25 gennaio 2008

La voce della fede e la tv amorale (Stefano Mannucci per "Il Tempo")


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IL COMMENTO

La voce della fede e la tv amorale

«La televisione ha una specie di monopolio di fatto sulla formazione dei cervelli di una parte considerevole della popolazione». Parole del Papa? No, di Pierre Bourdieu, il filosofo inventore del concetto della «violenza simbolica» in campo pedagogico.
Curiosamente, l'appello del Pontefice per una «informazione etica» non appare troppo distante da quello di un grande pensatore di formazione marxista-strutturalista. Segno, una volta di più, che i mass-media tendono a sfuggire a collocazioni morali, spirituali o ideologiche. Magari non divengono alleati del Male, ma sicuramente sposano l'amoralità del mercato globale e della società del consumismo ipertrofico.
Certo, Benedetto XVI ha delle ragioni: sopratutto quando denuncia che tv, cinema, radio, giornali e internet, «con il pretesto di rappresentare la realtà», tentano di «legittimare e imporre modelli distorti di vita personale, familiare e sociale». Verissimo: ma il sistema delle comunicazioni non può essere interpretato in senso univoco né universale. Le nuove tecnologie non possono essere irreggimentate: la Rete è un modello di partecipazione, tra democrazia diffusa e anarchia, dove ogni messaggio può essere veicolato, ma nessuna «autorità» centrale ne certifica la fondatezza o la credibilità.

Semmai, la critica di Ratzinger assume un valore inoppugnabile quando viene rivolta ai canali mediatici accessibili a chiunque, in primo luogo la televisione, di cui quella italiana è un pessimo esempio.

Ma non occorre essere vicari di Cristo per notare le nefandezze di cui sono capaci i network generalisti, tra balletti saffici in prima serata e preti innamorati pagati profumatamente per raccontare la loro storia; tra protagonisti della cronaca nera ospitati - previa contrattazione con il manager - nei talk show, e giochini taroccati e taroccabili dove si coltiva l'illusione di maxivincite a talento zero. Non ha torto Ratzinger quando ricorda che «la ricerca ossessiva dell'audience produce volgarità e violenza». Non solo in certi varietà e reality, beninteso: anche nei programmi di approfondimento giornalistico dove politici di livello nazionale si danno con disinvoltura del «cialtrone» o minacciano insurrezioni armate.
Quanto alla pubblicità, è «ossessiva», ma non esclusivamente incentrata nell'imposizione del «materialismo economico e del relativismo etico», di cui parla il Santo Padre. A ferire la sensibilità degli spettatori sono spesso gli spot della vita extralusso, tra supermacchine e manager in carriera ma anche, insidiosamente, quelli che offrono siparietti di famiglie senza problemi né pensieri, dove tutti si sorridono da mattina a sera, al riparo da qualunque grana si possa palesare all'orizzonte. Quella felicità artificiosa, nutrita da biscotti magici e resa linda da detersivi miracolosi, in case sontuose, abbagliate da un'eterna primavera, non appartiene alla realtà di un'Italia che tira la cinghia e che rischia di precipitare nell'abisso della privazione e del declino sociale. È dentro a quelle reclame che si insidia il germe della falsa speranza. È lì che prospera più che altrove la disperazione e il nichilismo dello spirito. Ma tutti continueranno a nutrirsi di quella finzione, senza affollare San Pietro, stavolta, per manifestare consenso al Papa. Perché la tragedia di questa società è nel non saper rinunciare al miraggio del nulla mediatizzato. Nel non ascoltare la voce della Fede, nel chiasso amplificato del Mercato.

© Copyright Il Tempo, 25 gennaio 2008

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