16 febbraio 2008

La riforma del Concordato tra Repubblica italiana e Santa Sede: quell'accordo di libertà siglato nel 1984 (Osservatore Romano)


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La riforma del Concordato tra Repubblica italiana e Santa Sede

Quell'accordo di libertà siglato nel 1984

di Venerando Marano

Docente di diritto canonico e diritto ecclesiastico all'università degli studi di Foggia

Le ragioni e le vicende del complesso iter di revisione del Concordato lateranense, il contributo della giurisprudenza costituzionale, la posizione delle diverse forze politiche e il ruolo svolto dal Presidente del Consiglio italiano dell'epoca Bettino Craxi.
E ancora, l'ispirazione di fondo e i contenuti essenziali dell'Accordo di modificazioni del Concordato firmato il 18 febbraio 1984 tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, con le sue ricadute sia sulla disciplina pattizia e sull'assetto dei rapporti fra Stato e Chiesa sia nell'ordinamento canonico e più in generale nella dimensione infraecclesiale. Infine, una riflessione sulla riforma del Concordato e sulle intese con le confessioni acattoliche orientata a gettare uno sguardo sul futuro, con sensibilità attenta alla dimensione europea e alle questioni tipiche di una società multiculturale in fase di costruzione.
Sono questi, in estrema sintesi, i temi approfonditi nel volume La grande riforma del Concordato, pubblicato a cura di Gennaro Acquaviva per i tipi dell'editore Marsilio, che raccoglie relazioni e interventi presentati in un convegno di studio tenutosi a Roma il 12 febbraio 2004, in occasione della ricorrenza del ventennale dell'Accordo di Villa Madama. Tutti gli aspetti più significativi e i nodi problematici della riforma realizzata alla metà degli anni Ottanta risultano illustrati e risolti dai contributi dei principali protagonisti di quella decisiva stagione di riforme. Moltissimi gli spunti di riflessione offerti al lettore, preziosi non solo in chiave ricostruttiva ma anche e soprattutto per un corretto inquadramento di alcune questioni centrali nel dibattito attuale sui rapporti fra Stato e Chiesa, fra politica e religione.
L'Accordo di revisione del Concordato ha segnato l'abbandono della linea di politica istituzionale volta al superamento del sistema concordatario e l'archiviazione dei progetti di revisione dell'articolo 7 della Costituzione.
Viene scelta una linea diversa e contrapposta, quella cioè di dare piena attuazione della Costituzione mediante la realizzazione del principio di bilateralità, che costituisce uno degli elementi fondamentali del sistema costituzionale di disciplina del fenomeno religioso. Questa scelta consente di armonizzare le norme pattizie con i principi costituzionali e con l'evoluzione della comunità civile ed ecclesiale, "aprendo" la strada ad una nuova legislazione ecclesiastica che ha portato a numerose intese con le confessioni diverse dalla cattolica e attende di essere completata con una legge organica sulla libertà religiosa.

Una tale grande riforma conferma la validità e l'attualità delle scelte di fondo operate dall'Assemblea costituente, che con gli articoli 7 e 8 della Costituzione ha previsto una condizione in parte comune e in parte differenziata rispettivamente per la Chiesa cattolica e per le altre confessioni religiose, affermando i principi di reciproca autonomia dello Stato e delle confessioni e di bilateralità nelle relazioni.

In particolare, l'Accordo di revisione del Concordato realizza l'assetto previsto dall'articolo 7 della Costituzione e ne aggiorna i contenuti, ponendosi non come patto fra istituzioni cui è assegnato l'antico ruolo di definizione dei confini o come strumento di privilegio, bensì come "accordo di libertà". Fra i numerosi elementi di novità formale e sostanziale rispetto alla normativa del 1929, assume particolare rilievo la disposizione che, rispetto a "ulteriori materie" per le quali si manifesti l'esigenza di collaborazione fra Stato e Chiesa, afferma la possibilità di una regolamentazione bilaterale da realizzarsi sia mediante nuovi "accordi tra le Parti", sia con "intese" tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza episcopale italiana (articolo 13, n. 2). La previsione di nuovi livelli di trattative e di nuove forme di accordo prospetta ulteriori sviluppi del principio di bilateralità e consente una maggiore duttilità dello strumento pattizio, con la significativa valorizzazione del ruolo dell'episcopato nazionale, al quale già il Concilio Vaticano II e il Codice di diritto canonico del 1983 avevano riconosciuto largo spazio. Tale previsione esprime quello spirito di reciproca collaborazione fra Stato e Chiesa "per la promozione dell'uomo e il bene del Paese", pur nella riaffermata distinzione degli ordini e reciproca autonomia (articolo 1), che caratterizza la nuova legislazione concordataria e deve orientarne l'interpretazione e lo sviluppo.
Le soluzioni adottate nell'Accordo di revisione del Concordato hanno suscitato fra gli studiosi, come pure nella maggior parte dell'opinione pubblica e delle forze politiche, un largo e solido consenso, che rivela la maturità storica del cambiamento e rende improbabili ritorni al passato in senso neo-separatista. Questo bilancio positivo viene ignorato o trascurato in alcune recenti polemiche sul rapporto fra religione e società, fra Chiesa e politica, nelle quali è ricorrente un uso improprio e strumentale del principio di laicità.
Si tratta di un tema essenziale che richiede una riflessione non ideologica. Nel nostro ordinamento, l'enunciazione del principio di laicità si deve alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che lo afferma per la prima volta in una famosa sentenza della fine degli anni Ottanta (n. 203/1989), ricostruendolo sulla base degli elementi normativi offerti dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione e qualificandolo come "principio supremo dell'ordinamento costituzionale". L'insieme delle norme costituzionali richiamate, le quali attribuiscono rilievo all'elemento religioso nella sua dimensione individuale, collettiva e istituzionale, struttura il principio di laicità e ne determina il contenuto. Ne deriva che tale principio, come chiaramente affermato dalla Corte, "implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale".

Configurata in questi termini, la laicità postula e conferma una concezione dualistica che riconosce la reciproca autonomia fra Stato e confessioni religiose, ma non esclude e, a volte, promuove la loro cooperazione. Questa realizzazione della laicità da un lato consente e può favorire il dialogo fra concezioni ed esperienze diverse, necessario riguardo alle nuove questioni con le quali la laicità è chiamata a misurarsi, dall'incontro tra diverse culture agli sviluppi delle biotecnologie, dai risorgenti fondamentalismi al diffuso relativismo etico.

Dall'altro lato, fa apparire estranea all'esperienza italiana, e fortemente riduttiva, una lettura della laicità volta a confinare l'esperienza religiosa nel recinto della coscienza individuale e della semplice libertà di culto, escludendo la rilevanza della religione e il ruolo delle Chiese e delle comunità religiose nella sfera pubblica.

Sotto questo profilo, appare particolarmente significativa la disposizione del recente Trattato di Lisbona nella quale, dopo aver (ri)affermato il principio in base al quale l'Unione europea "rispetta e non pregiudica" lo status riservato a ciascuna confessione religiosa nei rispettivi ordinamenti nazionali, si stabilisce che l'Unione, riconoscendo l'identità e il contributo specifico delle Chiese e comunità religiose, mantiene con esse un dialogo aperto, trasparente e regolare.

La previsione di un dialogo strutturato non contrasta, ma rafforza, la laicità positiva e includente di cui si avverte il bisogno, e conferma il ruolo che le Chiese e le comunità religiose possono svolgere nell'ambito del processo di costruzione della "casa comune" europea che per essere tale deve fondarsi su valori comuni radicati nella sua tradizione e su un ethos condiviso.

(©L'Osservatore Romano - 17 febbraio 2008)

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