IV sec., alcuni dei quali riportavano detti di Gesù, per esprimere tuttavia concetti non cristiani.

Tutti gli studiosi concordano, ad esempio, nell'affermare che il Vangelo di Tommaso – quello che ha suscitato maggiore interesse – sia un Vangelo gnostico che presenta le dottrine e gli orientamenti di una comunità nata come eresia all'interno del cristianesimo e che pretendeva di applicare a Gesù la salvezza e tutti i principi della fede cristiana secondo il proprio punto di vista. Essi infatti non riconoscono la morte in croce, perché la sola salvezza verrebbe dalla “gnosi”, cioè dalla conoscenza.

Mentre la materia è sempre causa di peccato o legata al demonio. Il Vangelo di Tommaso, come gli altri Vangeli gnostici, si limita a riportare dei detti di Gesù senza inserirli nella narrazone di quanto egli compie. E' una specie di “Confucio cristiano” del II sec.

A questo punto possiamo domandarci: i Vangeli apocrifi contengono qualche verità? Certamente. Ad esempio i protovangeli ci raccontano i primi anni di vita di Gesù. A questo proposito, quello più famoso è il Protovangelo di Giacomo, attribuito a Giacomo, figlio di Giuseppe, che lo avrebbe avuto, insieme con tre fratelli e due sorelle, da un matrimonio precendete a quello con Maria.

Questo testo ha avuto una certa influenza nella tradizione e nell’iconografia, tanto che la presenza del bue e dell’asinello nella grotta della Natività e il nome dei genitori di Maria, Gioacchino e Anna, ci giungono proprio da questa fonte.
Certamente il contenuto dei Vangeli apocrifi può differire. Alcuni contengono delle verità, delle amplificazioni fantasiose rispetto ai Vangeli canonici e un gusto teatrale proprio di un cristianesimo popolare, pur rimanendo nell'alveo dell'ortodossia; mentre molti altri, soprattutto quelli di orientamento gnostico contengono delle falsità perché vogliono convincere sulla validità della loro eresia.

Sotto il profilo storico, non ci dicono nulla di più di quanto sappiamo già dai Vangeli secondo Matteo e secondo Luca, dai quali essi dipendono. La loro intenzione non è storica, essi voglio fare opera di edificazione. Di fronte alla sobrietà dei Vangeli che raccontano anche realtà soprannaturali in maniera “naturale” e asciutta, senza aggiungere circostanze inutili, si è scelto di andare incontro al desiderio del popolo cristiano aggiungendo in maniera più ampia e colorita dei particolari per evidenziare aspetti e vicende dell'infanzia e della prima giovinezza di Gesù e Maria. Ma di fatto in tal modo essi offrono un’immagine di Gesù non conforme alla realtà, come accade nel Vangelo dell'infanzia di Tommaso, dove viene descritto come un bambino già in grado di compiere miracoli.

Quindi, si può dire che se non avessero contenuto anche un piccolo nucleo di verità nessuno li avrebbe accettati. La loro importanza sta nel fatto di mostrare un'epoca, uno sviluppo del cristianesimo, una confluenza di diverse correnti teologiche e religiose. La loro utilità sta nel riuscire a mostrare l'evoluzione del cristianesimo.

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