8 gennaio 2008

Discorso del Santo Padre al Corpo Diplomatico: lo speciale di "Avvenire"


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Premessa alla lettura dei quotidiani di oggi

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I cristiani dell'Iraq nel mirino della guerriglia (Osservatore Romano)

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Grazie al Tg1 per la correttezza

Per avere giustizia e pace non si può escludere Dio dall'orizzonte dell'uomo e della storia (Osservatore Romano)

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INDISCREZIONE: L'ENCICLICA SOCIALE USCIRA' IL 19 MARZO? ("IL MESSAGGERO")

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Il Papa al Corpo Diplomatico: "La Santa Sede non si stancherà di riaffermare i diritti dell'uomo"

PIETRO E IL MONDO

Il Papa: la coscienza dei popoli riconosca la sacralità della vita

Nell’udienza al Corpo diplomatico il Pontefice rilancia: bene il no alla pena di morte, avanti su questa strada

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Sicurezza e stabilità «perman­gono fragili» nel mondo di og­gi. Beni preziosi che sembra­no lontani da troppe realtà, dal Me­dio Oriente al Pakistan, dallo Sri Lanka al Myanmar, l’ex Birmania. Realtà drammatiche che ancora, purtroppo, attraversano tutti i con­tinenti, e che secondo Benedetto X­VI, richiedono la presa di coscienza della comune responsabilità delle nazioni per la libertà, a iniziare da «la libertà religiosa», e i diritti dell’uo­mo. E se l’una e gli altri possono es­sere tutelati attraverso iniziative di dialogo, essi esigono tuttavia anche il rispetto del diritto naturale, «dato dal Creatore», senza prescindere dal rispetto fondamentale «per la vita umana». La quale purtroppo è in­vece oggetto di «attacchi continui, perpetrati in tutti i continenti».
Quello che in proposito va sottoli­neato, ha scandito, è «che le nuove frontiere della bioetica non impongono una scelta fra la scienza e la morale, ma esigono piuttosto un u­so morale della scienza».
Così allo­ra, mentre bisogna rallegrarsi del fat­to che «lo scorso 18dicembre l’As­semblea Generale delle Nazioni U­nite abbia adottato una risoluzione chiamando gli Stati a istituire una moratoria sull’applicazione della pena di morte», l’auspicio è che a­desso «tale iniziativa stimoli il di­battito pubblico sul carattere sacro della vita umana».
Il tradizionale incontro d’inizio an­no con il Corpo diplomatico accre­ditato presso la Santa Sede, ha of­ferto a Papa Ratzinger per tornare ad approfondire alcuni dei temi a lui più cari. Perché «la pace – ha detto – non può essere una semplice pa­rola o un’aspirazione illusoria». Es­sa è invece «è un impegno e un mo­do di vita che esige che si soddisfi­no le legittime attese di tutti, come l’accesso al cibo, all’acqua e all’e­nergia, alla medicina e alla tecno­logia, come pure il controllo dei cambiamenti climatici». D’altra parte ciascuno dei «fattori di preoc­cupazione » che segnano l’oggi, ha insistito, «testimoniano che la li­bertà umana non è assoluta, bensì che si tratta di un bene condiviso e la cui responsabilità incombe su tut­ti. Di conseguenza, l’ordine e il di­ritto ne sono elementi di garanzia. Ma il diritto può essere una forza di pace efficace solo se i suoi fonda­menti sono solidamente ancorati nel diritto naturale, dato dal Crea­tore. È anche per tale ragione che non si può mai escludere Dio dal­l’orizzonte dell’uomo e della storia. Il nome di Dio è un nome di giusti­zia; esso rappresenta un appello pressante alla pace».
L’incontro, considerato il più so­lenne appuntamento diplomatico annuale a livello internazionale, ha avuto inizio alle 11 di ieri mattina, con l’ingresso di Benedetto XVI nel­la Sala Regia del Palazzo apostolico, accompagnato dagli applausi dei presenti. Dopo essere sfilato tra i 176 ambasciatori, schierati su due ali, il Pontefice ha ascoltato, in pie­di, l’indirizzo di saluto rivoltogli da Giovanni Galassi, ambasciatore del­la Repubblica di San Marino e de­cano del Corpo diplomatico accre­ditato presso la Santa Sede. Al ter­mine, seduto sulla poltrona al cen­tro del palco predisposto per l’oc­casione, il Papa ha quindi preso fi­nalmente la parola.
Ampio e dettagliato l’excursus sulla situazione internazionale compiu­to da Benedetto XVI all’inizio del suo lungo discorso (che pubblichiamo integralmente nella pagina a fian­co). E davvero densa la sintesi nella quale, richiamando i temi della sua recente enciclica Spe salvi, ha defi­nito un’«arte della speranza» il la­voro svolto dalla diplomazia, in quanto essa «vive della speranza e cerca di discernerne persino i se­gnali più tenui». Con i diversi appelli lanciati a sottolineare le urgenze più decisive, tra i quali, oltre a quelli già citati, quello rivolto a «Israeliani e Palestinesi, affinché concentrino le proprie energie per l’applicazione degli impegni presi in quella occa­sione (durante la Conferenza di An­napolis, ndr) e non fermino il pro­cesso felicemente rimesso in moto. Invito inoltre la comunità interna­zionale a sostenere questi due po­poli con convinzione e compren­sione per le sofferenze e i timori di entrambi».

© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2008


Gli ultimi con cui sono state stabilite relazioni sono gli Emirati Arabi Uniti e il Montenegro Con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina e la Federazione russa, relazioni «speciali» A Taiwan non un nunzio ma un «incaricato d’affari ad interim»

Con 176 Paesi pieni rapporti diplomatici

DI GIANNI CARDINALE

Negli ultimi decenni la rete diplomatica della Santa Sede si è notevolmente al­largata. Con il Pontificato di Giovanni Paolo II il numero di Paesi con cui la Santa Se­de intrattiene pieni rapporti diplomatici è più che raddoppiato. Nel 1978 ammontavano a 84. Alla fine del Pontificato wojtyliano erano 174. Con Benedetto XVI se ne sono aggiunti altri due: il neoindipendente Montenegro nel 2006 e gli Emirati Arabi Uniti lo scorso anno. Oggi quin­di sono diventati 176, cui vanno aggiunti la Fe­derazione russa e l’Olp con cui ci sono relazio­ni diplomatiche di natura speciale. La Santa Se­de ha poi relazioni con l’Unione europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta, e mantiene osservatori per­manenti presso le principali organiz­zazioni interna­zionali governati­ve, come, ad e­sempio, le sedi O­nu di New York e Ginevra, la Fao, l’Osce, il Wto, l’Ue, la Lega araba e l’Unione africana. Un caso particola­re è quello di Taiwan, dove la Santa Sede dal 1979 fa risiedere non più un nun­zio, ma un sempli­ce «incaricato d’af­fari ad interim». E questo in attesa di poter aprire finalmente una nunziatura a Pe­chino.
La Santa Sede non intrattiene ancora rapporti diplomatici con diciassette Stati. In nove di que­sti non è presente nessun inviato vaticano e cioè in: Afghanistan, Arabia Saudita, Bhutan, Cina popolare, Corea del Nord, Maldive, Oman, Tu­valu e Vietnam. Mentre sono in carica dei dele­gati apostolici (rappresentanti pontifici presso le comunità cattoliche locali ma non presso i go­verni) in altri otto Paesi: quattro in Africa (Bot­swana, Comore, Mauritania e Somalia) e quat­tro in Asia (Brunei, Laos, Malaysia, Myanmar). Con alcuni di questi diciassette Paesi non man­cano contatti, ufficiali e/o riservati, anche ad altissimo livello. Agli inizi di novembre dello scorso anno, ad esempio, mentre il Papa rice­veva in una storica udienza il re saudita Abdul­lah, una delegazione vaticana, guidata dal «vi­ce- ministro degli esteri» monsignor Pietro Pa­rolin, si trovava in Cina per una serie di collo­qui con le autorità. Senza contare poi che alla Messa di inizio Pontificato di Benedetto XVI c’e­rano i rappresentanti di Afghanistan, Arabia Saudita, Malaysia, Oman e Vietnam, mentre ai solenni funerali di Giovanni Paolo II avevano ga­rantito la loro presenza anche i rappresentanti del Brunei e della Somalia. Risulta poi che Af­ghanistan e Somalia hanno riservatamente mo­strato interesse ad avere rapporti diplomatici con la Santa Sede; che il Vietnam ha pubblica­mente manifestato questa volontà; mentre la di­plomazia pontificia è al lavoro per ottenere lo stesso risultato con l’Oman.
Attualmente in giro per il mondo sono in atti­vità 96 nunzi apostolici, alcuni dei quali «co­prono » più Paesi. Oltre metà (50) sono italiani, una percentuale inferiore rispetto al passato (nel 1961 provenivano dalla Penisola 48 nunzi su 58, l’83%; nel ’78 erano 55 su 75, il 73%); an­che se dalla Penisola comunque vengono i nun­zi in Paesi ecclesiasticamente e/o politicamen­te importanti come Italia, Francia, Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile, Colombia, Israele­Gerusalemme e Palestina, Russia. Gli altri nun­zi provengono perlopiù dal resto dell’Europa (27, di cui sei spagnoli, cinque francesi e po­lacchi, tre svizzeri), ma anche dall’Asia (14, di cui cinque dall’India e tre dalle Filippine), dal Nordamerica (cinque, tutti statunitensi), dal­­l’Africa (uno, dall’Uganda). Da tre anni non c’è in servizio nessun «ambasciatore» del Papa pro­veniente dall’America latina. Tutti i nunzi ap­partengono al clero secolare, tranne tre: lo sca­labriniano veneto Silvano Tomasi (Onu Gine­vra), il verbita statunitense Michael A. Blume (Benin) e il padre bianco inglese Michael L. Fitz­gerald (Egitto). Nove su dieci provengono dal­la Pontificia Accademia ecclesiastica, la scuola diplomatica della Santa Sede: oltre ai tre religiosi fanno eccezione anche altri sei nunzi attual­mente in attività: i libanesi Mounged El-Ha­chem (Kuwait) e Edmond Fahrat (Austria), il ve­neto Claudio Gugerotti (Georgia), il polacco Jo­zef Kowalczyk (Polonia), il campano Angelo Mottola (Montenegro), il croato Martin Vidovic (Bielorussia). Sono solo due i Paesi che hanno un nunzio «connazionale»: l’Italia e la Polonia. Una curiosità: tra i 50 nunzi italiani la rappre­sentanza regionale più cospicua è quella lom­barda (otto), seguita da quella veneta (sette), da quella campana (sei), da quella piemontese e pugliese (cinque ciascuna) e da quella siciliana (quattro). Attualmente, infine, risultano «va­canti » ben otto nunziature: Bangladesh, Croa­zia, Ghana, Irlanda, Repubblica dominicana, Paesi scandinavi (con residenza in Svezia), Se­negal e Slovacchia.

© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2008


gli scenari di crisi

L’AFRICA MARTORIATA

Appello per Darfur, Kenya e Somalia

Accorate la parole del Papa per la martoriata regione sudanese del Darfur, dove «la speranza appare quasi vinta dal sinistro corteo di fame e di morte». Sono finora almeno duecentomila le vittime delle violenze che milizie islamiche vicino al governo centrale stanno compiendo contro le popolazioni autoctone, milioni i profughi. Un appello è arrivato anche per il Kenya, a favore del quale Benedetto XVI chiesto «aiuti e dialogo». Ricordate la crisi del Congo e della Somalia.

L’ORIENTE INSTABILE

Esortazioni a Terra Santa e Libano

Da Benedetto XVI è giunto un appello a israeliani e palestinesi, «affinché concentrino le proprie energie per l’applicazione degli impegni presi» nella conferenza di pace ad Annapolis. Il Papa ha poi espresso il desiderio che «i libanesi possano decidere liberamente del loro futuro», nello stallo politico che si registra a Beirut. «Chiedo al Signore di illuminarli, a cominciare dai responsabili della vita pubblica», affinché superino gli interessi particolari per la riconciliarsi.

IL PAKISTAN SCOSSO

«Pace e rispetto dei diritti di tutti»

In Pakistan «tutte le forze politiche e sociali si impegnino nella costruzione di una società pacifica, che rispetti i diritti di tutti», ha detto il Pontefice, ricordando le tensioni che scuotono il gigante asiatico dopo l’uccisione di Benazir Bhutto, leader dell’opposizione al presidente Musharraf, e gli scontri che hanno portato al rinvio delle elezioni. Un cenno anche all’Afghanistan, dove «alla violenza si aggiungono altri gravi problemi sociali, come la produzione di droga».

IL DRAMMA DI MYANMAR

«Dialogo tra governo e opposizione»

Tra i fronti caldi del Sud-Est asiatico, il Papa ha ricordato lo Sri Lanka, dove «non è più possibile rinviare gli sforzi decisivi per dare rimedio alle immense sofferenze causate dal conflitto in corso», tra indipendentisti tamil e le autorità centrali; e Myanmar, ancora provato dalla brutale repressione della protesta pacifica guidata dai monaci buddisti, per il quale «chiedo al Signore che, con il sostegno della comunità internazionale, si apra una stagione di dialogo fra il governo e l’opposizione».

i temi

PACE E SVILUPPO

L’EREDITÀ DI PAOLO VI

È sempre importante, per Benedetto XVI, ricordare l’«espressione particolarmente felice» forgiata da Paolo VI 40 anni fa, quando nell’Enciclica Populorum progressio, sottolineava «che 'lo sviluppo è il nuovo nome della pace'. Per tale ragione, per consolidare la pace occorre che i risultati macroeconomici positivi, ottenuti da numerosi Paesi in via di sviluppo nel 2007, siano sostenuti da politiche sociali efficaci e... impegni di assistenza da parte dei Paesi ricchi».

NON SOLO NUCLEARE

L’IMPEGNO AL DISARMO

Per il Papa è importante «uno sforzo congiunto da parte degli Stati... per impedire l’accesso dei terroristi alle armi di distruzione di massa». Ciò «rinfor­zerebbe il regime di non prolifera­zione nucleare». In proposito, felice per «lo smantellamento» del programma nucleare in Corea del Nord... incoraggio l’adozione di misure appropriate per la riduzione degli armamenti di tipo classico, e affrontare il problema umanitario posto dalle munizioni a grappolo».

RADICI CRISTIANE

CANTIERE EUROPA

Compiaciuto per i «progressi» del Vecchio Continente, il Pontefice ha assicurato di seguire «con attenzione il periodo che si apre con la firma del 'Trattato di Lisbona'. Tale tappa rilancia il processo della 'casa Europa', che sarà per tutti gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni, e se essa non rinnegherà le proprie radici cristiane».

COSTRUIRE PONTI

DIPLOMAZIA E SPERANZA

Per Benedetto XVI «la diplomazia è, in un certo modo, l’arte della speranza». Essa infatti «vive della speranza e cerca di discernerne persino i segni più tenui». E dunque «la diplomazia deve dare speranza. La celebrazione del Natale viene ogni anno a ricordarci che, quando Dio si è fatto piccolo bambino, la Speranza è venuta ad abitare nel mondo, al cuore della famiglia umana. Questa certezza diventa oggi preghiera: che Dio apra il cuore di quanti governano la famiglia dei popoli alla Speranza che mai delude».

© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2008

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