25 gennaio 2008

Il Codice di Diritto Canonico compie venticinque anni: lo speciale dell'Osservatore Romano [1]


Vedi anche:

Il Papa contro la tv spazzatura: «I media non impongano la violenza e modelli distorti» (Giansoldati per "Il Messaggero")

Joseph Ratzinger legge san Bonaventura. Pubblicata nuovamente la tesi di dottorato del Santo Padre

DISCORSI, TESTI E OMELIE DEL TEOLOGO E DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER

Il Codice di diritto canonico contiene le norme prodotte per il bene della persona e delle comunità nell’intero Corpo Mistico che è la santa Chiesa

Botturi: «Un codice info-etico contro le derive della surrealtà»

Il massmediologo Casetti: «Il Papa ci invita a servire l’uomo favorendo la libertà di pensiero»

La voce della fede e la tv amorale (Stefano Mannucci per "Il Tempo")

L'allarme del Papa nella giornata mondiale delle comunicazioni sociali (Tosatti per "La Stampa")

Il Papa: "Su talune vicende i media non sono utilizzati per un corretto ruolo di informazione, ma per "creare" gli eventi stessi"

Messaggio del Papa sui media: il commento di Rodolfo Lorenzoni per "Il Tempo"

«I mass-media spesso impongono distorti modelli di vita» ("Eco di Bergamo" e "Il Giornale")

APPELLO DEL PAPA AI MEDIA: SERVIZI DI SKY

Il Papa inaugura l'info-etica (Gazzetta del sud)

Corradino Mineo e Pannella, su raitre, attaccano il Papa, ovviamente senza contraddittorio

Il Papa invoca una info-etica internazionale (Elisa Pinna per "La Gazzetta del sud")

Rosso "malpela" i giornali: "Cattolici utili? Sale, anche se brucia"

Lettera del Papa ai romani: reagite al degrado delle scuole (Accattoli per il Corriere)

Giuliano Ferrara polemizza duramente con Mons. Plotti per l'intervista dell'arcivescovo a "La Stampa"

Mons. Plotti, arcivescovo di Pisa: "La Chiesa sbaglia a seguire i teocon" (Galeazzi per "La Stampa")

Joseph Ratzinger: "Paolo riteneva che un un apostolo non dovesse preoccuparsi di avere l’opinione pubblica dalla sua parte. No, egli voleva scuotere le coscienze!"

IL PAPA E L'OSCURANTISMO INTOLLERANTE DEI LAICISTI UNIVERSITARI: LO SPECIALE DEL BLOG

Le norme incarnate nella vita della Chiesa

Il Codice di Diritto Canonico compie venticinque anni

Mario Ponzi

Dalla sfida di Giovanni XXIII al coraggio di Giovanni Paolo II. Potrebbe essere la sintesi del cammino, audace e intraprendente, di quella che non si esitò a definire "una vera e propria scuola di apprendimento e di esercizio della speranza": la nuova legislazione del Codex juris canonici del 1917. Passata attraverso le idee dei padri conciliari è giunta a compimento il 25 gennaio del 1983. Oggi se ne celebra dunque il venticinquesimo anniversario.
Ed è un appuntamento di grande rilevanza. Si propone, infatti, come occasione privilegiata per fare il punto sullo storico confronto tra il diritto canonico, la dimensione giuridica dell'uomo, il suo rapporto con il diritto della comunità civile; la sua contestualizzazione in un mondo ormai completamente aperto alla dimensione pluriculturale e plurireligiosa e che dunque obbliga ad una modulazione particolare per proporsi al confronto con le culture del tempo.
Si tratta anche, per la comunità cattolica, di cogliere il momento per fare un esame critico delle difficoltà, anche interne alla Chiesa, come sottolineò il rettore della Pontificia Università Salesiana don Mario Toso in analoga occasione celebrativa, a conciliare legge e Vangelo, a riconoscere valore e importanza al diritto ecclesiale interno, a dare credibilità scientifica alla canonistica come scienza del diritto canonico nella missione della Chiesa oggi, soprattutto nella prospettiva di un cammino ecumenico che procede con un rinnovato slancio verso l'agognata meta dell'unità di tutti i cristiani.
Quest'anno giubilare del Codice coincide inoltre con l'anno in cui si celebra il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio: un fatto indicativo del profondo radicamento della norma canonica proprio nella parola di Dio "creduta, pensata e vissuta secondo la tradizione vivente della Chiesa" come diceva Giovanni Paolo II riferendosi alle fondamenta del Diritto canonico.
Di questo parlano i relatori che in questi due giorni - giovedì 24 e venerdì 25 - si confrontano nel convegno di studi organizzato dal Pontificio Consiglio per i testi legislativi in Vaticano nell'Aula del Sinodo. Contrariamente a quanto lascerebbero intendere l'occasione e l'oggetto stesso del convegno, cioè la legge canonica, gli interventi programmati non si limitano alla materia squisitamente giuscanonistica. E questo proprio per la particolare natura della materia, definita "scienza teologica con un suo specifico metodo giuridico", e con evidenti riflessi pastorali nei diversi campi della missione della Chiesa nel mondo.
In sostanza, accanto a eminenti esponenti del mondo giuridico e legislativo della Chiesa, sono chiamati a intervenire rappresentanti dei diversi ambiti della missione della Chiesa nel mondo.
Dall'impostazione degli interventi si intuisce anzi proprio la volontà degli organizzatori di evitare un'impostazione esclusivamente dottrinale. Intento degli organizzatori è evidentemente quello di favorire un'indagine propositiva, sull'andamento dell'applicazione del Codice in questi venticinque anni. Il tema proposto infatti contiene nel sottotitolo talune indicazioni precise in questo senso: "La legge canonica nella vita della Chiesa. Indagine e prospettive, nel segno del recente magistero pontificio".
È sembrato necessario iniziare da una valutazione globale dello sviluppo normativo nel suo complesso. Viene riproposto un itinerario decennale che, come in un gioco di luci e di ombre, ripercorre le tappe del cammino storico del popolo di Dio, non fosse altro che per la finitezza e l'imperfezione della condizione umana. Se ne è incaricato il cardinale Julián Herranz, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, "memoria storica" dell'evoluzione del Codice avendo seguito in prima persona l'intero processo di riforma, a partire proprio dai tempi del Concilio. E si può dire che l'intervento del cardinale Herranz, eccezion fatta per il discorso introduttivo del presidente in carica del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, arcivescovo Francesco Coccopalmerio, sia stato l'unico di un noto canonista poiché, proprio per l'impostazione data al Convegno, tra gli interventi non figurano quelli di altri esperti in modo specifico o almeno non esclusivamente dediti all'esercizio legislativo. Le scelte si sono invece orientate, per cominciare, verso due congregazioni dalle quali peraltro dipende l'intera attività di governo episcopale, compresa certamente quella legislativa. Per le circoscrizioni ecclesiastiche la Congregazione dei Vescovi; per i luoghi di missione la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Gli interventi dei cardinali Re e Dias hanno offerto una panoramica complessiva dell'evoluzione applicativa delle norme del Codice in questi anni. In particolare sono state evidenziate alcune perplessità a proposito della piena applicazione della facoltà normativa spettante alle singole Conferenze episcopali. Una facoltà espressamente attribuita dal Codice e che le singole Chiese locali dovrebbero esercitare attraverso sinodi e concili, statuti e decreti sui quali ultimi interviene poi la recognitio. Una facoltà che in qualche modo compete anche ai singoli vescovi che dipendono dalle diverse Conferenze episcopali, proprio per far sì che la norma ecclesiastica sia sempre più rispondente alle diverse realtà locali. Il cardinale Re ha portato l'esempio della CEI che ha elaborato una serie di norme per regolamentare la tutela della privacy. Una necessità emersa in questi ultimi anni anche in altri paesi, soprattutto negli USA dove i casi di abuso sessuale nei confronti di minori hanno provocato richieste dei tribunali civili di poter accedere agli archivi ecclesiastici e utilizzare dati personali su sacerdoti e fedeli. Tuttavia non tutte le Conferenze episcopali in questi anni, hanno provveduto ad emanare le norme a loro riservate in considerazione delle esigenze locali. Anzi sono poche quelle che vi hanno provveduto.
Tra le motivazioni addotte la più ricorrente si riferisce alla scarsità, quando non alla mancanza assoluta, di esperti in materia giuridica, in Diritto canonico soprattutto, capaci di supportare l'attività dei vescovi con le giuste competenze giuridiche. Ed è un primo problema, quello della formazione, che va affrontato alla radice.
Certo è che una parte fondamentale in questo processo evolutivo del Codice la devono interpretare le persone chiamate ad applicarne le norme nella vita della Chiesa, mediante il sacro ministero. Soprattutto nei territori di missione, dove il problema viene vissuto più intensamente. L'attenzione si sposta dunque verso i seminari e le altre facoltà teologiche nell'intento di promuovere un livello di istruzione giuridica tale da favorire l'effettività del diritto canonico. Esigenza della quale si è fatto interprete il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica. Secondo il cardinale la scarsa sensibilità registrata in questi anni nei confronti del Diritto Canonico è dovuta ad una "supposta desuetudine del codice" e a un'"imperfetta e talora falsa interpretazione dell'ecclesiologia del Vaticano II". Di qui "la perdita d'interesse nello studio del diritto canonico".
Anche alla luce di queste prime indicazioni sono parsi legittimi gli interrogativi scaturiti dalla prima giornata di lavoro: Quali problemi derivano all'applicazione delle norme generali del Codice stesso in determinate realtà? Come valutare l'efficacia delle tecniche e degli istituti umani utilizzati dal legislatore per formulare il Codice? Quali conclusioni si possano ricavare dall'applicazione del Codice nei territori di missione o in posti estranei alla tradizione romano-cattolica? Ma soprattutto come proseguire in questo processo applicativo? Nel cercare le risposte giuste per ogni interrogativo i relatori, pur se attraverso percorsi diversi, sono giunti ad esprimere almeno una comune certezza: "la norma canonica acquista la sua ragionevolezza e la sua giustificazione non tanto dalla volontà dell'autorità legittima, bensì in maniera radicale dalla struttura sacramentale della Chiesa, e anche le determinazioni successive del diritto romano non possono non andare in sintonia con ciò che Cristo ci ha lasciato". È chiaro che tutto è perfettibile e migliorabile. Importante è proprio dialogare insieme per individuare dove intervenire e come intervenire.
Una lacuna certamente da colmare nel Codice per esempio è stata indicata dal cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum": occorrono norme che regolino le iniziative assistenziali e di carità in determinate circostanze: doveri delle autorità episcopali, trasparenza nella gestione, uso del termine "cattolica", controllo della destinazione dei fondi, informazioni da fornire e così via. Una "lacuna" che aveva già sottolineato Benedetto XVI nella Deus caritas est.
Il convegno si concluderà venerdì mattina con la relazione del l cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, chiamato a svolgere il tema "La legge canonica e il governo pastorale della Chiesa".

(©L'Osservatore Romano - 25 gennaio 2008)


La legge canonica calata tra i fedeli

Francesco Coccopalmerio
Arcivescovo Presidente del Pontificio Consiglio
per i Testi Legislativi

Nel Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, che ha organizzato questo convegno, abbiamo pensato e dibattuto quale taglio dare al Convegno stesso (...) Abbiamo preferito fare un discorso generale sul diritto della Chiesa, non però sul diritto in sé o nel suo concetto essenziale (...), bensì sul diritto inteso come legge canonica. Ma anche la legge canonica considerata non astrattamente, bensì nella vita della Chiesa. Questa riflessione sulla legge canonica nella vita della Chiesa vuole, poi, essere una indagine - per questo ci chiediamo: la vita della Chiesa ha recepito la legge canonica? - e vuole tracciare delle prospettive (verificare se la legge canonica ha necessità di essere integrata a motivo di lacunae iuris o di essere modificata a motivo di invecchiamento della legge). Il tutto nella luce del magistero della Chiesa, specie recente, che ha aperto nuove strade per la riflessione e per la prassi anche canonica. Non potendo, però, prendere in esame la legge canonica nel suo complesso, abbiamo scelto alcuni ambiti che ci sono sembrati di maggiore attualità o di più vivo interesse. (...)
Il primo ambito in cui esaminare la tematica del convegno è precisamente: "Il Diritto Canonico e il successivo sviluppo normativo". Ci si chiede pertanto: il Codice del 1983 ha influito sulla vita della Chiesa? E la risposta è positiva nel preciso senso che il Codice ha dato origine ad altre normative che hanno recato ulteriori frutti alla vita della Chiesa. La relazione è stata affidata a sua eminenza reverendissima il cardinale Julián Herranz, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e, pertanto, il maggiore competente in questo settore.
Il secondo ambito è quello delle missioni: come il diritto canonico è stato accettato ed è quindi diventato operativo in quei territori e in quelle culture che presentano molto spesso peculiarità e diversità che possono presentare problemi di recezione?
Un altro settore di speciale interesse risulta quello preso in esame dalla terza relazione. Come sappiamo, una delle novità del Codice del 1983 è di aver affidato molta produzione normativa alla varie Chiese particolari, o Conferenze episcopali o vescovi diocesani. È avvenuto questo, in qualche misura, in qualche forma, bene o meno bene?
Una problematica stimolante è il rapporto tra legge canonica e prassi della carità. È una ricerca in parte nuova a cui però siamo stati stimolati dalla prima enciclica di Papa Benedetto XVI Deus caritas est. Ci chiediamo quindi: vanno d'accordo legge canonica, che sembra obbligare, e prassi della carità, che sembra invece essere il regno della pura spontaneità? In che senso la legge canonica può determinare o ha di fatto determinato un impulso nella prassi della carità? Questa la tematica della quarta relazione.
Se il diritto canonico e, quindi, la legge canonica appare importante nella vita della Chiesa, il diritto canonico è conosciuto? Specie da coloro che avranno la responsabilità ultima della vita della Chiesa, cioè, i ministri sacri? Che importanza ha l'insegnamento del diritto canonico nella formazione dei ministri sacri? È il tema della quinta relazione.
Un ambito della vita della Chiesa che ha sempre rivestito una importanza capitale è quello della vita consacrata. La quale, tuttavia, non è stata mai esente da numerose problematiche. Una di queste, riguardante specificamente la legge canonica, è il rapporto tra legge della Chiesa universale, cioè legge del Codice, e leggi delle comunità singole, cioè leggi statutarie. È un rapporto pacifico ed efficace? Se ne occupa la sesta relazione.
Di peculiare attualità è il rapporto tra legge canonica e dialogo ecumenico. Il Codice del 1983 tratta a più riprese dei complessi rapporti con i cristiani non cattolici. Esaminare questi problemi sarà interessante compito della settima relazione del Convegno.
E infine - relazione conclusiva del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato - ci occuperemo del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Quali sono le sue attribuzioni e cosa può offrire per il servizio del diritto nella Chiesa? (...)
Frutto del presente convegno sarà, ne sono certo, un buon servizio al Codice, non solo perché ne celebriamo la vigenza ormai venticinquennale, ma anche e in modo speciale perché potremo offrire un impulso alla legislazione della Chiesa. Le relazioni, infatti, ci aiuteranno a individuare - come dicevamo all'inizio - qualche eventuale ambito bisognoso di interventi normativi e quindi daranno la possibilità ai dicasteri della Curia Romana e in modo particolare al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi di prospettare al Papa, supremo legislatore, le opportune soluzioni.

(©L'Osservatore Romano - 25 gennaio 2008)


Esempio emblematico di "ermeneutica della riforma"

Julián Herranz Cardinale
Presidente emerito
del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi

Evitando intenzionalmente l'approccio puramente accademico e privilegiando piuttosto quello d'indole pastorale, il taglio seguito dal mio intervento sarà quello di una rimeditazione personale del lungo cammino percorso dalla Chiesa in questi cinque lustri di interpretazione ed applicazione del nuovo Codice di Diritto Canonico. Intendo in questa sede presentare il Codice ed i suoi sviluppi normativi come un esempio emblematico di "ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità", fedele agli insegnamenti del Concilio Vaticano II ed additare il giudizio sulla codificazione "come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza".
Se tutto il pontificato di Giovanni Paolo II - solo la storia potrà rendere giustizia all'effettiva grandezza della sua opera - ha impresso una svolta risolutoria alla crisi attraversata dalla Chiesa nell'immediato postconcilio, il Codice del 1983 è stato una vera pietra miliare nella via del completo rinnovamento e, oserei dire, "ringiovanimento" contenutistico e metodologico del Diritto canonico, che ha dato nuova bellezza e splendore al volto della Sposa di Cristo. Il panorama normativo ecclesiale che oggi contempliamo non è però soltanto il frutto del genio pastorale di un sol uomo, ma il risultato del concorde e abnegato sforzo di quattro Papi, da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, e costituisce, soprattutto, una fedele attuazione, con tutti i limiti e le manchevolezze della creaturalità, del disegno prefigurato dai Padri del Concilio Vaticano II. (...)
Il Corpus Iuris Canonici contemporaneo - ha detto il Legislatore - è intimamente connesso con il Concilio Vaticano II e non costituisce certo la malintesa ed equivoca ricezione di un fantomatico e imponderabile "spirito del concilio". I frutti tangibili della fedeltà al disegno dello Spirito Santo sulla Chiesa possono rappresentare inoltre un ulteriore invito a coltivare la speranza in atto, anche di fronte alle presenti sfide del relativismo agnostico e libertario che minaccia anche le stesse fondamenta del diritto.
La nuova codificazione rappresenta dal punto di vista normativo l'ideale suggello e coronamento dei lavori dell'assise ecumenica. L'autocoscienza palesata dal legislatore nell'atto di promulgazione ne costituisce d'altronde la riprova più sicura e illuminante: "Lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal magistero del Concilio Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare".
L'indubbia affermazione della salutare e sottolineerei "vitale" "ermeneutica della riforma e del rinnovamento nella continuità" non deve sottacere però la profonda carica innovativa e l'incisività della revisione operata: "Ne risulta - precisava Giovanni Paolo II nello stesso contesto - che ciò che costituisce la "novità" fondamentale del Concilio Vaticano II, in linea di continuità con la tradizione legislativa della Chiesa, per quanto riguarda specialmente l'ecclesiologia, costituisce altresì la "novità" del nuovo Codice". Penso, solo per fare alcuni esempi: alla enorme portata pastorale e apostolica della corresponsabilità di tutti i battezzati nella realizzazione della missione della Chiesa, corresponsabilità enunciata al canone 204 che ritengo "la vera spina dorsale di tutto il Codice". (...)
La constatazione però della bontà e fondamento conciliare del Codice vigente, peraltro sempre perfettibile, non deve fermarsi all'ammirazione estatica del brillante modello di positiva integrazione ed armonica sinergia tra antico e moderno, tra rispetto della tradizione e apertura alle esigenze dei tempi, tra dottrina e tecnica, e così via, ma deve guardare avanti alla corretta interpretazione ed applicazione del dettato codiciale e della voluntas Legislatoris. La codificazione non è tanto un punto di arrivo, quanto, soprattutto, un punto di partenza. Se gli insegnamenti del Concilio e l'ecclesiologia di comunione costituiscono una sicura e costante base di riferimento dei canoni, il Codice è non di meno un luogo privilegiato di rilettura, di sviluppo e di esecuzione pratica delle acquisizioni del Vaticano II. L'applicazione fedele e rigorosa (che non significa pedante e cavillosa) dei precetti legali è e sarà sempre la più sicura garanzia della definitiva presa di distanza da una fuorviante interpretazione della discontinuità e della rottura.

(©L'Osservatore Romano - 25 gennaio 2008)


Ancora troppi vuoti in terra di missione

Ivan Dias
Cardinale Prefetto della Congregazione
per l'Evangelizzazione dei Popoli

Nel Codice si possono trovare oltre ottanta canoni che, direttamente o indirettamente, rimandano alla possibilità di produzione di un diritto particolare nella Chiesa locale. Questi canoni offrono l'opportunità di prendere le convenienti decisioni, tenuto conto delle circostanze, dei luoghi, delle persone e delle tradizioni culturali del popolo.
Non sono poi da considerare di secondaria rilevanza gli organismi di partecipazione e corresponsabilità, che il Codice prevede per le diverse forme di Chiesa particolare, differenziata in rapporto al grado di rappresentanza e all'ambito di competenza, sia sul piano della diocesi sia su quello della parrocchia. In particolare, nella diocesi sono stati istituiti i seguenti organi di consultazione: il consiglio presbiterale (canoni 495-501) come rappresentante del presbiterio e senato del vescovo, il collegio dei consultori (592), costituito da alcuni membri del precedente, con competenze nel campo amministrativo anche in caso di sede vacante; il consiglio per gli affari economici diocesano (492-493); il consiglio pastorale (511-514). Per i vicariati e le prefetture apostoliche, i compiti del consiglio presbiterale e del collegio dei consultori, possono essere svolti da un consiglio - detto consiglio della missione - composto di almeno tre presbiteri (495 2; 502 4).
Per la parrocchia il Codice prevede, a sostegno del parroco nella gestione dei beni, un consiglio per gli affari economici (537); per la promozione delle attività finalizzate alla cura delle anime si deve creare un consiglio pastorale (can. 536), se ciò appare opportuno al vescovo diocesano dopo aver consultato il consiglio presbiterale. Proprio su questi aspetti, non è raro registrare una mancata applicazione delle norme canoniche che può essere causata per ignoranza delle stesse norme o per una loro errata interpretazione, o per trascuratezza da parte dei pastori. La natura, i compiti e le finalità degli organismi di partecipazione non sono ancora adeguatamente compresi e attuati. Si registrano casi in cui i vescovi non provvedono alla costituzione di detti organismi, come pure abbiamo casi in cui questi organismi sono mal interpretati e tentano di imporsi sul vescovo o di agire contro di lui, costituendo dei veri e propri gruppi di pressione.
Una menzione particolare merita il sinodo diocesano (460-468), in cui tutto il popolo di Dio diventa protagonista in quanto non solo destinatario, ma anche soggetto delle direttive e dei provvedimenti pastorali. Attraverso questo organismo di convocazione generale della Chiesa particolare, in cui unico legislatore rimane sempre il vescovo, è possibile addivenire all'opportuno adattamento delle norme canoniche alla varietà delle situazioni locali, e porre in risalto il volto specifico e peculiare della Chiesa particolare che realizza la cattolicità della Chiesa come sinfonia delle legittime diversità.
Ulteriore spazio dato al diritto particolare dal Codice compete alle Conferenze episcopali. Lo schema iniziale di revisione del Codice ne aveva previsto di più, non di meno il Codice contiene circa ottantasei rinvii, la metà dei quali di natura legislativa. Il timore di intaccare l'autonomia del vescovo diocesano, e di creare quasi un organismo intermedio tra Chiesa universale e Chiesa particolare, tra romano Pontefice e collegio dei vescovi è stato forse eccessivamente valutato.
Se il Codice dà alle Conferenze episcopali la competenza su varie materie, lo fa con lo scopo di assicurare in un territorio determinato una disciplina o delle soluzioni omogenee che rispondano alle esigenze che sono comuni allo spazio umano proprio di una conferenza. Le Conferenze episcopali possono essere considerate oggi gli organismi più idonei ad adattare la legge universale della Chiesa alle esigenze dei luoghi e dei tempi, e ad essere, in questo modo, artefici dell'inculturazione dello stesso diritto ecclesiale. Questa finalità propria delle Conferenze episcopali sembra un elemento costitutivo della loro identità, che forse non è stato finora adeguatamente sottolineato.
Se da una parte le critiche che vengono mosse al Codice circa il potere delle Conferenze episcopali di emanare decreti generali possono trovare un fondamento, poiché sono soggette a restrizioni precise circa la procedura di deliberazione, oppure perché le materie da deliberare sono stabilite dal diritto universale o dalla Sede Apostolica, ma anche circa la procedura di promulgazione che richiede per la sua validità la recognitio, d'altra parte si deve osservare che dopo venticinque anni dall'entrata in vigore del Codice, sono proprio le giovani Chiese dei territori di missione dei diversi continenti che ancora non hanno riempito gli spazi loro assegnati dal diritto particolare come specificazione, complemento, adattamento del diritto universale.
Anche se si è registrato un notevole incremento nell'approvazione degli statuti delle Conferenze episcopali dipendenti direttamente dal dicastero missionario, tuttavia sono ancora poche le Conferenze che hanno emanato una normativa complementare al Codice. Ciò può essere imputato a diversi fattori: la mancanza di esperti capaci di aiutare i vescovi ad intervenire in quegli ambiti in cui il Codice prevede un diritto particolare; le difficoltà di armonizzare le consuetudini locali con la normativa generale del Codice, per cui talvolta è richiesto di abbandonare determinati usi o pratiche perché in dissonanza con la mentalità cristiana e con le disposizioni del Codice. L'opera di adattamento è ancora lunga, come lungo è il cammino di inculturazione.

(©L'Osservatore Romano - 25 gennaio 2008)

Nessun commento: