8 gennaio 2008
Discorso del Santo Padre al Corpo Diplomatico: lo speciale di "Avvenire"
Vedi anche:
Corradi (Avvenire): nessun anatema da parte del Papa, nessun "ordine" contro la 194, ma invito a ricominciare dalla "cultura" intesa come dibattito...
La 194 non si tocca. Ma l'orrore dell'aborto deve toccarci, oppure no? (Pierluigi Battista per "Il Corriere")
Universale, non intollerante. La fede secondo Joseph Ratzinger-Benedetto XVI (da «Perché siamo ancora nella Chiesa», in uscita domani per Rizzoli)
Se si confina la Parola di Dio a un testo si impoverisce la Rivelazione (Zenit)
Giuliano Ferrara: "Non scherziamo e non diciamo che ho arruolato il Papa!"
Discorso del Papa al Corpo Diplomatico: il commento de "Il Giornale"
Discorso del Papa al Corpo Diplomatico: assolutamente inedito il capitolo "sicurezza" (Gazzetta del sud)
Ascoltate Benedetto, parla a tutti (Aldo Maria Valli per "Europa")
Premessa alla lettura dei quotidiani di oggi
La Chiesa ha bisogno dei gesuiti all'incrocio tra fede e cultura (Osservatore Romano)
I cristiani dell'Iraq nel mirino della guerriglia (Osservatore Romano)
Il cammino del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio (Zenit)
Grazie al Tg1 per la correttezza
Per avere giustizia e pace non si può escludere Dio dall'orizzonte dell'uomo e della storia (Osservatore Romano)
Omelia del Papa per l'Epifania: "Un messaggio universale di riconciliazione" (Osservatore Romano)
INDISCREZIONE: L'ENCICLICA SOCIALE USCIRA' IL 19 MARZO? ("IL MESSAGGERO")
Metropolita Kirill: "Possibile un incontro fra Benedetto XVI e Alessio II in campo neutro"
Il Papa al Corpo Diplomatico: "La Santa Sede non si stancherà di riaffermare i diritti dell'uomo"
PIETRO E IL MONDO
Il Papa: la coscienza dei popoli riconosca la sacralità della vita
Nell’udienza al Corpo diplomatico il Pontefice rilancia: bene il no alla pena di morte, avanti su questa strada
DA ROMA SALVATORE MAZZA
Sicurezza e stabilità «permangono fragili» nel mondo di oggi. Beni preziosi che sembrano lontani da troppe realtà, dal Medio Oriente al Pakistan, dallo Sri Lanka al Myanmar, l’ex Birmania. Realtà drammatiche che ancora, purtroppo, attraversano tutti i continenti, e che secondo Benedetto XVI, richiedono la presa di coscienza della comune responsabilità delle nazioni per la libertà, a iniziare da «la libertà religiosa», e i diritti dell’uomo. E se l’una e gli altri possono essere tutelati attraverso iniziative di dialogo, essi esigono tuttavia anche il rispetto del diritto naturale, «dato dal Creatore», senza prescindere dal rispetto fondamentale «per la vita umana». La quale purtroppo è invece oggetto di «attacchi continui, perpetrati in tutti i continenti».
Quello che in proposito va sottolineato, ha scandito, è «che le nuove frontiere della bioetica non impongono una scelta fra la scienza e la morale, ma esigono piuttosto un uso morale della scienza».
Così allora, mentre bisogna rallegrarsi del fatto che «lo scorso 18dicembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbia adottato una risoluzione chiamando gli Stati a istituire una moratoria sull’applicazione della pena di morte», l’auspicio è che adesso «tale iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana».
Il tradizionale incontro d’inizio anno con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha offerto a Papa Ratzinger per tornare ad approfondire alcuni dei temi a lui più cari. Perché «la pace – ha detto – non può essere una semplice parola o un’aspirazione illusoria». Essa è invece «è un impegno e un modo di vita che esige che si soddisfino le legittime attese di tutti, come l’accesso al cibo, all’acqua e all’energia, alla medicina e alla tecnologia, come pure il controllo dei cambiamenti climatici». D’altra parte ciascuno dei «fattori di preoccupazione » che segnano l’oggi, ha insistito, «testimoniano che la libertà umana non è assoluta, bensì che si tratta di un bene condiviso e la cui responsabilità incombe su tutti. Di conseguenza, l’ordine e il diritto ne sono elementi di garanzia. Ma il diritto può essere una forza di pace efficace solo se i suoi fondamenti sono solidamente ancorati nel diritto naturale, dato dal Creatore. È anche per tale ragione che non si può mai escludere Dio dall’orizzonte dell’uomo e della storia. Il nome di Dio è un nome di giustizia; esso rappresenta un appello pressante alla pace».
L’incontro, considerato il più solenne appuntamento diplomatico annuale a livello internazionale, ha avuto inizio alle 11 di ieri mattina, con l’ingresso di Benedetto XVI nella Sala Regia del Palazzo apostolico, accompagnato dagli applausi dei presenti. Dopo essere sfilato tra i 176 ambasciatori, schierati su due ali, il Pontefice ha ascoltato, in piedi, l’indirizzo di saluto rivoltogli da Giovanni Galassi, ambasciatore della Repubblica di San Marino e decano del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Al termine, seduto sulla poltrona al centro del palco predisposto per l’occasione, il Papa ha quindi preso finalmente la parola.
Ampio e dettagliato l’excursus sulla situazione internazionale compiuto da Benedetto XVI all’inizio del suo lungo discorso (che pubblichiamo integralmente nella pagina a fianco). E davvero densa la sintesi nella quale, richiamando i temi della sua recente enciclica Spe salvi, ha definito un’«arte della speranza» il lavoro svolto dalla diplomazia, in quanto essa «vive della speranza e cerca di discernerne persino i segnali più tenui». Con i diversi appelli lanciati a sottolineare le urgenze più decisive, tra i quali, oltre a quelli già citati, quello rivolto a «Israeliani e Palestinesi, affinché concentrino le proprie energie per l’applicazione degli impegni presi in quella occasione (durante la Conferenza di Annapolis, ndr) e non fermino il processo felicemente rimesso in moto. Invito inoltre la comunità internazionale a sostenere questi due popoli con convinzione e comprensione per le sofferenze e i timori di entrambi».
© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2008
Gli ultimi con cui sono state stabilite relazioni sono gli Emirati Arabi Uniti e il Montenegro Con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina e la Federazione russa, relazioni «speciali» A Taiwan non un nunzio ma un «incaricato d’affari ad interim»
Con 176 Paesi pieni rapporti diplomatici
DI GIANNI CARDINALE
Negli ultimi decenni la rete diplomatica della Santa Sede si è notevolmente allargata. Con il Pontificato di Giovanni Paolo II il numero di Paesi con cui la Santa Sede intrattiene pieni rapporti diplomatici è più che raddoppiato. Nel 1978 ammontavano a 84. Alla fine del Pontificato wojtyliano erano 174. Con Benedetto XVI se ne sono aggiunti altri due: il neoindipendente Montenegro nel 2006 e gli Emirati Arabi Uniti lo scorso anno. Oggi quindi sono diventati 176, cui vanno aggiunti la Federazione russa e l’Olp con cui ci sono relazioni diplomatiche di natura speciale. La Santa Sede ha poi relazioni con l’Unione europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta, e mantiene osservatori permanenti presso le principali organizzazioni internazionali governative, come, ad esempio, le sedi Onu di New York e Ginevra, la Fao, l’Osce, il Wto, l’Ue, la Lega araba e l’Unione africana. Un caso particolare è quello di Taiwan, dove la Santa Sede dal 1979 fa risiedere non più un nunzio, ma un semplice «incaricato d’affari ad interim». E questo in attesa di poter aprire finalmente una nunziatura a Pechino.
La Santa Sede non intrattiene ancora rapporti diplomatici con diciassette Stati. In nove di questi non è presente nessun inviato vaticano e cioè in: Afghanistan, Arabia Saudita, Bhutan, Cina popolare, Corea del Nord, Maldive, Oman, Tuvalu e Vietnam. Mentre sono in carica dei delegati apostolici (rappresentanti pontifici presso le comunità cattoliche locali ma non presso i governi) in altri otto Paesi: quattro in Africa (Botswana, Comore, Mauritania e Somalia) e quattro in Asia (Brunei, Laos, Malaysia, Myanmar). Con alcuni di questi diciassette Paesi non mancano contatti, ufficiali e/o riservati, anche ad altissimo livello. Agli inizi di novembre dello scorso anno, ad esempio, mentre il Papa riceveva in una storica udienza il re saudita Abdullah, una delegazione vaticana, guidata dal «vice- ministro degli esteri» monsignor Pietro Parolin, si trovava in Cina per una serie di colloqui con le autorità. Senza contare poi che alla Messa di inizio Pontificato di Benedetto XVI c’erano i rappresentanti di Afghanistan, Arabia Saudita, Malaysia, Oman e Vietnam, mentre ai solenni funerali di Giovanni Paolo II avevano garantito la loro presenza anche i rappresentanti del Brunei e della Somalia. Risulta poi che Afghanistan e Somalia hanno riservatamente mostrato interesse ad avere rapporti diplomatici con la Santa Sede; che il Vietnam ha pubblicamente manifestato questa volontà; mentre la diplomazia pontificia è al lavoro per ottenere lo stesso risultato con l’Oman.
Attualmente in giro per il mondo sono in attività 96 nunzi apostolici, alcuni dei quali «coprono » più Paesi. Oltre metà (50) sono italiani, una percentuale inferiore rispetto al passato (nel 1961 provenivano dalla Penisola 48 nunzi su 58, l’83%; nel ’78 erano 55 su 75, il 73%); anche se dalla Penisola comunque vengono i nunzi in Paesi ecclesiasticamente e/o politicamente importanti come Italia, Francia, Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile, Colombia, IsraeleGerusalemme e Palestina, Russia. Gli altri nunzi provengono perlopiù dal resto dell’Europa (27, di cui sei spagnoli, cinque francesi e polacchi, tre svizzeri), ma anche dall’Asia (14, di cui cinque dall’India e tre dalle Filippine), dal Nordamerica (cinque, tutti statunitensi), dall’Africa (uno, dall’Uganda). Da tre anni non c’è in servizio nessun «ambasciatore» del Papa proveniente dall’America latina. Tutti i nunzi appartengono al clero secolare, tranne tre: lo scalabriniano veneto Silvano Tomasi (Onu Ginevra), il verbita statunitense Michael A. Blume (Benin) e il padre bianco inglese Michael L. Fitzgerald (Egitto). Nove su dieci provengono dalla Pontificia Accademia ecclesiastica, la scuola diplomatica della Santa Sede: oltre ai tre religiosi fanno eccezione anche altri sei nunzi attualmente in attività: i libanesi Mounged El-Hachem (Kuwait) e Edmond Fahrat (Austria), il veneto Claudio Gugerotti (Georgia), il polacco Jozef Kowalczyk (Polonia), il campano Angelo Mottola (Montenegro), il croato Martin Vidovic (Bielorussia). Sono solo due i Paesi che hanno un nunzio «connazionale»: l’Italia e la Polonia. Una curiosità: tra i 50 nunzi italiani la rappresentanza regionale più cospicua è quella lombarda (otto), seguita da quella veneta (sette), da quella campana (sei), da quella piemontese e pugliese (cinque ciascuna) e da quella siciliana (quattro). Attualmente, infine, risultano «vacanti » ben otto nunziature: Bangladesh, Croazia, Ghana, Irlanda, Repubblica dominicana, Paesi scandinavi (con residenza in Svezia), Senegal e Slovacchia.
© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2008
gli scenari di crisi
L’AFRICA MARTORIATA
Appello per Darfur, Kenya e Somalia
Accorate la parole del Papa per la martoriata regione sudanese del Darfur, dove «la speranza appare quasi vinta dal sinistro corteo di fame e di morte». Sono finora almeno duecentomila le vittime delle violenze che milizie islamiche vicino al governo centrale stanno compiendo contro le popolazioni autoctone, milioni i profughi. Un appello è arrivato anche per il Kenya, a favore del quale Benedetto XVI chiesto «aiuti e dialogo». Ricordate la crisi del Congo e della Somalia.
L’ORIENTE INSTABILE
Esortazioni a Terra Santa e Libano
Da Benedetto XVI è giunto un appello a israeliani e palestinesi, «affinché concentrino le proprie energie per l’applicazione degli impegni presi» nella conferenza di pace ad Annapolis. Il Papa ha poi espresso il desiderio che «i libanesi possano decidere liberamente del loro futuro», nello stallo politico che si registra a Beirut. «Chiedo al Signore di illuminarli, a cominciare dai responsabili della vita pubblica», affinché superino gli interessi particolari per la riconciliarsi.
IL PAKISTAN SCOSSO
«Pace e rispetto dei diritti di tutti»
In Pakistan «tutte le forze politiche e sociali si impegnino nella costruzione di una società pacifica, che rispetti i diritti di tutti», ha detto il Pontefice, ricordando le tensioni che scuotono il gigante asiatico dopo l’uccisione di Benazir Bhutto, leader dell’opposizione al presidente Musharraf, e gli scontri che hanno portato al rinvio delle elezioni. Un cenno anche all’Afghanistan, dove «alla violenza si aggiungono altri gravi problemi sociali, come la produzione di droga».
IL DRAMMA DI MYANMAR
«Dialogo tra governo e opposizione»
Tra i fronti caldi del Sud-Est asiatico, il Papa ha ricordato lo Sri Lanka, dove «non è più possibile rinviare gli sforzi decisivi per dare rimedio alle immense sofferenze causate dal conflitto in corso», tra indipendentisti tamil e le autorità centrali; e Myanmar, ancora provato dalla brutale repressione della protesta pacifica guidata dai monaci buddisti, per il quale «chiedo al Signore che, con il sostegno della comunità internazionale, si apra una stagione di dialogo fra il governo e l’opposizione».
i temi
PACE E SVILUPPO
L’EREDITÀ DI PAOLO VI
È sempre importante, per Benedetto XVI, ricordare l’«espressione particolarmente felice» forgiata da Paolo VI 40 anni fa, quando nell’Enciclica Populorum progressio, sottolineava «che 'lo sviluppo è il nuovo nome della pace'. Per tale ragione, per consolidare la pace occorre che i risultati macroeconomici positivi, ottenuti da numerosi Paesi in via di sviluppo nel 2007, siano sostenuti da politiche sociali efficaci e... impegni di assistenza da parte dei Paesi ricchi».
NON SOLO NUCLEARE
L’IMPEGNO AL DISARMO
Per il Papa è importante «uno sforzo congiunto da parte degli Stati... per impedire l’accesso dei terroristi alle armi di distruzione di massa». Ciò «rinforzerebbe il regime di non proliferazione nucleare». In proposito, felice per «lo smantellamento» del programma nucleare in Corea del Nord... incoraggio l’adozione di misure appropriate per la riduzione degli armamenti di tipo classico, e affrontare il problema umanitario posto dalle munizioni a grappolo».
RADICI CRISTIANE
CANTIERE EUROPA
Compiaciuto per i «progressi» del Vecchio Continente, il Pontefice ha assicurato di seguire «con attenzione il periodo che si apre con la firma del 'Trattato di Lisbona'. Tale tappa rilancia il processo della 'casa Europa', che sarà per tutti gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni, e se essa non rinnegherà le proprie radici cristiane».
COSTRUIRE PONTI
DIPLOMAZIA E SPERANZA
Per Benedetto XVI «la diplomazia è, in un certo modo, l’arte della speranza». Essa infatti «vive della speranza e cerca di discernerne persino i segni più tenui». E dunque «la diplomazia deve dare speranza. La celebrazione del Natale viene ogni anno a ricordarci che, quando Dio si è fatto piccolo bambino, la Speranza è venuta ad abitare nel mondo, al cuore della famiglia umana. Questa certezza diventa oggi preghiera: che Dio apra il cuore di quanti governano la famiglia dei popoli alla Speranza che mai delude».
© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2008
Etichette:
benedetto xvi,
commenti,
discorsi,
etica,
mass media,
papa,
ratzinger,
riflessioni,
scienza
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento